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Quali alternative al nucleare in Italia?
Presentazione del libro “L’Energia felice” in occasione del 25esimo anniversario del disastro alla centrale nucleare di Chernobyl
ERBA (CO) – Anche ad Erba si discuterà del nucleare, argomento divenuto di attualità a seguito dei gravissimi fatti che hanno interessato il Giappone. Del tema se ne discuterà sabato 16 aprile presso la Biblioteca, nel corso dell’iniziativa dal titolo “Quali alternative al nucleare in Italia?”, che coincide col 25esimo anniversario del disastro di Chernobyl e ad un mese dall’incidente nucleare presso la centrale giapponese di Fukushima. L’incontro è organizzato dal Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”, in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Erba e col patrocinio del Comune di Erba.
A distanza di 25 anni dai fatti, avvenuti il 26 aprile 1986 a Chernobyl al confine tra Ucraina e Bielorussia, ancora si contano i danni derivanti dallo scoppio del reattore nucleare. Oggi l’Italia è dibattuta tra il rischio del ritorno al nucleare e il referendum contro, con l’alternativa delle energie pulite, rinnovabili e autoprodotte. L’incontro si terrà sabato 16 aprile alle ore 16 presso la nuova Biblioteca di Erba in via Joriati n. 6, e servirà quindi per ricordare quanto avvenuto nel 1986, per dibattere su quanto successo in Giappone e per conoscere le alternative al nucleare,
L’appuntamento di Erba è organizzato in collaborazione con il Coordinamento lombardo “Energia Felice”, associazione che si occupa di fonti energetiche pulite e che sta promuovendo il voto al referendum contro il ritorno al nucleare in Italia.
All’incontro interverrà Roberto Meregalli, che presenterà il libro “L’Energia Felice” (ed. Socialmente). Meregalli è tra i garanti dell’associazione “Beati i costruttori di pace”. Collabora a Tradewatch. Ha scritto alcuni libri tra cui: “Non è vero – I dogmi del neoliberismo alla prova dei fatti”; “Questo mondo non è in vendita – Come opporsi alle strategie del supermercato mondiale”; ha collaborato con il fisico Mario Agostinelli alla stesura del libro “L’Energia Felice”.
Durante l’incontro verranno proiettati alcuni brevi servizi filmati sul disastro di Chernobyl e sui pericoli derivanti dalle centrali nucleari.
Altre informazioni sull’iniziativa si possono trovare sul sito www.circoloambiente.org
In collaborazione tra Circolo Ambiente “Ilaria Alpi” e la Biblioteca Comunale di Erba
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Referendum del 12 e 13 giugno
Intervista a Mario Agostinelli apparsa su Zero Emission
Domenica 12 e lunedì 13 giugno sono date fondamentali per il futuro del nostro paese, da annotare bene in agenda. Perciò, si spera che all’invito di andare al mare gli italiani rispondano esercitando il proprio diritto ad esprimersi su questioni cruciali come la gestione dell’acqua e l’energia nucleare
Sì all’acqua pubblica, no al nucleare e al legittimo impedimento. Ecco, in sintesi, le questioni sulle quali sono chiamati ad esprimersi i cittadini italiani ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno. Tematiche che per quanto possano apparire eterogenee, hanno invece in comune la necessità di riportare al centro del dibattito politico il “bene comune” e gli interessi dei cittadini italiani al posto di quelli di pochi, o peggio, di uno solo. I referendum sull’acqua e sul nucleare forniscono inoltre a noi tutti l’occasione di “ridare supremazia alla vita sull’economia” e “consentono alla società di ristabilire l’obiettivo primario della sopravvivenza della specie umana attraverso la conservazione di un rapporto con la natura”. Lo spiega a zeroEmission Mario Agostinelli, ex consigliere regionale lombardo, un passato da ricercatore chimico-fisico presso l’Enea e l’Ispra prima di ricoprire la carica di segretario generale della Cgil Lombardia, oggi portavoce del Comitato Vota Sì per fermare il nucleare in Lombardia e membro della presidenza del Comitato nazionale, impegnato come al referendum del 1987 per far passare il ‘no al nucleare’, ma questa volta con la ferma intenzione di ricacciare indietro definitivamente le tentazioni nucleariste di questo e dei futuri Governi.
Agostinelli, perché è importante andare a votare ai referendum del 12 e del 13 giugno?
Perché si tratta di un’occasione straordinaria per ridare supremazia alla vita sull’economia e permettere alla società, dopo la sbornia liberista che dura ormai da tanto, troppo tempo, di ritrovare finalmente un rapporto con la natura ristabilendo come obiettivo primario il recupero di uno stile di vita in armonia con i tempi biologici.
Come possono favorire i referendum il raggiungimento di questi obiettivi?
