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Il nucleare che non c’è ci costa già 4 miliardi

Da Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2011

Questa al cifra stimata per il riprocessamento del combustibile dalle scorie. Un lavoro pericoloso cui gli Usa hanno rinunciato. Ancora più esorbitanti i costi di smantellamento delle vecchie nucleare. Quasi tutte quelle attive oggi risalgono agli anni 70 ed entro il 2020 verranno chiuse.

Tra i  molti dubbi una cosa è certa: il costo che gli italiani stanno già pagando per il “riprocessamento” del combustibile esausto e per il decommissioning (smantellamento) dei loro impianti nucleari non più funzionanti.

“Riprocessare” il combustibile significa, infatti, separare dalle scorie le parti riciclabili: l’uranio non ancora utilizzato e soprattutto il plutonio formatosi nel combustibile stesso durante il funzionamento del reattore. Si tratta di lavoro “sporco” perché presenta rischi di proliferazione dovuti al fatto che parte del materiale sia sottratto senza che ve ne sia evidenza. Per evitare questi rischi gli Stati Uniti sino ad oggi hanno scelto di non riprocessare le loro scorie, considerando il combustibile come un vero e proprio rifiuto a perdere. Molti altri Paesi sono in una situazione di attesa, cosicché – secondo i dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Aiea – solo un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto sino a oggi nei reattori di tutto il mondo è stato riprocessato, mentre tutto il resto è stoccato, in attesa dello smaltimento o della decisione circa il suo destino.

L’Italia sceglie di trattare le scorie

A differenza di questi Paesi, l’Italia ha sposato, per il combustibile esausto proveniente dagli impianti oggi fermi, la scelta del riprocessamento, una strada rischiosa e costosa, tant’è che per onorare il contratto con la francese Areva, dal primo gennaio 2007 è stata triplicata la quota della componente A2 (nella bolletta), i cosiddetti “oneri nucleari”, che hanno comportato, come dice l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, “un aumento dell’ordine di un punto percentuale sulla tariffa domestica”. Al netto di imprevisti, la stima degli oneri complessivi del programma di riprocessamento trasmesso all’Autorità, a dicembre 2006 e confermato a marzo 2007, ammonta a 4,3 miliardi di euro, comprensivi, sia dei costi già sostenuti dal 2001 a moneta corrente, sia di quelli ancora da sostenere a moneta 2006.

La stima dei costi per la chiusura del ciclo del combustibile è articolata in tre distinte partite:

1. la sistemazione del combustibile irraggiato delle centrali di Trino, Caorso e Garigliano ancora stoccato in Italia, del quale è previsto l’invio in Francia per il riprocessamento, con ritorno dei prodotti post-ritrattamento al deposito nazionale

2. la sistemazione della quota parte Sogin del combustibile della Centrale di Creys-Malville, per la quale è prevista la cessione onerosa a EdF, con la conseguente presa in carico da parte di Sogin del relativo plutonio presso gli stabilimenti della Areva e quindi la successiva cessione onerosa di detto plutonio

3. la sistemazione del combustibile irraggiato che, a fronte di contratti già stipulati, è stato già inviato in Inghilterra e i cui prodotti post-trattamento saranno trasferiti direttamente al deposito nazionale

Devono poi aggiungersi i costi per le attività tecniche a carattere generale, di supporto, funzionamento sede centrale e imposte. Tutti questi costi sono oggi fatti pagare agli utenti con la bolletta dell’energia elettrica.

Smantellare le centrali

La grandissima maggioranza delle centrali nucleari oggi operanti nel mondo sono state ordinate negli anni ’60 e ’70 (quelle ordinate dopo il 1979 sono pochissime) e sono entrate in servizio negli anni ‘70 e ’80. All’inizio si assegnava a una centrale nucleare una vita produttiva di trent’anni, estesa poi a quarant’anni. Entro il 2020 tutte o quasi le centrali nucleari oggi attive nel mondo compiranno quarant’anni e dovrebbero essere smantellate.

Nel caso italiano gli esperti sostengono che i costi di decommissioning (comprensivi anche del confinamento delle scorie) equivalgono a una volta e mezzo il costo di una nuova centrale. D’altra parte Francia, Inghilterra e Stati Uniti fanno valutazioni analoghe. Nel 2005 il ministero dell’Industria francese, in base a un criterio stabilito nel 1991, valutava in 13,5 miliardi di euro il costo di smantellamento del parco nucleare, ma già nel 2003 la Corte dei conti aveva valutato tale costo in una forchetta di 20-39 miliardi di euro, mentre una commissione ad hoc parla oggi di centinaia di miliardi di euro (e si capisce che i francesi, che pagano oggi il 30% in meno degli Italiani la bolletta elettrica, in realtà stanno staccando un acconto e che la richiesta di Edf al governo di un aumento di 20 euro al Mwh per il decommissioning, finisce col pareggiare già adesso il conto).

