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La Corte Costituzionale non dà un via libera al nucleare

Una nota di commento sulla recentissima sentenza della Corte Costituzionale in materia di rapporti stato/regioni sul nucleare

La recente sentenza della Corte Costituzionale n.331/2010  ha dichiarato  la illegittimità costituzionale delle leggi regionale della Puglia, Basilicata e Campania contro l’installazione di centrali nucleari nel proprio territorio.  Questa sentenza è stata letta in primo luogo dai mass media, ma anche da osservatori interessati (fronte governativo e industriali in primo luogo) come la sconfitta definitiva (almeno in termini giuridici) dei poteri regionali e locali sulla decisione del Governo di ripartire con il nucleare nel nostro paese.

Non è così, almeno per il momento, e con le note che seguono cercherò sinteticamente di spiegare perché.

Secondo la sentenza le suddette leggi regionali, con analoghe formule, vietano l’installazione sul territorio regionale di impianti di produzione di energia nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, di depositi di materiali e rifiuti radioattivi, salvo che venga previamente raggiunta un’intesa con lo Stato in merito alla localizzazione. Tali leggi regionali secondo la sentenza in esame, riproducono in parte il contenuto di analoghe norme regionali, finalizzate a precludere la presenza sul territorio di pertinenza di materiali nucleari e già oggetto di sentenze della Corte (n. 247 del 2006 e n. 62 del 2005); in altra parte, invece, se ne distinguono, poiché, rispetto alle prime, aggiungono che il divieto non ha carattere assoluto, ma recede, ove sia raggiunta l’intesa tra Stato e Regione interessata.

Sotto il profilo del rapporto materia interessata/competenze la Corte ribadisce quanto già affermato nella precedente giurisprudenza :

  • la gestione delle scorie radioattive rientra nella materia ambiente di competenza esclusiva dello stato (sentenza 62/2005)
  • gli impianti di produzione nucleare rientrano nella materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenza n. 278 del 2010).

Comunque in entrambi i casi, secondo la Corte Costituzionale, la disciplina della Intesa Stato Regioni spetta allo Stato. Infatti secondo questa ultima sentenza: “ la disciplina normativa di queste forme collaborative e dell’intesa stessa, spetta al legislatore che sia titolare della competenza legislativa in materia: si tratta, vale a dire, del legislatore statale, sia laddove questi sia chiamato a dettare una disciplina esaustiva con riferimento alla tutela dell’ambiente, sia laddove la legge nazionale si debba limitare ai principi fondamentali, con riferimento all’energia. Anche in quest’ultimo caso, infatti, determinare le forme ed i modi della collaborazione, nonché le vie per superare l’eventuale stallo ingenerato dal perdurante dissenso tra le parti, caratterizza, quale principio fondamentale, l’assetto normativo vigente e le stesse opportunità di efficace conseguimento degli obiettivi prioritari, affidati dalla Costituzione alle cure del legislatore statale.”

La Corte, confermando la precedente pronuncia (sentenza 278/2010), precisa che nell’esercizio della suddetta competenza il legislatore statale deve garantire adeguate forme di coinvolgimento della Regione interessata. Conclude la Corte Costituzionale affermando che le Regioni potranno sollevare questioni di incostituzionalità su tale disciplina statale a cominciare dal recente dlgs n. 31 del 2010 nel quale andrà rinvenuta, in rapporto con la legge delega n. 99 del 2009, la vigente disciplina di realizzazione degli impianti e dei depositi,

Per capire quindi i reali poteri regionali di interdizione occorre, salvo un futuro pronunciamento specifico della Corte Costituzionale, mettere a confronto i principi che la stessa Corte Costituzionale ha stabilito in materia di disciplina statale delle Intese Stato Regioni nella materia energia (con particolare riferimento a quella nucleare) con il dlgs 31/2010 che appunto ha disciplinato la procedura di autorizzazione delle centrali nucleari prevedendo che la mancata Intesa possa essere superata con un Dpr (Decreto Presidente della Repubblica)  previa delibera del Consiglio dei Ministri.

La Corte in successive sentenze ha fissato alcuni principi in materia di Intesa  Stato Regioni nella materia energia prevedendo:

  1. che la mancata Intesa con la Regione costituisca: “ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento – come,  del  resto, ha riconosciuto anche l’Avvocatura dello Stato – a causa  del  particolarissimo  impatto che una struttura produttiva di questo  tipo  ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc” (Corte Costituzionale n. 6/2004 relativa al c.d. decreto sblocca centrali)
  2. l’Intesa deve realizzarsi con la Regione territorialmente interessata e non può essere spostata in organismi diversi come la Conferenza Unificata Stato Regioni – Città  (Corte Costituzionale n. 62 del 2005 relativa alle leggi regionali in contrasto con la legislazione nazionale sul deposito nazionale per le scorie nucleari)
  3. occorre sempre la Intesa con la Regione soprattutto quando la decisione in oggetto possa avere un impatto potenziale significativo sulle competenze regionali anche in termini finanziari e sicuramente una scelta come quella di una centrale nucleare può realizzare tale impatto: basti pensare alle questione del rischio, dell’approntamento delle infrastrutture stradali, dell’organizzazione del sistema dei controlli, delle modifiche alla destinazione urbanistica dei territori interessati dal sito etc. (sentenza Corte Costituzionale 339/2009)

