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Fukushima, due anni dopo

Sono passati due anni da quando in Giappone, sulla costa Nord Est del paese, si sono abbattute le prove generali della fine del mondo. Erano le 14:46 (ora locale) dell’ 11 marzo 2011 quando la terra ha cominciato a tremare e non ha smesso per sei lunghissimi minuti. A questo spaventoso terremoto di magnitudo 9 è seguito uno tsunami con onde alte anche 15 metri che hanno danneggiato gravemente la centrale nucleare di Fukushima Daiichi causando quello che viene oggi ricordato come il secondo disastro più grave al mondo, dopo quello di Chernobyl del 1986.

Due anni dopo il disastro nucleare sembra ridimensionato, per lo meno lo sono le sue conseguenze dirette sulla salute umana: secondo un rapporto dell’ Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) il rischio di sviluppare un cancro è aumentato in maniera molto lieve, e solo nella popolazione delle aree più vicine al disastro. A 24 mesi però i lavori di decontaminazione e ricostruzione sono ancora quasi a zero e gran parte della popolazione evacuata non è mai tornata, soprattutto quella più giovane. E intanto il governo vuole riaprire le centrali nucleari.

Rischi per la salute
Alla fine di febbraio l’Oms ha pubblicato il rapporto in cui stima l’aumento del rischio di cancro come conseguenza diretta dell’incidente nucleare alla centrale di Fukushima Daiichi. L’analisi conferma le previsioni ottimiste che già circolavano un anno fa. Secondo i modelli messi a punto dagli esperti dell’Organizzazione mondiale per sanità, il rischio di sviluppare leucemie più avanti negli anni, è aumentato del 7 per cento per quelli che al momento dell’incidente erano bambini e del 6 per cento per le bambine delle aree entro le miglia dall’impianto. Il rischio di tumori solidi è aumentato invece del 4 per cento. Molto più elevato è invece l’incremento per il cancro alla tiroide, le donne che oggi sono bambine vedranno aumentato il loro rischio di sviluppare un tumore di questo tipo del 70 per cento. Questi numeri apparentemente anche molto alti, spiega l’Oms, indicano l’aumento del rischio e non il rischio assoluto: il rischio base di sviluppare un cancro alla tiroide durante il corso della vita per una donna è di circa lo 0,75 per cento, ed è questo numero che aumenta del 70 per cento, arrivando all’1,25 per cento.

“ Ci sono piccoli incrementi proporzionali, il rischio aggiunto è molto piccolo e verrà nascosto da quello dovuto allo stile di vite e ad altre situazioni. Ha più peso non cominciare a fumare piuttosto che essere stato a Fukushima”, ha spiegato Richard Wakeford dell’ Università di Manchester, coautore del rapporto. Lo studio ha anche preso in considerazione la situazione degli operai dell’impianto che hanno ricevuto la dose più alta di radiazioni durante il meltdown dei reattori. Circa un terzo dei lavoratori vedrà un incremento, ma anche in questo caso il rischio assoluto rimarrà basso.

Secondo il Time, il peggio è stato evitato sia grazie all’immediata evacuazione della città vicine alla centrale sia al bando al cibo proveniente da queste zone. Dopo Chernobyl circa 6000 bambini esposti alle radiazioni hanno sviluppato un cancro alla tiroide perché molti di loro hanno bevuto latte irradiato che il governo sovietico non ha pensato di proibire. Gli autori del rapporto tuttavia spiegano che le loro valutazioni sono basati su una limitata conoscenza scientifica: la maggior parte dei dati relativi agli effetti delle radiazioni disponibili riguarda l’esposizione acuta, come quella che ha seguito le esplosioni di Hiroshima Nagasaki e non un’esposizione cronica a bassi livelli di radiazioni come quella che invece subiranno le popolazioni che abitano vicino alla centrale giapponese.

