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EnergiaFelice sulle tariffe elettriche

                                                                                  All’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas

 

Al Ministro dello Sviluppo Economico

Al Ministro dell’Ambiente

Ai Capigruppo Parlamentari

 

 

Spett.li Signori,

in riferimento alla consultazione aperta sul documento dell’AEEG DCO 183/2013/R/EEL, sui Sistemi Efficienti di Utenza (SEU) , come singole persone interessate dalle questioni in oggetto, ed anche in rappresentanza delle associazioni indicate, vogliamo sottolineare l’incongruenza delle modifiche richieste dall’Autorità al Dlgs n. 115/08 modificato dal Dlgs 56/2010, in merito al pagamento dei corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione, nonché quelli di dispacciamento e di copertura degli oneri generali di sistema.

 

Che questi oneri non debbano essere pagati sull’energia autoprodotta e autoconsumata, mentre sono giustamente previsti per l’energia prelevata dalla rete esterna, è chiaramente indicato dalla legislazione vigente (peraltro non completamente applicata a causa del ritardo nell’emanazione della parte normativa, per responsabilità dell’Autorità stessa).

 

La ratio è molto evidente, l’energia che viene prodotta, consumata e/o venduta senza passare dalla rete, perché dovrebbe pagare gli oneri di utilizzo della rete?

A questo va aggiunto che lo sviluppo della produzione e del consumo diretto di energia elettrica da fonti rinnovabili e/o da cogenerazione rappresenta un vantaggio per il sistema energetico del nostro paese, che necessariamente dovrà sempre più andare verso un modello di generazione distribuita che usi razionalmente e nel modo più efficiente tutte le risorse disponibili, contenendo in questo modo le importazioni di combustibili fossili e, di conseguenza, le stesse emissioni inquinanti.

 

Siamo pertanto contrari, nella maniera più ferma, a queste modifiche che avrebbero il solo effetto di attaccare ulteriormente, (dopo la fine degli incentivi del conto energia e altre misure previste dal decreto “fare”) lo sviluppo delle fonti rinnovabili, allontanando la grid parity, favorendo contemporaneamente i produttori da fonti convenzionali, che invece dovrebbero adeguare progressivamente il loro mix produttivo verso l’incremento delle fonti rinnovabili.

 

Chiediamo invece che vengano emanate tempestivamente le norme attuative sui SEU e sia resa possibile la vendita diretta di energia tra privati; contemporaneamente andrebbero messe a punto norme per promuovere i sistemi di accumulo, come sta avvenendo in altri paesi europei, affinchè non si perda quest’opportunità industriale e occupazionale, riguardo a una tecnologia nella quale l’Italia è all’avanguardia.

 

Consideriamo questa breve nota non solo un contributo alla consultazione sul documento dell’Autorità, ma anche una precisa richiesta ai Ministeri competenti e un invito a tutti i Parlamentari  a non modificare le norme vigenti nel senso indicato dall’Autorità.

 

Sottoscrivono:

 

 

 

Roma, 27giugno 2013

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Rinnovabili, networking per rilanciarle

da sbilanciamoci.info

Il ritardo italiano in materia di energie rinnovabili è dovuto principalmente alla struttura inefficiente degli incentivi e ad un inadeguato grado di innovazione delle aziende. Una più stretta collaborazione fra istituzioni pubbliche, imprese ed università aumenterebbe l’occupazione, soprattutto giovanile e soprattutto al Sud

Favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili dev’essere un imperativo sia del presente che del prossimo governo. Ad oggi, il trend dello sviluppo di tali tecnologie è stato sicuramente positivo, anche se una serie di ostacoli sono comunque presenti, e ne impediscono un’evoluzione continua. La ricerca cui qui si fa riferimento ([1]) è volta ad evidenziare questo tipo di barriere attraverso un’analisi del sistema energetico italiano, condotta seguendo la prospettiva e gli strumenti offerti dalla scuola di pensiero scandinava dei sistemi di innovazione.

