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Le manifestazioni spontanee di Enel contro Greenpeace

Enel, l’azienda organizzava manifestazioni “spontanee” contro Greenpeace

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Per il buon esito di una manifestazione ci vogliono anche due megafonidieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta. A stendere la “lista della spesa” non è il capo-ultras di una curva, ma un uomo dell’ufficio stampa di Enel. E i campi da gioco sono le centrali a carbone prese di mira da Greenpeace, più volte citata in giudizio dal colosso dell’energia per le sue azioni dimostrative.

È l’ottobre del 2008. Manca poco più di un mese all’inizio della Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dall’Onu a Poznań, in Polonia. Greenpeace entra in azione a Genova il 26. Lo schema è collaudato. All’alba gli attivisti attaccano la Lanterna, simbolo della città, una nave carboniera e l’impianto termoelettrico dell’Enel. Sulla facciata della centrale, sotto il simbolo della società, scrivono “clima killer”. Poche ore dopo la scritta viene oscurata da tre striscioni colorati: Andate a lavorareBasta ecoballe e Quit Greenpeace. A srotolarli sono gli operai dell’Enel che manifestano contro l’azione degli attivisti verdi. Una contro-protesta spontanea, così la definiscono i dipendenti e la descrivono i giornali. Ma i fatti non sono andati proprio in questo modo. A testimoniarlo sono le mail che i dirigenti dell’Enel si scambiano febbrilmente nelle ore e nei giorni successivi, temendo nuovi attacchi negli altri impianti a carbone.

La verità emerge dalle carte del processo che vede imputati a Brindisi dodici dirigenti Enel con l’accusa d’aver imbrattato di carbone campi e abitazioni vicini alla centrale “Federico II”. Il 9 ottobre 2009 il pm Giuseppe De Nozza ordina la perquisizione del computer di Calogero Sanfilippo, allora responsabile della filiera del carbone. E salta fuori anche questa storia collaterale, che svela un doppio livello nelle legittime azioni di contro-protesta agli attacchi di Greenpeace. Contattata da ilfattoquotidiano.it l’Enel preferisce non commentare. E il responsabile settore elettrico della Filctem CgilGiacomo Berni, è categorico: “Ho organizzato tante manifestazioni come sindacato, mai per conto terzi”. Fatto sta che gli operai protestano, ma tutto sembra essere deciso nella sede centrale di Roma. Nei minimi dettagli.

Una mail vale per tutte quelle sequestrate. È quella inoltrata il 31 ottobre 2008 da Sanfilippo ai responsabili delle centrali, ma a scriverla è Alessandro Zerboni, uomo dell’ufficio stampa. È datata 29 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Genova. «È di fondamentale importanza individuare cinque fidatissimi lavoratori per unità a carbone. Eleggere uno o due portavoce. Il personale – suggerisce Zerboni ai responsabili delle relazioni esterne delle macroaree – dovrà essere formato e preparato all’azione. È importante gestire le relazioni sindacali, durante e dopo la protesta in quanto si tratta sempre di AZIONI SPONTANEE dei lavoratori, MAI ORGANIZZATE dall’azienda». Così spontanee che «in caso di azione il capocentrale dovrà informare il proprio superiore, il responsabile di filiera, le relazioni esterne, l’ufficio stampa nazionale».

Poi la lista della spesa, un “press kit per le centrali a carbone” che consiste in «STRISCIONI: numero 8, lunghezza 8/10 metri – altezza almeno 1,5 metri, formato orizzontale e verticale, font: scritti con pennello (minima larghezza per lettera 10 cm). No spray. Colore: preferibilmente blu scuro/verde scuro su fondo bianco. Scritte: ANDATE A LAVORARE, BASTA ECOBALLE, SIAMO VERDI DI RABBIA, uno o due a piacere in dialetto». Due delle frasi suggerite erano già comparse a Genova. L’en plein, stando a quanto riportano i giornali dell’epoca, si registra nel 2009 durante la contro-protesta inscenata dagli operai dell’impianto di Fusina, alle porte di Marghera, subito dopo l’attacco di Greenpeace alla vigilia del G8 de L’Aquila. Sono le uniche due occasioni accertate nelle quali le proteste degli operai combaciano con le indicazioni prescritte nel “press kit”, che si chiude con gli accessori da stadio: «Due megafoni, dieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta».