Ora questi principi non pare siano stati compiutamente rispettati dal dlgs 31/2010 che forse doveva essere l’atto effettivamente da impugnare da parte delle Regioni e non la legge delega 99/2009 come peraltro sottilmente la stessa sentenza della Corte Costituzionale (331/2010)  rileva nelle sue motivazioni. Infatti la Corte Costituzionale (con sentenza 278/2010 sulla legge delega per la strategia energetica nucleare) ha affermato che il potere sostitutivo dello Stato potrà “superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà (sentenza n. 303 del 2003” .

Inoltre tali principi dovranno altresì essere rispettati in sede di  decisioni dei singoli siti ed impianti e questo permetterà alle Regioni un largo spazio di manovra per opporsi alla installazione delle centrali nucleari sui propri territori visto che “ la scelta dello specifico impianto da realizzare in concreto  rientra a tutti gli  effetti  nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica retto, e per tale via si offre alla codeterminazione dell’atto da parte della Regione interessata, una volta che il legislatore delegato abbia provveduto ad introdurre la relativa intesa”. (sentenza Corte Costituzionale 278/2010).

Se a questi principi da rispettare si aggiunge quello più recente sull’impossibilità di utilizzare capitali privati consistenti per realizzare impianti energetici urgenti  e strategici (sentenza Corte Costituzionale 215/2010), possiamo dire che anche da un punto di vista giuridico la partita del nucleare sia tutt’altro che chiusa.

Marco Grondacci
Giurista ambientale

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Veleni nucleari – speciale Carta

Il numero del settimanale Carta dell’11 novembre è dedicato al tema del nucleare, al suo impatto ambientale e alle politiche energetiche alla base di questa scelta.

Oltre a interviste e note sulla costruzione delle centrali nucleari europee, si fa notare come: “La valutazione del rischio nucleare è una questione politica in cui pesano più gli interessi dell’industria che i dati scientifici e l’evidenza”.

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Da Viadana: buone notizie

Da Il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2010

Più di trecento persone hanno partecipato all’assemblea del Coordinamento anti-nucleare, indetta dal Comune di Viadana martedì scorso, per concordare iniziative di contrasto e di protesta contro l’annunciata realizzazione di un reattore atomico sul territorio mantovano. “Siamo in tanti, e stiamo lanciando un messaggio d’amore per il territorio con la nostra volontà di tutelarlo”, ha detto il sindaco di Viadana. “Il nostro no è trasversale e democratico, per dimostrare che i cittadini non vogliono l’atomo”, gli ha fatto eco il sindaco di Casalmaggiore. “I Comuni credono nella possibilità dell’autosostentamento energetico, ma il patto di stabilità impedisce di investire ad esempio negli impianti fotovoltaici. Voglio, allora, che le rinnovabili siano incentivate e i limiti di spesa riguardino invece i costruttori di centrali”, ha insistito il primo cittadino di San Benedetto Po. “Riconquistiamoci il Po, poiché il governo saggio delle acque e non il loro sfruttamento è fattore di sviluppo”, ha concluso il sindaco di Suzzara. Mancavano i rappresentanti della Lega Nord, i “tutori del territorio” secondo una vulgata che andrebbe sfatata, forse ancora impegnati nei riti vuoti dell’ampolla con un liquido trasparente da non lasciar scorrere, ma da trasportare blindato dal Monviso all’Adriatico.

Al termine di oltre due ore di dibattito, è stata lanciata una bozza di documento, da sottoporre a tutti gli enti locali del Po, contenente proposte a 360 gradi (raccolte firme, incontri pubblici, sostegno alle fonti alternative, mozioni, manifestazioni). Questa grande risposta, nata sul territorio con un tam tam di casa in casa è molto significativa, perché è stato il modo impetuoso di misurarsi con l’ostilità dei media, che in Lombardia coprono il silenzio di Formigoni di fronte all’annuncio del ministro Romani di due grandi impianti sull’asta del Po. Finalmente il movimento antinucleare, quello per le rinnovabili e quello per l’acqua pubblica si sono incontrati: una lunga e buona semina comincia a dare frutti. Lo svolgimento del referendum per l’acqua è sostenuto con determinazione e con una mobilitazione che non si arresta, la raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare a sostegno delle rinnovabili dà risultati straordinari, le mobilitazioni antinucleari ripartono dalla Lombardia con un occhio all’Europa e alla Germania in particolare, collegandosi anche idealmente a quell’asta del Reno dell’Alsazia, lungo la quale si muovono scortati a vista i treni lugubri delle scorie. Acqua, sole, vita e partecipazione contro barre radioattive incapsulate in enormi contenitori, residui della fissione pericolosi per migliaia di anni, rischi incalcolabili, danni certi e nascosti alla salute, piani di emergenza e militarizzazione del territorio. Una “narrazione”, si usa dire, che riguarda territori da abitare prima che da consumare, comunità che si relazionano con l’ambiente prima di degradarlo, cittadini e istituzioni locali che progettano e si organizzano per la distribuzione e il mantenimento delle risorse, prima che per essere solo spettatori, magari risarciti con qualche compensazione.

