Archivi categoria: Mario su Il Fatto Quotidiano

Ucraina, gravi rischi per la centrale nucleare di Zaporizhzhia: non se ne parli irresponsabilmente

Uno sterminio nell’unità di tempo (110mila morti all’istante) tanto intenso si è verificato ad opera umana solo 77 anni fa, alla conclusione della seconda guerra mondiale, con l’inutile (oserei dire “gratuito”, ma anche questo termine lacera ogni coscienza) massacro di due popolazioni giapponesi ormai vinte, quasi a marchiare quanto il ricorso al nucleare trascenda la convivenza e possa avere a destino, a questo punto, perfino la fine del nostro mondo. Eppure, non solo i governanti, ma la stessa opinione pubblica mondiale continua a sottovalutare, se non addirittura a ignorare, la minaccia atomica.

La guerra in Ucraina oggi ripropone d’attualità questo rischio efferato. Il territorio di quel Paese è disseminato di 15 reattori nucleari. A Zaporizhzhia, sulle rive del fiume Dnepr e in piena zona di guerra, è in funzione l’impianto nucleare di maggior potenza in Europa con ben sei reattori da 950 MWe ciascuno.

E’ noto come le centrali nucleari siano tra le installazioni più complesse e soggette a rischio. Per mantenerle operative e al riparo da danni dovute alle reazioni radioattive incontrollate, occorre che le garanzie – necessariamente sovrabbondanti – previste in fase di progettazione degli impianti vengano mantenute inalterate in tutte le fasi di operatività e in qualsiasi condizione. A Zaporizhzhia la guerra in corso non solo lambisce la centrale, ma rende del tutto precaria la disponibilità di risorse in grado di contrastare un incidente catastrofico.

Una centrale nucleare operativa richiede in ogni momento la fornitura di elettricità alle pompe di alimentazione e la fornitura di acqua adeguate per raffreddare il combustibile nucleare, sia nel reattore che nell’adiacente vasca di combustibile nucleare esaurito. Sia una eventuale fusione del nocciolo, sia la reazione chimica altamente esotermica nella vasca provocherebbero il rilascio di un volume molto elevato e micidiale di radioattività. E’ quanto è già avvenuto a Fukushima, dove vi è stata sì fusione del nocciolo, ma, casualmente e fortunatamente, la vasca è rimasta coperta da un sufficiente strato d’acqua in ebollizione, evitando che l’incidente fosse ancora più spaventoso.

In una guerra come l’attuale condotta da mesi a colpi di artiglieria pesante e a lanci di missili e con il rifornimento continuo di armi sempre più micidiali, una centrale nucleare è molto vulnerabile a un’interruzione dei sistemi di supporto, sia di energia elettrica, sia di acqua di raffreddamento: in tal caso, centinaia di lavoratori e mezzi speciali a soccorso dovrebbero poter raggiungere l’impianto da vicino: il che, evidentemente, non è fattibile in circostanze belliche. Ogni interruzione tecnica, per qualsiasi motivo, potrebbe richiedere un’importante operazione logistica a livello nazionale che sarebbe gravemente compromessa dalle esplosioni intorno alla centrale.

Lo spettro di gravi rischi per la più grande centrale nucleare d’Europa è diventato nelle ultime settimane purtroppo molto attuale. E non riguarda solo il danneggiamento e la fusione delle barre di uranio, ma la struttura di stoccaggio di combustibile esaurito (2.204 tonnellate secondo uno studio di Greenpeace). Il Consiglio di Sicurezza Onu dell’11 agosto ha condannato i bombardamenti avvenuti venerdì e sabato nei pressi della centrale e Guterres ha chiesto “alle forze armate della Federazione Russa e dell’Ucraina di interrompere immediatamente qualsiasi operazione militare”, mentre continua lo scaricabarile tra Mosca e Kiev sulla responsabilità degli attacchi.

