Archivi categoria: Nucleare

Perché il cosiddetto nucleare sostenibile è uno schiaffo alla nostra intelligenza

Siamo, per la prima volta e contemporaneamente, al cospetto di una catastrofe climatica, di una guerra mondiale a pezzi – con lo spettro dell’arma nucleare sullo sfondo – e di una disuguaglianza sociale crescente che prospera nel declino della democrazia. L’elezione di Trump, la sua repentina sussunzione del potere in chiave personalistica, assieme all’affidamento a Musk di un ruolo incontrastato nell’amministrazione del potere negli Stati Uniti, costituisce una svolta inedita con cui dobbiamo fare i conti. Lo Stato legislativo viene spodestato dallo Stato governativo, il diritto internazionale non è più il perimetro dell’azione politica entro cui tarare i confini della legge, sottomessa invece ad una ideologia intollerabile, che annulla il conflitto tra economico e sociale in una dilatazione del comando del privato.

Se il caso statunitense, già prefigurato da Capitol Hill, assume le sembianze di un autentico colpo di stato, i riflessi causati in Occidente si fanno inopinatamente conseguenti, come sta a dimostrare l’involuzione cui le istituzioni del nostro Paese sono sottoposte da Meloni e dalla maggioranza di governo in tutte le sue articolazioni. Di seguito, trasferisco il disagio sociale che va maturando al caso della incredibile riedizione nazionale del ritorno al nucleare, anch’esso paradigmatico di una operazione eversiva sul piano democratico e culturale, condotta con spregiudicatezza da Pichetto Fratin e dalla Confindustria, al riparo del vento che gli “Hyperscaler” Usa delle Big Tech – Amazon, Google, Microsoft, Meta – assiemati dal Presidente Trump vanno soffiando sotto la specie accattivante dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

Innanzitutto, il ritorno del nucleare in Italia ha un aspetto paradossale: quello di un richiamo per entrare fra dieci, quindici anni nel club dei dipendenti dalle riserve di uranio, che sono sottoposte ai controlli delle alleanze militari e ledono l’autonomia energetica nell’epoca delle guerre mondiali a pezzi. Il governo gioca d’azzardo sulla mancanza di dibattito pubblico: regole per i nuovi impianti nucleari entro fino anno, fine del processo normativo nel 2025, già dal 2030 le prime autorizzazioni all’insediamento di reattori. Il ddl presentato il 23 gennaio 2025 nella relazione illustrativa rilancia gli scenari modificati nel Pniec, secondo i quali al 2050 l’atomo potrà coprire tra l’11% e il 22% della domanda, con 8-16 GW di capacità nucleare installata.

Una politica industriale miope si scuote con la riemersione delle vecchie lobby a partecipazione pubblica (Eni, Enel, Terna, Sogin), che tornano a dominare il panorama energetico italiano, dando fiato alle posizioni di Confindustria ispirate alla “neutralità tecnologica” giustamente posta in discussione dalla Cgil. L’ispirazione di fondo è che i data center delle compagnie di informatica possano diventare un segmento di mercato significativo per lo sviluppo di piccoli reattori nucleari e di reattori modulari avanzati (Smr e più in là Amr), magari da collocare direttamente nelle aziende e che non saranno in grado di fornire elettroni alla rete prima di quindici anni.

Lo sviluppo dell’IA, in definitiva, assume un ruolo rilevantissimo e funge da attrattore nella prospettiva di una rivalutazione del nucleare diffuso di piccola taglia, impunemente definito di “quarta generazione” (una specifica di innovazione e di sicurezza, non una particolare macchina, pur se ancora imprecisa nella definizione) anche quando quelle degli Smr sono solo innovazioni di riduzione delle dimensioni dei reattori della “terza” oggi in declino di realizzazione. L’accoppiata IA+Smr richiederebbe un aumento di consumi elettrici rilevante, dato che l’aumento medio per l’elaborazione e il raffreddamento dei sistemi ad apprendimento automatico è valutato dell’ordine del 43% in più rispetto agli analoghi sistemi di computazione tradizionale. Ad oggi si stima che i data center consumino già tra l’1 e il 2% dell’elettricità mondiale, ma l’ascesa di strumenti come ChatGpt e l’alleanza degli Hyperscaler statunitensi prevista da Musk innescano previsioni del consumo energetico globale che potrebbe aumentare decisamente e irreversibilmente.