Un sistema d’innovazione può essere definito come quell’insieme di istituzioni e organizzazioni che creano e si scambiano il knowledge arrivando a concepire nuove tecnologie, all’interno di politiche e strutture incentivanti nazionali o internazionali (Lundvall, 1992) ([2]). Attraverso tale struttura è stato quindi possibile evidenziare una serie di barriere che rallentano lo sviluppo di tecnologie rinnovabili, tra cui il disallineamento degli obiettivi delle politiche nazionali, una struttura inefficiente del sistema incentivante, la mancanza di sensibilizzazione pubblica sull’importanza dell’energia rinnovabile ed un inadeguato grado di innovazione all’interno delle aziende italiane. Quest’ultimo è uno degli aspetti più importanti, in quanto è dovuto ad un insieme di fattori che hanno fondamentalmente a che fare con la bassa attività di networking delle imprese con altre aziende, università, o istituti di ricerca pubblici. Infatti, tale attività consente uno scambio di conoscenze tra le parti, e quindi la creazione e la diffusione di nuovo sapere che è alla base di ogni processo innovativo.

Lo scenario in chiave internazionale può essere descritto tramite i dati riportati dall’Oecd ([3]): in generale, in Italia, solo il 5% delle Pmi e il 30% delle grandi aziende svolgono attività di cooperazione con università ed istituti di ricerca pubblici. La Spagna è ai nostri stessi livelli, mentre la Finlandia presenta percentuali maggiori, rispettivamente il 26% e il 67,7%. La percentuale osservata nelle PMI italiane è estremamente bassa, soprattutto se si considera l’importanza di queste ultime: è proprio nella moltitudine delle Pmi che spesso si cela l’eccellenza italiana, che è riconosciuta anche all’estero e diventa fonte di vantaggio competitivo all’interno del mercato internazionale. Non a caso, nelle filiere di diverse tecnologie rinnovabili si può identificare un alto numero di aziende italiane, molte delle quali di piccole e medie dimensioni. Basti pensare che nella filiera del solare fotovoltaico, il 70% del volume d’affari totale nel settore della distribuzione sia generato da imprese italiane; la percentuale sale al 75% per il settore del design/installazione. Inoltre, la Figura 1 mostra come in particolari settori sia della filiera eolica che fotovoltaica, la maggior parte delle aziende operanti nel territorio nazionale sia italiane.

Figura 1. Elaborazione dell’autore dei dati Anev (2012) e Agenzia per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie per l’innovazione (2013) (4)

La presenza di un’elevata attività di networking sia a livello locale che nazionale è un fattore estremamente rilevante per consentire uno sviluppo continuo delle tecnologie rinnovabili e favorire l’innovazione. È necessario che le autorità pubbliche attuino politiche al fine di creare un terreno fertile per facilitare la cooperazione e la collaborazione tra le diverse parti. Ad oggi vi sono iniziative volte a realizzare questo obiettivo, come la creazione di distretti industriali delle rinnovabili, e di poli di innovazione. Mentre questi ultimi sono costituti a livello regionale, i primi affondano ancora di più le radici nel territorio, nascendo a livello comunale. La prova empirica della debolezza del supporto pubblico alla creazione di questa tipologia di network è evidente, in quanto la maggior parte dei distretti si forma spontaneamente, e solo pochi sono policy-driven. All’interno di questi network collaborano in larga parte istituzioni pubbliche e imprese, ma anche università, centri di ricerca e comunità locali. Un’ulteriore distinzione fra le due tipologie di network sta nell’obiettivo. Le parti coinvolte all’interno dei poli di innovazione puntano a collaborare per stimolare e sviluppare l’innovazione, mentre all’interno dei distretti delle rinnovabili si mira a favorire esclusivamente lo sviluppo di tecnologie rinnovabili. Ciò avviene in modo differenziato: la biomassa è la tecnologia in cui opera il 74% dei distretti, seguita dal solare e dall’eolico, rispettivamente al 37% e al 25%, e dalla tecnologia idroelettrica e geotermica.