L’Inghilterra ha prodotto la sua prima stima del costo della “uscita “ del Paese dal nucleare in circa 80 miliardi di euro, una cifra gigantesca, oltre il doppio del costo di costruzione ex-novo dell’intero parco nucleare inglese. Per il governo Usa trattare i 25 reattori a minore potenza già fermi costa attorno a 500 milioni di dollari a impianto. Senza contare che lo stesso studio di previsione ritiene che occorrano almeno 50 anni di “fermo impianto” per poter consentire nei 60 anni successivi l’accesso sicuro degli operatori. Tutti rilievi e conti confermati dall’Ue, che, attraverso il Joint Research Center nel sito di Ispra (Varese), si appresta al decommissioning di Essor – un reattore sperimentale di 42 MW che ha prodotto nella sua attività 3.000 m3 di scorie – con un budget ventennale di oltre 1,5 miliardi di euro complessivi.

Da ciò si deduce che i costi “nascosti” e “rinviati” del nucleare sono ancora ben lontani dall’essersi manifestati interamente e sono dello stesso ordine di quelli di costruzione. Oggi cominciano a venire al pettine. La chiusura degli impianti che compiono 40 anni di attività, a seguito della crisi finanziaria e dei bilanci statali, viene rinviata di qualche anno, come in Germania e Spagna, ma è una necessità ineludibile. Quindi i costi (e i problemi) del decommissioning salgono alla ribalta e quelli “veri” del nucleare inevitabilmente lievitano. Potremmo dire che, per ogni euro pagato in fase di costruzione di un nuovo reattore oggi, occorre ipotecare un analogo pagamento che andrà a scadenza entro la fine del secolo.

di Mario Agostinelli (Portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima. L’articolo, pubblicato in anteprima da ilfattoquotidiano.it, uscirà a Maggio sul mensile Valori)

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Versione No nuke del Manzoni

Le promesse spese ed il matrimonio nucleare che non s’ha da fare

Viene al ricordo quella scena d’apertura de Le promesse spese, dove un Governo Abbondio incrocia sulla strada dei referendum i bravi di Don Rodrigo Nucleare e dell’Innominata compagnia delle acque.
Cosa comanda? – chiede il governo, alzando gli occhi dai sondaggi – Lei ha intenzione – proseguono i bravi – di maritar a Giugno il referendum dell’acqua con quello del nucleare!
Cioè – risponde Don Abbondio – lor signori sono uomini di mondo, sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: voi fate i pasticciacci vostri, e poi.. poi venite da noi come si andrebbe da un banco a riscuotere.. noi, noi siamo i servitori. Si degnino di mettersi ne’ i miei panni.. se la cosa dipendesse da me..
Or bene – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando – questo matrimonio non s’ha da fare, né a Giugno, né mai.

Continua(1) poi il grande romanzo italiano, ricordando che la forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi [..]  Con tutto ciò [..]  L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d’alcune classi, in parte riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività d’interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora, quest’impunità [..] doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi.

Possiamo ben immaginare che i contorni di ciò che accade siano ancora, più o meno, ben descritti dagli stessi passaggi, addirittura quasi dalle stesse parole. Con la complicazione che alcuni dei personaggi vestono la tonaca ma più che curati sono curatori, sono dei bravi, degli uomini forti de “gli asili , de“i privilegi”.

Più o meno in questi contorni possiamo quindi immaginare che si venga ad inscrivere il coup de foudre del governo per garantire che quel matrimonio non si faccia né ora né mai.

Evidentemente, un referedum, un esercizio di democrazia diretta si configura alla stregua di “ogni minaccia”, di “ogni insulto“.

Inserendo nel decreto Omnibus una fotocopia dei quesiti referendari il referendum stesso andrebbe a decadere – una volta che la norma nel suo complesso sia approvata, pubblicata sulla Gazzetta, la Cassazione si pronunci in merito e non ci sia un ricorso alla Consulta – perché verrebbero abrogate le norme – e solo quelle – cui esso si riferisce.