Poco soddisfatta delle conclusioni dell’Oms è Greenpeace, che ha rilasciato anch’essa il suo rapportopoche settimane fa “ Il rapporto dell’Oms riduce vergognosamente gli effetti dell’immediato rilascio di radiazioni dal disastro di Fukushima sulle persone che si trovavano entro 20 chilometri dalla centrale e che non sono stati in grado di lasciare tempestivamente l’area”, commenta in un comunicato stampa. “Il rapporto è chiaramente un documento politico mirato a proteggere l’industria nucleare e non un paper scientifico redatto con tenendo a mente la salute umana”.

Sempre secondo il Time invece, l’Oms starebbe addirittura sovrastimando i rischi. “ Fukushima, nonostante tutto, non è stata nulla in confronto a Chernobyl. La Tepco ha riportato che gli impianti hanno rilasciato 900mila terabequerel di radiazioni nell’aria nel momento di massimo picco, mentre furono 5,2 milioni di tb rilasciati durante l’incidente di Chernobyl che ha anche coinvolto un’area di estensione molto maggiore”.

Ritorno al nucleare
Anche secondo il governo giapponese il rapporto dell’Oms sovrastimerebbe i rischi e potrebbe inutilmente alimentare le già forti paure dei cittadini proprio quando il Primo Ministro, Shinzo Abe, ha annunciato la sua intenzione di riaprire e riattivare gli impianti nucleari che erano stati fermati all’indomani del disastro. Come racconta il New York Times infatti, in un discorso tenuto davanti al parlamento a fine febbraio, Abe ha promesso di riaprire le centrali che soddisferanno le nuove stringenti linee guida messe a punto tra la fine del 2012 e gennaio di quest’anno e che saranno adottate da una nuova agenzia regolatrice indipendente, la Nuclear Regulation Autority, entro luglio.

Le nuove misure di sicurezza includono muri di protezione contro gli tsunami più alti (a Fukushima erano di 5 metri e mezzo, facilmente superati dalle onde) ,un aumento delle fonti di energia di emergenza per i sistemi di raffreddamento e la costruzione di centri di comando a prova diterremoto. A oggi nessuno dei 16 impianti nucleari non danneggiati soddisfa questi nuovi standard che, ha dichiarato Abe, dovranno essere adottati “senza compromessi”, ma sempre secondo il Nytimes, molti sono convinti che i sostenitori dell’industria nucleare tra le fila del governo troveranno il modo per aggirarle.

Lenta ricostruzione
Mentre si pensa già a riaprire gli impianti, poco è stato fatto per decontaminare l’area intorno alle centrali danneggiate. Quando fu annunciato, quattro mesi dopo il disastro, il piano del governo per la pulizia della zona, aveva suscitato grandi speranze, racconta ancora il New York Times: sosteneva che il Giappone avrebbe messo in campo le tecnologie più avanzate a disposizione. Già nel Novembre 2011l’Agenzia nazionale per l’energia atomica aveva ne aveva già individuato 25 tecnologie efficaci per rimuovere il cesio radioattivo dall’ambiente e le aziende in grado di metterle in atto.

Molte di queste imprese tuttavia non sono mai state interpellate: le amministrazioni nazionali e locali hanno preferito, spiega il quotidiano statunitense, affidare i lavori alla Kajima Corporation, la più grande impresa di costruzioni giapponese, la stessa che ha realizzato gli edifici dei sei reattori della centrale di Fukushima. Finora la Kajima ha inviato sul posto 1500 uomini che ogni giorno annaffiano le strade e il suolo contaminato con tonnellate d’ acqua e che si dedicano a raccogliere fogliame e suolo contaminato in grandi sacchi della spazzatura che poi rimangono ai margini delle strade o sulle spiagge (questo materiale potrebbe raggiungere i 29 milioni di metri cubi e per il suo smaltimento non vi è ancora nessun tipo di piano). Queste procedure, secondo gli esperti, invece che eliminare i contaminanti potrebbero facilitarne l’ingresso nel suolo, nell’atmosfera o nel ciclo dell’acqua. “ Questa non è decontaminazione, è spazzar via sporcizia e fogliame, ed è irresponsabile”, ha dichiarato Tomoya Yamauchi, un esperto in misura delle radiazioni all’ Università di Kobe che ha collaborato alle valutazioni di efficacia dei diversi sistemi di decontaminazione.

