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Piano Passera: una strategia per grandi lobby che ci incolla al passato

di Mario Agostinelli – Pubblico giornale 30 ottobre 2012

Il governo dei tecnici continua ad affrontare non solo l’emergenza, ma tutto l’arco delle questioni che dovrebbero riguardare il futuro del Paese. Cercando di applicare nelle more di un tempo breve in cui la democrazia è depotenziata, ricette drastiche e impopolari, che si pongono però l’obiettivo di costituire la struttura portante della modernizzazione del Paese per il lungo periodo, con o senza il premier attuale. Il piano Passera per l’energia, messo sul sito del ministero pochi giorni orsono, è parte rilevante di questa strategia. La trentennale assenza di una politica energetica nazionale viene improvvisamente “risolta” con l’apparizione su internet di uno studio compilato con seducenti illustrazioni e una retorica accattivante. Allora, prima di analizzare il cuore del documento, occorre chiederci: è opportuno che un governo senza legittimazione popolare delinei la strategia energetica destinata a segnare le sorti del paese per molto tempo? Ci si dirà: è prevista una ampia consultazione on line della durata di sei settimane ed una Conferenza Nazionale (ad ora del tutto imprecisata per struttura e partecipanti!): ma quale potere è consegnato a questo percorso? Potrebbe forse mettere in discussione o emendare i cardini della proposta lanciata senza alcun confronto preventivo?

Veniamo ora a questi cardini, che sono: l’Italia come hub europeo del gas; investimento nel petrolio nazionale, con un incremento delle trivellazioni; riaccentramento dei poteri in materia energetica a discapito degli enti locali; molte belle parole sull’efficienza, accompagnate però – a quanto si sa – dalla eliminazione del 55% di detrazioni fin qui previste per interventi di risparmio energetico in edilizia; attenzione alle rinnovabili, però in funzione integrativa e non sostitutiva del sistema attuale e, per di più, sottoposte ad una sopravvivenza competitiva sul mercato rispetto a gas e petrolio, che continuano a godere di franchigia rispetto ai loro costi ambientali.

Passera in questo modo propone uno scenario non certo in linea con la strategia UE – la road map al 2050 – che tende significativamente all’obiettivo del 100% di energie rinnovabili. Offre al capitale industriale nazionale e alle banche d’affari le chiavi dei gasdotti, delle raffinerie, dei rigassificatori e delle rotte metaniere. Rilancia i soliti  grandi affari senza trasparenza. Ma taglia così le gambe ad un modello energetico decentrato sul territorio e confermato da una autentica esplosione delle fonti rinnovabili, che ci colloca al secondo posto nella classifica mondiale.

In tal modo si sostengono interessi di lobbies molto potenti, ma si mina alla base il tessuto di imprenditoria nuova, spesso a carattere locale, che stava sviluppando grande flessibilità e capacità di innovazione, nuove professionalità e raccordi virtuosi con il mondo della ricerca. Inoltre, si prendono le distanze da quella riconversione ecologica dell’economia che il nostro sistema deve con urgenza affrontare e che può sviluppare solo in una dimensione culturale, democratica e politica partecipativa e agli antipodi rispetto a scenari energetici futuri da cui si ammicca al passato.

Proprio in questi giorni la Confederazione Elvetica mette in consultazione una sua  strategia verso il 2050. La Svizzera propone un cambiamento radicale dell’intero sistema energetico, ritenuto necessario dopo la decisione di abbandonare l’atomo. Il documento muove da alcuni punti chiari. Per citare la relatrice “dal 2001 il prezzo del barile di petrolio e quello del gas sono continuamente saliti, con conseguente aumento del prezzo delle energie convenzionali. Nello stesso tempo le energie alternative costano sempre  meno, ma sono ancora relativamente care e vanno quindi sostenute, assieme ad un diverso stile di vita.” Su queste basi si è aperta una vera consultazione, adeguata a un tema come l’energia che richiede una svolta epocale e partecipata. Durerà 8 mesi, con obiettivi come la riduzione del 35% dei consumi, standard di dispersione dimezzati per gli edifici e ridotti del 40% per le emissioni delle automobili, incentivi all’autoproduzione, tasse sulla CO2.

E se, anziché la Russia, assumessimo come modello la Svizzera e si aprisse una vera consultazione che riporti al centro le minacce al clima, anzichè l’interesse degli enti energetici e di un sistema industriale che non si rinnova e  ci incolla al passato?

 

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Strategia Energetica Nazionale: il dibattito sul quotidiano Pubblico

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha presentato pochi giorni fa la Strategia Energetica Nazionale. Si tratta al momento di una bozza sulla base della quale il governo ha aperto una fase di consultazioni che verrà conclusa con una Conferenza nazionale.

