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A due anni dal referendum la lotta al nucleare continua

A due anni dal referendum la lotta antinucleare continua

 

 

E’ il secondo anniversario della vittoria popolare sul referendum che, il 12 e 13 giugno 2011:

1- ha tagliato le gambe al “rinascimento nucleare” che era stato progettato per l’Italia in aggancio al carro francese;

2- ha tirato la volata, grazie all’emozione post Fukushima, al raggiungimento del quorum anche sull’acqua pubblica.

 

Poniamo la domanda: cosa è cambiato a 2 anni dalla seconda bocciatura del nucleare da parte degli italiani?

 

 

Proviamo a fare un elenco schematico.

 

 

1- La lobby nucleare ha rinunciato ad avanzare aperte pretese revisioniste e revansciste rispetto al referendum, anche se ogni tanto questo o quel ministro, di questo o quel governo che si succede, ed il governo Letta non fa eccezione, ad esempio, “spara” dichiarazioni sulla necessità di “adeguarsi alle tendenze europee” (il che risulta però meno credibile dopo la svolta antinucleare tedesca) al traino del mito tecnologico delle “nuove generazioni di centrali sicure”. Ricordiamo comunque che l’Europa, questa Europa, può sempre fare rientrare dalla finestra quello che dall’Italia abbiamo cacciato dalla porta.

 

 

2- L’adesione italiana ad Euratom, Trattato per promuovere il nucleare, su cui il Parlamento tedesco ha appena discusso, è sempre lì, intoccabile, e nessuno neanche si sogna di sottoporla a riesame.

 

 

3 – Le grandi aziende italiane del nostro mini complesso militare-industriale-energetico (ENEL e Finmeccanica in particolare) continuano ad essere coinvolte in piani nucleari all’estero di consistente entità.

 

4 – Quanto segue lo riprendo da Giampiero Godio, di Legambiente Piemonte, impegnatissimo a denunciare la catastrofe annunciata di Saluggia: “Le scorie radioattive (delle “vecchie” centrali  italiane – ndr) non hanno trovato alcuna collocazione responsabile, quelle che non sono nei siti italiani a rischio si stanno godendo una costosa quanto inutile e pericolosa vacanza all’estero, a Sellafield in Inghilterra o a La Hague, in Francia, da dove torneranno tra pochi anni senza che si sappia dove sistemarle in condizioni di decente sicurezza per un periodo di almeno diecimila anni. Non sono ancora neppure stati individuati i criteri per scegliere il sito per il deposito nazionale, che secondo la legge vigente 368/2003 andava realizzato entro il 31.12.2008, in modo democratico e trasparente, in una località che potesse oggettivamente rendere il rischio più basso, almeno per quanto possibile. Viceversa Sogin ha avviato in tutti i centri nucleari la realizzazione di depositi, definiti “temporanei”, ma privi di scadenza: se verranno completati siamo convinti che da questi siti a rischio i rifiuti radioattivi non se ne andranno via mai più!”

 

 

5- La ricerca scientifica in campo energetico continua ad essere massicciamente focalizzata sul nucleare trascurando le rinnovabili.

 

 

6 – La strategia energetica nazionale ufficiale lancia lo slogan dell’Italia hub del gas per l’Europa, toglie il sostegno pubblico alle FER  per darlo alla costruzione dei rigassificatori e riconferma anche l’avvio delle trivellazioni per petrolio e gas a mare e a terra.

 

 

Quello che bolle nella pentola del movimento antinucleare

 

 

Dal punto di vista del movimento antinucleare qualche buona notizia c’è, anche se, a mio giudizio, di portata limitata rispetto alle sfide che sarebbe necessario sostenere.

 

(Mi scuso per le omissioni delle iniziative dei Comitati di base No-Coke e No-Triv, con i quali è necessario convergere nella lotta comune per una alternativa alla “sporca energia padrona”).