Tutto questo sta provocando una perdita di fiducia nella popolazione che porta le persone che sono state costrette ad allontanarsi a non tornare più. Secondo il quotidiano giapponese Asahi Shimbun sono oltre 72 mile le persone che mancano all’appello nelle 42 municipalità costiere delle tre prefetture (Fukushima, Miyagi e Iwate) colpite più duramente dal terremoto e dallo tsunami. Il 65 per cento degli assenti ha meno di 40 anni: molte giovani famiglie sono emigrate altrove per paura delle radiazioni, per la mancanza di lavoro, di servizi e infrastrutture. L’esodo dei giovani è stato massiccio soprattutto nella prefettura di Fukushima, dove circa 25 mila persone sotto i 40 anni hanno lasciato la zona, portando a una diminuzione della popolazione totale dell’82 per cento.

Questi 72 mila assenti sono quelli che hanno ufficialmente cambiato la loro residenza, ma a mancare all’appello sono molto di più. Dopo il disastro, infatti, sono state evacuate quasi 160mila persone e non tutti quelli che hanno definitivamente lasciato la zone lo hanno dichiarato per non perdere i contributi statali e i risarcimenti. Per esempio Okuma, una delle città più vicine al reattore numero 1 aveva una popolazione di 11.500 persone prima dell’incidente; oggi, sebbene tutti i residenti siano stati evacuati, sulla carta la città ha perso solo 500 abitanti. § 

Fukushima 50
Sono stati soprannominati i Fukushima 50, anche se sono stati almeno una settantina. Sono gli operai della Tepco (l’azienda che gestisce la centrale di Fukushima Daiichi) che sono rimasti al loro posto nei giorni immediatamente conseguenti allo tsunami a lavorare per evitare il meltdown dei reattori e cercare di mettere in sicurezza gli impianti. La stampa internazionale li ha etichettati come kamikaze,suicidieroi, i giapponesi li disprezzano, e loro si sentono responsabili del disastro nucleare e finora erano rimasti in silenzio. Solo dopo il ringraziamento ufficiale da parte del governo giapponese, lo scorso ottobre, qualcuno ha cominciato a raccontare la sua storia, caratterizzata sempre dal senso di colpa.

Come quello che colpisce Atsufumi Yoshizawa, ingegnere della Tepco, uno degli uomini rimasti nella centrale. Sapendo moglie e figlia al sicuro a Yokohama, aveva in testa solo due cose, spiega all’Independent: “ La sicurezza dei miei lavoratori e la completa disattivazione della centrale”. E con lui altre decine di operai condividevano queste priorità. “ Può sembrare strano da fuori, ma è naturale per noi mettere l’azienda al primo posto, non abbiamo mai pensato di abbandonare i l nostro posto”.

Nelle settimane successive, racconta, lui e questi uomini hanno lavorato in condizioni disperate, esponendosi alle radiazioni, ai rischi di crolli e gestendo la situazione fino a quando i vigili del fuoconon sono riusciti a raffreddare nuovamente i reattori. Molti di questi operai tuttavia continuano a rimanere in silenzio e possibilmente nell’anonimato: non c’è gratitudine da parte dei giapponesi per loro. Molti sono ancora sul libro paga di una delle aziende più odiate del Paese, con la quale sono identificati e con la quale si identificano, e per questo motivo sono vittime di ritorsioni e discriminazioni: diversi per esempio, racconta Bbc News, si sono visti rifiutare appartamenti in affitto.

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2 anni dopo FUKUSHIMA

In occasione del secondo anniversario della tragedia di Fukushima, riprendiamo un vecchio articolo di Barbara Spinelli “Il dovere della paura”.