In primis è quindi opportuno sviluppare politiche che puntino a favorire la creazione di simili network nelle aree in cui queste realtà sono assenti, ma non meno importante è creare politiche di integrazione fra la moltitudine di network locali presenti in Italia. È doveroso sottolineare come la presenza di tali realtà sia di maggiore densità nelle regioni del Nord Italia, le quali presentano anche la maggiore percentuale di imprese innovative. Infatti, nel Friuli-Venezia Giulia quasi il 60% delle imprese sono innovative, regione seguita a breve distanza da Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte. Le regioni del Sud presentano percentuali di gran lunga più basse: troviamo la Calabria, la Sardegna ed il Molise che gravitano attorno al 40%, seguite dalla Basilicata al 38%. Diminuire il divario fra le regioni del Nord e quelle del Sud è una sfida che può essere affrontata tramite lo sviluppo di politiche che aumentino la collaborazione e la cooperazione, per creare canali di trasferimento di knowledge da Nord a Sud e viceversa.

La creazione di tali politiche apporterebbe un rilevante contributo anche all’interno del mercato del lavoro. Infatti, una più stretta collaborazione fra istituzioni pubbliche, imprese ed università creerebbe come esternalità positiva un aumento di occupazione, soprattutto giovanile. Facendo riferimento all’ultimo dato sulla disoccupazione giovanile, che si è attestata al massimo storico di 41,9% ad aprile 2013, implementare tali politiche potrebbe almeno portare alla creazione di nuove possibilità occupazionali, soprattutto nel Sud, dove la disoccupazione è maggiore.

Da non dimenticare è anche l’impatto occupazionale sul medio e lungo termine dovuto allo sviluppo delle energie rinnovabili: si stima che il settore del solare fotovoltaico arrivi ad occupare in modo diretto 18.000 lavoratori, e 45.000 in modo indiretto. Per il 2020, le stime dell’eolico sono anche leggermente superiori, in quanto questa tecnologia creerà occupazione rispettivamente per 20.000 e 50.000 lavoratori, e sarebbero addirittura maggiori se si concedessero le autorizzazioni per la costruzione di impianti eolici offshore.

L’Italia avrebbe un enorme potenziale da poter sfruttare se solo il settore pubblico avesse il coraggio di combattere la moltitudine di interessi esistenti che mirano a rendere difficoltoso lo sviluppo delle energie rinnovabili. Averla vinta in questa battaglia porterebbe diversi benefici per l’intero paese, da una diminuzione della dipendenza energetica dai paesi stranieri (anche grazie alle innovazioni nel settore dello stoccaggio dell’energia solare), alla diminuzione del costo dell’energia elettrica, alla crescita dell’occupazione e anche dell’economia. Non di minore importanza devono essere considerati i benefici ambientali che l’uso di tali tecnologie comporterebbe, considerando la minaccia rappresentata dal cambiamento climatico, e quindi l’urgenza di un cambiamento nello stile di vita dei paesi occidentali a fronte dell’ingente crescita economica nei paesi emergenti: l’Italia potrebbe addirittura essere di buon esempio per gli altri paesi occidentali.

[1] Castiello D’Antonio, A. M., & Shaikh Sofla, R. (2013). Barriers in the Italian Energy Innovation System for the Development of Renewable Energies. Aalborg University.

[2] Lundvall, B.-Å. (1992). National Systems of Innovation: Towards a Theory of Innovation and Interactive Learning. London: Pinter Publishers

[3] OECD. (2011). “Environmental technologies”. Tratto il 10 Maggio 2013 da OECD Science, Technology and Industry Scoreboard 2011, OECD Publishing:http://dx.doi.org/10.1787/sti_scoreboard-2011-36-en

[4] Anev. (2012). Anev Report. Tratto il 4 Maggio 2013 da www.anev.it Agenzia per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie per l’innovazione. (2013). Renewable energies and energy saving: scenarios and opportunities. Tratto il 17 maggio 2013 da http://www.aginnovazione.gov.it/attivita/collaborazione-pubblico-privato/quaderni-dellinnovazione/

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L’attacco alle rinnovabili del Corsera e la risposta delle associazioni

Anche le associazioni italiane delle rinnovabili si scagliano contro l’articolo-propaganda che definiva il solare in Italia come un “flop”. L’articolo, a firma di Danilo Taino, pubblicato dal Corriere della Sera il 5 giugno, raccoglieva pareri di noti avversari delle fonti rinnovabili, senza contraddittorio e senza aggiungere il parere di nessuno degli innumerevoli e stimati ricercatori che, invece, si sono, da sempre, schierati in favore delle fonti pulite. Per questo, Aper,Assosolare Coordinamento Free hanno spedito giorni fa una lettera al direttore del prestigioso quotidiano nazionale in risposta e a commento di quell’articolo, senza però, ottenere alcuna risposta.