A chiedere un incontro urgente al Palazzo di Vetro sull’incolumità del sito era stata proprio la delegazione russa guidata dall’ambasciatore Vasilij Nebenzja, che ha inoltre sollecitato una missione dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) presso l’impianto nel più breve tempo possibile.

Ora c’è da chiedersi: chi tra i belligeranti (Ucraina e Russia) ha diritto di lanciare accuse su un possibile responsabilità di disastro nucleare in seguito ad operazioni belliche? La centrale è da tempo condotta da tecnici russi che hanno sostituito il personale ucraino per “assicurare maggiore protezione”. Mi risulterebbe strano dal punto di vista strategico o semplicemente razionale assumere un compito e poi renderlo vano consapevolmente con rischi tutt’altro che improbabili di una estensione del disastro ben al di là degli occupanti (russi!) e delle regioni limitrofe ucraine, del Donbass ed oltre. Viene poco ricordato come l’impianto fornisca energia non solo alle zone “filorusse”, ma anche alla Crimea e che quindi l’occupazione abbia un po’ il senso di una “preda di guerra” da scambiare, arrivati alla augurabile cessazione del fuoco, sul tavolo delle trattative.

Ma la questione, terrificante per la sua portata catastrofica, non si limita alle parti in conflitto diretto: sono spariti dall’orizzonte della discussione la voce e l’interesse di Francia e Germania, che pure avevano mantenuto relazioni d’appoggio alle agenzie russe produttrici di materiale fissile nella trattativa Ue per la tassonomia verde affibbiata anche a gas e uranio. Forse il relativo silenzio su Zaporizhzhia fa parte di una intesa generale per il rilancio del nucleare, a cui non si sono sottratti nemmeno gli Stati Uniti, che non hanno applicato alcuna sanzione alle esportazioni di materiale fissile fuori dalla Federazione russa.

Dobbiamo sollevare un grande allarme: un paese nucleare è in guerra, altri parlano di atomiche tattiche, negli Usa tornano i filmati del terrore post-atomico, centrali nucleari sono sulla linea di tiro. I negoziati per il disarmo non hanno fatto passi avanti e la guerra ucraina ha creato l’occasione per rimettere sul tavolo l’idea che testate nucleari “piccole” potrebbero essere usate al fronte. Pura follia, ovviamente, mentre ci sono leader mondiali che parlano di questo argomento in modo approssimativo e irresponsabile, senza considerare l’effetto devastante e permanente – “transtorico”, direi – che l’uso di testate nucleari avrebbe sulla popolazione e sulla vita dell’ambiente.

L’articolo Ucraina, gravi rischi per la centrale nucleare di Zaporizhzhia: non se ne parli irresponsabilmente proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

Tassonomia verde, il Parlamento Ue ha tradito il clima e i cittadini

Il 6 luglio 2022 il Parlamento Europeo si è prestato a una mistificazione che sa di scandalo: non respingendo l’atto delegato della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, nella sessione plenaria ha tradito il clima e i cittadini, approvando a maggioranza una serie di norme sulla finanza sostenibile che convoglieranno miliardi di euro in attività che, accelerando il cambiamento climatico, danneggeranno il pianeta e la vita delle nuove generazioni.

Grandi manifestazioni e centinaia di migliaia di firme in tutta Europa avevano esortato i loro europarlamentari a respingere un “greenwashing” coperto da aiuti pubblici e facilitazioni finanziarie.

L’inclusione del gas fossile nella tassonomia dell’Ue crea un serio pericolo di contrasto con altre leggi dell’Ue, in particolare con gli obblighi previsti dall’Accordo di Parigi, dalla Legge europea sul clima, dal Green New Deal malamente azzoppato.

Con questo atto delegato la direzione è ora segnata, benché l’inclusione di gas e nucleare sia limitata nel tempo e dipenda da condizioni specifiche e requisiti di trasparenza, che quasi sempre rimangono a discrezione delle aziende. Inceneritori, cogeneratori a gas per teleriscaldamento e teleraffreddamento, nuove centrali nucleari e un loro prolungamento del ciclo di vita sono ritornati prepotentemente in gioco e potranno quindi ricevere finanziamenti da parte degli investitori con grande soddisfazione delle lobby energetiche che operano alacremente a Bruxelles.