 

 

1- Si è costituito a Firenze 10+10 (novembre 2012) un nucleo promotore del network antinucleare europeo con un suo manifesto ed il Comitato per l’attuazione della volontà del referendum antinucleare;

 

 

2- a Parigi il 10 marzo (dopo la catena umana del giorno prima con 20.000 persone) una riunione ha ribadito l’interesse e l’impegno per lanciare una Iniziativa dei cittadini europei e avviato il progetto di due carovane convergano a Les Hague (Francia), da Italia e Germania, lungo il percorso del treno che trasporta le scorie nucleari per il loro ritrattamento anche a fini bellici (estrazione di plutonio per le bombe atomiche);

 

 

3- a Tunisi, Forum Sociale Mondiale (26 al 30 marzo 2013), il costituendo network europeo ha avviato la collaborazione con ICAN (Campagna internazionale contro le armi nucleari), a coordinamento francese, gestore di molti spazi di discussione nel Forum, a partire dall’appello, lanciato a Marsiglia da questa coalizione di organizzazioni (tra cui Sortir du Nucléaire), per un Mediterraneo pacifico e solidale, libero dalle armi nucleari;

 

 

4- il “Comitato SI alle rinnovabili – No al nucleare” ha organizzato l’11 aprile 2013 a Roma una conferenza stampa, presenti deputati del PD, di SEL e del Movimento 5 Stelle, sulla gestione delle scorie radioattive, nella quale si propone di scaricare la Sogin spa e passare le sue competenze ad una Autorità nazionale pubblica;

 

 

5 – la Campagna Stop Enel si è riunita a Roma ed è intervenuta il 30 aprile 2013 all’Assemblea degli azionisti della società elettrica, denunciandone tra l’altro l’impegno nel nucleare e ribadendo che il coordinamento intende promuovere un modello energetico alternativo;

 

 

6 – da “Terra Futura” a Firenze (la decima edizione che si è conclusa il 29 maggio 2013) è stato predisposto, da parte di “Energia Felice” e  “SI alle rinnovabili – No al nucleare”, un appello che propone le linee guida per una strategia energetica nazionale dal basso.

 

 

7- Un altra campagna in fase di studio, “L’energia sporca non la paghiamo”, che riprende una idea del 2008, può finalmente dare sbocchi concreti ai metodi del consumerismo critico e dell’obiezione antinucleare  in quanto si sarebbero individuate compagnie da segnalare come fornitori alternativi che danno serie garanzie sul fatto che producono energie pulita al 100% da fonti rinnovabili.

 

 

In questo secondo anniversario dei referendum, nelle manifestazioni di celebrazione, esiste ancora e sempre la necessità di dare spazio, al pari dell’acqua, al tema antinucleare e dell’energia (il fuoco) quale bene comune per affrontare la crisi in corso e fondare un altro immaginario della ricchezza, un’altra idea di società.

 

L’alleanza acqua-energia collegata anche a proposte per una nuova occupazione stenta sempre a decollare e – spero di essere smentito – non risultano iniziative in programma concordate tra i soggetti che si sentono impegnati in questa prospettiva.

 

Oggi per tutti i movimenti sociali alternativi esiste il dovere di fare i conti con la oggettiva centralità della crisi per proporre qualcosa di serio alla disperazione sociale che monta e che potrebbe essere dirottata verso una guerra sociale interna tra i poveri ed i meno poveri.

 

Ognuno deve portare il suo contributo ad uno sforzo solidale per una società intrinsecamente pacifica, coltivando intrecci di percorsi e convergenze tra le resistenze sociali alla “dittatura finanziaria” efficacemente denunciata da “Indignatevi!”, il pamphlet liberatorio di Stéphane Hessel, il Partigiano appena scomparso, estensore della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”,  che ci invita a seguire la strada della nonviolenza.

 

 

Alfonso Navarra – vicepresidente dell’Associazione ARCI Energia Felice

Fermiamo chi scherza col fuoco atomico c/o Campagna OSM-DPN

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BUON COMPLEANNO REFERENDUM!!!