CI SONO momenti così, nella storia degli uomini: dove si reagisce con l’emozione oltre che con la razionalità, perché l’emozione sveglia, incita a stare all’erta. Già in Eschilo, la passione e il patire sono fonti d’apprendimento. È il caso del Giappone da quando, venerdì, lo tsunami s’è aggiunto al terremoto e non solo ha spazzato case, vite, villaggi, ma ha causato l’esplosione di quattro reattori nucleari a Fukushima.All’orrore spuntato dal sottosuolo e dal mare s’aggiunge ora una pioggia radioattiva che spinge chi abita presso le centrali a fuggire o barricarsi in casa. Ci sono momenti in cui si apre una fessura nel mondo, e non solo in quello fisico ma in quello mentale, sicché occorre ricorrere ai più diversi espedienti: all’intelligenza razionale, alla discussione pubblica, ma anche alla paura, questa passione giudicata troppo triste per servire da rimedio.

Non a caso, quando sollecita la responsabilità per il futuro della terra, il filosofo Hans Jonas parla di paura euristica: non la paura che paralizza l’azione o è usata dai dittatori, ma quella che cerca di capire, di scoprire (questo significa euristica ). Che è generatrice di curiosità, prevede il male con apprensione, fa domande, sprona a rettificare quanto pensato e fatto sinora. Jonas evoca addirittura il dovere della paura: «Diventa necessario il “fiuto” di un’euristica della paura che non si limiti a scoprire e raffigurare il nuovo oggetto, ma renda noto il particolare interesse etico che ne risulta»( Il principio di responsabilità, Einaudi ’90).

Alla luce del principio di responsabilità appaiono completamente inani i governi – come l’italiano, il francese – che screditano questa paura, e in tal modo negano la gravità del momento e l’urgenza di correggere i piani nucleari.

Obama e Angela Merkel dicono ben altro: «Non si può fare come se nulla fosse». Non così il ministro dell’energia Eric Besson, o il ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani.

Per Besson nulla cambia, neanche le centrali invecchiate come quelle giapponesi: nella conferenza stampa di sabato ha evitato il termine «catastrofe», preferendo il meno allarmante «incidente grave». Stesso atteggiamento in Romani, che ha invitato l’altro ieri a «non farsi prendere dalla paura», senza sapere di che parlava. Non sono i soli: anche i governanti giapponesi hanno a lungo minimizzato, prendendo per buone le assicurazioni dei gestori delle centrali (Tepco, Tokyo Electric Power Corporation). La stessa Tepco che più volte è stata indagata (specie nel 2002-3) per il non rispetto delle norme anti-sismiche.

Apocalisse è vocabolo che s’espande come un virus, dall’inizio del cataclisma. Ma apocalisse è altra cosa, ha legami con la religione: è rivelazione di un piano divino, è l’omega che si ricongiunge all’alfa, è il cerchio terrestre che chiudendosi si schiude all’oltrevita. I colpiti sono innocenti, ma per qualche motivo Dio vuole che la storia terrestre s’esaurisca così, stroncando il libero arbitrio d’ognuno. Per questo conviene dismettere questa parola molto scabrosa, che sigilla gli occhi a quel che accade qui, ora; in terra, in mare. Eventi simili non sono la fine del mondo, pur preludendo forse a essa. Sono piuttosto la fine di un mondo: di certezze, di assiomi cocciutamente coltivati.

In Giappone, per vie misteriose, suscitano ricordi funesti, che hanno radici profondissime nella sua cultura recente. Il collasso delle centrali nucleari rimanda al trauma mai sopito di Hiroshima e Nagasaki, quando Washington diede a Tokyo questa lezione di inaudita violenza. La terra che ti squassa, la solitudine dell’uomo in tanto scompiglio, la natura maligna, la morte nucleare che incombe: nelle teste nipponiche è incubo magari dissimulato ma è sempre lì, in agguato. Lo dicono i volti che ci fissano in queste ore: impietriti, più che impassibili. Lo vediamo nei corpi che d’un tratto s’immobilizzano, come morissero in piedi.