L’impegno dell’Europa per i cambiamenti climatici rimane invariato: è ancora obbligatorio ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento nel 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, in linea quindi con la legge europea sul clima… almeno sulla carta e con l’ipocrisia che caratterizza ogni contraddizione con gli obiettivi di ecologia integrale.

A votare contro l’inclusione delle due fonti energetiche in tassonomia sono stati 278 eurodeputati. La maggioranza necessaria per bloccare il progetto della Commissione guidata da Ursula von der Leyen era fissata a 353. Greenpeace ha annunciato che intraprenderà un’azione legale contro la Commissione europea. L’associazione ambientalista ha specificato che prima richiederà formalmente una revisione interna. Se il risultato di questa sarà ancora negativo, allora la causa verrà presentata davanti alla Corte di giustizia europea. Ora la discussione passa al Consiglio europeo. Se neanche il Consiglio respingerà la mozione, l’atto delegato sulla tassonomia entrerà in vigore il 1° gennaio 2023. Anche l’associazione “A Sud” ha promosso una campagna legale contro lo Stato italiano, intitolata Giudizio Universale, accusandolo di inazione nei confronti della crisi climatica in corso.

La maggioranza “Ursula” si è però spaccata a metà e anche quella che in Italia sostiene il governo Draghi è divisa. A votare per il rigetto dell’atto delegato sono stati Verdi, Sinistra e S&D. Per mantenere l’atto delegato hanno votato invece Ppe, Ecr, Id e la maggioranza del gruppo Renew. I voti in dissenso nel Ppe sono stati 36, quelli nei socialisti 21.Tra gli italiani Pd (compatto nel voto), M5S e Verdi hanno votato per il rigetto, FI, Fdi, Lega e Iv hanno invece votato a sostegno.

In assenza di una politica che sappia davvero ascoltare e dare seguito alle istanze ambientali, la strada giudiziaria è sempre più percorsa. Ma affinché la partita non sia chiusa occorre una volontà politica degli stati e dei governi, sorretta da una coscienza popolare e da un vasto movimento politico che non si rassegni a sopportare che profitti, capitale e riarmo soffochino le prospettive di vita e l’urgenza di cura del pianeta. Un folto gruppo di ragazze e ragazzi presidiava da due giorni il parlamento a Strasburgo. E’ ora che una adeguata mobilitazione calchi anche le vie e le piazze di un Paese dalle cui montagne si staccano inesorabilmente i ghiacciai.

L’articolo Tassonomia verde, il Parlamento Ue ha tradito il clima e i cittadini proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

La Commissione Ue vara un regolamento storico per rimettere in salute gli ecosistemi poveri

Con la sua proposta di regolamento dell’Ue sul ripristino della natura, presentata mercoledì 22 giugno, la Commissione europea definisce un quadro di obblighi per consentire agli ecosistemi poveri d’Europa – l’80% di essi – di ritrovare la loro salute e riportare la natura nel continente. Questa proposta è storica in quanto affronta la perdita di biodiversità per la prima volta in 30 anni, fissando obiettivi vincolanti per il ripristino di almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e di tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.

Intende così rispondere all’urgenza di agire per evitare il rischio di estinzione di un milione di specie se non si interviene – un campanello d’allarme lanciato 3 anni fa dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) – “l’IPCC della biodiversità”. In tal modo, soddisfa un requisito della strategia dell’Ue sulla biodiversità per ripristinare tutti gli ecosistemi danneggiati. La presentazione del futuro regolamento Ue, inizialmente prevista per il 23 marzo, è avvenuta in un momento in cui a Nairobi sono ripresi i negoziati su un quadro ambizioso per la biodiversità globale. “La scienza è molto chiara: è la perdita di biodiversità che minaccia la nostra sicurezza alimentare. Questo regolamento non risolverà tutti i problemi, ma abbiamo bisogno della natura per sopravvivere e, per sopravvivere, la natura ha bisogno di noi per raddoppiare i nostri sforzi”, ha affermato il vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Frans Timmermans.