Da molto tempo l’Italia non si dava un piano strategico in un settore così importante. È però discutibile che a colmare questo vuoto sia un governo tecnico. Ed è soprattutto fondamentale che siano offerte forme di partecipazione effettive alla cittadinanza, in tutte le sue articolazioni, per poter contribuire alla definizione di scelte tanto rilevanti per il futuro del paese.

Per questa ragione, Pubblico ha deciso di offrirsi come piattaforma per aprire un dibattito trasparente e plurale sulle linee strategiche proposte dal governo.

Abbiamo chiesto a una serie di esperti, di diverso orientamento, di contribuire a questa riflessione, che si svolgerà in misura importante online. Il giornale ospiterà anche alcuni interventi nella sua versione cartacea. E si impegna a raccogliere e trasmettere ai suoi lettori una sintesi dei suoi principali contenuti. Il dibattito verrà concluso con un Forum al quale inviteremo a partecipare una rappresentanza del Ministero. Se volete mandare dei vostri contributi, potete scrivere a: contributi@pubblico.eu

Collaborano a questa iniziativa anche http://www.energiafelice.it/ e http://qualenergia.it/

 

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Nuove trivelle in Lombardia?

Questo articolo è tratto da www.salviamoilpaesaggio.it

Il preoccupante interesse per l’oro nero, insostenibile ed insensato, non si limita al Canale di Sicilia ma sbarca anche nella pianura lombarda, già martoriata da cemento e nuove autostrade. Un’analisi delle zone interessate con un approfondimento per la situazione nella zona est della Provincia di Milano.

PETROLIO LOMBARDO, MINACCIA OSCURA

La notizia pubblicata su Corriere Ambiente lo scorso 4 Ottobre porta all’attenzione di tutti il fatto che anche la Lombardia è a rischio trivelle. Riaffiorano interessi per petrolio e gas nelle stesse aree già sondate qualche decennio fa. Siti operativi già attivi in passato e nuove richieste in fase di valutazione: si allunga l’ombra di una minaccia oscura che interessa numerose provincie e spaventa anche oltre confine, in Svizzera.

Perché è ripresa la “corsa al petrolio”? Qual è la situazione?
Cosa sanno i cittadini? Quali sono i rischi?

I NUMERI E LE PROVINCIE INTERESSATE

L’articolo sopracitato ricorda che su tutto il territorio lombardo sono ben 25 i nuovi sitisotto esame da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, da ovest ad est, che si aggiungono alle 17 concessioni vigenti per la coltivazione di idrocarburi e 7 per lo stoccaggio di gas.
Una dettagliata planimetria colloca sul territorio lombardo siti attivi, permessi di ricerca già concessi e nuove richieste in esame.

Al momento sembrano “salve” solo le provincie di Lecco e Sondrio, anche se va ricordato che è di pochi anni fa l’assalto provato e respinto a Montevecchia (LC) dove la società australiana Po Valley era intenzionata ad effettuare pericolose ricerche in un area di grande valenza paesaggistica del Parco del Curone.

Le nuove istanze che interessano le provincie di Como e Varese spaventano oltreconfine. Nel Canton Ticino infatti non solo le associazioni ambientaliste, ma anche gli enti istituzionali, manifestano preoccupazione per una scelta, quella di puntare ancora sulle fonti fossili, che genera problemi ambientali locali e non risolve, anzi peggiora, i problemi climatici globali. I comuni svizzeri potrebbero anche attivarsi per presentare osservazioni ufficiali nelle istanze in corso.

Lo scenario complessivo sembra quello di una regione che prova a togliere alla Basilicata il titolo di “Texas d’Italia”.

L’EST MILANESE E LA SUA STORIA PETROLIFERA

Analizzando le informazioni riportate sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico in merito alle istanze in corso e il dettagliato archivio storico si scopre che:

– per la “ricerca di idrocarburi” figura un lungo elenco storico dei pozzi dal 1895 al 2011. Nelle provincie di Milano e Monza e Brianza sono ben 264 di cui uno rispettivamente a Monza, Lissone, Burago e Carugate e ben 31 nel solo comune di Brugherio dove risulta anche una concessione per lo stoccaggio di gas.

– per la “coltivazione di idrocarburi” sono elencate 17 concessioni, tra cui una riferita al comune di Pessano con Bornago, ambito d’interesse di ENI già da qualche anno. Una concessione che copre però un’area molto ampia che giunge fino al Vimercatese (Burago Molgora, Agrate Brianza e Caponago).