Il giorno seguente l’azione di Greenpeace a Genova, lo scambio di mail tra dirigenti, relazioni esterne e gli uomini al comando delle centrali è fitto. Bisogna prevenire altri attacchi e reagire velocemente nel caso in cui gli attivisti riescano a violare ancora le centrali. L’attenzione si concentra sugli impianti di La Spezia e Piombino, i più vicini e per questo più esposti. Dopo il blitz a Civitavecchia del 16 ottobre e il bis in Liguria, la tensione è alta. E c’è fretta di approntare quanto necessario per oscurare la protesta ambientalista. Così Sanfilippo dice al direttore della centrale spezzina di chiedere in prestito gli striscioni usati a Genova, raccomandandosi «per il futuro di realizzarli ad uso esclusivo di La Spezia». Entra in scena anche un pezzo grosso comeRoberto Renon, responsabile Area Business, che ricorda a Sanfilippo di concordare in futuro con relazioni esterne le frasi poiché «in staff meeting non era piaciuto “Quit Greenpeace”», apparso a Genova il giorno prima.

Della centrale di Piombino si occupa il responsabile delle relazioni esterne per il centro-nordLuciano Martelli, oggi in pensione. Allertato dalla security interna sulla l’imminente possibilità di un’incursione, avvisa Roma. Il capo ufficio stampa Gerardo Orsini è categorico e pronto a partire per la Toscana: «Vale la pena che tu vada direttamente sul posto per far sì che siano pronti al più presto gli striscioni, le dichiarazioni da fare, si trovi un portavoce che dichiari ai media. Se non puoi diccelo che andiamo da Roma». Martelli lo tranquillizza: «In centrale stanno già preparando qualche striscione». Gli attivisti di Greenpeace non arriveranno. Ma sempre meglio portarsi avanti con il lavoro.

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Rinnovabili: il sole è ormai competitivo

di Mario Agostinelli, 15 luglio 2013

Tenere un blog tematico come questo è straordinariamente interessante, perché obbliga al confronto, ad arricchirsi dei commenti, ad acquisire nuove conoscenze che l’interattività dello strumento mette a disposizione in tempo reale. La caratteristica di un post “pubblico”, accessibile a chiunque e non indirizzato a un circuito chiuso, è tale da non consentire all’autore di rispondere se non indirettamente alle osservazioni che vengono pubblicate in successione. Di conseguenza, le risposte e le integrazioni ad alcuni argomenti, oggetto di discussione o di critica da parte dei lettori, possono ritrovarsi in note come quelle che seguono, che, pur mantenendo la struttura di un’informazione generale, sono sollecitate dalle osservazioni – di cui sono grato – registrate in coda agli articoli.

Ci sono aspetti della indubitabile marcia delle rinnovabili a sostituzione delle fonti fossili che, suffragati dai dati, vanno rimarcati come fatti incontrovertibili (v. anche www.energiafelice.it).

1) La grid parity per il fotovoltaico

In Italia, rileva uno studio di Eclareon, la grid parity nel settore domestico è stata raggiunta su tutto il territorio nazionale. Gli ingredienti che l’hanno permessa sono un calo del costo degli impianti del 18,2% l’anno dal 2009 al 2013, una buona radiazione solare particolarmente accentuata al Sud, e prezzi dell’elettricità in bolletta piuttosto elevati. Anche non tenendo conto delle detrazioni del 50% dei costi sostenuti per installare gli impianti  misura che è valida peraltro solo per i sistemi fino a 20 kW  non occorrono più incentivi per recuperare l’investimento che rende autonomi dalla fornitura tradizionale. Solo se lo scambio sul posto fosse riformato in maniera sfavorevole e se si rendesse concreta la proposta dell’Authority di far pagare gli oneri di sistema anche sull’energia autoconsumata, allora si allontanerebbe nel tempo la parità. Ma il gap sorgerebbe questa volta per scelte politiche, non per “distorsioni” introdotte dall’esterno nel mercato.