Esiste un legame stretto con la lotta al cambiamento climatico. Secondo la valutazione d’impatto, ecosistemi più sani e più ricchi di biodiversità portano a risultati significativamente migliori in termini di mitigazione dei cambiamenti climatici, prevenzione dei disastri, qualità dell’acqua, aria pulita, suoli più sani e benessere generale. Come obiettivi specifici si individuano:

1) zone umide (costiere e interne);
2) praterie e altri habitat pastorali;
3) habitat fluviali, lacustri, alluvionali e ripariali;
4) foreste;
5) habitat di steppa, brughiera e macchia;
6) habitat rocciosi e dunali.

Come azioni si propongono:

– Invertire il declino delle popolazioni di impollinatori (api) entro il 2030 e aumentare le loro popolazioni da lì in poi;
– Nessuna perdita netta di spazi verdi urbani entro il 2030, un aumento del 5% entro il 2050, un minimo del 10% di copertura arborea in ogni città, paese e periferia europea e guadagno netto di spazio verde integrato a edifici e infrastrutture;
– Negli ecosistemi agricoli, aumento generale della biodiversità e una tendenza positiva per le farfalle dei prati, gli uccelli dei terreni agricoli, il carbonio organico nei suoli minerali dei terreni coltivati ​​e le caratteristiche paesaggistiche ad alta diversità sui terreni agricoli;
– Ripristino e riumidificazione delle torbiere drenate ad uso agricolo e nei siti di estrazione della torba;
– Negli ecosistemi forestali, aumento generale della biodiversità e trend positivo per la connettività forestale, deadwood, quota di foreste irregolari, uccelli forestali e stock di carbonio organico;
– Ripristino di habitat marini come fanerogame marine o fondali di sedimenti e ripristino degli habitat di specie marine iconiche come delfini e focene, squali e uccelli marini;
– Rimozione delle barriere fluviali in modo da trasformare almeno 25 000 km di fiumi in fiumi a flusso libero entro il 2030.

Gli Stati membri dovranno sviluppare piani nazionali di restauro in stretta collaborazione con scienziati, parti interessate e pubblico. Per tener conto delle specificità nazionali, “non sono previste misure, ma gli obiettivi saranno vincolanti. Gli Stati membri avranno un ampio margine di manovra per quanto riguarda l’ordine delle priorità, le misure da adottare e gli strumenti da utilizzare”. Un quadro davvero innovativo e interessante, del tutto stridente con l’accanimento al ricorso alle armi in guerre in estensione anche al di là dei confini europei.

L’articolo La Commissione Ue vara un regolamento storico per rimettere in salute gli ecosistemi poveri proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

La guerra che rincorre i fossili, rallenta le rinnovabili e arricchisce Big Oil

Con il trascorrere dei giorni, la guerra in Ucraina non mostra soltanto lo spettro più atroce di enormi sofferenze ed i profitti odiosi dell’apparato militar-industriale, ma, nella follia che l’accompagna, rende evidenti enormi e calcolati interessi che stravolgono i mercati degli alimenti, dei combustibili e delle materie prime, mentre viene dilazionata in modo drammatico la conversione ecologica per combattere l’ingiustizia sociale e il cambiamento climatico. Su quest’ultimo aspetto e sulle politiche europee e nazionali al riguardo mi voglio qui soffermare.