Occorre poi considerare che la tecnologia in esame richiede un processo più lento di quanto non si dica, anche in ragione del fatto che l’eventuale processo normativo non ha tempi oggi prevedibili. Inoltre, nulla sappiamo della loro curva di apprendimento, mentre è nota quella delle rinnovabili con accumulo con cui dovranno competere e che sono invece l’effettivo bersaglio dell’agitazione pro-atomo.

Inoltre, oltre alla necessità di impiegare una percentuale di Uranio 235 più alta di quella usata nei grandi reattori (e quindi una procedura più vincolante per i fornitori sottoposti a controlli militari), per quanto riguarda i rifiuti e le dismissioni dell’impianto, l’incertezza oggi niente affatto dissipata dal mondo scientifico ostacola il processo decisionale a lungo termine. In effetti, in particolare per gli Amr, i combustibili previsti nel funzionamento sono spesso nuovi, il che significa che i rifiuti di combustibile esaurito sono poco compresi, in alcuni casi completamente sconosciuti e con aumenti di volume di prodotti di scarto molto preoccupanti, che richiedo costi ed oneri aggiuntivi. Per di più, oggi l’elettricità prodotta da nuove centrali nucleari in Europa (con le tecnologie mature esistenti) arriva a 170$/MWh, contro i 50$/MWh del fotovoltaico, stimata da una recente analisi, mentre il fotovoltaico con batterie ha già raggiunto un costo tra 60 e 108€/MWh, secondo il Fraunhofer Institute. Le nuove tecnologie nucleari come gli Smr produrranno a circa 90-110 €/MWh, se e quando raggiungeranno la maturità commerciale.

Non c’è ragione per una opzione nucleare in opposizione alle rinnovabili, oltre all’ideologia di crescita a tutti i costi di un nuovo capitalismo che inquina la democrazia. Il cosiddetto “nucleare sostenibile” è uno schiaffo alla nostra intelligenza e il dibattito che è necessario avviare sgombrerà il campo dall’equivoco.

L’articolo Perché il cosiddetto nucleare sostenibile è uno schiaffo alla nostra intelligenza proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

Eolico offshore, a Civitavecchia il governo preferisce la Puglia e reprime una lotta dal basso

Le guerre atroci che ci circondano stordiscono e l’asticella di sopportazione si sposta sempre un poco più in là, ma non possiamo tralasciare altre emergenze, anch’esse legate alla salute e alla sopravvivenza della nostra specie. L’Antropocene, purtroppo, si manifesta sotto la più colpevole incuria della terra e della biosfera tutta.

Per concentrarci su quanto accade da vicino, occorre denunciare come l’emergenza climatica in corso stia passando in secondo piano. Anzi, il governo in carica, nonostante la devastazione di interi territori nazionali, traffica per affari sottotraccia, piegando le aspettative e l’urgenza della riconversione energetica “verde” agli interessi delle vecchie lobby, rafforzate nelle loro pretese. E, come capita quando la partecipazione dei cittadini viene messa in secondo piano, si inventano “Piani Mattei”, pur di avere rigassificatori riforniti da GNL dall’Atlantico o da gasdotti trans mediterranei.

Intanto, si cambia in un baleno l’intero quadro di comando delle partecipate statali dell’energia e ci si allea con la Confindustria più retriva, pur di tener fede nel ritardo dell’installazione delle rinnovabili e nel mantenere una quota di gas e di nucleare al 2030. Un progetto assai rischioso, incompatibile coi tempi dell’emergenza climatica, giacché tradirebbe l’obbiettivo di 1.5°C, non eliminando a norma le combustioni fossili e rilasciando diffusamente rifiuti radioattivi letali.