2) Benefici complessivi per l’economia:

Ricordiamo che per l’Italia il saldo import-export nel settore energetico è stato nel 2012 pari a -63 miliardi di euro, mentre quello di tutti gli altri comparti ha raggiunto lo scorso anno un valore positivo pari a 74 miliardi di euro. Si calcola che l’incremento della quota di energia rinnovabile al 20% dei consumi energetici finali nel 2020 – obbiettivo UE  garantirà alla fine di questo decennio un risparmio di una decina di miliardi/anno. Ora lo sforzo già fatto ci consente di risparmiare circa 7 miliardi. Gli incentivi per il fotovoltaico ammontano a 6,5 miliardi e non cresceranno oltre. Già ho trattato nel post precedente gli effetti benefici e crescenti della produzione fotovoltaica sulla riduzione delle tariffe da noi pagate in seguito al meccanismo della borsa elettrica. Purtroppo, riguardo all’insieme delle energie “verdi”, mentre alcune tecnologie sono esportate, per la maggior parte l’Italia è un importatore netto. Per di più, siamo in ritardo sull’approntamento di sistemi di accumulo, che renderebbero più efficiente la rete e ottimizzerebbero l’immissione di fonti intermittenti. Questo è anche il risultato di una politica industriale dei Governi poco attenta all’innovazione ed è qui che occorrerebbe concentrare gli interventi.

3) Il ritorno energetico

L’energia spesa per la produzione di pannelli solari torna entro 4 anni. Come si può riscontrare sul sito del dipartimento energia USA l’energia investita per produrre un impianto fotovoltaico nel 2013, componenti e installazione compresa, va dal 13 al 3% di quella che il sistema produrrà in 30 anni. E’ vero che l’industria fotovoltaica è altamente energivora. Ma, come spiega uno studio della Stanford University, con l’aumento della potenza installata e il miglioramento dell’efficienza nei processi produttivi, gli impianti in funzione producono più di quanto venga consumato per farne di nuovi.

4) Lo spazio occupabile sull’edificato

Con la resa attuale, alle latitudini in cui si trova il nostro Paese, per soddisfare col sole metà della domanda elettrica prevista al 2050 occorrerebbe un quadrato di 50 Km di lato. Una superficie distribuibile almeno per oltre la metà su edifici e coperture già esistenti. Per fare un confronto con la logica dei grandi impianti centralizzati e rimanendo nel campo delle rinnovabili, si pensi che ENEL Greenpower prevede 5 centrali a biomasse per un totale di 150 MW, che necessiteranno, secondo la FIPER, di circa 2.250.000 ton/annue di biomassa legnosa corrispondenti a circa 56.250 ettari di terreni coltivabili, corrispondenti a una fascia di terra di 100 metri da Roma a Milano, per fornire biocombustibile agli impianti.

5)  I vantaggi occupazionali

Secondo il ministero dello Sviluppo Economico, per ogni mille euro spesi nelle rinnovabili, rimangono in Italia tra i 500 e i 900 euro, mentre un investimento di pari importo sulla produzione elettrica da gas dà al territorio solo 200 euro, mentre i rimanenti 800 euro vanno a beneficio di economie estere.

Secondo il MIT, investendo 1 milione di dollari nelle differenti filiere energetiche si possono ottenere: 5 occupati per il gas naturale, 7 per il carbone, 12 per le smart grid, 13 per l’eolico, 14 per il solare, 16 per le biomasse, 17 per la coibentazione degli edifici, 22 per il trasporto delle merci su ferrovia.

In Italia si valuta che nelle rinnovabili siano occupati 100.000 addetti, ma non esiste un rilievo preciso. In Germania gli occupati rigorosamente censiti per fonte sono 360.000. Inutile rimarcare quale spazio occupazionale sia disponibile. Eppure, le incerte politiche governative degli ultimi anni hanno provocato nel fotovoltaico una caduta del 22% (secondo stime, da circa 42 mila nel 2011 a 34 mila nel 2012).

In definitiva, perché ostacolare e non sostenere la rivoluzione energetica in corso?

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Quali sono le ragioni dell’aumento delle tariffe elettriche?

di Roberto Meregalli

Dal primo luglio sono tornate a salire (anche se di poco), le bollette dell’elettricità. E la responsabilità è stata attribuita anche questa volta alle fonti rinnovabili. Da due/tre anni le FER sono additate come causa del caro bollette e l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG) si è fatta paladina di questa posizione. Non che non ci si debba preoccupare del crescente peso degli oneri di sistema in bolletta, ma l’impressione è che si stia esagerando.

grafico meregalli

Fonte AEEG

Proviamo ad analizzare i numeri. Per prima cosa il recente aumento, pari all’1,4% non è dovuto all’aumento degli oneri relativi alla fatidica voce A3 che comprende quelli che sostengono le fonti rinnovabili (vedi nota), infatti pesavano per 98 euro l’anno e tali rimangono, anzi percentualmente scendono lievemente dal 19,23% al 18,98% della bolletta.