Per ottenere il sostegno dei socialisti e dei liberali, Ursula von der Leyen si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra dell’Ue al 55% entro il 2030. Ora, il Partito popolare europeo (PPE) sostiene che la guerra in Ucraina renderà più difficile l’obbiettivo previsto e che gli inquinatori industriali dovranno avere più libertà di azione. Così, il centro-destra sta minacciando di far naufragare una riforma cruciale del mercato del carbonio, rischiando di far deragliare le ambizioni climatiche dell’Ue. L’eurodeputato francese Pascal Canfin ha riferito ad Euractiv che “Se sommiamo tutti gli emendamenti del PPE sui quattro testi in esame al Parlamento, non raggiungiamo il 55%”.

Molti sospettano che il PPE ricada nelle vecchie abitudini e difenda gli interessi delle industrie inquinanti coperte dal sistema per lo scambio di quote di emissioni (ETS). Dietro questa posizione c’è la volontà di acquisire nuove quote di carbone e metano provenienti da Australia, Qatar e Stati Uniti dopo le sanzioni sulla Russia.

Di contro, undici ex commissari dell’Ue, tra cui Romano Prodi, hanno inviato una lettera congiunta alla Commissione europea, martedì 3 maggio, chiedendole “una profonda trasformazione del sistema (energetico) verso idrogeno e rinnovabili” e “di garantire che le azioni a breve termine per allontanare l’Ue dalla dipendenza dai combustibili fossili russi non finiscano col costringere l’Ue ad una rovinosa dipendenza dai combustibili fossili da altri paesi”. Inoltre, invitano la Commissione a ritirare il suo progetto di atto delegato complementare per includere il gas fossile nella tassonomia dell’Ue come attività transitoria”.

In questo quadro in cui le destre europee si ergono a difesa delle multinazionali del settore Big Oil, è in corso una inversione rilevante dovuta alla pressione crescente degli investitori (i grandi fondi istituzionali in particolare) verso la transizione a fonti energetiche meno dannose per l’ambiente e il clima globali, con una spinta particolare verso eolico, fotovoltaico e idrogeno verde.

La risposta delle imprese fossili per eccellenza – come spiega Nicola Borzi su il Fatto Quotidiano del 9 maggio – sta nell’aumentare il rendimento del capitale per mantenere l’appeal delle proprie azioni. E qui viene in soccorso la guerra, ovviamente non per tutti in egual misura. Il conflitto in Europa orientale per ora ha stabilizzato i costi del petrolio in una fascia che oscilla intorno ai 110 dollari al barile, con un rialzo del 60% nell’ultimo anno. A questi valori, le imprese del settore realizzano enormi utili industriali. Sette delle più grandi multinazionali del greggio in media hanno triplicato i profitti netti rispetto a un anno fa. L’Eni li ha aumentati addirittura di dieci volte, da 0,3 a 3,3 miliardi di dollari. La statunitense Chevron li ha più che quadruplicati a 6,3, la francese Total li ha triplicati a 9 miliardi.

Le armi trasferite all’Ucraina dai Paesi Nato, da Canada e soprattutto Stati Uniti consumano ingenti quantità di fossili e, mentre attaccano pesantemente il clima, mantengono alti i prezzi dei combustibili, a qualsiasi costo, da attribuirsi non solo all’estrazione, ma, in aggiunta, ai trasporti via nave, alla rigenerazione di vecchi metanodotti, al costo della liquefazione del gas e dell’allestimento di impianti di rigassificazione nuovi “di pacca” alle banchine dei porti europei.

Washington immetterà sul mercato in media un milione di barili in più al giorno, spesso di provenienza da gas di scisto, destinati, dopo liquefazione e trasporto transoceanico ai moli del Mediterraneo e del Baltico. Con la guerra in Ucraina il gas naturale liquefatto (Gnl), a oggi, è l’unica fonte disponibile in tempi rapidi (ma a prezzi molto più alti) per liberarsi dalla dipendenza verso Mosca. Così, l’import di Gnl è cresciuto del 28% su base annua da gennaio a fine aprile mentre il consumo di gas in Europa è diminuito del 6%.