A parte, come conferma la Prestigiacomo, Ministro dell’Ambiente, 39 milioni per la ricerca “sul nucleare” che rimangono stanziati per i prossimi 3 anni. Naturalemente fa piacere sapere che mentre le Università stanno chiudendo il Governo continua ad avere a cuore la ricerca, anche se la vede a macchia di leopardo. Infatti, i 39 milioni (13 all’anno, supponiamo) siano comparabili  all’intero finanziamento del programma FIRB (Futuro in Ricerca di Base) 2010, che comprende però tutta la ricerca, dalla papirologia egizia alla ricerca sull’energia.

A parte ciò – che si configura verosimilmente come un éscamotage per mantenere vivo il filone della ricerca nucleare (di ENI, si suppone), che ci riesce impossibile non ricordare essere sempre connesso al suo oscuro lato militare – la interpretiamo come un’altra grande vittoria sul nucleare, ma anche come un cavallo di Troia: timeo Danaos, atque dona ferentes.

Infatti, mentre la vittoria del referendum – per la quale prendiamo la mossa del governo come un wikileak, una conferma di alta probabilità – avrebbe un significato politico schiacciante (almeno per altri 23 anni), con questa mossa il governo mantiene aperta ogni strada possibile di un futuro vicino che riconduca verso lo scenario nucleare.
Si abroga il matrimonio ora, ma non si rinnegano di fatto le promesse spese.

Sarebbe bello poter credere a ciò che dichiara Tremonti: “Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche [..] sui profili relativi alla sicurezza nucleare [..] non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”.

Sarebbe bello, cioè poter credere che si stia prendendo in seria considerazione, fra tanti, almeno lo studio “KiKK” del Governo tedesco (e analoghi indipendenti in Francia) che evidenzia con molta forza che i limiti di radioesposizione imposti per legge non impediscono affatto, ad esempio, che il rischio di leucemia nei bambini di età inferiore ai 5 anni cresca con la vicinanza alle centrali, fino ad essere più del doppio entro i 5km (studio effettuato su tutte le centrali, dal 1980 al 2003).
Del resto, nella dichiarazione programmatica della Icrp (International Commission for Radiological Protection) si legge candidamente:
“La radioprotezione si occupa della protezione degli individui, della loro progenie, e del genere umano nel suo insieme, sempre che ne restino permesse le necessarie attività dalle quali potrebbe risultare esposizione alle radiazioni“.

Sarebbe bello poter credere che si stia prendendo in seria considerazione lo scoop con cui Sortir du Nucleair rivelava nel Marzo 2010 che EdF – che dovrebbe costruire almeno 4 degli impianti italiani – ha nascosto una potenziale e non remota possibilità di incidente gravissimo intrinseca del progetto dell’EPR, in alcune condizioni operative, legate alla necessità di aumentare l’efficienza economica del reattore, che introducono la possibilità di adattare dinamicamente la potenza del reattore alla domanda di rete.

Un vizio, quello di omettere, nascondere e depistare, che la accomuna alla TEPCO, che ha una lunga storia di omissioni e falsificazioni.

Un vizio che non è estraneo a nessuna company del nucleare, come è facile aspettarsi da chi deve perdere il minor numero possibile di kWh per garantire la remunerazione di molti miliardi di euro di investimenti.

Sarebbe bello poter credere che veramente si sta prendendo come esempio lo studio (www. kombikraftwerk.de) sulla base del quale il Governo Tedesco sta seriamente pianificando la totale transizione entro 40 anni della produzione di energia elettrica ad un paradigma interamente basato su energia rinnovabili e diffuse, connesse attraverso smartgrids.

Sarebbe bello, ma, poiché chi pensa male spesso ci coglie, ci sentiamo defraudati di tanta bellezza. Nulla è successo, né di antropologico, né di sociale né di politico, nel mezzo tra oggi e il furore nuclearistico appena trascorso secondo il quale a Fukushima c’era stata una fuga di zucchero a velo, che ci porti a prendere sul serio la retromarcia del Governo.

Solo il montare della campagna antinucleare e della conoscenza diffusa, fatta di centinaia di incontri sparsi sui territori, di circolazione di ragionamenti, di notizie, di saperi. Qualcosa che è difficile arrestare, anche investendo 6 milioni di euro per cominciare un sito e una campagna pubblicitaria vergognosamente mendace.

Da questo noi continuiamo, perché la campagna è davvero una campagna per il SI dalla quale discende il NO al nucleare quasi come un corollario inevitabile.