Ferma restando anche l’importanza della consultazione sul legittimo impedimento, in questo senso assumono particolare rilievo i due referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Il primo riaffida infatti alle istituzioni, che fanno capo ai cittadini, il governo di un bene comune che non può dipendere dal mercato. Con i due quesiti si punta a definire in maniera inequivocabile e irreversibile il carattere non commerciale, non economico, e quindi l’aspetto di proprietà comune dell’acqua, anche come bene da tramandare alle generazioni future. Il referendum contro l’energia nucleare, invece, abroga tutte le disposizioni, approvate tra l’altro senza nemmeno un dibattito pubblico e imposte al Parlamento attraverso il voto di fiducia, che permettono la produzione di energia da processi nucleari nonché lo stoccaggio delle scorie radioattive.
La catastrofe nucleare di Fukushima sta avendo un grande impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ha fatto rinascere tutti i dubbi sulla sicurezza di questa tecnologia. Tanto da indurre molti governi, a partire dalla Germania, a un ripensamento sullo spazio da destinare all’atomo nei programmi energetici. Persino il Governo italiano ha detto che è necessaria una ‘pausa di riflessione’ sul piano nucleare ed ha approvato una moratoria di un anno. Come interpreta questa mossa?
E’ un passo puramente tattico. Il suo obiettivo è, per così dire, far passare la nottata. Il Governo non ha nessuna intenzione di fare dietrofront sull’atomo. Sono in gioco importanti interessi economici. Il messaggio che si vuole far passare è che non valgono le decisioni prese sull’onda dell’emotività. Non c’è dubbio che il Governo tornerà al nucleare quando sarà passata l’emergenza nucleare di Fukushima. Ma intanto la cosa più importante è svuotare di significato il referendum. In questo senso, la moratoria è una mossa insidiosa che serve a togliere peso alla decisione dei cittadini che, si dirà, è stata presa sotto l’influenza della tragedia giapponese.
Anche questa volta, per una triste coincidenza, il referendum avrà luogo in seguito a una catastrofe nucleare di dimensioni planetarie. Nel 1987 a poco più di un anno dal disastro di Chernobyl, questa volta a tre mesi dal dramma di Fukushima. Già nel primo caso i cittadini italiani hanno già fatto sapere cosa pensano dell’atomo, cosa significherebbe ora una sua nuova bocciatura?
Il messaggio sarebbe chiarissimo: nessuna possibilità di ritorno del nucleare nel nostro paese, tranne al massimo nei settori della ricerca. Ed è questo quello che più teme il Governo, che invece ha puntato molto sull’atomo e sul quale ha incentrato gran parte dei suoi interessi economici, non certo del paese.
Rispetto a Chernobyl, qual è la lezione che dobbiamo imparare da Fukushima?
L’elemento nuovo è un ribaltamento completo di posizione: lo dimostra la linea che stanno adottando tutti i Governi che hanno a che fare con il nucleare, in questo senso più sfortunati di noi che al momento non abbiamo questo problema: cioè riuscire a spiegare il problema posto dall’incidente di Fukushima, che non lo dimentichiamo è avvenuto nel paese più avanzato tecnologicamente al mondo. Il che impone di considerare il nucleare sotto il suo aspetto più caratteristico: cioè che esiste qualcosa di intrinseco, che fa sì che l’incidente sia un elemento fisiologico, non patologico, a questa tecnologica.
Vuol dire che l’incidente fa parte della natura del nucleare?
In realtà il reattore nucleare è lui stesso un incidente latente, o meglio, un incidente in corso che viene governato, moderato con mille accorgimenti, tenuto sotto controllo dai dispositivi di sicurezza, che normalmente si estrinseca lentamente nella durata di vita di una centrale, ma che in caso di errore umano o di un cataclisma come lo tsunami giapponese può sprigionare in pochi, brevissimi istanti tutto il suo potenziale distruttivo, danno luogo a una catastrofe il cui impatto non è assolutamente paragonabile a nessun altra forma di inquinamento poiché le sostanze sprigionate hanno un carattere assolutamente estrinseco e incompatibile alla vita sulla terra, che la natura stessa non riesce assolutamente a disperdere e i cui effetti risultano persistenti nell’arco di migliaia di anni.
Ma perché allora si continua a correre questo rischio?
In realtà il nucleare favorisce una sorta di continuità con il modello energetico oggi predominante in quanto risponde alle stesse dinamiche geopolitiche (presidiare con gli eserciti le miniere di uranio non è poi molto diverso da farlo per i giacimenti di petrolio) ma consente anche l’utilizzo delle stesse tecnologie. Che si utilizzi petrolio, gas, carbone o uranio l’obiettivo è lo stesso: produrre calore per fare bollire l’acqua in un pentolone, il cui vapore sarà poi utilizzato per fare girare una turbina elettrica. Questa continuità conviene dunque ai grandi gruppi energetici. Peccato che non si possa dire la stessa cosa per i cittadini. Basti pensare che oggi per realizzare 1,6 GW ci vorrebbero 8 miliardi, è una stima di Moody’s. Ma i costi sono in costante crescita. In Italia c’è poi l’aggravante dell’incapacità da parte del Governo di una visione di lungo termine. Il passaggio alle energie rinnovabili comporterebbe invece l’abbandono di un sistema centralizzato a favore di uno decentrato: una vera e propria rivoluzione in cui la generazione di energia distribuita oltre a togliere il controllo della produzione di energia dalle mani di pochi, presenterebbe anche anche un altro inconveniente per i fautori dello status quo: richiederebbe un sistema di distribuzione dell’energia fatto di reti completamente nuove sul territorio. Un modello assolutamente incompatibile con quello attuale.