Non è vero che i giapponesi hanno paure più calme, controllate delle nostre. Il loro urlo non è quello di Munch ma è pur sempre urlo. Sappiamo dalla Bibbia quanto possa esser afono l’agnello, e il grido del Giappone è colmo di interrogativi atterriti: perché le autorità hanno permesso che centrali vecchie quarant’anni sopravvivessero? Perché non hanno previsto che anche dal mare poteva venire il mostro? Perché sono così evasive? Perché proprio Tokyo, che ha già vissuto la sventurae se la porta dentro come assillo, s’è fidata della tecnologia, nonè corsa in tempo ai ripari? Ci sono grandi disastri che hanno quest’effetto: di sconvolgere non solo le vite ma vasti castelli di teorie filosofiche ritenute sicure. L’Europa ha conosciuto ore analoghe: accadde nel terremoto di Lisbona, l’1 novembre 1755, e tutte le teorie si scardinarono. Anche quella fu fenditura d’ un mondo: fondato sull’euforia tecnologica, sull’ottimismo, religioso o no.

La modernità iniziava, e già inciampava. Ventidue anni prima, Alexander Pope aveva scritto un poema intitolatoSaggio sull’Uomo. Il verso ricorrente era: «What ever is, is right»: tutto quel che esiste è bene. Ma ecco che si apre la crepa di Lisbona, sulla liscia pelle del pensare positivo. Voltaire, Kleist, Kant sono turbati e scoprono che non è più possibile consolarsi con Pope e le teodicee di Leibniz. Non è più possibile dire a se stessi, come Pangloss nelCandide di Voltaire: avanziamo «nel migliore dei mondi possibili».

Cadde anche l’illusione, cara alle chiese, sul dolore salvifico: non esiste una felix culpa, ma un male che ti prende di sorpresa, ingiusto. In presenza del disastro o del crimine sono più opportuni la sapienza di Kleist, le ricerche di Kant sulle origini dei terremoti (Kant è il primo a scoprire la «rabbia del mare»), lo sguardo di Voltaire: «Elementi, animali, umani, tutto è in guerra. Occorre confessarlo: il male è sulla terra». Ansioso di conforto, Rousseau scrisse incongruenze, in una lettera a Voltaire del 1756: «Non sempre una morte prematura è un male reale (…). Di tanti uomini schiacciati sotto le rovine di Lisbona, parecchi senza dubbio hanno evitato disgrazie più grandi, e (…) non è detto che uno solo di quegli sventurati abbia sofferto più che se, seguendo il corso naturale delle cose, avesse dovuto attendere in lunghe angosce la morte che lo ha colto invece di sorpresa».

Ma anch’egli pone domande che solo l’emozione accende: non è stata edificata male Lisbona, con le sue case alte 6-7 piani? Non è l’uomo il colpevole, più della natura? Candide soffre il terremoto e conclude: «Bisogna coltivare (meglio) il proprio giardino», dunque la terra, perché questo tocca all’uomo. All’uomo descritto da Kant dopo il 1755: «legno storto», «mai più grande dell’uomo». Il Giappone non ha alle spalle i settecenteschi ottimismi europei. Dopo Hiroshima si è risollevato con non poche rimozioni, ma con traumi indelebili. Cinema e letteratura narrano questi traumi, e una paura niente affatto calma. Su queste ramificazioni del pessimismo s’è rovesciato lo tsunami, e Jonas aiuta più di Voltaire. I giapponesi sapevano già che «il male è sulla terra», e quel che può soccorrerli è la paura che scoperchia, che scopre. La stessa paura che affiora da decenni, sotto forma di fantasmi, nel suo cinema, nella sua letteratura. In questi giorni guardi la tv, e sembra di vedere la città su cui s’abbatte l’indicibile cataclisma raccontato nel film Kairo, di Kiyoshi Kurosawa: strade e autobus vuoti, fughe verso il nulla, e in cielo, a distanza ravvicinata, un immenso aereoavvoltoio (nell’Apocalisse griderebbe: «guai! guai!») che vola verso lo schianto.