Una campagna per l’energia come bene comune e per il bene comune.

Una cosa, tra quelle che ha detto Tremonti, prendiamo seriamente: “..tenendo conto [..] delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea”.

Ed è questo il terreno che si sembra decisivo. Il terreno globale, per cominciare Europeo: per questo rilanciamo con forza l’appello per una mobilitazione a Krsko, il 29 Maggio.

Come né la guerra né il disastro ecologico hanno confini, così la costruzione di un nuovo paradigma dei beni comuni – a cominciare dall’energia che è ciò che è necessario ad ogni attività ed a ogni organizzazione sociale del comune – inizia assumendo come dato costituente e imprescindibile la garanzia di accesso per tutti e per le generazioni future, la riproduzione delle condizioni di vita per l’intero ecosistema,  la non necessità della guerra e dell’appropiazione: perché volendo immaginare il mondo che desideriamo, vogliamo cominciare a farlo innanzitutto restando umani.

Questa è la nostra campagna, che nulla ha a che vedere con le strategie piccole del governo italiano.
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(1) interessante riportare il passo completo e sovrapporlo alla mappa del presente:

La forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse essergli d’impedimento a proferire una condanna: gli squarci che abbiam riportati delle gride contro i bravi, ne sono un piccolo, ma fedel saggio. Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevan qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer le violenze e l’astuzia di questi. L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d’alcune classi, in parte riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività d’interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora, quest’impunità minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi. (I promessi sposi, cap. 1)

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Martedì 26 aprile, anniversario di Chernobyl

Martedì 26 aprile, anniversario di Chernobyl, terremo a Cremona alle ore 17,30 presso SpazioComune, Piazza Stradivari, l’iniziativa sul tema

Da Chernobyl a Fukushima: il nucleare sempre pericoloso e sempre più costoso ?

Presentazione dell’Undecalogo: undici punti critici della tecnologia nucleare.

Si tratta di un enorme lavoro di documentazione scientifica, economica e culturale compiuta sulle Fonti più serie e attendibili disponibili a livello nazionale e internazionale. Questo lavoro, curato da Benito Fiori per conto di AmbienteScienze, è disponibile sul sito internet www.creafuturo.net cliccando sull’immagine di Arturo oppure cliccando su questo link http://creafuturo.net/?pag_id=412 e riempiendo il form che apparirà: dopo qualche minuto riceverete una mail dove potrete scegliere e scaricare documenti tra cui l’Undecalogo (Endecalogo) denominato “Vademecum-dopo-Fukushima.pdf” ( il file pesa 1,8 Mb) e altro materiale.

Nel corso dell’incontro affronteremo ovviamente la questione del destino dei Referendum previsti per il prossimo 12 e 13 giugno, con particolare attenzione a quello sul nucleare che, molto probabilmente, rischia di saltare. Anche se la decisione finale spetta, nella sua autonomia, all’Ufficio centrale per i Referendum della Cassazione e non certo al Governo.

Contiamo sulla vostra partecipazione, per CreaFuturo Marco Pezzoni

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Disastri nucleari: chi previene e chi paga?

Da Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2011

Nel post precedente, ho esposto i criteri che il Parlamento tedesco applicherà per la revisione della sicurezza dei reattori sul suolo germanico. Criteri così restrittivi da mettere in discussione il mantenimento della maggior parte degli impianti. L’allarme dimostrato dai tedeschi è ripreso negli Stati Uniti. La Commissione sulla sicurezza nucleare americana avrebbe voluto dire molto di più sulla crisi atomica di Fukushima, ma è stata censurata dai grandi produttori di reattori nucleari come Westinghouse e General Electric. Nonostante ciò, lo Us Health Care System per le maggiori emergenze nucleari affermava, il 7 aprile, che “non c’è negli Stati Uniti alcuna strategia per la comunicazione al pubblico in tempo reale di raccomandazioni sulle priorità di ricovero o di evacuazione”. La relazione rivela che è stato interrotto circa due anni fa l’acquisto dell’agente più noto – ioduro di potassio – per contrastare lo iodio radioattivo che induce cancro alla tiroide nei giovani. La decisione di interrompere lo stoccaggio era stata presa, in parte, perché la distribuzione avrebbe richiesto troppo tempo in una situazione di emergenza in rapido movimento. Ora, la crisi nucleare del Giappone spingerà i funzionari a rivedere questa conclusione. Sta di fatto che con livelli di radiazione in alcune aree superiori al previsto anche al di fuori delle zone di evacuazione, il Governo giapponese ha recentemente chiesto agli Stati Uniti dello ioduro di potassio. Il governo federale ha deciso di inviare solo gli stock con data di scadenza entro un anno.