Parto da Civitavecchia ancora una volta, per chiarire come la sconfitta – e quindi la sconfessione di un progetto maturato dal basso – sembra premere al governo di Meloni, Fitto e Pichetto Fratin. L’edizione barese di Repubblica il 29 settembre annunciava che “salgono sempre più le quotazioni della Puglia (con i porti di Taranto e Brindisi insieme) e della Sicilia (con Augusta) come sedi dei grandi hub per l’allestimento delle piattaforme per l’eolico offshore galleggiante”. Non sarebbe male, se fossero in aggiunta al porto laziale, che da lungo tempo ha annunciato la sua candidatura, prefigurando anche l’insediamento di aziende manifatture per l’offshore, con la copertura finanziaria di una joint venture europea già costituita per gli investimenti di 27 pale eoliche a 35 km al largo delle sue coste.

Evidentemente, il credito di Fitto e di alcuni parlamentari pugliesi (ma non solo) della maggioranza ha avuto un suo peso nel non prendere in considerazione il porto che è stato al centro di una partecipazione popolare, del mondo del lavoro e della ricerca.

Evidentemente, i nuovi manager designati nelle Aziende Partecipate dell’energia non nutrono alcuna autonomia dai ministri designatori (non c’è più uno Starace all’Enel!) e riscrivono tra di loro il nuovo PNIEC inviato a Bruxelles, che, nei loro intenti, rallenta le rinnovabili e le sostituisce con il nucleare, bocciato da ben due referendum, ma celebrato nella sua nuova veste di piccola taglia (150 MW tutt’ora non esistenti, ma già valutabili in termini di alto consumo e di rischio elevatissimo, se realizzati) adatta a alimentare i data center per l’intelligenza artificiale.

Pichetto Fratin, in una dichiarazione al Giornale del 24 agosto sfida i referendum e il buon senso: “La transizione energetica è impensabile – dice – senza la sfida del nucleare. anche perché l’’Intelligenza Artificiale contribuirà al raddoppio di energia al 2050”: Quindi, non basteranno le rinnovabili (che intanto sono tenute ferme da mille cavilli). Per perseguire una strategia così penalizzante delle rinnovabili occorre rimuovere in Confindustria Rebaudengo, il responsabile di Energia Futura: e questo è nell’aria.

Ben si capisce allora l’allarme che lancia Marco Piendibene, il nuovo sindaco di centrosinistra di Civitavecchia: “E’ incomprensibile il differente approccio del governo in situazioni paragonabili a quella di Civitavecchia – scrive il 2 ottobre a due deputati del territorio: Battilocchio di Forza Italia e Rotelli, di Fratelli d’Italia – quando invece la promozione delle ragioni di Civitavecchia nei contesti istituzionali nazionali chiede il giusto riconoscimento e supporto nei progetti strategici” che vedono coinvolta una popolazione che per anni si è mobilitata per una soluzione che liberasse il proprio territorio dalla schiavitù dei fossili. Il sindaco chiede, infine, “un incontro urgente per discutere tutte le iniziative che possano essere messe in atto al fine di portare le istanze del territorio all’attenzione di tutti i dicasteri interessati”.

Piendibene e i suoi cittadini sanno che la città potrebbe diventare un punto di riferimento nazionale per la transizione energetica e lo sviluppo delle energie rinnovabili, con la realizzazione di un hub integrato in grado di favorire la crescita economica e occupazionale, valorizzando le infrastrutture portuali e la centralità della sua posizione geografica nel Mediterraneo.

L’attenzione dell’opinione pubblica, una volta edotta, non potrà che richiedere un ruolo proattivo e non distaccato e sterile da parte del governo.