Rivedere Kairo fa capire lo squasso mentale nipponico e anche il nostro. Il Giappone ha dietro di sé un’epoca che è stata chiamata Decennio perduto, fra il 1991 e il 2000, e s’è poi prolungata in Decenni perduti. Il film di Kurosawa risale a quegli anni (2001) e non è cinema dell’orrore ma – all’ombra dello tsunami – visione iperrealistica. Kairo vuol dire circuito: ma è un cerchio senza alfa e omega. Il fenomeno narrato da Kurosawa è quello di intere generazioni che si barricano in casa fino a divenire ombre davanti ai computer (le statistiche parlano di almeno un milione di drop-out). Il fenomeno si chiama Hikikomori: è un ritrarsi, confinarsi nella solitudine. Nasce da insicurezze esasperate dalla crisi, dal futuro amputato. Sulle pareti delle case, nel film, si stagliano informi ombre color carbone. Gridano «Aiutami!», nel momento in cui i giovani morenti lasciano in eredità quest’effigie di sé.

È la silhouette annerita dell’uomo accanto alla scala che apparve impressa su un muro di Hiroshima nel ’45. L’incubo si stende sull’uomo, spaventandolo incessantemente. Viene da lontano, va lontano. Solo spaventandoci unisce il passato al presente; e ci tiene svegli, forse.

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Le primarie di Greenpeace sul clima

Greenpeace rende noti oggi i dati delle “sue primarie”. Ieri l’associazione ambientalista, in 24 città italiane, ha raccolto il parere degli elettori del centrosinistra sul futuro energetico del Paese. Oltre il 97% si dichiara indisponibile a votare chi continuerà a permettere la costruzione di nuove centrali a carbone o non si impegnerà a ridurre l’utilizzo della fonte più sporca e dannosa per il clima. Una percentuale identica vincola il proprio sostegno all’impegno, da parte dei candidati premier, a proteggere il Mediterraneo dalle perforazioni petrolifere; oltre il 99%, infine, dichiara che non darà il suo voto a chi non promuoverà concretamente la crescita delle fonti rinnovabili, che proteggono clima, aria e generano occupazione.

“Gli elettori del centrosinistra – afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – ci hanno detto la loro in maniera molto chiara.Renzi e Bersani, in oltre due settimane, non hanno trovato tempo per rispondere a un semplice questionario, per mettere 9 crocette e dirci sì o no agli impegni che sollecitiamo loro. Non solo: stanno mancando di rispondere a 25mila cittadini che in una sola settimana gli hanno scritto firmando la nostra petizione. Non sono in grado di prendere posizioni chiare neppure quando chiedono il consenso dei cittadini?”

Secondo Greenpeace i dati che emergono da questo sondaggio (il campione è costituito da 2.139 votanti alle primarie) indicano una netta divaricazione tra la base elettorale e l’atteggiamento dei leader. E questo non solo perché Bersani e Renzi non rispondono all’associazione e ai cittadini che ne hanno sottoscritto la petizione online dal sito www.IoNonViVoto.org: il PD in questi anni ha mancato di opporsi a progetti di nuove centrali a carbone e si è fatto addirittura promotore di progetti di espansione di centrali già esistenti, anche contro il parere dei suoi amministratori locali.

Ugualmente, il partito di Bersani rappresenta uno dei pilastri del Governo dei “tecnici”, promotore di una svendita del Mediterraneo alle compagnie petrolifere, sui cui ricavi vi sarà un prelievo fiscale bassissimo.

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Sosteniamo la campagna di GreenPeace per un futuro energetico pulito!

La politica tace su questioni che riguardano la nostra salute, il lavoro, i cambiamenti climatici, lo sviluppo del Paese. È il momento di pretendere risposte serie e immediate.

Centrali a carbone. La produzione di elettricità con il carbone causa circa 570 morti premature l’anno e oltre 2,6 miliardi di danni. Leggi tutto 
Trivelle in mare. Stiamo svendendo i nostri mari alle compagnie petrolifere e un disastro come quello del Golfo del Messico potrebbe avvenire presto nel Mediterraneo.Leggi tutto 
Chi affossa l’energia pulita. La politica, per assecondare gli interessi dei grandi gruppi energetici, tenta continuamente di affossare il settore delle energie rinnovabili, l’unico che aveva resistito alla crisi creando occupazione per più di 100.000 persone. Leggi tutto 

Abbiamo delle soluzioni. Leggi le nostre richieste “Energie pulite per l’Italia”.