ZeroEmission pubblica di seguito il testo della lettera, con l’obiettivo di darne la dovuta visibilità:
Gentile Direttore,
le scriviamo in rappresentanza di APER, l’Associazione dei Produttori di Energia Rinnovabile, di Assosolare, l’associazione degli operatori dell’industria fotovoltaica, e del Coordinamento FREE, che raggruppa 35 soci tra associazioni ed enti operanti nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, in replica all’articolo “Sos Terra”, pubblicato in prima pagina il 5 giugno 2013, per fornire al lettore informazioni e dati completi, non solo di una parte, peraltro minoritaria! In primo luogo, solo il presidente di Assoelettrica, per difendere interessi delle fossili, può parlare dell’energia solare nel nostro Paese come di un flop: 18 GW di potenza installata in pochi anni, costruendo dal nulla una filiera di imprese produttrici di energia, servizi e componenti che è ormai pronta a lavorare senza incentivi – proprio in questi giorni è stato raggiunto il limite previsto dal V Conto Energia – non può in nessun modo essere considerato un insuccesso. Non servono forse a questo, gli incentivi, ad avviare un settore? Ebbene, obiettivo raggiunto: nei prossimi anni si continueranno a installare impianti fotovoltaici incrementando la quota di energia verde prodotta in Italia. In più, particolare fondamentale, ogni tonnellata di anidride carbonica risparmiata sarà a costo zero!
 
Un’analisi completa dovrebbe poi contemplare le due facce della medaglia – costi e benefici – che dovrebbero sempre essere considerate congiuntamente. Le stime più recenti (cfr. Althesys, IREX Report) indicano in circa 35 miliardi di euro il saldo tra benefici (miglioramento della bilancia commerciale, riduzione dei costi associati ai diritti di emissione, impatti su Pil e occupazione) e costi delle politiche già varate per sostenere il settore delle rinnovabili (altre stime arrivano perfino a 76 miliardi). E, si badi, si tratta di stime che non tengono in considerazione gli impatti sicuramente positivi che lo sviluppo delle rinnovabili ha sul sistema sanitario nazionale e sull’ambiente (meno malattie dovute alle emissioni inquinanti e ad effetto serra). Peraltro i costi, noti da tempo, sono stati “messi in sicurezza” dai decreti del ministro Passera dello scorso luglio, che ha fissato chiari limiti di spesa massima annuale. Rimetterli in discussione oggi significherebbe una volta di più allontanare potenziali investitori dal nostro Paese e comprometterne ulteriormente la fiducia, già gravemente minata dalle innumerevoli riforme non fatte. Premesso che l’Italia ha precisi doveri etici e materiali per rispettare impegni presi in sede internazionale e che il risparmio energetico è comunque un obiettivo da perseguire e una grande opportunità di sviluppo e di crescita, si ritiene che il vero problema in Italia sia la mancanza totale di una programmazione energetica.
 
L’ultimo Piano Energetico Nazionale risale alla fine degli anni 80, la decisione di pianificare la costruzione di una serie di centrali nucleari è naufragata con un referendum dai forti significati anche sociali, mentre gli impianti termoelettrici sono stati costruiti recentemente anche a fronte di una ben nota diminuzione delle richieste di energia e la SEN del Governo Monti è solo un insieme di buone intenzioni, senza alcuna indicazione strategica concreta. In questo vuoto si sono innestati alla rinfusa una serie di interventi, in grado di premiare ora l’una ora l’altra tecnologia, con tutte le conseguenze del caso, compreso il dilagare di norme tecniche spesso in contrasto tra di loro e di tariffe dell’energia non sempre congruenti. Ci permettiamo di suggerire di cambiare logica e capire, finalmente, che il risparmio e l’efficienza energetica si possono ottenere solamente coniugando un mix di tecnologie, in alcune delle quali, peraltro, l’industria Italia è tra i leader di mercato. Solo una seria programmazione energetica, seguita da un’altrettanto seria pianificazione delle norme tecniche e delle tariffe dell’energia potrà permettere a tutti, dai progettisti degli impianti, agli installatori fino all’utente finale, di comprendere i reali vantaggi di un investimento nella green economy. Senza posizioni talebane, né dall’una (amplificata a dismisura dall’establishment), né dall’altra parte (alla quale in verità non viene data grande possibilità di replica).
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Desertec in crisi: le due vie alle rinnovabili