L’articolo Eolico offshore, a Civitavecchia il governo preferisce la Puglia e reprime una lotta dal basso proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

Giornata per l’eliminazione delle armi nucleari: il dono più grande per le prossime generazioni

Ci troviamo di fronte al più grande problema che l’umanità abbia mai affrontato: l’erosione e il possibile collasso dei nostri sistemi di supporto alla vita. Nella fase attuale, il pericolo nucleare, il cambiamento climatico e la distribuzione ineguale di ricchezza e reddito offrirebbero progetti per una partnership tra i potenti del mondo, che tutto il resto dell’umanità non potrebbe che condividere. Ma l’opinione pubblica viene distratta dall’obbiettivo centrale in questa fase: il diritto della pace da cui prendono vigore tutti gli altri diritti.

Perfino l’atomica non assume più categoricamente quel significato di deterrenza che aveva allontanato l’immagine della catastrofe per tutta la guerra fredda e dopo gli eventi terribili di Hiroshima e Nagasaki. Al contrario, il segno della fase in corso è purtroppo quello del conflitto armato e senza sbocco: chi è contro la guerra – cui la crisi climatica fa da contorno – viene giudicato come un antagonista, a prescindere da come sappia inquadrare, comunicare e rendere credibili i propri appelli. Viene così sfuocata insistentemente l’immagine della catastrofe che – una volta precisata – dovremmo cercare con più forza di evitare, in vista della definitiva perdita del nostro pianeta.

Per non lasciare spazio alla credibilità (etica e politica) dell’idea ancora predominante dello scontro armato come fatto naturale e inevitabile che, pur di giungere alla vittoria, ricorre al genocidio, alle distruzioni più immani, alla legittimazione di armi sempre più potenti come gli ordigni nucleari, occorre farne comprendere l’assoluta inutilità, data la non riparabilità delle distruzioni che esso può creare, soprattutto nell’ambito della vita. Di fronte alla guerra, la pratica predominante è quella di credere di poter stare da una parte o dall’altra. A mio avviso, dobbiamo sempre prendere posizione “contro la guerra” ed essere assolutamente intransigenti quando viene portato sulla scena il ricorso al nucleare.

Il 26 settembre di ogni anno costituisce la giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari. Il 2024 deve fornire l’occasione perché questa ricorrenza – istituita nel 2013 dall’Onu – faccia accrescere la consapevolezza sui costi sociali, economici e di sicurezza che gli arsenali nucleari comportano e sui concreti benefici che deriverebbero dal loro completo smantellamento.

Il disarmo nucleare è un obiettivo cruciale delle Nazioni Unite, già al centro della prima Risoluzione dell’Assemblea Generale nel 1946. La sua discussione è stata poi ampliata nel corso delle conferenze che si sono tenute sin dal 1975 e che hanno portato gli Stati membri a siglare il Trattato di non proliferazione nucleare. Già nel 1978 si è tenuta la prima Sessione Speciale sul disarmo dell’Assemblea Generale.

Più della metà della popolazione mondiale vive in Paesi dotati di armamenti nucleari o che fanno parte di alleanze nucleari. La comunità internazionale è quasi unanime nel condividere l’obiettivo di un mondo privo di armi atomiche; tuttavia, come si è evidenziato durante i lavori del Summit sulla Sicurezza Nucleare svoltosi lo scorso aprile a Washington, permangono dissensi in merito a modalità e tempistiche per raggiungere questo traguardo.

Ican, International campaign to abolish nuclear weapons, ha lanciato una settimana di mobilitazioni contro la spesa per le armi nucleari dal 16 al 22 settembre: una spesa che nel 2023 è salita a 91,4 miliardi di dollari. In Italia – Paese che ospita una parte dell’arsenale degli Stati Uniti- aderiscono anche la Rete Pace e Disarmo e la campagna Senzatomica (v. Martina Ferlisi su “Sbilanciamoci” dell’11 settembre 2024). Ican – insignita del Premio Nobel per la pace nel 2017 – è una coalizione di più di 600 organizzazioni in cento Paesi, impegnata nella lotta per l’abolizione delle armi nucleari e nella promozione per la firma del Trattato per la loro proibizione (Tpnw), approvato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 e attualmente ratificato da 70 nazioni, tra cui non c’è l’Italia.