E da noi? Si suppone che, data l’esposizione naturale dell’Italia, ci sia una rincorsa alle rinnovabili. Invece, per quel che si sa, Snam è alla ricerca dell’acquisto di due navi metaniere nuove, una delle quali per metanizzare la Sardegna!

Intanto, la Commissione europea ha pubblicato martedì 3 maggio un rapporto che mostra progressi contrastanti nell’attuazione della direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo, che richiede a 22 Stati membri costieri di produrre piani dello spazio marittimo entro il 31 marzo 2022. Sebbene la maggior parte degli Stati membri costieri abbia ora un piano di questo tipo, secondo il rapporto otto paesi (Estonia, Spagna e Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Italia e Romania) non hanno compiuto progressi sufficienti. (V,https://aeur.eu/f/1go(LC)

E allora, mi domando, l’OK all’eolico galleggiante a Civitavecchia, in quale corridoio ministeriale si è perso?

L’articolo La guerra che rincorre i fossili, rallenta le rinnovabili e arricchisce Big Oil proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi

Chernobyl, ricordo a chi sventola l’atomo come soluzione che il nucleare è per sempre

Era il 26 aprile 1986 quando il reattore numero quattro di Chernobyl esplose. Fu una catastrofe, il più grave incidente nucleare della storia. Una ferita non rimarginata, dopo 36 anni, anche se il territorio non appare più come un deserto post apocalittico, perché è sede di una riserva naturale creata per isolare i resti della struttura. Ma l’isolamento è stato rotto nientemeno che dalla guerra: sono entrati i soldati russi e i mezzi corazzati di entrambi i contendenti, evocando lo spettro di un conflitto in cui la radioattività avrebbe spalancato scenari da incubo.

Sono 15 i reattori nucleari situati in Ucraina e rappresentano un elemento di
ulteriore preoccupazione nell’infuriare dei combattimenti. L’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, aveva lanciato l’allarme: “Abbiamo perso i contatti con la centrale nucleare di Chernobyl”. ma gli operatori della centrale hanno scollegato l’impianto nucleare dalla rete, tamponando il possibile rilascio di sostanze radioattive nell’aria.

Gli scenari, comunque, non sono confortanti. Secondo l’operatore nucleare ucraino lo stop all’energia impedirebbe “potenzialmente il raffreddamento del combustibile nucleare esaurito sepolto sotto una coltre di metallo e cemento. Purtroppo, Chernobyl o Fukushima o Zaporizhzhia (la più grande centrale nucleare d’Europa, anch’essa teatro di guerra) ci ricordano che il nucleare è per sempre, in contrasto con una narrazione che è ripresa nella crisi in corso e che vorrebbe convincerci che l’atomo potrebbe essere la soluzione dei problemi energetici.

L’orrore della guerra in Europa richiama in modo angosciante l’illusione di avere a disposizione energia densa e concentrata non solo a fini irreparabilmente distruttivi (le bombe), bensì governata con tecnologie che offrano autonomia energetica in un quadro geopolitico dato in grande mutamento (i reattori nucleari sono possibili obiettivi di missili e bombe). La relazione tra la densità energetica e il tempo entro cui la natura e la vita possono disperdere gli effetti deleteri di una trasformazione prodotta artificialmente dall’uomo fa rifletter come, su tempi storici, la fissione e la fusione di nuclei atomici, pur in uno spazio ristretto, corrispondano alla combustione istantanea di decine di migliaia di tonnellate di carbone o alla caduta da grandi altezze di enormi masse d’acqua: una prospettiva che, messa sotto questi termini di paragone, metterebbe in discussione la responsabilità della presenza umana sulla Terra e raggirerebbe la presunta progressività della sua storia e dell’incivilimento.

Non è un caso che tutti gli incidenti nucleari vengano nascosti. Cosa è successo davvero a Three Mile Island, cosa sta succedendo oggi a Fukushima, quanta radioattività viene riversato in mare? Questa discordanza sugli effetti è tipica di una tecnologia che non può che creare imbarazzo in una società fraterna e tanto meno in una società che non ripudia la guerra e, quindi è esposta a rischi catastrofici imprevedibili.