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 10 giugno 2013

Per la prima volta nella storia umana siamo vicini alla soglia delle 400 ppm di CO2un livello critico per il riscaldamento globale. Con una rapida svolta verso le energie rinnovabili e pulite, supportata da forti misure per l’efficienza energetica, saremmo in grado di ridurre drasticamente le emissioni e la concentrazione di CO2.

Gli approcci in questa direzione, soprattutto per il fabbisogno elettrico, sono essenzialmente di due tipi. Da una parte, un mutamento radicale della struttura della fornitura e del consumo energetico, dovuto a un’ampia diffusione di apparati decentrati e di piccola-media taglia integrati nel territorio (pannelli sugli edifici, reti intelligenti, sistemi di accumulo e di risparmio etc). Dall’altra, un’enorme concentrazione della produzione in luoghi particolarmente favorevoli alla trasformazione delle fonti naturali con impianti ancora più mastodontici delle attuali centrali (campi fotovoltaici nei desertidighe che formano grandi bacini, campi eolici offshore etc.) e linee di trasporto che, dopo aver attraversato mari e continenti, si riallacciano ai sistemi ereditati e governati dalle grandi corporation elettriche oggi sul campo.

E’ evidente a chiunque come i due scenari comportino soluzioni economiche, sociali, ambientali e democratiche tra loro profondamente diverse, pur marciando nella medesima direzione di ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Ma, mentre la diffusione di rinnovabili per sostituzione dei fossili procede, pur scoraggiata dalle grandi utilities e da governi come il nostro, la notizia clamorosa riguarda la messa in discussione quasi definitiva del progetto Desertec, voluto dal consorzio delle grandi utilities del nostro continente per l’esportazione di energia solare generata dal Sahara verso l’Europa.

In una intervista telefonica, il ceo del consorzio, Paul Van Son, ha ammesso che l’Europa può fornire la maggior parte del suo fabbisogno energetico dal proprio interno, con la creazione di mercati integrati in cui cresca la produzione locale di rinnovabili. Senza, quindi, dover costruire impianti e linee di trasporto dal Maghreb. Si tratta di una svolta clamorosa, che ha a che fare non solo con le difficoltà tecnologiche e i rischi industriali, ma – diciamolo pure – con la filosofia delle grandi opere e con la constatazione che le rinnovabili sono finalizzate al consumo territoriale e aumentano la loro efficacia solo se abbinate all’efficenza del sistema e al contenimento del trasporto.

In effetti, i critici del ricorso ad opere faraoniche per risolvere la crisi avevano messo in dubbio la fattibilità di un progetto per generare 100GW entro il 2050 a un costo di 400.000.000.000 di euro. L’Europa è già alle prese con i problemi di assorbimento di energia rinnovabile prodotta in loco e ormai concorrente con quella prodotta da fossili. Il primo compito, nell’interesse dei suoi cittadini, sembrerebbe quello delle reti, degli accumuli e dell’integrazione tra i sistemi, prima che l’importazione da altri continenti.

In compenso, i Paesi del Nord Africa si stanno concentrando sulla soddisfazione delle proprie richieste nazionali di potenza – che stanno crescendo rapidamente – e sono di conseguenza riluttanti a impegnarsi per una esportazione che richieda enormi investimenti e una gestione onerosa. L’obiettivo dell’Algeria è di produrre il 40% della sua elettricità da fonti energetiche rinnovabili entro il 2030. Il Marocco intende mettere in opera 50 MW fotovoltaici e impianti eolici per 50 MW nel Regno. In definitiva, Desertec si sta trasformando in un’ottima occasione per costruire una fornitura di energia rinnovabile per il Nord Africa.

