Archivi categoria: Generale

Stoccaggio dell’energia nelle aree residenziali

Secondo un nuovo rapporto di PikeResearch, nei prossimi anni si assisterà a una massiccia penetrazione dei sistemi di stoccaggio di energia anche nelle piccole comunità o nei complessi residenziali grazie principalmente all’espansione della generazione distribuita da fonti rinnovabili e alla diffusione dei veicoli elettrici

Stoccaggio energia, in arrivo boom per i sistemi residenziali
Nei prossimi anni si assisterà a una massiccia penetrazione dei sistemi di stoccaggio di energia anche nelle piccole comunità o nei complessi residenziali grazie principalmente all’espansione della generazione distribuita da fonti rinnovabili e alla diffusione dei veicoli elettrici: è la conclusione di un nuovo rapporto di PikeResearch dal titolo “Community and Residential Energy Storage”, secondo il quale questo particolare segmento del mercato dei dispositivi per l’immagazzinamento energetico attrarrà investimenti per un totale di 4,2 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi dieci anni. La presenza dei CRES (community and residential energy storage) – sostiene lo studio – sarà dunque resa necessaria nei prossimi anni dall’affermarsi di un modello di approvvigionamento energetico diverso da quello attuale, in cui l’energia prodotta da una miriade di impianti a fonti rinnovabili distribuiti sul territorio viene consumata sul punto di produzione e, per la parte eccedente, ceduta in rete. Un modello che però va incontro ad alcuni inconvenienti come l’intermittenza delle fonti rinnovabili più diffuse come il sole e il vento (disponibili in grande abbondanza ma con significative variazioni a seconda dei momenti della giornata) e una gestione più complessa dei picchi di domanda. A questi inconvenienti porranno rimedio sistemi di distribuzione dell’energia ottimizzati come le smart grid, basate sull’interazione con gli utenti, e per l’appunto i sistemi di stoccaggio dell’energia. PikeResearch prevede un boom di quelli residenziali o per le piccole comunità, dove raggiungeranno, stima, una capacità di 780 MW entro il 2022, con un valore di mercato annuale di 872 milioni di dollari. Complessivamente gli investimenti nei sistemi CRES totalizzeranno 4,2 miliardi di dollari entro quella data. “I CRES rappresentano una delle applicazioni più nuove e meno comprese dei dispositivi di stoccaggio dell’energia – spiegaAnissa Dehamna, analista di PikeResearch – “A oggi il mercato è ancora nella fase dimostrativa e ci vorranno ancora un paio di anni prima che si crei una nicchia specifica per i sistemi CRES”.La tecnologia principale in questo segmento nei prossimi dieci anni sarà, secondo PikeResaerch,  quella agli ioni di litio, già leader del resto anche nei progetti dimostrativi “utility scale”. Ma cresce l’interesse anche per le batterie di flusso o piombo-acido avanzate, ma bisogna vedere quali saranno le principali applicazioni per queste tecnologie, se “on grid”, come nel caso dei CRES, od “off grid” per fornire energia a villaggi o a sistemi di telecomunicazione in aree remote o ad attività minerarie. (f.n.)

Condividi

Italia produttore di petrolio?

da aspoitalia.it

Nel mese di Novembre è apparso su The Guardian un articolo di John Hooperdal titolo “L’Italia cerca di aumentare la produzione di greggio del 150% nel corso della riorganizzazione della sua politica energetica”, che affronta l’aspetto petrolifero del piano energetico che il governo italiano sta predisponendo. Scrive Hooper:

La veduta dalla terrazza dietro il municipio di Corleto Perticara è ampia come qualsiasi altra in Toscana, passando per la maestosa valle del fiume Sauro e per una linea di colline alte che conducono il fiume verso il mare. Ma dove un visitatore potrebbe sognare di costruire una seconda casa idilliaca, Rosaria Vicino, il sindaco della città, sta immaginando una la linea di pompe petrolifere che presto punteggeranno le pendici ondulate al di là del Sauro.

