Da anni Civitavecchia registra mobilitazioni popolari contro la combustione in atmosfera di fossili per produrre elettricità a basso prezzo, ma a danno della salute. Come è ormai pratica consolidata, gli enti energetici provano a rinnovare i loro impianti inquinanti laddove il territorio ha già subito una ferita precedente, nella presunzione che la cittadinanza locale si rassegni più facilmente rispetto ad un’altra cui venga prospettato l’insediamento di una centrale mai allestita in precedenza.
È successo già così tra Lodi e Piacenza, nella bassa padana verso la confluenza del Po, nella Puglia o lungo le rive del Mar Ligure, dove pezzo dopo pezzo sono state rianimate e potenziate le centrali che nel tempo diventavano obsolete. Un disagio già subito e pagato con tassi abnormi di malattie, si può ulteriormente monetizzare con qualche risarcimento in più e agitando lo spettro della disoccupazione.
Dopo il Covid 19, a fronte della crisi climatica e con la prospettiva di una profonda crisi economica che richiede un cambiamento nel modo di produrre e di consumare, parrebbe che in Italia, al pari che nei Paesi dell’Est, non si sia ancora prodotto un ripensamento rispetto ad una strategia energetica che è sottoposta invece in tutta Europa a una radicale riconversione.
Mi sembra che il caso di Civitavecchia meriti di diventare esemplare e possa concentrare le risorse intellettuali, culturali, economiche e professionali migliori per riconvertire l’intero territorio – centrale a carbone, porto e mobilità – in base ad un modello basato su 100% rinnovabili, zero emissioni climalteranti e idrogeno da rinnovabili come vettore complementare all’elettricità, già in funzione entro i prossimi venti anni. Niente gas, quindi, né tantomeno gassificatori, magari come ponti per la metanizzazione della Sardegna.
Saremmo così in linea – e non solo a parole – con l’obiettivo di Parigi di stare al di sotto di 1,5°C di aumento di temperatura e con il Green Deal europeo lanciato dalla Von Der Leyen. Sostenendo questo scenario la Giunta della Città e della Regione metterebbero a tacere i timori che la spartizione di poltrone debba risentire degli equilibri che Enel ed Eni trattano nelle loro stanze.
Naturalmente, occorre avanzare un progetto complessivo, avere alle spalle centri di ricerca e finanziamenti, nonché agire in sintonia con l’Europa e saper conseguire un obiettivo così esemplare con il coinvolgimento della cittadinanza, del sindacato, degli operatori economici e in una alleanza sull’intero territorio, che va al di là del solo perimetro del sito carbonifero oggi occupato.
Proprio perché il porto vive una crisi che parte da lontano e che si è aggravata con il Covid, bisogna andare oltre soluzioni solo settoriali, tener conto dell’intero sviluppo della logistica integrata, della cantieristica navale, dello sviluppo di un turismo di qualità che valorizzi la bellezza del paesaggio e la storia culturale anche di prossimità.
Fatte queste considerazioni preliminari, invito a prendere in considerazione e a riferimento uno straordinario progetto, avanzato da Solar Power e dall’Università finlandese Lut, di cui ho trattato nel post precedente e che sembra fatto apposta per una situazione come quella qui in esame. Si tratta di un progetto dettagliato, che suggerisce soluzioni distinte per area geografica e addirittura per stagione a seconda delle località situate nel nostro continente: complessivamente, in oltre 80 pagine, esamina tre scenari distinti di cui uno solo contempla il ricorso al gas.
Nella comparazione effettuata con grafici, dati aggiornatissimi, proiezioni e tabelle, si dimostra che il ricorso al gas (definito “percorso a bassa ambizione”) anziché all’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili sarebbe per la società in tutta Europa e in particolare nell’area del Mediterraneo un onere, sia dal punto di vista del cambiamento climatico sia dal punto di vista economico.
La riconversione di un sistema centralizzato come l’attuale richiederebbe una programmazione di medio periodo e interventi coerenti a largo raggio. Occorrerebbe, naturalmente, dare priorità all’elettrificazione a base rinnovabile dell’intera economia del Paese, spianando la strada allo sviluppo di un settore competitivo, basato sullo spiegamento accelerato di risorse energetiche di flessibilità decentralizzata, di cui il solare e il vento off-shore sarebbero i pilastri. Ciò significa lanciare una strategia industriale solare, sviluppare competenze e programmi di formazione per sbloccare il potenziale di lavoro e occupazione qualificata nel settore solare.
Nel nostro caso esistono già competenze e ricerche avanzate che hanno proprio nel Lazio e in Centro Italia punti di convergenza e di interesse internazionale. Il ricorso all’idrogeno prodotto da rinnovabili, oltre alla funzione di stoccaggio di energia, avrebbe un’applicazione virtuosa sia per le banchine del porto che per il ridisegno della mobilità, sia su strada, sia per tratti di ferrovia minori, sia per il trasporto via mare. Lo studio quantifica in sei milioni la nuova occupazione in Europa nello scenario che raggiunge la neutralità climatica già nel 2040 con un costo dell’energia del 17% inferiore a quella prodotta dall’attuale mix energetico, per la massima parte fossile. Una formidabile occasione per il Paese che più ha sofferto la pandemia.
L’Espresso in edicola il 5 luglio esamina in un interessante articolo la presa in considerazione da parte degli enti a partecipazione statale di progetti di sviluppo con esplicito riferimento al superamento del metano e allo sviluppo della filiera delle rinnovabili e dell’idrogeno per risollevare e modernizzare il Paese e, quindi, evitare una bomba sociale, oltre che fare della cura del pianeta e della salute del vivente l’obiettivo per le nuove generazioni.
Molte sono le novità che dovranno intervenire per affrontare le emergenze che potrebbero trovare nel lavoro e nei più indifesi le vittime più esposte. Per stare in concreto, onde evitare, ad esempio, che le piccole aziende metalmeccaniche che vivono con l’indotto della centrale Enel segnino il passo di una lunga e dannosa transizione, con licenziamenti e Cig, occorre da subito far pressione su Enel, Eni e sulle istituzioni per garantirsi in tempi rapidi un piano di transizione, con la possibilità di realizzazione anche in loco impianti e attrezzature necessarie, che mettano in relazione buona occupazione, salubrità dell’aria, un clima il più possibile placato.
La manifestazione svolta sabato 4 luglio proprio a Civitavecchia ha portato alla luce le richieste qui illustrate, tanto ragionevoli quanto improcrastinabili.
L’articolo Civitavecchia, basta combustibili fossili: ora servono rinnovabili, idrogeno e lavoro proviene da Il Fatto Quotidiano.