Accanto ad una visione responsabile del futuro e a una forma inedita di empatia verso le future generazioni, si è notata una grande voglia di creare e condividere informazione, riscoprendo il linguaggio collettivo come prodotto vivo ed efficace della socialità e della convivialità, contro l’opacità e il potere non neutrale della tecnocrazia. La gente in assemblea si capiva al volo e usava espressioni radicate nella quotidianità e nelle loro abitudini proprio per interagire positivamente con la scienza e la tecnologia e impedire che invece queste si dissocino dall’ambiente sociale in cui devono maturare. Una lezione che Veronesi avrebbe dovuto ascoltare, come credo faccia quando vuole curare e non quando pontifica fuori sacco, senza né la dovuta modestia né le conoscenze adeguate. Un avvertimento perché la discussione sul nucleare sia libera e corretta e non mistificata dai messaggi che vengono lanciati con grandi mezzi dalle “potenze” che ne sostengono il ritorno. Solo una straordinaria e diffusa azione dal basso, accompagnata da una praticabile, convincente e desiderabile alternativa, possono ricostruire le condizioni, già oggi infrante, per un dibattito democratico.

Occorre sapere che più della metà di tutti i finanziamenti all’energia nucleare proviene da un gruppo di soli dieci istituti finanziari internazionali; che le grandi banche che si occupano della privatizzazione dell’acqua sono tutte coinvolte anche nei progetti di ripresa dell’atomo civile; che l’interesse militare resta esplicito, determinante e contiguo; che ENEL – principale attore italiano per l’energia da fissione – ha rastrellato in un anno dai piccoli risparmiatori 15 miliardi di obbligazioni aventi come destinazione probabile gli EPR francesi, mentre ha già destinato 20 milioni di euro alla “comunicazione pro-nucleare” (vengono da lì anche gli opuscoli – di cui abbiamo già trattato in questo blog – distribuiti in gran numero da alcune diocesi). Ormai ogni sera a Zapping, trasmissione molto seguita di Radio1, il conduttore Forbice affida ai sostenitori dell’atomo quindici minuti di propaganda senza contradditorio sotto il titolo: “Nucleare, sì grazie”. Repubblica dà sempre più spazio agli “ecologisti pentiti” che elogiano l’apporto dell’uranio alla riduzione dei gas serra e magnifica sulle proprie pagine economiche la modularità e la redditività di inesistenti “minireattori” di nuova concezione. La ministra Gelmini dà l’appoggio del suo ministero alla creazione di corsi all’Università di Genova più inclini alla propaganda che allo studio del ciclo dell’uranio a fini energetici. E non siamo che all’inizio…

Mille assemblee come a Viadana, allora! Ma anche incontri nelle scuole e negli atenei, dibattiti serali, contradditori richiesti ai media locali e nazionali, banchetti e gazebo di incontri nelle piazze per la raccolta di firme sul progetto di legge di iniziativa popolareSì alle rinnovabili, No al nucleare”. Per non essere travolti oggi e lamentarci domani…

Mario Agostinelli

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Cassazione: via libera al referendum sul nucleare proposto da Idv

(AGI) – Roma, 10 nov. – Il quorum delle 500mila firme è stato ampiamente superato. Per questo, l’ufficio centrale per i referendum della Cassazione si appresterebbe a dare il suo via libera al referendum, presentato dall’Italia dei Valori, contro la legge delega sul nucleare. Il partito guidato da Antonio Di Pietro aveva presentato, lo scorso 29 luglio, firme anche per altri due quesiti referendari, inerenti la legge sul legittimo impedimento e la privatizzazione dell’acqua: su questi, la Suprema Corte, stando a quanto si è appreso, ancora non ha terminato il vaglio delle sottoscrizioni consegnate dall’Idv.

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I Comuni sul Po: NO al nucleare!

Più di trecento persone hanno partecipato all’assemblea del Coordinamento anti-nucleare, indetta dal Comune di Viadana per concordare iniziative di contrasto e di protesta contro la realizzazione di una centrale nucleare. Al termine di oltre due ore di dibattito, è stata lanciata una bozza di documento, da sottoporre a tutti gli enti locali del Po, contenente proposte a 360 gradi (raccolte firme, incontri pubblici, sostegno alle fonti alternative, mozioni, manifestazioni).

Leggi l’articolo della GAZZETTA DI MANTOVA >>>

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