Prezzi medi annuali per utenti domestici con potenza pari a 3KW e consumi sino a 2.700 kWh annui

Confronto prima e dopo l’aumento del 1 luglio 2013 (valori in €)

Componente della bolletta In vigore sino al 30 giugno 2013 In vigore dal 1 luglio 2013
Energia (PED+PPE) e commercializzazione 270 276
Trasmissione   75   75
Oneri di sistema   98   98
Imposte ed IVA   68   69
Totale 511 518

Fonte: Acquirente Unico

La sola componente che sale è quella propria dell’energia, nella parte (come specifica l’AEEG) relativa al bilanciamento, cioè quei costi che Terna (società responsabile del dispacciamento) impiega per bilanciare quotidianamente domanda ed offerta di elettricità compensando gli errori di previsione e i problemi di generazione. Certo la colpa viene addossata alle rinnovabili perché intermittenti (ma non tutte), ma probabilmente se si dedicassero risorse ed energie a rendere più efficienti i mercati infragiornalieri (al fine di consentire un’efficiente partecipazione al mercato delle fonti rinnovabili intermittenti), più precise le stime di generazione e non si ostacolassero i sistemi di accumulo tutto sarebbe risolto. Pertanto se si volesse fare qualcosa di concreto per evitare sprechi ed ottimizzare la spesa fatta per incentivare le nuove fonti, è in questa direzione che si dovrebbe celermente andare, senza inutili continui lamenti da parte di Assoelettrica.

Anche perché il conto energia ha cessato di esistere il 6 luglio, pertanto il fotovoltaico non crescerà più come onere in bolletta. Il problema in verità è amplificato dal calo dei consumi, cioè dalla riduzione della quantità di energia elettrica (fatturata) su cui spalmare gli oneri di sistema, pertanto sarebbe utile in presenza di una sempre maggiore disponibilità di elettricità verde, pensare a come sostituire col vettore elettrico altre forme di energia “più sporche”. Fortunatamente anche Assoelettrica e l’Autorità stessa sembrano averlo compreso e pertanto speriamo di avere dal regolatore buone nuove.

 

 

 

 

 

Nota: Componente A3 (fonti rinnovabili e assimilate) – E’ la  più consistente fra gli oneri di sistema e finanzia sia  l’incentivazione del fotovoltaico sia il sistema del Cip 6, che incentiva le fonti rinnovabili e assimilate (impianti alimentati da combustibili fossili e da combustibili di processo quali scarti di raffineria etc).

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Deraglia un treno pieno di petrolio in Canada

Deraglia treno pieno di petrolio, città in fiamme
«Come un’atomica». Ci sono dei dispersi

Pompieri in arrivo anche dagli Stati Uniti. I soccorsi non riescono ad entrare nel quartiere incendiato. Rogo colossale

 

La città di Lac Megantic sconvolta dalle fiamme
La città di Lac Megantic sconvolta dalle fiamme

Come in un film catastrofico, ma è tutto vero. Un treno merci che trasportava petrolio greggio è deragliato venerdì notte all’1 e 20 (le 7 e 20 italiane) mentre attraversava il centro della cittadina di Lac Megantic, nel Quebec, in Canada, dando origine a un vasto incendio che ha investito una trentina di edifici. Non è ancora chiaro se vi siano vittime, le autorità non sono in grado di dirlo anche se ci sono dei dispersi. Sul posto sono intervenuti i pompieri che hanno ricevuto rinforzi da quelli statunitensi. Almeno mille dei circa 6.000 abitanti della cittadina sono stati evacuati. In un briefing per la stampa i vigili hanno spiegato di aver iniziato da poco a penetrare nel cuore dell’incendio ma di non essere ancora in grado di verificare se vi siano morti o feriti.