In maggio, il governo apartitico di Mario Monti a Roma, ha dato il via libera per lo sviluppo del cosiddetto campo di Tempa Rossa, i cui 200 milioni di barili di petrolio pesante e solforoso si trovano nel raggio del comune del sindaco Rosaria Vicino.

“Il petrolio è fondamentale per il nostro sistema di sviluppo”, ha detto Vicino con fervore. “E’ l’elemento attorno al quale ruotano tutte le nostre speranze.”

Il petrolio onshore e la produzione di gas sono altrettanti fondamentali per l’ambizioso piano del governo italiano che fissa entro il 2020 il taglio 14 miliardi di euro dai 62 pagati ogni anno a livello nazionale per l’import di energia. L’obiettivo si trova in una proposta di piano energetico nazionale che sarebbe il primo ad essere adottato in Italia da più di 20 anni.

[…]

Il governo stima che l’incremento della produzione sia in grado di fornire in Italia il 7% del fabbisogno totale di energia e di creare 25 mila nuovi posti di lavoro. La produzione di greggio in Italia ha raggiunto un picco nel 2005 a 115.000 barili al giorno, e da allora è crollata al di sotto dei 100.000 – non a causa della mancanza di riserve (in Italia i depositi provati onshore sono i più grandi in Europa), ma a causa di un drastico calo nell’esplorazione e sviluppo, che il governo è pronto a invertire.

Successivamente l’autore esprime indirettamente delle preoccupazioni che si limitano però alle possibili negative conseguenze sul paesaggio, ai contrasti tra amministrazioni locali, alla corruzione e alla disonestà di alcuni degli attori.

Nulla dal punto di vista energetico, tanto che in questo caso un lettore poco informato può aver l’impressione che quanto propone il governo rivesta un ruolo decisivo nel futuro energetico nazionale.

Purtroppo non è così, basti considerare che le riserve di greggio in territorio italiano, definite al 31.12.2011 “certe” dal MSE ammontano a 76,3 Mt, cioè a circa 8-10 volte il petrolio che estraiamo ogni anno da qualche tempo. E visto che quest’ultimo rappresenta il 7-8 percento del consumo totali, a meno di un anno di consumo nazionale.

Aggiungendo anche tutte le riserve che il MSE definisce “probabili” calcolate in 110,6 Mt (solo in parte individuabili ed estraibili), si arriva a un quantitativo pari a circa due volte e mezza il consumo medio annuo nazionale.

Questo se si verificasse per tutti i giacimenti la condizione che le riserve risultino tecnicamente ed economicamente estraibili.

Si discute quindi attorno a quantitativi molti limitati che non è possibile immaginare in grado di garantire a lungo una maggiore indipendenza energetica.

Il nostro paese deve necessariamente affrontare più velocemente degli altri e del passato una non facile transizione a un sistema che dipenda sempre meno dai combustibili fossili e possa avvantaggiarsi dell’energia fornita dalle fonti rinnovabili.

Condividi

Elezioni ed energia: che cosa rispondono le forze politiche?

Il Coordinamento FREE, la neonata “associazione delle associazioni” delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, ha sottoposto 15 domande alle forze politiche che si confronteranno nella imminente tornata elettorale.  Qui le domande e sotto i link ai documenti (pdf) con le risposte, in ordine cronologico.

Qui sotto il commento della redazione di qualenergia.it alle risposte.

Le 15 proposte/tematiche sollevate dal Coordinamento sono abbastanza specifichee tecniche: si va dagli obiettivi vincolanti sull’energia al 2030, all’introduzione della carbon tax con contestuale eliminazione degli incentivi alle fonti fossili, fino a questioni più tecniche come l’eliminazione dei registri e delle aste per gli impianti a rinnovabili e l’innalzamento dello scambio sul posto fino ad 1 MW.

Insomma, domande e proposte su provvedimenti concreti, che lasciano ai politici meno possibilità di svicolare, anche se, come si vede leggendo le risposte, l’evasività comunque non manca. Dunque qual è la forza politica più amica delle rinnovabili?Non si può certo avere la risposta sulla base di queste dichiarazioni di intenti, ma  qualche idea ce la possiamo fare.