Assemblea del 5 aprile a Como
Affollata assemblea martedì 5 aprile alla Fondazione Avvenire per la costituzione del Comitato comasco vota Sì per fermare il nucleare. Ad aderire all’iniziativa, nata su impulso del Comitato per 2 Sì al referendum per l’acqua bene comune e in sinergia con il Comitato lombardo vota Sì per fermare il nucleare, sono stati singoli cittadini e cittadine, esponenti dell’associazionismo, di movimenti di forze politiche e sindacali.
Nella riunione si è approvato lo statuto nel quale è indicato lo scopo di «realizzare attività informative e di promozione ed ogni altra azione a sostegno della Campagna del Referendum contro il nucleare», si è eletto coordinatore provinciale l’ambientalista Paolo Di Adamo si è costituito il Comitato scientifico dei portavoce.
Tutte le informazioni sull’attività del Comitato sono on line sul blog Comoenergiafelice messo dall’Associazione Arci-ecoinformazioni a disposizione della Campagna. La prossima riunione è gia fissata per mercoledì 13 aprile alle 21 nella sede della Fondazione Avvenire in via Teresa Ciceri 12 a Como.
Il tramonto del nucleare
Da Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2011
Fukushima segna la fine del ciclo del nucleare civile. Il Giappone ha rappresentato nel mondo del dopoguerra l’eccellenza nell’uso consapevole della tecnologia; esibisce una tradizione secolare di potenza industriale; mantiene un’efficienza degli apparati statali che gli consente di resistere a una catastrofe altrove insostenibile e di ricostruire in quindici giorni tre quarti delle autostrade squarciate dal terremoto. Eppure l’incidente nucleare più grave mai avvenuto – e in ogni caso possibile, perché intrinseco al processo di fissione – esce di controllo e assume contorni sempre più spaventosi. Le difese messe in atto sembrano richiamare un passato di guerra: interventi d’emergenza disperati, reticenza voluta nell’informazione, sacrificio di vite umane e di tecnici eroi come kamikaze. La linea di difesa di chi continua a proporre “reattori sicuri” è quella della ridondanza dei sistemi di sicurezza (tripli circuiti, contenitori ultraresistenti, software sofisticatissimi) che renderebbero le macchine fornitrici di energia elettrica sempre più complesse e costose.
L’avventura del nucleare si scontra così con l’insostenibilità dei costi e con la progressiva maggiore convenienza delle altre fonti, in particolare quelle rinnovabili. Riporto qui un’analisi convincente delle “curve di apprendimento” del nucleare statunitense e francese e del fotovoltaico (l’energia oggi più cara). Si definiscono economie di apprendimento quelle che consentono, coll’affermarsi di una tecnologia e all’aumentare del volume di produzione cumulato di un prodotto, di osservare una riduzione dei costi medi unitari. Si presume che le competenze accumulate dalle imprese durante la loro permanenza sul mercato permettano un miglioramento continuo dei processi di produzione, dell’allocazione delle risorse e via dicendo. Generalmente, con l’affermarsi di una tecnologia, scendono i costi. È così per i microchip, per le automobili, per l’industria del vetro, per le centrali a gas, per l’energia eolica e per il fotovoltaico.
Esistono tuttavia rari casi di apprendimento ‘negativo’ dove i costi crescono, anziché diminuire, con la produzione cumulata. È il caso, sorprendentemente ignorato, dell’industria nucleare – qui analizzata per i reattori costruiti negli Usa (curva blu) e per quelli installati in Francia (curva rossa) – dovuto alla complessità crescente del sistema e al ciclo del combustibile, per cui non è ancora fattorizzato in maniera convincente il trattamento delle scorie. Proviamo quindi ad accostare le curve di apprendimento di nucleare e fotovoltaico fornite dallo studioso austriaco A. Gluber. L’andamento parla da solo.
Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, la relazione tra sicurezza nucleare, tecnologia degli impianti e risultati porterebbe le curve totalmente fuori controllo. Nel giro di un anno abbiamo la possibilità di installare più capacità di generazione con le rinnovabili di quanto permetterebbe il programma nucleare italiano in 10 anni. Che fare? Moratoria o un razionale De profundis?