LE TESTIMONIANZE – Testimoni hanno raccontato che il convoglio merci della compagnia The Montreal Maine & Atlantic, che trasportava il greggio verso la costa orientale americana, è arrivato a gran velocità prima di deragliare nel centro di Lac Megantic, sita 250 km a est di Montreal. L’esplosione dei vagoni-cisterna pieni di petrolio ha liberato un grande fungo di fuoco, seguito da un incendio che si è rapidamente propagato agli edifici vicini. Incendio che non è ancora sotto controllo.
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Competizione tra energia e cibo. La produzione di energia da biogas nella Pianura Padana

Giovanni Carrosio – gcarrosio@units.it 

 

Introduzione

Le competizione per la terra è un fenomeno molto complesso, frutto dell’interazione di una molteplicità di fattori che ne sono la causa. Produzioni feed-food, infrastrutture, urbanizzazione, attività estrattive, conservazione ambientale sono gli utilizzi del suolo che in un paese carente di grandi spazi aperti come l’Italia entrano in competizione. Alla tradizionale competizione per la terra, da qualche anno si è aggiunto anche il fattore energetico.
Negli ultimi anni, la pianura Padana ha visto il proliferare di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Fotovoltaico a terra, impianti a biogas, centrali a biomasse sono le principali tecnologie che implicano un utilizzo diretto e indiretto di suolo. Gli impianti fotovoltaici occupano direttamente terreno agricolo, mentre biogas e biomasse hanno bisogno di vaste estensioni per la coltivazione di colture energetiche dedicate.
Le differenti possibili destinazioni d’uso dei terreni stanno dando vita ad una competizione per la terra, che è frutto della combinazione di diversi fattori: a livello globale sta crescendo e cambiando drasticamente la domanda di prodotti alimentari, si stanno modificando i modi di approvvigionamento energetico a causa dell’esaurirsi delle risorse fossili e gli organismi di governo, su diversi livelli, adottano politiche per contrastare il cambiamento climatico che hanno conseguenze secondarie sull’utilizzo della terra. Politiche per il clima, fabbisogno energetico ed alimentare sembrano non trovare una integrazione sostenibile sui territori, tanto è vero che a livello internazionale si inizia a parlare di “food-energy-environment trilemma” (Tilman e altri, 2009).
La questione è molto complessa e difficile da districare. Il land use change (Luc) diventa complesso in un sistema nel quale interagiscono mercati locali e mercati internazionali delle commodities, per cui le modificazioni d’uso dei terreni non sono immediatamente visibili a livello locale, ma si manifestano in modo indiretto (iLuc), coinvolgendo luoghi diversi del pianeta. Per questo motivo l’articolo intende circoscrivere l’ambito di analisi alla produzione di energia da biogas nel Nord Italia, per provare a tracciare alcune dinamiche e comprendere i nessi causali tra modi di organizzare la produzione di energia e conseguenze nell’utilizzo del suolo. Gli obiettivi sono perciò minimi rispetto alla complessità del tema della food-fuel competition: capire quali legami esistono tra stili organizzativi della produzione di energia da biogas e consumo di suolo. La competizione con il cibo viene vista da un punto di vista quantitativo, ma anche da un punto di vista qualitativo, indagando il legame tra energia e filiere di qualità.