È impressionante al riguardo come le strutture sanitarie italiane abbiano riconosciuto di non avere a disposizione ioduro di potassio per un’emergenza. Molti degli Stati americani non hanno un piano di emergenza da radiazione per la comunicazione con il pubblico o per far fronte ai rischi per la salute. Recentemente la Casa Bianca e altri funzionari federali si sono riuniti con gli esperti, riconoscendo che i funzionari sono poco disposti a comunicare con il pubblico e che l’attuale organizzazione delle cure mediche “non supporta il livello dei requisiti previsti” a seguito di un attentato con un ordigno nucleare o di un incidente come quello giapponese. Non è noto, per esempio, come un’esplosione nucleare e impulsi elettromagnetici conseguenti inciderebbero nel moderno sistema di infrastrutture di comunicazione, o in che misura gli edifici moderni siano in grado di proteggere le persone dal calore e dagli effetti delle radiazioni.

Una relazione svolta in 38 Stati Federali, ha concluso che il sistema sanitario pubblico rimane impreparato a rispondere a ad un incidente nucleare “dato che i fondi tendono a diminuire piuttosto che aumentare a causa del massiccio deficit federali e statali”. Senza prevenzione c’è da aspettarsi un grande esodo dalle zone contaminate, che porterebbe a “estendere il panico e la devastazione ben oltre il luogo dell’incidente, drenando cibo, acqua, medicine, benzina, e altre risorse dalla comunità circostante e, potenzialmente, causando ingorghi che potrebbero seriamente compromettere molti elementi della risposta ai disastri ufficiali”. Siamo quindi ovunque seduti su un vulcano e i nostri sacerdoti del nucleare non trovano di meglio che “tirar sera” sdrammatizzando, nella speranza che il non raggiungimento del quorum al referendum li avvolga in un irresponsabile letargo.

Cosa hanno in comune la grande crisi economica scoppiata nel 2008 e il disastro nucleare di Fukushima? Dice Stiglitz che entrambi costituiscono importanti ammonimenti sul fattore “rischio” e su quanto malamente i mercati e le nostre società siano in grado di comprenderlo e gestirlo. Gli esperti in campo nucleare e finanziario ci avevano assicurato che le nuove tecnologie avevano pressoché eliminato il rischio di una catastrofe. Gli eventi li hanno smentiti categoricamente: non soltanto i rischi sussistevano, ma oltretutto le loro conseguenze sono state di tale immane portata da annientare d’un sol colpo e assai facilmente i presunti vantaggi dei sistemi che i massimi esponenti di questi settori promuovevano.

Il fatto è che l’esistenza del settore nucleare dipende da sussidi pubblici occulti, mentre in caso di disastro nucleare è la società intera a doversene accollare palesemente le terribili conseguenze, come pure i costi dello smaltimento delle scorie nucleari. Nel caso di un rilascio di materiale radioattivo, l’esposizione della popolazione può essere ridotta solo da contromisure applicate alla gente (evacuazione) o all’ambiente (interdizione del terreno, confisca dei prodotti contaminati). L’adozione delle contromisure andrebbe basata sul confronto rischi-benefici tra il danno economico causato e la riduzione delle conseguenze sanitarie.

Ma già nel 1981 Frittelli e Tamburano del Cnen (oggi Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) avevano provato a valutare il danno economico in caso di incidente, includendo la perdita di valore della proprietà interdetta, il costo della decontaminazione del territorio e delle strutture, nonché la perdita di lavoro della popolazione evacuata. E avevano calcolato che nel caso di rilasci ben inferiori a quelli poi verificatesi a Chernobyl e a Fukushima nessun valore del livello di intervento di “riparazione” e emergenza avrebbe potuto ottimizzare il bilancio tra le conseguenze sanitarie e quelle economiche. O morti certe e perdita di salute, o esborsi compensativi per l’evacuazione e la decontaminazione superiori ad ogni ragionevole possibilità di spesa per la comunità. E sappiamo bene che nel sistema attuale le ragioni dell’economia prevalgono su quelle della vita. Perché il Forum di Chicco Testa, nella famosa partita a scacchi, non ha preso in considerazione un lavoro scientifico rigoroso come questo, volutamente nascosto all’opinione pubblica?

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