Ora tutto diventa più chiaro: il rilancio sommesso, ma insistente, per il ritorno del nucleare in tempi imponderabili serve innanzitutto a procrastinare la reiterazione dell’impiego del gas fossile e a tenere a bada le soluzioni rinnovabili già certificate, pronte per le aste e anche economicamente convenienti. In questo contesto, l’ultima esortazione del Papa – Laudate Deum – è stata silenziata, forse proprio perché limpidamente incentrata sul blocco immediato delle emissioni dai fossili.
Il megafono del ritorno al nucleare – “faremo una centrale nel mio quartiere a Milano in cui scatterà l’interruttore nel 2032” – ha tutto il sapore della volgarità e dell’incompetenza di Salvini. Ma dietro all’incontinente ministro si muove qualcosa di molto più consistente e strutturato a favore delle lobby del gas e di un rilevantissimo spostamento di risorse verso l’atomo definito “pulito”. L’operazione si disloca su una vasta scala, addirittura europea e in parte internazionale. Ma qui vorrei occuparmi dell’impegnativo tentativo di un revival nazionale.
L’8 ottobre scorso Repubblica, che non gioca in campo neutro rispetto ai poteri dominanti da sempre, con una diligenza composta e contenuta, ha pubblicato un lunghissimo articolo (oltre 6 pagine!) a cura di Luca Fraioli in cui venivano per paragrafi distinte e illustrate le ragioni e le contrarietà per un ritorno all’atomo. Un recupero insidiato irrimediabilmente dall’esito dei referendum del 1987 e del 2011, ma, forse, riabilitato anche sul piano giuridico dall’evoluzione documentata di una tecnologia che aveva provocato l’emozione più viva dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Si cerca di attestare una maggior sicurezza e una attrazione tecnologica affascinante, che si disloca tra la V o VI generazione “sicura”, fino agli “Small Reactors” (SMR) e, infine, alla “fusione” come avviene nelle stelle. Con un obiettivo sotteso, certamente condiviso dall’attuale governo e dall’Eni di Descalzi: confutare il fermo all’atomo imposto da paure irrazionali, perché in tutto il mondo la tecnologia avanza più rapidamente delle titubanti opinioni pubbliche.
Su questa stessa linea, che il quotidiano lascia trasparire come centro per una ripresa del dibattito, si muove cautamente il ministro Pichetto Fratin, che ha insediato una commissione il 21 settembre 2023 per incontrare i protagonisti del nucleare made in Italy. Soggetti del mondo universitario e industriale che hanno già in essere programmi di investimento nel settore nucleare “per valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo”. La Commissione lavora in sedi istituzionali già con un suo programma e si chiama Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (Pnns). In verità, la strada del ministro era stata prima spianata da due mozioni passate il 9 maggio scorso alla Camera dei Deputati presentate, rispettivamente, una dai partiti della maggioranza, l’altra da Azione e Italia Viva, che avevano dato legittimità parlamentare “all’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare, quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, nonché “alla partecipazione attiva, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari”.
L’ambiente Ue, nel frattempo, si è inopinatamente spostato su una direzione meno rigida. Con il ritiro di Timmermans dalla presidenza per la transizione energetica,
il nuovo commissario Šefčovič si è impegnato a difendere il principio della “neutralità tecnologica” per ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030, attraverso “tutte le fonti energetiche che riducono sostanzialmente le emissioni, compreso il nucleare”.
Confutiamo allora questa linea, che sembra volersi opporre in sostanza ad una risoluta e rapidissima sostituzione del gas con le rinnovabili.
Le centrali di ultima generazione dovrebbero essere costruite e rese attive al massimo entro due o tre anni per evitare di superare la linea rossa del non ritorno sul clima impazzito. Olkiluoto in Finlandia, Flamanville in Francia e Vogtle negli USA hanno subito ritardi di decine di anni. In quanto agli SMR, Marco Ricotti, docente di Ingegneria nucleare del Politecnico di Milano, da coordinatore del gruppo di lavoro sugli Small Modular Reactors dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) ritiene realistica la possibilità di costruire una piccola centrale nucleare non prima del 2032. Per questi impianti minori, comunque, si pone il problema della sicurezza, dato che la gestione logistica diventerebbe persino più complicata rispetto a quella di un’unica centrale, perché occorrerebbe trasportare in giro per il Paese elementi di combustibile per alimentare i reattori e gestire le scorie. Inoltre, l’uranio da impiegare richiederebbe un massimo arricchimento (U-235 fino al 20%), al limite di quanto avviene per le bombe nucleari.
C’è poi la questione della CO2 che il ciclo dell’uranio non esclude affatto. Infatti, per operare un processo di arricchimento dell’ossido di Uranio, complessivamente il consumo di energia fossile è comparabile con quella emessa da un ciclo a gas combinato.
Per quanto riguarda la fusione risulta perfino prolisso continuare a mettere in discussione l’aleatorietà dei tempi di industrializzazione, del costo del kWh, la disponibilità del combustibile (trizio in particolare), la produzione di scorie (migliaia di tonnellate di materiale irraggiato da neutroni, trattabili e riducibili ad un volume molto minore ma ad un costo esorbitante), la proliferazione come arma.
Il lavoro un po’ sotterraneo sul nucleare italiano ha forse una spiegazione assai più prosaica: garantire progetti internazionali, sia di fissione che di fusione, in cui sono coinvolte un centinaio di imprese nazionali, grandi e piccole con commesse rilevanti. Una lobby cara al governo attuale, senza dubbio. Dice il premio Nobel Haro che “ormai i fisici, gli ingegneri e gli scienziati in genere, per ottenere i finanziamenti, sono forzati ad annunciare cosa otterranno e a condurre ricerche finalizzate a qualcosa di utile. Ma è bene essere chiari sul fatto che non sappiamo se e quando conseguiremo il risultato”. Mentre il cambiamento climatico richiede tempi brevissimi di soluzione e contenimento.
A meno che la si pensi come il presidente di Nomisma Tabarelli: “Investire, diversificare le forniture, produrre più petrolio garantendo investimenti alle compagnie petrolifere, riaprire il discorso sul nucleare”. Con buona pace di papa Francesco e delle nuove generazioni…
L’articolo Rilanciare il nucleare serve solo a prender tempo sulle rinnovabili. O per ragioni più prosaiche proviene da Il Fatto Quotidiano.