A due anni dalla vittoria referendaria per l’acqua bene comune e

contro il nucleare, la lotta continua

Due anni fa la stragrande maggioranza degli italiani si è espressa chiaramente ma, sia sull’acqua che sul nucleare e il modello energetico, la volontà popolare non è ancora stata recepita in leggi e atti precisi.

referendum 13 giugno

Per questo le organizzazioni e i cittadini impegnati in quella battaglia sono ancora in piazza per  chiedere e costruire un futuro energetico sicuro, pulito, rinnovabile.

  • I pericoli di quanto resta del ciclo nucleare in Italia non sono finiti, non esiste un efficiente sistema di messa in sicurezza delle scorie radioattive, lo smantellamento dei vecchi siti nucleari va a rilento, la Sogin, società pubblica  incaricata delle bonifiche, ha realizzato in 10 anni solo il 10% dei lavori a fronte di quasi 2 miliardi di Euro spesi, caricati sulle bollette dei cittadini.
  • Le centrali nucleari continuano a funzionare a poche decine di chilometri da noi, l’Enel continua a gestirle. Mentre la Germania decide di uscire gradualmente dal nucleare, altri paesi europei e del bacino mediterraneo,  tra cui la Turchia, continuano questa pericolosa avventura.

ü Vogliamo un’Europa definitivamente libera dal nucleare.

  • La politica energetica degli ultimi governi ha ostacolato la diffusione delle rinnovabili, del risparmio e dell’efficienza energetica e ha rilanciato le fonti fossili: centrali a carbone ed estrazione di idrocarburi a terra e a mare.

ü Chiediamo una moratoria sulle centrali a carbone e sulle trivellazioni.

  • Le Strategie energetiche dei singoli paesi non possono essere orientate dagli interessi delle grandi lobby energetiche fossili, ma devono essere coerenti con gli orientamenti europei che  puntano per il 2050 alla completa “decarbonizzazione”, almeno della produzione elettrica.
  • Per questo vanno promosse razionalmente tutte le fonti rinnovabili, per chiudere le centrali  più inquinanti, per ridurre inquinamento ed emissioni di CO2 , per avere un forte risparmio sulle importazioni energetiche e sulla bolletta.

ü Serve un altro modello energetico: l’obiettivo del 100% rinnovabile è raggiungibile.

Basta con i sussidi pubblici alle fonti fossili, le risorse devono convergere verso: il risparmio di materia e di energia, l’efficienza energetica nelle produzioni, la riqualificazione del patrimonio edilizio, i trasporti pubblici, l’uso diffuso delle fonti rinnovabili, gli investimenti in ricerca, la diffusione delle conoscenze.  E’ un’altra strada per uscire dalla crisi.

Per tutto ciò chiediamo a tutti i parlamentari di ripresentare e avviare la discussione sulla legge di iniziativa popolare “Sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima”. 

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A DUE ANNI DAL REFERENDUM SUL NUCLEARE

Il 12 e 13 giugno 2011  i Cittadini italiani hanno bocciato il nucleare per la seconda volta:

cosa è cambiato da allora?

La notizia cattiva

 

Le scorie radioattive non hanno trovato alcuna collocazione responsabile, quelle che non sono nei siti italiani a rischio si stanno godendo una costosa quanto inutile e pericolosa vacanza all’estero, a Sellafield in Inghilterra o a La Hague, in Francia, da dove torneranno tra pochi anni senza che si sappia dove sistemarle in condizioni di decente sicurezza per un periodo di almeno diecimila anni (vedere allegati di ISPRA e di Sogin).

 

Non sono ancora neppure stati individuati i criteri per scegliere il sito per il deposito nazionale, che secondo la legge vigente 368/2003 andava realizzato entro il 31.12.2008, in modo democratico e trasparente, in una località che potesse oggettivamente rendere il rischio più basso, almeno  per quanto possibile.

 

Viceversa Sogin ha avviato in tutti i centri nucleari la realizzazione di depositi, definiti “temporanei”, ma privi di scadenza: se verranno completati siamo convinti che da questi siti a rischio i rifiuti radioattivi non se ne andranno via mai più!

 

 

La notizia buona

 

I pannelli fotovoltaici nell’anno 2012 hanno prodotto oltre diciotto miliardi di kWh di energia elettrica dal sole (vedere allegato del GSE).

 

La produzione è in continua crescita, e altri quattro anni con una produzione anche solo eguale al 2012 faranno sì che il fotovoltaico da solo supererà la produzione totale di energia elettrica ottenuta da tutte e quattro le centrali nucleari italiane in tutti gli anni del loro funzionamento (93 miliardi di kWh totali), e senza lasciarci in eredità tutte quelle scorie radioattive per miliardi di miliardi di Becquerel che nessuno oggi sa come sistemare, e neppure le centinaia e centinaia di kg di quel plutonio la cui dose mortale per inalazione è di solo un decimo di milligrammo.

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Le risposte di ENEL (elusive) agli azionisti critici

Nel 2012 il 31% dei 295,8 TWh di energia elettrica prodotti da Enel è venuto dal carbone, con una crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente. Più carbone soprattutto in Italia, tanto che nel mix dell’azienda è passato dal 34,1% del 2010 al 48,4% nel 2012, crescendo di oltre il 14,3%. Nel solo 2009 il carbone Enel ha emesso 888 tonnellate di PM10, 19.825 di NOx, 24.033 di SOx e 27,7 milioni di tonnellate di CO2, inquinamento che tradotto in danni economici fa 1,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni di costi esterni per inquinamento, 932 per la CO2 e 3,5 milioni di danni diretti all’agricoltura. Ci sono poi i danni sanitari: gli impianti Enel, con il loro inquinamento, in quell’anno secondo gli studi commissionati da Greenpeace avrebbero provocato 366 morti premature (si veda studio). Se si considerano i piani di espansione dell’azienda, con le centrali a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, in futuro si potrebbe arrivare anche a sfiorare i 500 casi di morti premature all’anno.

Eppure se un azionista del gigante energetico – che tra l’altro è per il 31,24% del ministero del Tesoro, dunque anche degli italiani – solleva dubbi sulle politiche dell’azienda su questa fonte sporca, Enel ribatte in maniera evasiva, limitandosi a ricordare che i suoi investimenti sono perfettamente legali.

Basta leggere quello che l’ex monopolista ha risposto ai numerosi quesiti che gli azionisti critici, rappresentati da Banca Etica, hanno portato all’Assemblea dello scorso 30 aprile (vedi qui e allegato in basso). Domande che chiedono conto, oltre che di investimenti controversi all’estero (come quelli nel nucleare nei paesi baltici o in grandi progetti idroelettrici in Sudamerica), anche di tutte le problematiche correlate agli investimenti in nuovi impianti a carbone o riconversioni in Italia. Interrogativi molto puntuali, cui Enel risponde in maniera piuttosto generica.

Per fare solo un esempio, sull’impianto di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia si chiede nell’ordine:

  • Qual è stato, in media, il ritorno netto di ciascun MW di elettricità prodotto da carbone nel 2012?
  • Considerato il fatto che l’impianto si trova al confine con un’area urbana, quali precauzioni si sono prese al fine di evitare, in caso di eventi accidentali, il rischio di un effetto domino?
  • Dove sono state smaltite le ceneri radioattive e quanto è alto il costo dello smaltimento?
  • Qual è l’ammontare dell’indennizzo per ciascun comune e per istituzioni e associazioni, pubbliche o private?
  • Quali sono le spese legali e processuali che la Società stima in relazione ai processi su Torrevaldaliga e quanti e quali dirigenti e impiegati, in essere o cessati, sono coinvolti nei procedimenti e per quale ragione?
  • Qual è il costo per tonnellata del tipo di carbone usato oggi?
  • Quale sarebbe il costo nel caso in cui il carbone avesse un contenuto di zolfo < 0,3%?
  • A che punto è e quanto costerà il processo per la realizzazione del “Parco dei Serbatoi”? L’area del vecchio sito è stata oggetto di una procedura di recupero in conformità alla normativa ambientale applicabile?