Anche se poco riportata dai nostri media, la “riconversione” di Desertec ha un enorme significato: stiamo andando verso un modello energetico davvero nuovo, distribuito, a dimensione integrata e territoriale, non più “mimato” su quello che ci consegnano le utilities spiazzate dalla loro stessa imprevidenza nel non considerare la questione della giustizia sociale e climatica come la nuova frontiera. Che il nuovo stia avanzando – seppure contrastato – lo si poteva vedere lo scorso weekend in una affollatissima ricorrenza organizzata alla Cascina Cuccagna nel centro di Milano: alla prima edizione di “La potenza di helios”, una mostra-evento per fare il punto sulle possibilità di utilizzo dell’energia solare anche in città, una tensione realizzativa animava visibilmente gli incontri e le dimostrazioni, nella migliore sinergia tra bisogno di innovazione  e aspirazione alla convivialità.

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Cinquantapercento rinnovabile

Roberto Meregalli (BCP – Energia felice)

 

Gli amministratori delegati di Enel, Gasterra, Gdf Suez, Iberdrola, Eni, Rwe, E.On, Gas Natural Fenosa (Fulvio Conti, Gertjan Lankhorst, Gérard Mestrallet, Ignacio Galan, Paolo Scaroni, Peter Terium, Johannes Teyssen, Rafael Villaseca Marco) alla vigilia del Consiglio europeo del 22 maggio, hanno posto all’attenzione dei leader europei la necessità urgente di modificare la politica energetica europea.

I big del gas hanno chiesto la remunerazione della capacità disponibile e delle reti, un mercato della CO2 che favorisca “tecnologie ecocompatibili” (la CCS?) e “un approccio più sostenibile per la promozione delle energie rinnovabili al fine di ridurre i costi per i cittadini” (basta soldi alle fer).

Si tratta del livello più elevato di pressione a cui le utility sono giunte, dopo due anni di campagna serrata e martellante sui mezzi di comunicazione e in tutte le occasioni istituzionali possibili (audizioni parlamentari, incontri, conferenze), per bloccare l’avanzata delle fonti rinnovabili.

Mai è stato così martellante l’allarme per il contenimento del costo dei prezzi dell’energia, “non possiamo accettare nulla che facci aumenta il costo dell’energia[1] tuona a ripetizione il presidente di Assoelettrica Chicco Testa: mai udita tanta veemenza in passato quando l’energia non era certo meno costosa di oggi, anzi nel corso di questo 2013 sono già scesi sia il prezzo dell’elettricità che del gas e continueranno a scendere nei prossimi mesi. Mai udita tanta foga contro i sussidi agli inceneritori o per gli oneri nucleari o gli sconti alle ferrovie e ai grandi consumatori industriali.

Il top dell’assurdo è stato raggiunto dall’appello[2] del 5 maggio scorso, sottoscritto da Italia Nostra, LIPU, Comitato per la Bellezza, Amici della Terra, Comitato nazionale del Paesaggio, Mountain Wilderness, che propongono di trovare i soldi per ridurre o abolire l’IMU sulla prima casa tassando gli “enormi profitti lucrati grazie agli incentivi più alti del mondo assegnati negli anni passati all’eolico ed al fotovoltaico industriali”. L’appello condanna “l’assalto che ha portato ad invadere vastissime aree agricole a coltura e a deturpare incontaminati paesaggi montani (in evidente spregio dell’art. 9 della Costituzione). Assalto che graverà per 12 miliardi l’anno sulle bollette degli italiani per il prossimo ventennio”. A prescindere che la colata di pannelli fotovoltaici a terra ha occupato in totale circa 133 km quadrati, non pochi certo, ma pari allo 0.044 % del territorio (un venticinquesimo della Valle d’Aosta) ben lontano da chi vaneggiava, ed era il massimo manager italiano del settore elettrico, che “Una crescita dell’1,5-2 per cento annuo [di generazione elettrica] implica una produzione di 1.500 megawatt. Per raggiungere un obiettivo del genere impiegando soltanto l’eolico o il fotovoltaico si dovrebbero installare almeno 500.000 pale eoliche e disporre di una Regione delle dimensioni dell’Umbria per il fotovoltaico[3], viene spontaneo chiedersi il perché tutta questa rabbia verso le nuove fonti e non, ad esempio, per la riduzione del numero degli aerei F35 o altre spese militari? O, rimanendo in materia di energia, verso la trattativa in corso al ministero per lo sviluppo economico per garantire “meccanismi di garanzia di remunerazione” al rigassificatore di Livorno[4] che doveva già essere in opera ma che i proprietari non fanno salpare da Dubai, dove ufficialmente è stato varato il 5 febbraio, proprio perché in attesa di contributi economici statali?

Purtroppo le prese di posizione dell’Autorità per l’energia ed il gas convergono sul tema del contenimento dei costi in bolletta, escludendo qualsiasi ragionamento di strategia, salvo poi lamentare in ogni occasione la cronica mancanza di programmazione strategica italiana. Il ridicolo è che l’eventuale tassazione della generazione fotovoltaica non ridurrebbe di un centesimo il costo dell’elettricità, servirebbe ad altro, ed anche un sussidio alle centrali a gas sottoforma di capacity payment (riconoscimento economico alle centrali a gas pronte ad entrare in servizio in caso di necessità) avrebbe lo stesso effetto, anzi costituirebbe un ulteriore onere da spalmare in bolletta. Per non parlare della richiesta dei distributori di energia (vedi comunicato di Euroelectric, guidata attualmente dal “nostro” Fulvio Conti) che chiedono “una regolamentazione tariffaria che garantisca ritorni sull’investimento” indipendentemente dai flussi effettivi di energia.

Quello che si sta svolgendo sulle spalle dei cittadini è uno scontro fra i dinosauri del passato e la nuova generazione distribuita, con l’obiettivo dei primi di bloccare il cambiamento in atto o almeno rallentarlo il più possibile. Ma fermarsi quando si è a metà del guado significa sprecare o quantomeno rendere meno produttive le spese e gli sforzi sinora effettuati. L’investimento in rinnovabili è stato rilevante (e parte del capitale è stato anticipato da investitori esteri) ma l’unica proposta sensata e davvero dalla parte dei consumatori ora sarebbe quella di pensare a come sfruttarla e valorizzarla al massimo, non a come sprecarla. Non serve più alcun sussidio, basterebbero sgravi fiscali e regolamenti che permettano a chi mette i pannelli sul tetto di vendere direttamente al vicino senza passare dalla rete.

E se qualcuno ancora non crede alle potenzialità (almeno nell’elettrico) delle FER guardi cosa sta succedendo in borsa: la scorsa settimana il 54,5% dell’elettricità offerta era da fonte rinnovabile! Il gas (per definizione uno dei nostri problemi perché ne saremmo troppo dipendenti) era relegato al 24%, all’8,5% il carbone! Siamo già al 50% rinnovabile e montagne di relazioni e di studi vanno buttati al macero perché obsoleti. Le FER hanno fatto scendere il prezzo medio d’acquisto a 49,45 euro al MWh, quando era a 61 euro il mese scorso e a 75,48 nel 2012 (e questo spiega da sé la lotta feroce delle utility).

Sui prezzi il vero discorso è che in un sistema rinnovabile il combustibile non conta più perché vento, acqua e sole sono gratis, il sistema deve cambiare perché vanno remunerati gli impianti e le reti, questo va fatto e con urgenza. Ma ogni azione (specie dell’Autorità per l’energia ed il gas) deve guardare sì all’immediato, ma contemporaneamente spingersi verso il futuro concordando sul fatto che importare meno fossili è solo positivo per il nostro Paese perché significa migliore bilancia dei pagamenti (3 miliardi di euro in meno la voce energia nel primo trimestre 2013 rispetto al primo del 2012 secondo l’istat) e minori emissioni in un cielo sempre più instabile.

 


[1] Staffetta quotidiana 28 maggio 2013

[2] http://www.amicidellaterra.it/adt/index.php?option=com_content&view=article&id=1295:tassare-le-rendite-abnormi-di-eolico-e-fotovoltaico-&catid=42:comunicati

[3] Fulvio Conti in una audizione al Senato della Repubblica, 13ª Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali – Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alle fonti di energia alternative e rinnovabili , Seduta n. 34 – Martedì 28 ottobre 2008.

[4] Si tratta di una nave terminale rigassificatore che verrà posizionata a 22 chilometri dalla costa livornese. Vedi articolo su quotidiano energia del 24 maggio 2013

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