Land use change ed energie rinnovabili

Il tema della competizione per l’utilizzo della terra ha riacquistato una rilevanza nella letteratura internazionale a partire dalla diffusione massiccia delle energie rinnovabili. In particolare, la maggior parte degli studi si concentra sulle conseguenze della diffusione degli agrocarburanti su scala industriale, considerati come principali competitori della produzione di cibo (Carrosio, 2011). A livello italiano, tuttavia, è stata rivolta poca attenzione a questo problema. Nel nostro paese pochi terreni sono stati convertiti a colture energetiche destinate alla produzione di agrocarburanti, ma si sono diffusi in maniera molto rapida impianti a biomasse, digestori per la produzione di biogas e grandi impianti per il fotovoltaico a terra. Essi, in forme diverse, implicano l’utilizzo di vaste porzioni di terreno. Nel caso del fotovoltaico abbiamo una occupazione diretta di terreno per l’installazione dei pannelli (Frascarelli e Ciliberti, 2011). La diffusione di grandi impianti a terra ha avuto una accelerazione grazie a tariffe incentivanti molto allettanti per i grandi investitori, ma ha subito una brusca frenata in seguito alla revisione delle modalità di incentivazione. Gli impianti a biomasse, invece, sono spesso localizzati nelle aree industriali, ma richiedono grandi porzioni di territorio per il loro approvvigionamento. Esse possono essere alimentate da biomasse legnose provenienti dalla gestione locale dei boschi (Carrosio, 2010), da short rotation forestry, da sottoprodotti delle lavorazioni industriali come gli scarti di segheria o agroindustriali come i gusci di nocciola. Nel caso dell’utilizzo di piante a crescita rapida o di colture energetiche come il miscanto, solitamente il raggio di approvvigionamento è prossimo alla centrale, ma spesso il cippato legnoso proviene dai mercati internazionali.
Gli impianti a biogas, invece, utilizzano soprattutto un mix di deiezioni animali e colture dedicate. Mais, sorgo e triticale sono le colture a più alta resa durante il processo di digestione anaeorobica. Il raggio di approvvigionamento è solitamente prossimo al digestore, per ottimizzare i costi di produzione e per avere stabilità nei costi delle materie prime. A livello quantitativo, si tratta della fonte di energia rinnovabile che ha il più alto impatto sull’utilizzo dei suoli nel nostro Paese. Anche per questo, sono ormai decine i comitati di cittadini che si oppongono in maniera più o meno radicale alla autorizzazione di alcune tipologie di impianti, in particolare gli impianti molto standardizzati con taglia 999 KW, che si sono diffusi come conseguenza di una incentivazione statale molto generosa (Carrosio, 2012).
Per ogni tipo di fonte energetica e di materia prima utilizzata, perciò, si aprono scenari differenti per quanto riguarda il consumo di suolo. In alcuni casi le biomasse vengono coltivate in ambiti locali, in altri casi vengono importate incidendo sul consumo di suolo in altri paesi, in altri casi provengono dagli scarti di altre lavorazioni, trovando una integrazione nelle filiere agroindustriali.
I due concetti che vengono utilizzati in letteratura per indagare il rapporto tra cibo ed energia (ma in particolare per valutare il bilancio di emissioni di CO2 delle produzioni agroenergetiche) sono land use change e indirect land use change. Il primo indica il cambio diretto di destinazione d’uso dei suoli, come è ad esempio la sostituzione di una coltura con un’altra, oppure l’occupazione da parte di colture energetiche (o pannelli fotovoltaici) di una porzione di terreno utilizzata in precendenza a scopi alimentari. Il Luc è facilmente misurabile, in quanto visibile. L’iLuc, invece, indica il cambio indiretto di destinazione d’uso di un terreno ed è conseguenza del Luc. Ad esempio, quando si occupa un terreno con pannelli fotovoltaici, le colture presenti in precedenza devono essere reperite altrove, incidendo perciò sull’utilizzo dei terreni in altre aree più o meno lontane (Carrosio, 2012b). Questo secondo fenomeno è nella maggior parte dei casi difficilmente tracciabile e misurabile, e le conseguenze dipendono molto da quale tipo di ordinamento si è andati a intaccare.
Anche per provare a capire come la diffusione del biogas in Italia possa incidere su land use change e indirect land use change, è importante indagare i modelli socio-organizzativi con i quali gli impianti di produzione di energia prendono forma: a seconda delle modalità di organizzare l’approvvigionamento e l’utilizzo delle biomasse, esistono conseguenze anche molto differenti nell’utilizzo della terra e nel rapporto con le altre destinazioni che le colture agricole possono avere.
Oltre a questo tipo di considerazioni, esiste un secondo modo di approcciare la relazione tra produzione di energia e cibo. Si tratta di capire se l’ingresso del sistema energetico all’interno dei sistemi agroalimentari possa portare a mutamenti di carattere qualitativo, incidendo nelle filiere che si contraddistinguono per la qualità dei prodotti finiti. Ad esempio, il cambio di ordinamento colturale (da feed energy crops) può fare sì che l’alimentazione nella zootecnia si apra a mercati esteri difficili da tracciare, o ancora che alcune pratiche legate ai digestori di biogas portino ad un indebolimento e dequalificazione delle filiere. Facciamo riferimento, in questo caso, al dibattito sul rapporto tra digestato e fertilità dei suoli e tra digestato e proliferazione dei clostridi nel Parmigiano Reggiano.
Nei prossimi due paragrafi, affronteremo le due tematiche, ovvero la relazione cibo energia da un punto di vista quantitativo (come cambia l’utilizzo dei suoli) e da un punto di vista qualitativo (quali conseguenze sulle filiere agroalimentari di qualità).