La settimana di mobilitazione sarà l’occasione per organizzare momenti di confronto e webinar in collaborazione con Ican stessa, pubblicare materiale di approfondimento e rilanciare i dati della campagna internazionale, focalizzandosi sul nostro Paese.

Per l’occasione, il presidente dell’Onu Antonio Guterres, profondamente turbato dagli eventi ucraini e in Medio Oriente, ha mandato un forte messaggio, che va perseguito in iniziative le più efficaci possibili e introiettato nelle coscienze a livello di massa: “Il dono più grande che potremmo fare alle prossime generazioni sarebbe quello di eliminare le armi nucleari. Il 26 settembre impegniamoci a creare un nuovo mutuo accordo al fine di disinnescare definitivamente la minaccia atomica e raggiungere il nostro obiettivo comune di pace”.

L’articolo Giornata per l’eliminazione delle armi nucleari: il dono più grande per le prossime generazioni proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

Reattori nucleari offshore: l’ennesimo tentativo di giustificare il rilancio dell’atomo

Milano Finanza del 5 settembre annuncia un accordo tra Saipem e Newcleo: verso soluzioni nucleari sostenibili per il settore offshore. La collaborazione tra le due sigle sarebbe volta a individuare soluzioni innovative per l’applicazione offshore della tecnologia nucleare galleggiante per la produzione di “energia elettrica a zero emissioni”. L’articolo, curato da Francesca Gerosa, usa accuratamente e più volte il termine rassicurante di reattori modulari nucleari di bassa taglia “a zero emissioni”.

I piccoli reattori modulari, ormai sulla bocca quotidianamente del ministro Pichetto Fratin, proprio non esistono in produzione, anche perché la loro eventuale realizzazione comporterebbe due terrificanti conseguenze: distogliere investimenti dalle rinnovabili già efficienti e disponibili alla bisogna e disseminare per il mondo scorie nucleari che, anche in caso di minori incidenti, dovrebbero essere movimentate in ogni angolo del pianeta, con il rischio di venire addirittura disperse anche in mare.

Si spiega che la tecnologia illustrata tra le righe dell’articolo di Milano Finanza trarrebbe vantaggio da una maggiore efficienza nell’utilizzo dell’uranio estratto rispetto ad altri tipi di reattore convenzionali a fissione, grazie al riutilizzo del combustibile esausto utilizzato da altri impianti posti a terra. In definitiva, siamo di fronte ad un incauto tentativo di giustificare un ancor più massiccio rilancio dell’atomo. Infatti, si genererebbero potenza e calore cullati direttamente dalle onde e investiti dalle tempeste, colonizzando non più solo le terre abitate, ma i mari solcati da pescatori, viaggiatori, navi da crociera, enormi navi containers che certo non potrebbero creare facilmente azioni di opposizione o contrasto organizzato lontano dalla terraferma a questo incredibile “ballon d’essai”.

Questa disseminazione di small nuclear reactors, secondo Stefano Buono, ceo di Newcleo, permetterebbe anche di “ridurre l’impatto ambientale delle operazioni offshore del settore oil & gas, migliorando l’efficienza energetica e promuovendo la sostenibilità a lungo termine, ma anche di progettare delle centrali di produzione elettrica offshore, che possano fornire elettricità decarbonizzata a terra”. Quindi Oil & Gas continuerebbero a prosperare: altro che tagliare le emissioni di CO2 al 2050! E, in aggiunta, uranio 235 arricchito oltre il 5% all’interno di noccioli nucleari di ridotta dimensione, ma sparsi in ogni dove e, soprattutto lontano dagli occhi dei cittadini che – come ha appena affermato ancora una volta accortamente papa Francesco – hanno a disposizione fonti inesauribili di energie sostenibili e modalità di cooperazione e riduzione degli impatti ambientali attraverso la costituzione delle comunità energetiche. In fondo non sarebbe male se Saipem si occupasse dell’eolico galleggiante di Civitavecchia, il cui progetto langue nei cassetti romani.