IoNonViVoto.org non è una campagna astensionista. Al contrario: chiediamo a tutti i leader politici e a chi si candida a governare il Paese impegni precisi per salvaguardare ambiente, salute, economia e occupazione.
Chi ci sta a fermare l’avanzata di petrolio e carbone e a sostenere l’energia pulita? Leggi cosa risponde la politica…

 

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Il Manifesto di Firenze contro il nucleare

Noi, partecipanti a Firenze 10-10, riuniti nell’incontro per promuovere la costruzione del network antinucleare europeo

Esprimiamo la nostra convinzione che l’Europa dei cittadini necessita della “battaglia” antinucleare, per un modello energetico “giusto”, cioè gestito come un bene comune e pubblico nelle sue infrastrutture fondamentali, decentrato e rinnovabile, decarbonizzato, efficiente e dedito al risparmio e quindi fondamentale nel contrasto al cambiamento climatico, non predatorio rispetto alle risorse del Sud del mondo e quindi efficace nel combattere la povertà e nel prevenire i conflitti, rispettoso, alla fin fine, della salute dei cittadini e del territorio.

Nel nostro incontro, nello spirito di Firenze 10+10, abbiamo ricercato le convergenze di proposte e di azione tra la lotta per l’ecologia e l’energia bene comune con i movimenti che si battono per il disarmo e la pace (la denuclearizzazione euro-mediterranea e del Medio Oriente), con quelli che rivendicano il diritto all’acqua e al cibo, con chi cerca una via di uscita dalla crisi dal punto di vista del 99% (l’energia “giusta” è una base ineludibile per una economia reale che soddisfi bisogni e diritti delle persone e delle comunità), con la società civile consapevole che la democrazia effettiva necessita di condizioni che suscitino partecipazione locale e recidano gli apparati centralizzati della potenza e del profitto monopolistico.

Mai più Fukushima, preveniamo una catastrofe europea e mediterranea!

Il Coordinamento che abbiamo deciso di costituire, quale primo nucleo promotore, ha l’obiettivo di estendere ed approfondire, a livello europeo e mediterraneo, la “vittoria” fondata sulla mobilitazione e la consapevolezza popolare, che abbiamo conseguito in Italia con il referendum antinucleare del 2011; e di fare sì, che le decisioni dei Paesi che hanno stabilito la fuoriuscita dal nucleare (14 Paesi UE su 27 dovranno, seguendo il recente esempio di Germania e Belgio, abbandonare questa tecnologia per la produzione elettrica) conducano ad un’Europa e ad un’area mediterranea effettivamente denuclearizzati.

Si tratta, in pratica, di supportare, coordinare, unificare le seguenti attività:

1- campagne di informazione e sensibilizzazione di dimensione europea che sanciscano a livello UE, con misure precise, la fuoriuscita dal nucleare e dalla energia padrona.

Un primo impegno che ci assumiamo in tal senso è di sostenere l’ECI (Iniziativa dei Cittadini Europei) proposta da Global 2000, di recente ammessa dalla Commissione.

Valutiamo la possibilità di proporre ed attuare un referendum consultivo europeo in materia di nucleare;

2- azioni di base di contrasto contro il nucleare ad ogni livello, locale, nazionale ed internazionale, anche con azioni dirette: in particolare, un nuke-watching europeo contro il trasporto delle scorie radioattive;

3- il collegamento civile-militare nelle lotte antinucleari: denuclearizzazione significa chiudere le centrali ma anche le basi con le armi nucleari. Denuclearizzare è anche disarmare e ridurre, per di più prevenendola, le spese funzionali alla guerra, più che mai odiose in periodo di crisi economica.