Tra le nuove istanze di “permesso di ricerca in terraferma” ce n’è una, arrivata alla fase di conferenza dei servizi, che fa riferimento al comune di Melzo, il cosiddetto “Progetto Melzo” della società italo-americana Mac Oil. L’istanza interessa, anche in questo caso, una serie di comuni della zona (Bellusco, Busnago, Cambiago, Cavenago di Brianza, Ornago e il già citato comune di Pessano con Bornago) e coinvolge anche alcuni comuni della provincia di Bergamo.

PESSANO CON BORNAGO: CORSI E RICORSI

Giuseppe Moretti del Circolo Legambiente “Il Molgora” di Pessano con Bornago ci racconta che l’Eni fece un carotaggio in quella zona già negli anni 70. La campagna fu poi abbandonata e il pozzo fu chiuso e sigillato.
Dopo anni, nel 2001, arrivò una proposta di riattivazione, finalizzata all’estrazione di gas che prevedeva inoltre la realizzazione di un’annessa centrale.

Ci fu l’opposizione dei cittadini e numerose proteste: furono convocate assemblee pubbliche in cui partecipò anche Eni. L’impianto proposto era troppo vicino alle abitazioni ed era inoltre nell’area del Parco del Molgora. L’impatto sarebbe stato devastante: oltre al traffico degli automezzi generato, il paesaggio sarebbe stato sconvolto da una torcia continuamente accesa come quella che si vede nella classica immagine dei pozzi petroliferi del medio oriente. La società fortunatamente rinunciò.

Ora le associazioni locali, alla luce anche delle notizie attuali, continuano a seguire con attenzione le vicende e non abbassano la guardia.

POCA INFORMAZIONE, TANTA PREOCCUPAZIONE

Sono poche le informazioni sull’argomento reperibili dalla stampa locale e dai comuni interessati, che abbiamo interpellato direttamente per conoscere l’avanzamento dei procedimenti in corso e le posizioni delle Amministrazioni Locali senza avere però alcun riscontro.

Per la zona del Vimercatese un recente articolo de “Il Cittadino”, conferma che il permesso di ricerca per Melzo ha ottenuto il via libera del Ministero. Sfruttando studi già fatti, saranno nuovamente oggetto di indagine le stratificazioni in cui potrebbero essere contenuti idrocarburi, confidando in risultati migliori della campagne di ricerca dei decenni scorsi.

Nella bassa bergamasca, interessata dal “Progetto Melzo”, cresce in rete la preoccupazione e la protesta: anche qui in diversi comuni (Arzago, Casirate, Fara Gera d’Adda, Treviglio e Calvenzano) riaffiorano situazioni che sembravano, dopo anni di silenzio, definitivamente accantonate.

GEOLOGIA ED ECONOMIA

La Pianura Padana ha geologicamente le caratteristiche per contenere idrocarburi, ma è tutta da valutare la quantità estraibile, su cui ovviamente vige il riservo da parte delle compagnie. Nei decenni scorsi sono state fatte numerose indagini e l’area è stata anche sfruttata. Ora però i residui ancora estraibili potrebbero trovarsi ad elevate profondità con forte possibilità di insuccesso.

Ma il prezzo del petrolio così alto e le discutibili agevolazioni dovute alle scelte governative italiane (bassi oneri di estrazioni rispetto ad altri paesi ed esigui obblighi di compensazione ambientale, le royalties) spingono comunque le compagnie, anche e soprattutto straniere, ad investire nuovamente.

La strategia energetica nazione proposta dal Governo ed in particolare dal ministro Passera è nuova sulla carta ma di vecchia concezione: prospetta infatti uno scenario futuro basato ancora principalmente sulle fonti fossili e non sulle rinnovabili. Una scelta esclusivamente economica, che mira a far cassa.

Ma per i territorio le previsioni non sono buone: più che una pioggia di soldi, il rischio è di una pioggia nera ed inquinante come quella che nel 1994 colpì Trecate (NO) dopo l’esplosione di un pozzo di trivellazione dell’AGIP.

PERICOLOSO MIRAGGIO

Le società petrolifere credono nel miraggio ed investono miliardi di euro, e promettono nuovi posti di lavoro, nuove entrate per lo Stato e risparmi in bolletta.

Ma se tutto questo sarà realizzato quale sarà il prezzo in termini di salute, inquinamento e sfruttamento del territorio?

Ogni compensazione economica sarebbe comunque insufficiente a giustificare il definitivo colpo di grazia per un territorio già devastato dalla cementificazione e inquinamento: occupare infatti le esigue aree agricole e libere con i nuovi pozzi, i relativi cantieri e gli impianti altamente inquinanti necessari ad estrazione, stoccaggio e trasporto di petrolio e gas, sarebbe insostenibile.

 

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