Ad esempio sugli obiettivi al 2030 proposti da FREE e coerenti con le indicazioni contenute nelle roadmap europee: consumi ridotti del 15% rispetto gli attuali e rinnovabili  al 30% del fabbisogno (per arrivare al 50-75% nel 2050). Il PD li condivide esplicitamente, PDL, lista Monti e Fare no, mentre Sinistra Ecologia e Libertà e Movimento 5 Stelle li giudicano addirittura troppo poco ambiziosi e propongono di fare di più.

In generale comunque, come c’era da aspettarsi trattandosi di promesse elettorali, tutti i partiti, sembrano abbastanza accomodanti con le richieste del mondo delle rinnovabili: anche il documento del PDL – che nella sua passata azione di Governo non ha certo aiutato le rinnovabili –  ne condivide gran parte. Oltre all’ultra liberista Fare di Giannino, che vorrebbe che la politica energetica la decidesse quanto più possibile il mercato, la lista Monti sembra essere l’unica forza politica che già in queste dichiarazioni pone ostacoli importanti allo sviluppo delle rinnovabili.

Il documento della lista del premier continua a ripetere la parola d’ordine che abbiamo visto accompagnare i duri, e soprattutto improvvisi, colpi che ha inflitto al mondo dell’energia pulita in questi mesi di governo, quinto conto energia in primis: che il supporto alle rinnovabili sia “economicamente sostenibile” e che l’integrazione di queste nel sistema avvenga “in modo controllato e regolato”.

Cosa significa nella pratica? Facciamo l’esempio di una questione tecnica ma molto importante affinché l’energia verde diventi competitiva: l’estensione dello scambio sul posto ad impianti fino al megawatt senza novità penalizzanti (come introdurre il pagamento degli oneri di sistema per l’energia scambiata) e il completamento della normativa sui SEU. Mentre le altre forze si dichiarano sostanzialmente d’accordo con la proposta FREE, la lista Monti è l’unica a dire esplicitamente che vorrebbe che anche l’energia da rinnovabili prodotta e consumata dietro al contatore nei SEU o scambiata virtualmente tramite lo SSP partecipasse al pagamento degli oneri generali di sistema.

Tuttavia sappiamo che le risposte alle 15 domande FREE hanno un valore solo relativo nel far capire quale forza si batterà di più per promuovere l’energia pulita, ma qualche indicazione su chi ha più paura dello sviluppo spinto di un nuovo modello energetico la intravediamo.

Condividi

La storia della Rubin Tax

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano

Basta essere un padre di famiglia, non un economista, per sapere che non sono le iniziative una tantum, ma gli interventi strutturali che possono ridurre realmente e durevolmente il rapporto tradebito e Pil e che sono più recessivi gli aumenti di tasse che i tagli alla spesa. Anche per l’energianegli ultimi governi si sono inventate solo tasse e, per renderle suggestive, il creativo Tremontiha provato a chiamarle con nomi evocativi: “Robin Tax”, per esempio.

Una tassa la cui storia ed evoluzione meritano di essere conosciute come esempi di una perversa fantasia al potere. Si tratta di una maggiorazione dell’aliquota Ires introdotta nel 2008 quale misura “etica” per tassare i profitti dei petrolieri e degli speculatori accusati dei prezzi record del petrolio e della benzina. Ebbene, i proventi sono stati utilizzati nel 2008 a sostegno delle persone bisognose attraverso la “Social card”! (un’altra delle geniali invenzioni di quel governo). Nel 2009, invece, con la legge n. 99 (ex Ddl Sviluppo), l’aliquota venne portata dal 5,5 al 6,5%, destinando i nuovi proventi al finanziamento dei giornali di partito!

Nel 2010 si è ampliato il novero delle attività energetiche cui si applicava la citata maggiorazione, includendovi anche le attività di trasmissione, distribuzione e dispacciamento dell’energia elettrica. Inoltre, nel caso specifico delle fonti rinnovabili è stata abolita l’esenzione che le riguardava fino ad allora e si è estesa anche ad esse l’incremento dell’addizionale dal 6,5% al 10,5%. Di fatto, colpendo queste parti vitali del settore, si è agito per ridurre gli investimenti urgenti per migliorare la rete elettrica e permettere l’utilizzo efficiente della produzione rinnovabile, che veniva con una mano incentivata e con l’altra scoraggiata con più tasse.

Con questa storia alle spalle, la Robin Tax non poteva che tramutarsi in “Rubin Tax”, come la definisce “Il Manifesto” di ieri. Infatti, da quando vide la luce, per colpire le “plusvalenze” delle multinazionali, fino ad oggi, nel settore energetico e del petrolio la Robin tax ha penalizzato più i servizi a rete e i produttori da fonti rinnovabili che i giganti del mercato. Non solo. L’Autorità per l’energia e il gas segnala, nell’ultimo rapporto presentato a fine gennaio che molte delle grandi imprese energetiche che pagano la tassa la scaricano di fatto sulle bollette dei consumatori.

Nei fatti ben 199 casi su 476 totali (di cui 105 appartenenti al settore dell’energia elettrica e gas e 94 a quello petrolifero) dovrebbero andare sotto il torchio dello sceriffo di Nottingham, per rendere possibile una riscossione che nel 2011 ha fatto incassare allo Stato 1.475 miliardi di euro, 930 milioni in più rispetto all’esercizio precedente, prelevando soprattutto – è il dubbio dell’Authority che è tenuta per legge a vigilare su eventuali rincari illegali – dalle tasche dei consumatori.

Viene voglia di chiedere conto di tutta una campagna spesa a colpevolizzare quanti sostengono le rinnovabili, che, per la loro introduzione, hanno ricevuto giusti incentivi. Alla testa di questa campagna ci sono state Enel, Eni, lobby petrolifere e il governo dei tecnici. Facciamo qualche conto. Intanto, l’impatto dell’energia fotovoltaica sulla formazione dei prezzi dell’elettricità ha tolto più di 1 miliardo alle bollette. Vanno poi conteggiate le riduzioni delle importazioni di gas grazie al boom dell’elettricità verde e la riduzione dei costi del Cip6.

Come si vede, il fardello delle rinnovabili è risultato più che dimezzato e diventa ancor più leggero considerando tutte le entrate per lo Stato in termini di Iva e di tasse pagate dalle migliaia di aziende che sono sorte. E allora come la mettiamo con queste verità inoppugnabili? Cosa direbbero ora i detrattori del nuovo sistema energetico, fatto di piccoli impianti, fonti naturali, risparmio controllabile sul territorio, che bypassa petrolio, gas e carbone, forieri ormai di corruzione, tangenti, privilegi ed evasione che si scaricano alla fine sul povero consumatore italiano?

Le rinnovabili sono state dipinte come una stangata, inutili, uno spreco. E’ pur vero che il nuovo ha sempre suscitato perplessità ma ora che le fonti solari ed eoliche hanno dimostrato di essere in grado di generare notevoli quantità di energia e di saper ridurre i loro costi con grande rapidità, un attacco così greve puzza di bruciato, soprattutto se è appoggiato da una mancanza di controlli a salvaguardia dei consumatori. Vogliamo sapere in dettaglio i nomi delle aziende che hanno fatto pesare la Robin tax sugli utenti: un rincaro che in un solo semestre è pesato circa 0,8 miliardi di euro, al solito pagati da Pantalone. E si capisce ancora meglio come mai Passera-Montinella loro Strategia Energetica Nazionale, hanno rilanciato le fonti fossili. Tanto si possono sempre appoggiare sulle gambe malferme degli utenti indifesi e all’oscuro di tutto!

Condividi

Giavazzi e Alesina sul fotovoltaico…

La propaganda contro il fotovoltaico si insidia ovunque. Goccia dopo goccia, prosegue l’operazione dei detrattori. In questo caso sono stati smascherati bene da Qualenergia.it.