Si racconta del ritorno degli animali a Chernobyl nella foresta. Ma, come dice l’ingegnere nucleare Alex Sorokin: “Attenzione agli effetti delle radiazioni nel tempo. Un’esposizione prolungata provoca una probabilità di ammalarsi di cancro inaccettabile per gli esseri umani, mentre gli animali sono inconsapevoli dei rischi che corrono”.

In effetti, gli effetti delle radiazioni su organismi viventi si accumulano nel tempo, quindi “un’esposizione prolungata alle radiazioni presenti oggi nell’area provoca una probabilità di ammalarsi di cancro inaccettabile per gli esseri umani”. Anche dopo 36 anni le radiazioni continuano a preoccupare perché rimangono attivi i radionuclidi a decadimento lento, che durano migliaia di anni e non vanno a zero. II fatto è che il reattore 3 (diviso solo da una parete, speriamo robusta, dal reattore 4, quello esploso) continua a funzionare con frequenti arresti; mentre i responsabili politici dell’Ucraina assicurano di non poterne fare a meno.

In caso di incidente con fusione del reattore, le stesse reazioni di fissione dell’uranio, che producono molta energia e radiazioni, possono continuare, nonostante la distruzione dell’impianto. Coprire il reattore di cemento, sabbia e boro, in modo che smettesse di sputare fumo radioattivo, richiese poi settimane di lavoro e il sacrifico della vita di decine di operai, tecnici e vigili del fuoco, mentre migliaia di persone fra Russia e Portogallo, nei decenni successivi, si ammalarono e talvolta morirono per patologie, come tumori alla tiroide e leucemie, connesse all’esposizione agli isotopi radioattivi rilasciati dal reattore sovietico. Ma il disastro non è certo finito ricoprendolo di un cumulo di materiale assorbente.

Il “sarcofago” frettolosamente costruito ha ben presto cominciato a mostrare segni di cedimento, e così, nel 2016, è stato coperto da un gigantesco capannone metallico, che, oltre a contenere eventuali rilasci di radiazione, permetterà di tentare, fra decenni, l’estrazione e messa in sicurezza del “corium”, l’estremamente radioattiva miscela di uranio, acciaio, cemento e grafite, fusa dal calore e infiltratasi nei locali al disotto del reattore.

Il fatto che si stiano verificando ancora reazioni di fissione nel reattore distrutto, le stesse che hanno portato alla sua esplosione, stupisce e preoccupa. I ricercatori non hanno idea di cosa stia facendo ripartire le reazioni di fissione, ma se ciò fosse legato all’asciugarsi della massa fusa, temono che possano intensificarsi sempre di più, e, visto che nella stanza da cui provengono i neutroni stavolta non si può entrare, la reazione non si potrà bloccare. Ripeto: i tempi biologici sono incomparabili con i tempi di esaurimento dei processi radioattivi.

Sempre a proposito di reattori nucleari, a Zaporizhzhia (Ucraina) sono in attività sei reattori russi VVER-1000/320 (unità 1-6) nel sito, ciascuno con una capacità di generare 950 MWe. Nel 2017 c’erano 2.204 tonnellate di combustibile esaurito in deposito presso il sito: 855 tonnellate all’interno delle piscine di combustibile esaurito e 1.349 tonnellate nel vessel. Se si pensa che attorno a questa enorme potenza si sono svolte battaglie molto cruente e che ci sono stati molteplici problemi di sicurezza nel corso dei decenni con i reattori di Zaporizhzhia progettati e costruiti negli anni ’70 e ’90, l’incidente storico di Chernobyl appare solo un inquietante ammonimento.

L’articolo Chernobyl, ricordo a chi sventola l’atomo come soluzione che il nucleare è per sempre proviene da Il Fatto Quotidiano.

Condividi