Impianti a biogas e occupazione di terreno agricolo

Le tipologie di impianti a biogas (potenza installata e matrici utilizzate per l’alimentazione del digestore) e l’evolversi dei modelli organizzativi nel corso degli anni sono in larga misura funzione dell’intreccio di più dimensioni: le politiche di incentivazione per la produzione di energia elettrica e la presenza o meno di normative regionali, tese a regolamentare la diffusione degli impianti sui territori; gli stili aziendali delle singole aziende agricole (van der Ploeg, 1994) nelle quali è stato adottato l’impianto e l’esistenza di aree più o meno caratterizzate da filiere agroalimentari di qualità, nelle quali vigono disciplinari di produzione, come il Parmigiano Reggiano.
Tutti gli impianti installati al 31/12/2012 hanno avuto, come regime di incentivazione, un sistema tariffario che ha favorito soprattutto la diffusione di impianti da 999 KW, grazie alla tariffa omnicomprensiva di 28 centesimi a KWh (per i dettagli vedi Carrosio, 2012a).
Il sistema incentivante si è integrato con gli stili aziendali prevalenti delle aziende zootecniche, orientate ad una continua modernizzazione del proprio sistema produttivo, attraverso l’introduzione di nuove tecnologie che portano ad una sempre più marcata artificializzazione (Altieri, 2002). Il problema dei nitrati, ad esempio, non viene risolto recuperando una proporzione tra numero di capi e terreni disponibili per lo spandimento, ma viene affrontato grazie ad una escalation tecnologica: la produzione di energia da biogas diventa funzionale all’installazione di uno strippatore di ammonio, sistema molto energivoro per abbattere i nitrati che consente di riportare l’azienda nei parametri imposti dalla direttiva Nitrati.
Gli impianti da 999 KW, molto standardizzati, funzionano nella quasi totalità grazie ad un mix di deiezioni animali (20%) e colture energetiche (80%). Mais, sorgo e triticale vengono coltivati in prossimità dei digestori, sostituendo la produzione di mais per l’alimentazione animale. In media, un impianto di questa taglia, ha bisogno di 200 ettari di terreno coltivati a colture dedicate. Si stima che nel Nord Italia, gli impianti a biogas di questa taglia siano circa 300, per un totale di circa 60.000 ettari di terreno dedicato (Carrosio e Osti, 2012). Non abbiamo la possibilità di definire con certezza come questa occupazione di terreno abbia inciso sulle dinamiche locali ed extralocali in termini di cambio di destinazione d’uso dei suoli. Sicuramente nella maggior parte dei casi, questi terreni erano precedentemente coltivati per la produzione di mangimi animali. Mangimi che ora devono essere reperiti altrove.
Emerge perciò, come impianti medio-grandi che utilizzano anche matrici vegetali per il funzionamenti dei digestori, portino ad una pressione sulla terra: le colture energetiche sostituiscono quelle dedicate alla alimentazione animale, che devono essere approvvigionate sul mercato.
Impianti di taglia inferiore, invece, organizzati secondo una logica di chiusura dei cicli aziendali e alimentati esclusivamente a deiezioni animali non hanno alcun tipo di impatto sull’utilizzo della terra. L’ordinamento colturale non subisce modifiche e la produzione di energia viene concepita come uno strumento di chiusura di alcuni cicli ecologici.

La questione dei clostrìdi: un caso di trade-off tra politiche energetiche e sistemi agricoli di qualità