Risposta di Enel: “L’impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord risponde pienamente alle prescrizioni di legge e ha ricevuto l’AIA con l’autorizzazione a restare in funzione per i prossimi 8 anni. I rapporti con il Comune sono regolati da un’apposita convenzione del 2008, che regola anche l’entità del contributo da erogare al Comune stesso per la presenza dell’impianto sul territorio”. Tutto qui. Di analogo tenore le risposte alle dettagliate domande sugli altri impianti: Rossano, Porto Tolle, la Spezia. Liquidate in maniera simile anche le obiezioni degli azionisti sul perché negli impianti geotermici del Monte Amiata Enel non stia utilizzando la tecnologia con il minor impatto ambientale disponibile, quella a ciclo binario (si veda sempre allegato in basso).

“Enel non ha mancato, in questa circostanza come in altre, di dimostrarsi un’azienda reticente – commenta amaro a QualEnergia.it Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – la solfa è sempre la stessa: i nostri impianti operano entro i limiti di legge e in base alle autorizzazioni concesse. Se anche non vi fossero indagini in corso riguardo molte delle attività produttive di Enel – da Brindisi a Genova, da Porto Tolle a Civitavecchia – e seppure non vi fossero sentenze di condanna a carico dell’azienda e dei suoi vertici passate in giudicato, questo tipo di risposte vuol dire poco o nulla. Greenpeace non contesta a Enel di operare fuori dalla legge: le contesta di causare danni sanitari ed economici enormi, col carbone, in Italia e in Europa; e di contribuire consistentemente alla distruzione del clima. Per questo chiediamo a Enel di cambiare strada, di puntare sull’innovazione, sulle fonti rinnovabili e sulla promozione dell’efficienza. Quando l’azienda non risponde con questo vuoto mantra aziendale – ‘tutto è a norma, tutto è a norma!’ – risponde attraverso le carte dei suoi avvocati. Ormai gli appuntamenti che Greenpeace ha con i legali di Enel, in molti tribunali italiani, non si contano. Per noi le carte bollate non sono un problema: già abbiamo battuto Enel sul piano legale, crediamo di poterlo fare ancora. Il punto è se un’azienda controllata dallo Stato, di fronte ad accuse gravi quali quelle che noi e altri le muovono, sia autorizzata a procedere così: senza mai rispondere davvero e – semmai – querelando, denunciando, promuovendo ricorsi e avanzando enormi richieste di risarcimento. A noi sembra un segno di gravissima irresponsabilità”.

Le risposte di Enel agli azionisti critici (pdf)

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Il nucleare francese disoccupa i lavoratori A2A

Turbigo, Cassano, Sermide e Tusciano sono le centrali idroelettriche in capo ad A2A che rischiano la chiusura (vedi articolo stampa de “Il Giorno sotto riportato): l’energia elettrica comprata dalla Francia (nucleare) è, truffaldinamente, meno cara (non si calcolano le esternalità ambientali e sociali). Circa 400 posti di lavoro sono in gioco, a quanto riporta il giornalista Nicola Palma.

La Francia è costretta a svendere il suo surplus di notte e noi  – italiani furbastri, non furbi – approfittiamo contribuendo al rischio nucleare che non ci risparmierebbe. Un sistema basato sul nucleare è, infatti, molto rigido, le centrali nucleari non sono molto modulabili, la Francia deve quindi avere una potenza di base capace di coprire i picchi delle variazioni giornaliere della domanda, per cui quando questa è minima produce energia elettrica in eccesso, che è costretta, appunto, a vendere a prezzi stracciati (ma per picchi eccezionali della domanda deve comprare energia, molto cara: per affrontare le ondate di freddo in inverno, ad esempio, importa energia dalla Germania).

In questo momento però esiste – se guardiamo la questione con un approccio più generale – una crisi di sovraproduzione di tutto il settore elettrico e qui si parla di 4.000 posti in esubero, secondo quanto riferisce, ad esempio, Luca Pagni su Repubblica – come si riporta sotto.

In merito alla vicenda occupazionale A2A il sindacato di base USB – che denuncia l’importazione elettrica dalla Francia (“con ogni probabilità nucleare visto che questo Paese produce la sua elettricità all’80% da fonte nucleare”) sta partecipando ai Tavoli di trattativa con l’azienda ed ha in programma l’organizzazione di una conferenza stampa, probabilmente giovedi prossimo (ma ancora la decisione definitiva non è stata presa).

Ieri c’è stato in incontro A2A-Sindacati ed un comunicato della UGL, riportato oggi dalla Reuters, lamenta che l’azienda non starebbe recedendo dal suo piano di esuberi.

Purtroppo, nel nuovo incontro con A2A sul piano di riorganizzazione della rete, non è stato fatto nessun passo indietro sui 200 esuberi annunciati dall’azienda, a cui si sommano altri 150 per il progetto di integrazione con Edipower, di cui discuteremo invece la prossima settimana. Confermata anche la cig ordinaria per altri circa 300 dipendenti delle 4 centrali di Cassano d’Adda, Sermide, Turbigo e Chivasso“, commenta nella nota Luigi Ulgiati, segretario nazionale di Ugl chimici.

Per quanto riguarda le posizioni del C.A.V.R.A., che ribadisco, è noto che noi condividiamo la linea della ripubblicizazione di A2A per lanciare il modello “rinnovabile” che dovrebbe non solo garantire, ma sicuramente moltiplicare l’occupazione.

Questa linea dovrebbe passare per lo scorporo di A2A nelle originarie AEM di Milano e ASM di Brescia: le municipalizzate locali sono il veicolo indispensabile per una politica partecipata che ci traghetterà nella “rivoluzione energetica”, quella che, scusate il gergo usato per ragioni di brevità, necessita alla “rivoluzione economica” della conversione ecologica post-crescita.

 di Alfonso Navarra – vicepresidente Associazione Energia Felice – Comitato attuare la volontà del referendum antinucleare 

 

Lombardia – Il colosso A2A annuncia 400 esuberi. I sindacati: tagli anche per i manager

di Nicola Palma da il Giorno del 09/03

LA CRISI non risparmia neanche un colosso come A2A. L’altro giorno, i vertici del gruppo leader nel settore energetico hanno annunciato ai sindacati confederali la necessità di procedere a tagli del personale: circa 400 esuberi, in parte derivanti dall’integrazione tra A2A ed Edipower, in parte da processi di efficientamento sulla gestione delle reti elettriche e del gas. Esuberi un po’ inattesi, a dir la verità: basti ricordare che non più tardi dello scorso 3 novembre, in occasione della presentazione del piano industriale, il presidente del Consiglio di gestione, Graziano Tarantini, aveva promesso che A2A non avrebbe licenziato «un solo dipendente». Non sarà così. Anzi. Sì, perché l’azienda — che ha come principali azionisti i Comuni di Milano e Brescia col 27,456% di quote a testa — intende far ricorso pure alla cassa integrazione ordinaria a rotazione per gli impianti termoelettrici di Cassano, Turbigo, Sermide e Chivasso: si prevede una fermata di 40 settimane a impianto nel corso nel biennio 2013-2014 a causa del calo dei consumi di energia e delle vendite. Misure che, nelle intenzioni della dirigenza della società nata il primo gennaio di 5 anni fa, contribuiranno a ottenere un risparmio di 70 milioni di euro entro il 2015. Mobilità, prepensionamenti e incentivi all’esodo, le tre formule indicate da A2A per ridurre il numero di dipendenti.

UNA DECISIONE giustificata con «la profonda crisi dei settori industriali in cui opera», pur confermando investimenti da 1,2 miliardi di euro nei prossimi 3 anni. Obiettivo dichiarato del gruppo è comunque quello di arrivare in tempi brevi a un comune accordo con i rappresentanti dei lavoratori, in modo da «ridurre al minimo l’impatto di tali iniziative». E la risposta dei sindacati non si è fatta attendere. Ecco in breve le richieste avanzate da Giacomo Berni, segretario nazionale Filctem Cgil, e Carlo Meazzi, segretario nazionale Fleai-Cisl: innanzitutto, nessun licenziamento e sostegno al reddito di chi verrà accompagnato alla pensione. E ancora, sacrifici economici estesi a tutti, a cominciare dai top manager dell’ex municipalizzata, e drastica riduzione del numero di consulenze esterne per ridurre ulteriormente i costi. In ogni caso, chiariscono i delegati sindacali, l’auspicio è che A2A si impegni a minimizzare l’impatto sociale dei provvedimenti: «Siamo contrari ai licenziamenti — chiarisce Berni — all’azienda abbiamo chiesto che nessuno venga lasciato a piedi: del piano di risparmi non possono farsi carico solo i dipendenti ma i sacrifici devono essere distribuiti anche tra i dirigenti».
Nicola Palma
nicola.palma@ilgiorno.net

Energia in crisi, le centrali si fermano. Da Enel ad A2a, utility costrette a ridurre il personale

Luca Pagni da la Repubblica del 12 marzo 2013MILANO — Centrali elettriche chiuse, o almeno, “in stato di conservazione”. Non sono spente del tutto, ma di fatto gli impianti per la produzione di energia vengono fermati. Per risparmiare sulla materia prima. E limitando l’attività, anche sul personale. Tanto che con i sindacati sono già partire le trattative per oltre 4mila esuberi in tutto il settore, di cui la maggior parte riguardano Enel. E tutto fa pensare che sia solo l’inizio. Hanno retto fino a quando hanno potuto. Ma ora, anche le utility, le aziende che producono e vendono sul mercato energia elettrica, sentono tutto il peso della recessione. Sia i grandi gruppi italiani e stranieri presenti nelle penisola, così come le ex municipalizzate. Risentono del crollo della domanda di energia a causa del calo della produzione industriale, nonché della concorrenza delle rinnovabili. Non è esagerato parlare di crollo: a febbraio, la domanda di energia è calata del 5% rispetto al 2012 e nell’ultimo anno e mezzo ci sono stati solo quattro mesi in positivo. Tanto che Assoelettrica, la Confindustria di settore ha parlato di «recessione cronica» e di situazione «intollerabile e drammatica».

Così, come non va sottovalutato il fenomeno rinnovabili: nelle regioni del Sud ci sono già stati giorni in cui l’intera produzione è a carico di eolico e fotovoltaico e in certe ore del giorno il costo dell’energia è arrivato a quota zero. Due fenomeni che stanno erodendo i margini dei produttori, in particolare di chi opera con le centrali alimentate a olio combustibile e a gas. E il protrarsi della recessione, ormai prevista anche per il 2013, ha costretto i manager a scelte non più rinviabili. Nei giorni scorsi, ha cominciato l’utility lombarda A2a (controllata alla pari dai comuni di Milano e Brescia) a comunicare ai sindacati un esubero di 400 persone. Non solo: ci sarà la fermata a rotazione di 4 centrali (Chivasso, Sermide, Turbigo e Cassano), nonché il ricorso alla cassa integrazione a rotazione per il personale. La messa in “conservazione” di tre centrali riguarda anche Edison, il secondo gruppo italiano del settore, con gli impianti di Sarmato, Porto Vito e Jesi.

Gli esuberi nel caso della società passata sotto il controllo del colosso francese Edf riguarda non più di una quarantina di persone. E meno di 200 dipendenti sui 1250 totali, il personale in eccesso della filiale italiana dei tedeschi di E.On, di cui 120 alla centrale di Fiume Santo in Sardegna. Ma tutto il settore aspetta quanto verrà comunicato domani da Enel, alla presentazione dei conti del 2012. Si saprà, nel dettaglio, quante centrali potrebbero essere fermate, nonché tempi e modi degli esuberi del gruppo. Enel deve confermare i 3.500 già annunciati (tra uscite volontarie e prepensionamenti) a fine 2012 al sindacato. Ma anche se vuole procedere con i contratti di solidarietà, che potrebbero riguardare 15mila dipendenti sui 35mila totali, tutti non operativi.

 

Energia in crisi, anche a Turbigo la centrale si ferma

Vanessa Valvo su il Giorno del 14 marzo 2013

Turbigo, 14 marzo 2013 – La mancata produzione di energia elettrica delle ultime due settimane sembra già il preludio alla riduzione del lavoro e alla cassa integrazione per il personale di A2A, prevista all’interno delle sue numerose attività, tra le quali anche la Centrale di Turbigo con i suoi 97 dipendenti. Qui da giorni manca pure l’acqua del Naviglio per raffreddare i motori, ufficialmente per lavori di manutenzione lungo il canale. «Le macchine sono comunque pronte in caso di richiesta di energia, noi siamo sugli impianti tutti i giorni, ma senza acqua non possiamo produrre – spiega Valentino Gritta, sindacalista Usb -. Non è la prima volta che succede, ma l’ultima è stata per una vera emergenza, quando il lago Maggiore è andato in secca. Sull’utilizzo idrico del Naviglio c’è, in realtà, anche un contenzioso ancora aperto con la Regione Lombardia, che attualmente sta facendo pagare ad A2A il 200% del canone previsto per l’uso dell’acqua – rivela Gritta – L’azienda vorrebbe pagare per l’utilizzo effettivo dell’acqua, dato che la stessa quantità viene prelevata e rimessa nel corso, chiedendo la riduzione al 50% della tassa consueta. Ma in attesa che il Consiglio di Stato deliberi sul caso, la Regione ha raddoppiato il canone, a garanzia del mantenimento dello stesso introito».

In queste ore i dirigenti di A2A sono impegnati ancor più seriamente sul fronte occupazione. «Dal primo aprile dovrebbe iniziare la cassa alla centrale di Cassano – annuncia il sindacalista Cisl Federenergia Paolo Paolini -, mentre per i prossimi due anni e mezzo è previsto un periodo di riduzione del lavoro dalle 40 alle 52 settimane, compatibilmente con la necessità in rete e di manutenzione degli impianti. Se il mercato migliora, è evidente che le predisposizioni non si allenteranno e non saranno così rigide».

Nello stesso modo è previsto un taglio di 300 lavoratori, pari al 5% tra tutti i settori di cui A2A ed Edipower sono proprietarie, ma questo non significa che verrà depennato particolarmente il personale di una centrale piuttosto che di un’altra. Insieme alle misure di contenimento delle spese che riguarderanno i servizi, dai contratti di telefonia, per esempio, ai fornitori, anche la cassa, quindi, servirà per far risparmiare i 70 milioni di euro che A2A vorrebbe investire, insieme ad un altro miliardo e 230 milioni di euro, nel piano industriale appena deciso. «Siamo stati “comprati” con soldi pubblici e ora da lavoratori ce li vogliono togliere – dichiara Gritta -. Questi 70 milioni di euro, per i quali noi rischiamo il posto di lavoro, si potrebbero recuperare in altro modo, dato che l’anno scorso l’Azienda ha comunque effettuato dei dividendi tra i soci, tra cui ci sono anche i Comuni visto che si tratta di una municipalizzata, pur essendo in passivo. Per cui perché non decurtare i guadagni dall’alto invece che dal basso?».La Usb incontrerà le autorità proprio oggi per parlare in dettaglio del futuro dei dipendenti di Turbigo. «Già a novembre con il fermo di due gruppi su quattro sono state lasciate a casa 42 persone e da 1.770 kilowatt la produzione che ora potremo mettere in rete è scesa a 1.100 kw. La riduzione del personale in realtà è andata in crescendo da quando Enel ha dovuto cedere un terzo della potenza installata e siamo andati sotto Eurogen ed Edipower, quindi circa dal 2000: da 320 dipendenti di allora, ora ci siamo ridotti a 97. Eppure – afferma Gritta – non si produce meno con la crisi economica, perché di contro è cresciuto molto il consumo energetico casalingo. Nel 2003 abbiamo toccato il consumo minimo, ma ora siamo ai livelli di 7-8 anni fa. Di certo ci stanno per chiedere un sacrificio troppo grande: siamo veramente preoccupati».

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