In particolare riteniamo utile far leva anche con iniziative dal basso sul “processo di Barcellona” quando, con consenso unanime (non scontato) dei governi, stabilisce dal 1995 un orizzonte mediterraneo privo di armi di sterminio di massa;

4- diffondere studi, progetti, buone pratiche e realizzazioni con le energie pulite, rinnovabili, ecocompatibili: l’alternativa al nucleare non è il gas, tanto meno il petrolio e peggio che mai il carbone, con annessi grandi impianti e tecnologie invasive e devastanti.

5- Affermare un sistema pubblico a livello europeo che arresti la mercificazione dei beni essenziali e insostituibili per la vita e il vivere insieme. Si tratta di togliere alle logiche del mercato e della finanza privata il governo continentale dei beni comuni. Proponiamo che tutti i movimenti si diano come obiettivo comune una campagna per la promozione di una Comunità europea dei beni comuni. Si tratterebbe di una Comunità dotata di poteri sovranazionali per quanto riguarda la terra, l’energia, l’acqua, l’aria, l’ambiente, la conoscenza, la sicurezza (nelle sue declinazioni essenziali: militare, energetica, alimentare, idrica, geologica, finanziaria) e finalmente dotata di una rivalutata carta dei diritti del lavoro, che deve tornare ad essere obiettivo del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

A livello italiano denunciamo e combattiamo la Strategia Energetica Nazionale di Monti-Passera che, in spregio ai risultati referendari, nel prospettare un ruolo italiano da “hub del gas”, conferma una infrastruttura energetica che può prestarsi al ritorno del nucleare.

Inviamo un messaggio di solidarietà alla manifestazione che il movimento antinucleare giapponese terrà a Tokio l’11 novembre 2012: : l’uscita dall’energia atomica del Giappone può rappresentare una svolta per la sconfitta della lobby nucleare a livello mondiale.

I presenti qui a Firenze 10+10 si costituiscono come Nucleo Promotore del Comitato per attuare la volontà del referendum antinucleare in Italia.

Ci diamo appuntamento e diamo appuntamento per il 9 marzo 2013 a Parigi (secondo anniversario di Fukushima) nella convinzione che, nell’impeto crescente delle campagne, delle azioni, delle iniziative, degli scambi comuni, avremo, entro quella scadenza, significativamente esteso la quantità e la rappresentatività di adesioni e collaborazioni del nostro costituendo Network antinucleare.

La componente italiana del Network valuterà la fattibilità di una Carovana antinucleare che attraversi l’Europa nucleare e si concluda a Bruxelles.

Abbiamo obiettivi semplici, diretti e chiari che, ne siamo sicuri, già registrano il consenso della maggioranza dei popoli europei e mediterranei:

spegniamo subito tutti i reattori atomici, liberiamoci dalle armi di sterminio di massa, orientiamoci verso il 100% di energie rinnovabili!

(Primo elenco provvisorio di adesioni)

Sortir du Nucléaire – Francia – Martin Delavarde

Stop Bugey – Francia – Emmanuel Coux

War Resisters’s International – Coordinamento internazionale (sede centrale Londra) – Luciano Zambelli

Mondo senza guerre – Coordinamento internazionale

Roberto Musacchio – Altramente

ARCI – Associazione Energia Felice- Mario Agostinelli

Associazione Italiana Decrescita – Gianni Tamino

Associazione Si alle rinnovabili No al Nucleare – Massimo Bardi

Accademia Kronos – Ennio La Malfa

Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta – Alfonso Navarra

Comitato Salute Ambiente Energia- Angelo baracca e Giorgio Ferrari

Commisione Giustizia Pace Solidarietà Misionari Comboniani – Alex Zanotelli

Confederazione Cobas – Vincenzo Miliucci

Fermiamo chi scherza col Fuoco Atomico – Tiziano Cardosi

Fiom- Alessandra Mecozzi

IALANA Italia – Joachim Lau

Semi sotto la neve – Yakuri Saito

Amigos Sem Terra – Antonio Lupo

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