Provo un grande disagio nel veder sottovalutate dalla gran parte dei governi e da buona parte del mondo delle imprese soluzioni che cercano di contrastare – come ad esempio quelle fornite dal green deal Ue, oggi in corso di sconvolgimento – le emergenze che potrebbero por fine alla sopravvivenza umana (il nucleare, l’estensione senza fine delle guerre, l’ingiustizia sociale sempre più acuta, la catastrofe climatica che incrociamo tutti i giorni, la precaria controllabilità dell’IA). Al contrario, si sta rincorrendo, con un’urgenza fuori posto e senza speranza di un condivisibile successo, tecnologie che manifestano fin dal loro concepimento una palese contraddizione rispetto al prosperare della salute e della vita e alla crescita della maturità democratica. Un diritto alla vita e un’occasione di partecipazione che vanno spegnendosi con il progredire di un Antropocene in irreversibile contrasto con la biosfera e la convivenza pacifica.

L’articolo Reattori nucleari offshore: l’ennesimo tentativo di giustificare il rilancio dell’atomo proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

Le guerre in presenza di impianti nucleari sono un nuovo rischio per la sicurezza

C’è una coincidenza non casuale tra gli Stati che si sono dotati dell’arma atomica e la presenza sul proprio territorio di reattori nucleari civili: il ciclo dell’uranio militare è integrato col funzionamento di centrali in cui la fissione è tenuta sotto controllo con le apparecchiature e i software più sofisticati per ridurre il rischio di incidenti catastrofici. Militare e civile si sono sviluppati di pari passo in tempo di pace, ma in tempi di guerra permanente, il rilancio del nucleare civile deve prendere in considerazione risvolti che già si sono rivelati inquietanti.

Nessuna delle potenze in campo nella “guerra grande” potrebbe impunemente annunciare di voler risolvere lo scontro con il ricorso all’impiego dell’ordigno nucleare. Anche se tra di loro la sola Cina esclude l’uso del “first strike” – un “primo colpo” – con un attacco preventivo e a sorpresa con l’impiego dell’atomica, è pur vero che sia in Ucraina che in Israele e Iran esistono grandi impianti nucleari civili, la cui fusione e dispersione catastrofica potrebbe essere provocata da un loro bombardamento con potenti e mirate armi convenzionali. Un first strike dissimulato, a cui seguirebbe una risposta annientatrice su scala globale: un Armadeggon imprevisto.

Ira Helfand, noto medico antinuclearista dell’Università del Massachusetts, ritiene che più volte il Pentagono abbia simulato l’uso di armi nucleari tattiche per innescare a sorpresa una guerra nucleare, che finirebbe col risultare totale e che un procedimento simile sia stato preso in conto anche dai comandi russi e dal gabinetto di guerra di Netanyahu, oltre che dall’Iran. Mai, come nella fase attuale, siamo stati vicini a questa spaventosa eventualità, ma, per buona sorte, abbiamo solo sfiorato ipotesi tanto esiziali per l’umanità.

Eppure, nella constatazione che le guerre in corso non possano finire con la vittoria assoluta di una parte e l’annientamento dell’altra, sta prendendo piede la tentazione di agitare in modo indiretto la minaccia atomica, attraverso una pressione inusitata sui reattori e gli impianti civili, portandoci, alla fine, dentro vicoli ciechi strategici, che avrebbero egualmente, come conseguenza, l’innesco di uno scambio di testate nucleari in un conflitto globale.

Ho trattato nel post precedente all’attuale la questione degli insensati attacchi – attribuiti ora all’una ora all’altra parte in conflitto – alla centrale ucraina di Zaporizhzhia, la più potente nel nostro continente. Pur non essendo più in funzione i suoi sei reattori, tutta l’enorme carica di materiale radioattivo contenuto nei noccioli e nei depositi potrebbe essere rilasciata e dispersa a seguito del lancio di potenti testate montate su droni o bombardamenti penetranti con esplosivo tradizionale.