Un secondo aspetto, più qualitativo, è il rapporto tra produzione di energia da biogas e filiere agroalimentari di qualità. Il diffondersi di impianti medio-grandi che utilizzano come matrici sia effluenti zootecnici che insilati di sorgo o mais, ha aperto un dibattito sul rischio di proliferazione dei clostridi nelle catene alimentari.
Facciamo riferimento all’acceso dibattito emerso attorno alla Delibera numero 51 del 26 luglio 2011 dell’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, che ha definito le disposizioni per la localizzazione degli impianti a biogas, introducendo livelli di attenzione particolare per il territorio regionale che rientra nell’area del Parmigiano Reggiano. Questo territorio non è considerato idoneo agli impianti che “utilizzano silomais o altre essenze vegetali insilate, fatto caso il residuo del processo di fermentazione (digestato), tal quale o trattato, avvenga in terreni ubicati all’esterno del medesimo comprensorio”. Questa decisione è stata presa per evitare un incontrollabile incremento della contaminazione con spore di clostridi degli ambienti di produzione del latte, a seguito dell’utilizzo di insilati in associazione a effluenti zootecnici negli impianti a biogas e successivo spandimento dei digestati sui terreni a foraggere destinate all’alimentazione delle bovine da latte. I clostridi si moltiplicano durante la digestione anaerobica ed entrando nelle catene alimentari interferiscono con il processo di fermentazione del Parmigiano Reggiano, generando anidride carbonica all’interno delle forme.
All’origine dell’intervento della regione Emilia Romagna vi è uno studio del Crpa (2011) teso a verificare gli effetti del processo di digestione anaerobica sulla presenza di spore di clostridi introdotte negli impianti a biogas tramite liquami e colture dedicate. La sperimentazione ha dimostrato come il digestato proveniente dalla digestione di soli liquami abbia un contenuto di spore nettamente inferiore rispetto a quello ottenuto da liquami addizionati di insilati. In sostanza, nel caso di soli liquami le spore non si riproducono in modo significativo durante il processo anaerobico, ma nel caso in cui si utilizzino anche colture dedicate si è registrato un aumento importante. Per questo motivo la regione ha cercato di evitare la produzione di biogas da insilati nelle aree soggette al disciplinare del Parmigiano Reggiano per scongiurare conseguenze negative sulla filiera di un prodotto così importante per l’economia agroalimentare locale.
La questione è però ancora molto dibattuta e coinvolge movimenti di protesta sorti attorno alla costruzione di impianti a biogas che utilizzano insilati di mais. Alcuni ritengono che il regolamento della regione non sia abbastanza stringente, altri sostengono che sia parimenti critica la produzione di biogas anche soltanto con liquami zootecnici (Sahlström, 2003), sottolineando come durante la fermentazione anaerobica le spore di clostridi si trovino in una condizione ottimale per moltiplicarsi.
La critica al regolamento si muove a partire dalla possibilità degli allevatori aderenti al consorzio del Parmigiano Reggiano di reperire il 25% del foraggio all’esterno del comprensorio della Dop, sia in Italia che all’estero. Su questo foraggio è difficile mantenere il controllo e potrebbe anche provenire da aziende che producono biogas attraverso insilati, spargendo poi il digestato sui terreni.
La regione Piemonte, sulla scorta delle problematiche sorte in conseguenza della diffusione degli impianti, ha deliberato un disciplinare su tutti gli impianti a biomasse, introducendo delimitazioni molto importanti per le aree coinvolte nelle coltivazioni di prodotti di qualità. Le linee guida limitano di molto la possibilità di produrre energia da biogas con insilati nelle aree dove vi siano produzioni di qualità e filiere agroalimentari pregiate.

Considerazioni finali

Sul tema della competizione tra cibo ed energia vi è ancora molto da fare. In questo articolo, riducendo il campo di indagine al settore del biogas agricolo in Italia, abbiamo più che altro impostato un ragionamento metodologico su come affrontare la questione introducendo degli elementi di natura più qualitativa. Il rapporto tra produzione di cibo e di energia non si esaurisce, infatti, con il tema della competizione per l’utilizzo della terra, sul quale è necessario avere più conoscenze per riuscire a quantificare in modo rigoroso i cambiamenti nelle destinazioni d’uso. Bisogna indagare quali sono le conseguenze dell’intreccio tra sistemi energetici nascenti e sistemi agricoli sedimentati: nel caso che abbiamo accennato, se l’introduzione di tecnologie per la produzione di energia e alcuni modi di organizzare i processi possono incidere sulle filiere agroalimentari determinando inediti effetti secondari negativi. Sul tema specifico siamo di fronte ad una controversia, che coinvolge saperi esperti e ha risonanza pubblica attraverso l’azione di movimenti di protesta che per svariati motivi si oppongono alla realizzazione di alcuni impianti. Probabilmente alcuni sottovalutano il rischio della proliferazione dei clostridi ed altri lo sopravvalutano, ma è difficile come osservatori dipanare la questione e capire dove si potrebbe collocare la posizione più verosimile. Come in ogni controversia scientifica, è difficile capire dove inizia e dove finisce la neutralità del sapere scientifico e dove invece agiscono gli interessi degli attori in campo.
Di fatto, le politiche di incentivazione hanno già accolto alcune istanze di chi ha sviluppato ragionamenti critici sulla proliferazione degli impianti: i nuovi sistemi di incentivazione premiano gli impianti di taglia inferiore e che utilizzano i sottoprodotti anziché le colture dedicate, perseguendo una logica di integrazione (e non competizione con i sistemi agroalimentari). Fino ad oggi, però, gli impianti operativi sono sorti sulla scia del vecchio sistema di incentivazione e sarà necessario mantenerli monitorati per capire come e se interferiranno sul medio-lungo periodo.

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