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In festa per una Italia rinnovabile – 26 ottobre Roma

Ai Promotori della Manifestazione IN FESTA PER UNA ITALIA RINNOVABILE, Roma 26 ottobre

 

Come abbiamo convenuto nelle altre occasioni di confronto e presentazione dell’appello, è necessario dare seguito ai contenuti e agli impegni di quel testo, e a questo fine diamo la nostra adesione  alla  manifestazione/festa “PER UNA ITALIA RINNOVABILE” del 26 ottobre a Roma ai Fori Imperiali

http://www.oltreilnucleare.it/index.php?option=com_content&view=article&id=563:per-unitalia-rinnovabile&catid=17:blog-demo&Itemid=9

 

Per quanto riguarda le politiche energetiche e l’efficienza nel nostro paese, non sono ancora del tutto chiari i contenuti che saranno previsti nella legge di stabilità, attualmente in discussione, ma oltre a realizzare la stabilizzazione dei bonus fiscali, occorre innanzitutto contrastare l’attacco in atto contro lo sviluppo delle fonti rinnovabili e i benefici impropri ancora garantiti alle fonti fossili.

Infatti, da un lato, si propone di far pagare gli oneri di rete e di sistema all’energia da fonti rinnovabili autoprodotta e autoconsumata e, dall’altro, si ipotizzano sovvenzioni agli impianti termoelettrici per “compensare” (con buona pace del rischio di impresa) l’eccesso di capacità produttiva, dovuta a investimenti fatti senza nessuna programmazione da parte delle imprese del settore.

 

Più in generale, è necessario fare avanzare la transizione verso un altro modello energetico, che sia direttamente collegato a un altro paradigma di sviluppo. La crescita contemporanea di rinnovabili e fossili –  sostenuta da ultimo dalla relazione annuale dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas – non è credibile, a meno di mantenere le rinnovabili in condizione di marginalità.

 

Ad esempio, non è condivisibile la strategia di aumentare la coltivazione di giacimenti di idrocarburi,  anzi è necessario bloccare tutte le nuove trivellazioni ed in particolare quelle in mare, oltre che rivedere il meccanismo e i costi delle concessioni che, nel nostro paese, sono i più generosi per i petrolieri.

 

Ed invece, vanno difesi i settori della filiera delle rinnovabili e dell’efficienza energetica che si sono sviluppati nel nostro paese, che oggi invece sono in crisi, o minacciano la chiusura, come diverse aziende del solare e dell’eolico (come la Vestas di Taranto).

 

Certo, la transizione verso un modello a generazione distribuita comporta affrontare diverse criticità, a partire dall’ adeguamento dell’architettura complessiva delle reti (sviluppo sistemi di accumulo, smart grid, ecc.) e dalle prospettive e dalle collocazioni degli impianti, quelli da fonti rinnovabili (che devono mantenere la priorità di dispacciamento e dovranno crescere – anche con altre tipologie, es. eolico off-shore galleggiante) e quelli da fonti fossili (che dovranno diminuire, a partire da quelli più obsoleti e impattanti).

 

La gestione di un processo di questo tipo, non può essere governata solo dalle logiche di mercato e deve trovare anche una articolazione ai livelli regionali e territoriali, tenendo conto dell’adeguamento agli “obiettivi regionali in materia  di fonti rinnovabili e definizione della modalita’ di gestione dei  casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte  delle  regioni  e delle provincie autonome” (c.d. Burden Sharing).

 

Naturalmente non si può far riferimento solo alla produzione elettrica, ma agli usi energetici complessivi (per il riscaldamento, il raffreddamento, la mobilità, ecc.) e quindi al massimo sviluppo dell’efficienza e del risparmio energetico e, più in generale, all’uso razionale e appropriato di tutte le risorse (acqua, rifiuti, ecc.) verificando tutte le condizioni di sostenibilità anche per lo sviluppo della cogenerazione, per l’uso di  biomasse, biogas, geotermia, ecc.

 

Tutto questo ha implicazioni significative sul sistema industriale, sia per quanto riguarda la produzione energetica e il suo utilizzo, che positivi riflessi occupazionali.

 

Gli attuali produttori da fonti fossili, invece di continuare a pretendere rendite di posizione, devono programmare la riconversione verso produzioni rinnovabili e nuovi servizi energetici.

 

Per tutti i comparti civili e industriali, la transizione verso un altro modello energetico, che tenda al massimo di efficienza energetica ed all’uso appropriato delle risorse, deve indurre significative innovazioni nei cicli produttivi, sancendo l’avvio di ipotesi concrete di riconversione ecologica, per le quali il ruolo dei sindacati per aprire confronti ai vari livelli è essenziale, anche dando seguito agli obiettivi di efficienza energetica convenuti nell’avviso comune Sindacati Confindustria del 2011.

Da questo punto di vista prendono rilievo alcune iniziative che federazioni di categoria (metalmeccanici, scuola e ricerca, edili, pensionati, ecc.) stanno mettendo in campo.

 

E’ necessario che lo sviluppo della ricerca applicata, la trasformazione delle competenze e la formazione delle opportune professionalità, sostengano la prospettiva di creare nuova occupazione e delineare una alternativa alla deindustrializzazione del nostro paese.

 

Infine, va ricordato che il positivo abbattimento del Prezzo Unico Nazionale dell’energia elettrica,  determinato dalla produzione da fonti rinnovabili, per effetto dell’attuale regolamentazione non si ripercuote sulle bollette dei consumatori, è pertanto necessaria una profonda revisione del sistema tariffario, peraltro già annunciato dall’Autorità per l’energia.

 

Su questi spunti, e su altri possibili, vi chiediamo di far circolare contributi, proposte e riflessioni, come qualcuno di voi aveva già annunciato e/o fatto, in quanto per far vivere i contenuti dell’appello è necessario un lavoro di approfondimento e di confronto, che coinvolga saperi scientifici e tecnici, e in particolare il mondo del lavoro e le stesse organizzazioni sindacali: è necessario – come recita l’appello – “un movimento articolato che veda protagonisti lavoratori, cittadini, movimenti e associazioni,  investendo tutti gli ambiti della produzione, del consumo, della organizzazione delle città, degli stili di vita collettivi e individuali”.

 

Anche a partire da questi contributi proponiamo di ritrovarci il 26 ottobre ai Fori imperiali  e contribuire a mettere in rete tutte le iniziative nazionali e territoriali utili  a costruire un “altro modello energetico”.

 

Roma, 17 ottobre 2013

 

 

Le Associazioni:

 

Si alle energie rinnovabili No al nucleare

Via Buonarroti 12, 00185 Roma –

www.oltreilnucleare.it  info@oltreilnucleare.it

 

Energia Felice

Via Nicola Antonio Porpora, 113 – 20131 Milano –

www.energiafelice.it  info@energiafelice.it

 

CEPES

Via Sanpolo 49, Palermo

www.notcepes.net  cscepes@tiscali.it

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Bollette, politica energetica e legge di stabilità

Nel 2013 i consumi elettrici registreranno il secondo anno consecutivo di calo: la stima corrente è di una domanda inferiore ai 320 miliardi di chilowattora (TWh) a fine anno, riportandoci all’anno 2002.

Non c’è solo la crisi: c’è anche un nuovo orientamento a ridurre i consumi e a ricorrere all’autoproduzione in piccoli impianti diffusi con un crescente utilizzo di fonti rinnovabili, che dovrebbe suggerire una politica industriale ed energetica che questo Governo, che ha burocraticamente riconfermato il consenso alla Strategia Energetica Nazionale improvvisata da Monti (v. http://www.energiafelice.it/strategia-energetica-nazionale/), non ha minimamente in testa. Anzi, la tendenza a superare il modello dell’energia fossile è ostacolata maliziosamente attraverso i messaggi diffusi a piene mani dai media sul costo dell’elettricità: è troppo elevato rispetto al resto dell’Europa e la colpa è della crescita degli oneri in bolletta che coprono gli incentivi alle rinnovabili.

Allora, vediamo un pò. In base ai dati RSE (v. http://www.rse-web.it), la maggior parte delle famiglie italiane paga 193 euro per ogni MWh consumato, il 6,73% in meno rispetto alla media europea. Anche le industrie che consumano quantità enormi di elettricità pagano di meno. Il problema riguarda le imprese piccole e medie (ovvero il nerbo del nostro sistema industriale): le prime pagano ogni MWh 233 euro (+37% rispetto all’Europa), quelle che “bruciano” fra 500 MWh e 2 GWh pagano 212 euro per MWh, (+47%). E’ chiaro come sia la tariffa di queste imprese che vada ridotta per difendere il lavoro e questo è un problema di cui la legge di stabilità di Letta non si è concretamente occupata. E’ altrettanto chiaro che il costo dell’elettricità inizia dove l’elettricità viene prodotta e quindi venduta nella borsa elettrica. E nella borsa italiana il prezzo medio, che vale per tutti i tipi di consumatore, è più elevato di quello di Germania e Francia, perché sui mercati il prezzo lo fa principalmente la fonte marginale, che in Italia è il gas (la fonte più cara), in Germania il carbone (la fonte più sporca), in Francia il nucleare (la fonte più pericolosa).

Per abbassare il prezzo all’ingrosso eliminando la differenza di 20 euro al MWh fra noi e la Germania – a parte l’extracosto dovuto all’obsolescenza degli impianti di collegamento con le isole –  o aumentiamo il numero di centrali a carbone o facciamo progressivamente diventare le rinnovabili la fonte marginale. Esattamente il contrario della politica energetica del governo in carica, che, oltretutto, avrebbe potuto togliere in bolletta costi che non c’entrano niente con i normali consumatori. Per fare un esempio “intrigante”, perché non tagliare i 70 milioni dati ai piccoli produttori nelle isole per usare generatori diesel, quando si potrebbe avviare un progetto di “rinnovabili 100%” in due regioni – Sicilia e Sardegna -invase dal sole e dal vento? E perché, visto l’attuale mix di fonti, non applicare al metano – la fonte più utilizzata – un’IVA inferiore al 22%? Capisco che i big europei (Eni, Enel, GasTerra, GdfSuez, Iberdrola, Rwe, E.ON, Gas Natural Fenosa, Vattenfall e Cez) hanno sollecitato i governi a far pagare anche a chi ricorre a fonti rinnovabili i costi di gestione del sistema, evocando una guerra FER-Fossili che richiama le ubbie ottocentesche all’arrivo della strada ferrata e che sembra attrarre il ministro Zanonato e mettere in ambascie la CGIL.

Ma non sarebbe ormai il caso di sostenere la generazione distribuita con regole che consentano a chiunque di vendere la produzione del proprio tetto fotovoltaico al vicino senza passare dalla rete, visto che oggi il fotovoltaico produce a 150 euro al MWh, mentre il prezzo finale via rete è di 193 euro? E non si potrebbe affidare un compito speciale alle vecchie aziende municipalizzate, più vicine ai cittadini, che invece hanno scimmiottato le grandi utility, investendo – come A2A – in cicli combinati a gas ora fermi?

E, infine, di cosa si occupa il Ministero dell’Ambiente se non ottiene finanziamenti certi per la definizione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici o per un progetto di decarbonizzazione e se perfino la Strategia Energetica Nazionale non viene sottoposta alla valutazione ambientale strategica (VAS)?

 

Sabato 26 ottobre 2013, per l’intera giornata dalle 10, in via dei Fori Imperiali a Roma si svolgerà un evento-manifestazione che offrirà la possibilità di conoscere direttamente come sono fatti gli impianti e poi di discutere, confrontarsi, definire scenari di sviluppo nel nostro Paese del contributo delle energie pulite e delle possibilità della riqualificazione energetica. La svolta realizzata in questi anni con oltre 600mila impianti distribuiti nel nostro Paese e oltre il 30% dei fabbisogni soddisfatti con fonti pulite non va fermata in nome di una “stabilità”, che sembra solo uno stare al palo degli interessi consolidati.

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Il governo sia all’altezza della crisi ambientale

Il dibattito nel nostro Paese da tempo rincorre le emergenze istituzionali, economiche, sociali e ambientali che devono essere affrontate in questa situazione di crisi, quando sarebbe necessario procedere sulla strada di un risanamento che abbia al centro l’obiettivo della ri-conversione ecologica della nostra economia. C’è bisogno di una decisa azione di Governo per realizzare il green deal, il cambiamento verde necessario e utile ad affrontare la crisi e a garantire un futuro al nostro Paese,

 

Le scelte fatte negli ultimi anni sul piano istituzionale, insieme a quelle che si stanno profilando con la Manovra 2014, sembrano guardare più al passato che al futuro. Un esempio è la cura da cavallo che ha ridotto in questi anni in ginocchio il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e rischia, a meno che non ci sia una chiara e lungimirante inversione di tendenza, di farlo morire Se il Governo non ha intenzione di dare un chiaro segnale in tal senso, nel momento in cui si sta definendo il Bilancio di previsione 2014, diciamo provocatoriamente che sarebbe meglio non prolungare ipocritamente l’agonia di questo dicastero.

 

A 27 anni dalla sua nascita, il giovane Ministero, istituito nel 1986, rischia di scomparire a causa della progressiva erosione delle risorse che garantiscono l’efficacia e l’efficienza del governo dell’ambiente per i cittadini e per le imprese.

 

In questi anni il Ministero dell’ambiente è stato il più colpito da tagli della spending review e ridotto, nella sostanza ad un ministero senza portafoglio, di cui non viene garantita l’operatività e la necessaria e rigorosa professionalità:
– nel 2009 il bilancio del ministero ammontava a 1,649 miliardi di euro, nel 2010 era di 1,265 miliardi di euro ed oggi, nel 2013, è sceso a 468 milioni di euro, 306 dei quali destinati alle spese correnti che garantiscono l’attività ordinaria del Ministero;
– nessun dipendente del Ministero è sinora stato assunto per concorso, il personale è composto da funzionari trasferiti da altre amministrazioni e il rapporto (1:1) tra personale dipendente e precario è tra i più alti tra quelli dei dicasteri.

 

L’ulteriore riduzione delle capacità di prevenzione, d’intervento e di controllo del Ministero può avere conseguenze molto gravi per la nostra sicurezza, per la salute di noi tutti/e e per la tutela della natura, incidendo sulla nostra qualità della vita e sul nostro futuro. Riparare i danni ambientali ci costa molto più che prevenirli: il nostro Paese è tra quelli che colleziona più multe ambientali per infrazioni delle normative e delle regole europee, mentre la magistratura deve intervenire sempre più spesso sui disastri ambientali.

 

Il Ministero oggi riesce a malapena ad esercitare le sue funzioni tradizionali per la protezione della natura, della difesa del suolo, delle bonifiche, del controllo delle emissioni inquinanti e dei gas serra e della gestione del ciclo dei rifiuti e rischia di non avere risorse per affrontare le indispensabili tematiche di frontiera della green economy, dei piani di adattamento a cambiamenti climatici e delle strategie di de-carbonizzazione.

 

Nell’attuale situazione di crisi e di profonda trasformazione dell’Italia, è assolutamente necessario che il nostro Paese abbia una governance ambientale adeguata alla sfida ecologica ed economica necessaria a garantire il nostro comune futuro. E’ anche giunto il momento in cui si rivedano, per superare i limiti di calcolo del PIL, i parametri che servono a valutare il progresso della nostra società, proseguendo sulla strada aperta da CNEL e ISTAT con la elaborazione degli indicatori di benessere (BES).

 

Chiediamo al Governo di dare un segnale di speranza già con la prossima Manovra 2014. Sono necessarie scelte lungimiranti che spostino risorse sugli interventi necessari per la tutela del territorio, dell’ambiente, della salute. Bisogna rilanciare e non mortificare ancora il Ministero dell’Ambiente con ulteriori tagli di bilancio, garantendo risorse adeguate per una efficace ed efficiente governance ambientale dell’Italia, capace di futuro.

 

Appello promosso da:
Accademia Kronos, Ambiente Lavoro, CTS – Centro Turistico Studentesco e Giovanile, Fare Verde, FAI – Fondo Ambiente Italiano, Federazione Pro Natura, Fiab – Federazione Italiana Amici della Bicicletta, Fipsas – Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subaquee, INU – Istituto Nazionale Urbanistica, Italia Nostra, Lac – Lega Abolizione Caccia, Legambiente, LIPU, Mountain Wildness, SIGEA – Società Italiana di Geologia Ambientale, Touring Club Italiano, WWF Italia.

 

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Acqua Terra Energia di Meregalli e Manunta

Acqua Terra Energia. Progettare il futuro in tempo di crisi inaugura BitBooks, la nuova collana di tascabili agili e leggeri (anche nel prezzo) dedicata agli approfondimenti e agli ultimi aggiornamenti sui temi da sempre al centro della produzione editoriale di MC.
Pensati per offrire uno strumento di informazione rapido ed economico, ideali per ogni scaffale e punto vendita, i Bitbooks sono adatti a essere letti e consultati sempre e ovunque, anche tramite dispositivi mobili in virtù dei rimandi a risorse digitali ed elementi multimediali comodamente raggiungibili grazie ai QR code integrati nel testo.
Gli effetti della crescente fame di energia sul pianeta sono rilevanti. Dove si colloca l’Italia in questo contesto? Abbiamo bisogno di nuove centrali? Di nuovo gas? Abbiamo le bollette elettriche più alte d’Europa? Il libro risponde a queste e altre domande, spiegando che il nostro paese ha sviluppato in maniera decisa il settore della generazione verde, obiettivo perseguito da molti paesi d’Europa e del mondo intero.
Come è possibile mantenere la gestione di questo bene comune sotto il controllo dei cittadini? Nonostante l’esito del referendum del 2011, continuano le manovre per tentare di smantellare i servizi pubblici e offrire ai privati ghiotte opportunità. In che modo? Quali sono i costi in bolletta di una gestione affidata al mercato? Quali sono i risultati della privatizzazione? Perché, in Europa, i Comuni decidono di tornare alla gestione interamente pubblica?
Perché la terra è sempre più oggetto di contesa? Si parla di cibo come petrolio del futuro: cosa sta succedendo all’agricoltura oggi? Quanto influisce la finanza sul prezzo del cibo nel piatto? E i cambiamenti climatici? È possibile assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile?
Roberto Meregalli si occupa di energia da venticinque anni. Ha all’attivo diverse pubblicazioni e articoli sul tema dell’economia e dell’energia. Partecipa alle Associazioni Beati i costruttori di pace e Energia Felice.

Marco Manunta, magistrato presso il Tribunale di Milano, segue da anni gli aspetti giuridici relativi alla gestione dell’acqua in ambito italiano e internazionale. È autore per MC di vari titoli della collana Hydor.

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Non solo energia

di Mario Agostinelli

Si sta svolgendo qui un’utilissima discussione sui temi dell’energia: articolata e feconda sotto più punti di vista. Molti dei commenti a questo blog sostengono o confutano i singoli post sotto il profilo tecnico e/o economico. Almeno altrettanti si preoccupano di sopravvivenza, stili di vita e aspetti sociali, mettendo in relazione negativa gli sprechi presenti con le potenzialità future. Perché è sempre maggiore la convinzione che l’energia non riguardi solo le merci che ci circondano ma sia cruciale per ordinare la vita e le relazioni, così come per organizzare il lavoro e definire prospettive per la società e l’ambiente in cui viviamo.

Si potrebbe affermare che l’energia sia una misura del futuro. In natura gran parte dei processi sono irreversibili e, per alimentare la vita e far funzionare l’ambiente in cui essa si evolve, occorre energia utile per eseguire lavoro al presente, pur sapendo che sarà degradata e che verrà consegnato alle nuove generazioni un pianeta meno rinnovabile e con più scarti. Sappiamo poi che energia e scorrere del tempo fisico sono tra loro legati ed il loro prodotto ha le dimensioni fisiche di un’azioneche – una volta compiuta – è unica, anche se si sarebbe potuta completare in molti modi, lasciando tracce diverse.

Ecco perché qui si leggono non solo discussioni improntate a un punto di vista “ingegneristico” o quantitativo, ma emergono spunti caratteristici sotto il profilo comportamentale e della responsabilità sociale. Anche perché solo negli ultimi anni sono venuti alla ribalta problemi complessi, che non erano presi in considerazione ai tempi dell’invenzione della macchina a vapore, della diffusione dell’auto individuale o dell’elettricità. Temi che non si risolvono tecnicamente, mapoliticamente, nel senso di far partecipare alla loro messa in agenda una opinione pubblica correttamente informata.

Non è detto che chi ci governa o chi orienta l’economia abbia interesse a un corretto coinvolgimento dei cittadini, anzi! Come attesto in un esempio rilevante, può valere il contrario.

Il 20 agosto, il Global Footprint Network ci ha avvisato che in poco più di otto mesi abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno (Overshoot Day). L’umanità sta utilizzando 1,5 volte la capacità globale di rigenerazione delle risorse. Addirittura l’Europa “ingoia” 2,66 volte la capacità del suo territorio di sostenere se stessa, mentre gli Stati Uniti arrivano a 4,16 volte.

Certamente questo saccheggio della parte rinnovabile del nostro mondo è corresponsabile del grande e crescente ricorso ai fossili e del riscaldamento della terra (cambiamento climatico), ma i giornali per primi ne parlano come di una notizia di cronaca, senza sottolineare come sarebbe possibile invertire la tendenza. I paesi “debitori ecologici” sono interessati a ridurre la loro dipendenza dalle risorse, mentre i creditori hanno un interesse economico, politico e strategico per preservare il loro capitale ecologico. E se si sentenziasse che la CO2 ci ha ingannato e così la facciamo finita? Di fatto La Repubblica ha dato il via alla notizia dell’inefficacia dei gas serra e Libero (Maurizio Stefanini, 11 aprile), gongolante, ha sparato: “Il riscaldamento globale non c’è, ma ci è già costato 300 miliardi”. Non poteva certo mancare Il Foglio, che ha sentenziato: “La catastrofe può attendere”. E tutto per un’estate intiepidita meno del solito.

Si dirà: la tesi del riscaldamento globale è crollata! Assolutamente no, ma negli articoli si sono spacciate per scientifiche autentiche bufale, insinuando dubbi che sono visti di buon occhio da poteri economici e politici ben saldi nel nostro Paese.

Naomi Oreskes (CMCC), storica della scienza dell’Università di San Diego, ha provato a dare una risposta a questi episodi, documentando con grande rigore come piccoli gruppi di scienziati abbiano messo in piedi campagne molto efficaci, grazie a connessioni politiche ed economiche di altissimo livello, per distrarre l’opinione pubblica dai reali pericoli messi in luce dalle scienze mediche e ambientali sugli effetti del fumo, l’esistenza delle piogge acide, e, soprattutto, le conseguenze del riscaldamento globale.

È facile far breccia, soprattutto in questa fase di crisi che si attribuisce solo alla malvagità della finanza. Sul tavolo abbiamo i problemi della grande specializzazione di un sapere scientifico molto tecnico e quindi separato dall’esperienza comune, e il problema di fenomeni e di previsioni scientifiche, che hanno un immediato valore politico e che possono orientare scelte su larga scala e produrre effetti di massa indesiderati. Se si scoprisse che la crisi finanziaria e il nostro fallimento nel contrastare il riscaldamento globale hanno la stessa causa nel fondamentalismo del libero mercato, cosa ne sarebbe della deriva neoliberista e dei governanti di quella che una volta era l’Europa sociale?

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