E’ solo l’ennesimo episodio di disinformazione ai danni del fotovoltaico, ma vogliamo segnalare comunque un editoriale sul Corriere della Sera di ieri. Da molto infatti non ci capitava di leggere così tante inesattezze e assurdità sul solare concentrate in così poche righe. Affermazioni approssimative e sbagliate che stupiscono ancora di più perché non vengono da un discorso da bar tra due sprovveduti, ma sono messe nero su bianco da due economisti di casa ad Harvard e alla Bocconi come Francesco Giavazzi e Alberto Alesina.

Nell’editoriale gli incentivi al fotovoltaico italiano vengono citati come paradigma di un modo sbagliato di promuovere l’innovazione. “Qualche anno fa – si legge – per favorire gli investimenti in energie rinnovabili si decise di sussidiare l’installazione di pannelli solari. Per far presto furono concessi incentivi che oggi, a pannelli installati, si traducono in una rendita di circa 11 miliardi di euro l’anno: li pagano tutte le famiglie nella bolletta elettrica e vanno a poche migliaia di fortunati. Non solo si è creata un’enorme rendita che durerà per almeno un ventennio: si è favorita una tecnologia che a distanza di pochi anni è già vecchia. Oggi l’energia solare si può catturare semplicemente usandouna pittura sul tetto, con costi e impatto ambientale molto minori. Ma i nostri pannelli rimarranno lì per vent’anni e nessuno si è chiesto quanto costerà e che effetti ambientali produrrà la loro eliminazione.”

Come chiunque abbia un minimo di familiarità con il FV nota subito, si tratta di affermazioni che denotano superficialità e ignoranza, quando non anche una discreta dose di fantasia. Ignoranza quando si dice che il costo in bolletta degli incentivi al FV è di 11 miliardi all’anno: non è vero, si sta invece avvicinando ai 6,7 miliardi, come non è vero che a beneficiarne sono “poche migliaia di fortunati”, a meno che per “poche migliaia di fortunati” gli autori non intendano gli oltre 480mila proprietari di impianti FVe le famiglie dei circa 12mila impiegati diretti del settore (18mila prima che circa 6mila posti venissero persi nel 2012 causa i noti tagli) e dei circa 100mila dell’indotto.

Fantasia pura quando si definiscono i pannelli solari una tecnologia superata e si parla di una vernice da tetto che produce energia equivalente a un pannello fotovoltaico: non esiste ancora come soluzione sul mercato, anche se un prodotto del genere si sta studiando. Se esistesse e fosse conveniente d’altra parte non ci sarebbe un motivo per il quale i vari conti energia l’avrebbero penalizzata rispetto ai moduli convenzionali, dato che – come Alesina e Giavazzi probabilmente ignorano – gli incentivi premiano l’energia prodotta e non l’installazione dei pannelli, e la premiano più generosamente se prodotta da tecnologie innovative.

Falso poi che nessuno si sia chiesto che ne sarà dei pannelli a fine vita: come sappiamo sia il quarto che il quinto energia contengono disposizioni precise per garantire lo smaltimento corretto dei moduli. Smaltimento che ricordiamo per inciso non è affatto problematico, come sottolinea Averaldo Farri, ad di PowerOne, tra i molti nel mondo del FV che questa mattina hanno reagito all’editoriale del Corsera: “I pannelli sono per il 95% vetro, silicio e alluminio. Un paese che fino a un annetto fa voleva iniziare un programma nucleare e avrebbe dovuto smaltire scorie nucleari, sarà in grado di smaltire vetro, sabbia e alluminio?”

Insomma l’intervento dei due economisti farebbe sorridere, se non fosse che articoli di questo genere – scritti magari in buona fede e dettati da semplice ignoranza della materia – vanno ad alimentare un pregiudizio negativo che abbiamo visto sfociare in provvedimenti penalizzanti per il settore. Come il quinto conto energia, che ha tagliato le gambe al solare italiano, in maniera perfettamente funzionale agli interessi della lobby dell’energia convenzionale, da qualche anno danneggiata economicamente dal fatto che la concorrenza a costo marginale zero del FV sta portando perdite a chi ha investito nei cicli combinati a gas.

Condividi