E’ la prima volta nella storia che una guerra con armi avanzatissime si sta svolgendo in presenza di impianti e infrastrutture nucleari, ponendoci di fronte ad un nuovo tipo di rischio per la sicurezza. Nelle ultime settimane le strutture ausiliarie della centrale sono state colpite e, se anche a partire dal 13 aprile, tutti e sei i reattori erano in arresto a freddo, c’è ancora la possibilità di un grave incidente dovuto ad un sabotaggio intenzionale volto a causare un rilascio radioattivo. Questo è il grido d’allarme lanciato all’Onu dal segretario dell’Aiea Daniel Grossi.

L’analogia con Chernobyl è tutt’altro che campata in aria: anzi, date le condizioni feroci di combattimento, l’inadeguatezza dei soccorsi farebbe paradossalmente parte – da qualunque dei due confliggenti fosse innescata – di un’azione della più atroce guerra nucleare, e costituirebbe la premessa per un “first strike” dissimulato. Non accadrà, ma non viviamo in un’epoca usuale.

Anche nell’altra “guerra grande” in corso in Medio Oriente, l’attacco israeliano a Isfahan – sede di impianti nucleari iraniani – per quanto a livello dimostrativo, ma assai allusivo nel suo significato, segnala una strategia bellica che non avevamo mai messo in conto come aspetto ordinario: minacciare un incidente ad un sito nucleare, con tutto il corollario di accessori attinenti al ciclo di arricchimento del materiale fissile.

Ciò comporterebbe effetti terribili, in quanto aumenterebbe considerevolmente la probabilità di una risposta di ritorsione da parte di Teheran, che colpirebbe luoghi sensibili nel territorio israeliano, possibilmente estendendosi agli interessi americani e giordani nella regione, oltre a fornire agli ayatollah la motivazione per progredire verso lo sviluppo di bombe atomiche.

Non possiamo dimenticare che la densità energetica di cui sono dotati i reattori civili, sebbene adeguatamente moderati durante il loro funzionamento e controllati lungo il loro ciclo di vita, è di un ordine di grandezza non molto inferiore da quello delle testate nucleari e che, se venisse sprigionata simultaneamente in un’azione di guerra, innescherebbe un effetto catastrofico.

A maggior ragione, quindi, e a partire da queste realtà sotto i nostri occhi, evapora definitivamente il concetto di “guerra giusta”, dato che il suo esito concreto risulterebbe nell’annientamento non tanto del nemico, ma, anche a seguito di inevitabili ritorsioni, dell’esistenza su larga scala dell’intero vivente. Nessuno può plausibilmente trarre utilità o ottenere alcun vantaggio militare o politico da attacchi contro gli impianti nucleari: solo una de-escalation di fatto e per via diplomatica può tener testa al pericolo che incombe.

Come si giustifica allora l’invio di armi sempre più potenti e precise ai contendenti “amici” da parte di un Occidente che mantiene pressoché secretate centinaia di testate perfino a Ghedi e Aviano? E come potrebbe la Russia pretendere di riavviare per sé la centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, resa insicura dalle azioni di guerra e di conquista, senza un piano di manutenzione per il 2024 e, per di più, minata dalla mancanza di acqua di raffreddamento del bacino idrico ormai esaurito posto dietro la diga di Kakhovka sfondata a colpi di mortaio?

Ali Alkis sul Bulletin of the Atomic Scientists (newsletter@thebulletin.org del 17 aprile) lamenta che l’Aiea terrà la sua Conferenza internazionale sulla sicurezza nucleare a maggio per rilanciare il “nuovo nucleare civile”, ma non dedicherà nemmeno una sessione alla protezione degli impianti nucleari nelle zone di conflitto! Non una dimenticanza, ma, temo, un’azione altamente imprevidente.

L’articolo Le guerre in presenza di impianti nucleari sono un nuovo rischio per la sicurezza proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi