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Ma Renzi ne sa di energia?

di Mario Agostinelli

Il 6 maggio è toccato a Matteo Renzi, di fronte a Barack Obama e agli altri leader del G7 orfano di Putin, parlare soprattutto di gas e assai poco di energie rinnovabili, nonché del ripescaggio di una politica energetica un po’ vintage, che rilancerebbe rigassificatori piazzati sulle coste dell’Atlantico e del Mediterraneo, magari per ricevere lo shale gas di produzione americana.

La nostra stampa ha sottolineato la capacità di persuasione che il nostro premier prova ad esibire nei meeting internazionali, ma non ci ha comunicato i contenuti della relazione assegnata dai suoi partner all’Italia. Un rapporto che avrebbe dovuto tratteggiare il futuro orizzonte energetico delle potenze mondiali, ma che più che fornire un programma di respiro si è limitato a esibire un attestato filoamericano e anti Putin.

Poco dopo, il 28 maggio, l’Ue, con i commissari ormai in scadenza per le elezioni di nuovo mandato, ha emesso un documento sulla strategia per la sicurezza energetica  dei 27 Paesi dell’Unione. Al di là dei comunicati stampa, quali sono le linee di fondo degli impegni su energia e clima presi tra “sette amici al bar” o da funzionari ormai in libera uscita e sottoposti alle pressioni delle lobby che operano a Bruxelles?

Partiamo dal documento Ue, più facilmente documentabile, poiché le esternazioni di Renzi sono abitualmente rilanciate più sotto il profilo della provocazione che per la cogenza dei contenuti. “A mano a mano che l’energia è diventata parte vitale dell’economia europea e degli stili di vita moderni, è diventato naturale aspettarsi forniture energetiche sicure: accesso ininterrotto alle fonti di energia ad un prezzo accessibile.” Così inizia lo studio presentato dalla Commissione Europea. La crisi Russia-Ukraina ha riacceso i riflettori, anche della stampa non specializzata, sul tema della dipendenza europea dai fossili oltreconfine.

In Europa il consumo di carbone tra il 2006 e il 2013 è sceso dal 21% al 17%, quello del petrolio dal 37% al 24%; il gas invece è aumentato dal 20% al 23%, mentre costante rimane l’apporto del nucleare (13%). È raddoppiato quello delle rinnovabili, salito a 11% nel 2012 e oltre il 13% nel 2013. Negli ultimi vent’anni la dipendenza dall’estero è cresciuta perché i giacimenti europei di petrolio, gas e carbone hanno ridotto la loro produzione e continueranno a farlo. Nel 2012 i 27 Stati sono dipesi dall’estero per il 90% del petrolio, per il 66% del gas, per il 62% del carbone e per il 95% dell’uranio.

Per il gas i preconsuntivi del 2013 rivelano che il 39% del gas importato è giunto dalla Russia, il 34% dalla Norvegia e il 13% dall’Algeria: la spesa complessiva per queste importazioni è stata di 87 miliardi di euro.

La forte dipendenza da un numero esiguo di fornitori è legata anche alla tipologia di approvvigionamento, poiché se il gas arriva totalmente via tubo, l’import è vincolato al paese da cui ha origine l’infrastruttura. Più flessibilità offrirebbero invece i terminali di rigassificazione, poiché via nave il gas liquefatto potrebbe giungere da diversi Paesi, a seconda dei contratti di volta in volta stipulati.

Visti questi dati, il problema diventa allora quello di aumentare le fonti locali e qui sarebbe d’obbligo puntare sulle rinnovabili. Ma per preservare la struttura centralizzata e basata su grandi impianti e per aprire all’alleato oltre atlantico la partita dell’esportazione di shale gas, il documento UE invita a raddoppiare i rigassificatori lungo le coste e a sviluppare le fonti fossili ancora disponibili in Europa (Mare del Nord, Mediterraneo e Mar Nero).

Mentre si promette “il lancio di una rete scientifica e tecnologica europea sull’estrazione non convenzionale di idrocarburi”, per sole, vento, acqua, geotermia e biomasse, pur sottolineando che hanno fatto risparmiare almeno 30 miliardi di euro l’anno, la commissione si limita a raccomandare di “continuare lo sviluppo delle fonti rinnovabili per raggiungere il target al 2020 nell’ambito di un approccio orientato al mercato”. Sul nucleare l’unica raccomandazione della commissione è di non affidarsi ad imprese russe per la fornitura del combustibile dei reattori. Quindi, siamo di fronte ad una marcia indietro sempre più preoccupante dell’Europa delle corporation e delle lobby energetiche.

In riferimento a Renzi, la posizione da lui esposta al G7 è perfino più partigiana e a favore del mantenimento del sistema attuale, nonché a sostegno di un ruolo in definitiva marginale per le rinnovabili. Le premesse del suo intervento non lasciano tranquilli: c’è il “problema di costruire la coerenza necessaria tra le politiche della concorrenza e le politiche ambientali ed energetiche” ed “è necessario costruire un equilibrio tra l’ambiziosa politica climatica e le esigenze competitive dell’industria europea“. E poi c’è un inquietante accenno all’accordo commerciale ITTP a cui stanno lavorando da nove mesi Stati Uniti e Unione Europea. Infatti, con l’obbiettivo che l’Europa si smarchi dalla Russia, l’ITPP dovrebbe comprendere anche scambi privilegiati di produzioni energetiche tra le sponde dell’Atlantico. È chiarissimo il riferimento al gas da scisto americano e all’abolizione del divieto di estrarre shale gas in Europa.

Secondo la posizione espressa il 6 maggio dal nostro Premier, i Paesi del G7 dovrebbero simulare “piani di emergenza energetica” per il prossimo inverno, in uno scenario in cui il ruolo della Russia sarebbe contenuto da un maggiore coordinamento internazionale, mentre sarebbero sostenuti gli sforzi della Ue nell’identificare possibili punti di contatto fra le infrastrutture esistenti e gli impianti di rigassificazione, che diventerebbero i terminali continentali dello shale gas canadese e americano.

Domanda: oltre alle assicurazioni di sanzioni commerciali per la Russia e all’ossequio al presidente americano venuto ad assicurarsi subito la vendita di F35 e, in futuro, la struttura per accogliere il suo gas liquefatto, non sarebbe stato bene mettere in scena un dibattito meno prono e più responsabile? Ad esempio, non attribuendo un ruolo solo cosmetico alla connessione tra sicurezza energetica e gli obiettivi per il 2030 sul clima, di cui tutti i Paesi del globo dovranno urgentemente discutere prima a Parigi e poi a Lima nel 2015.

L’IPCC dice che clima, sicurezza e ambiente devono essere i riferimenti nel disegno di un nuovo sistema energetico. L’UE, il G7 e l’Italia invece sono fermi al mercato. Al nuovo Parlamento Europeo si chiede di giocare questa complessa e difficile sfida. Con quale ruolo per l’Italia è tutto da discutere, visto che il Premier, lasciato solo al comando e più attento alla geopolitica che alla biosfera, dimostra di saperne davvero poco.

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Sos ambientalisti: “Da Stati solo promesse, sussidi per fonti fossili altissimi”

Nessuna inversione di rotta. Continuano a essere elevati i sussidi degli Stati alle fonti fossili, nonostante la loro combustione sia la causa principale del cambiamento climatico. Nemmeno ilG20 di Londra del 2009 durante il quale gli Stati si erano impegnati a “razionalizzare e ridurre nel medio termine i sussidi ai combustibili fossili” ha spinto a cambiare atteggiamento i grandi del mondo: le fonti fossili beneficiano attualmente di circa 520 miliardi di dollari all’anno contro 88delle fonti rinnovabili. Non va meglio in Italia dove sono oltre 12 miliardi gli euro di sussidi, tra diretti e indiretti.

È in questo quadro concettuale e d’azione che hanno preso il via i lavori del Power Shift Italia, il primo meeting nazionale di ambientalisti organizzato a RoveretoNato sulla scia del Global Power Shift – evento internazionale del giugno 2013 a Istanbul e che ha riunito gli ambientalisti di 165 Paesi – l’incontro è stato voluto dall’Italian Climate Network, proprio con l’obiettivo di riunire sotto un’unica “bandiera” le varie associazioni e ong ambientaliste italiane: da Legambiente a Oxfam, dal Wwf all’International society doctors for the environment. Un appuntamento utile a conoscersi e a mettere nero su bianco obiettivi e strategie comuni, che di fatto ha dato vita a un primo movimento ambientalista italiano unitario.

Il primo filo conduttore è proprio la lotta ai combustibili fossili. “I sussidi alle fonti fossili non esistono nel dibattito pubblico e politico italiano – dice la responsabile del settore Energia e clima di Legambiente, Katiuscia Eroe – Addirittura nel documento di Strategia energetica nazionale approvata nel 2013, il tema dei sussidi alle fonti fossili, semplicemente, non compare”. Si tratta di 12 miliardi di sussidi divisi fra diretti (4,4 miliardi di euro) e indiretti, 7,7 miliardi tra finanziamenti per nuove strade, autostrade e “sconti” per le trivellazioni. La sola spesa nazionale per l’approvvigionamento di energia dall’estero nel 2012 è stata pari a 64,4 miliardi di euro – era di 62,7 miliardi nel 2011 e 52,9 nel 2010 – per carbone indonesiano e sudafricanopetrolio russo e dell’Arabia Saudita e gas da Algeria e Russia. “Eppure – commenta Eroe – negli ultimi due anni tutta l’attenzione mediatica e politica si è concentrata sul peso crescente della componente legata agli incentivi alle fonti rinnovabili”. Secondo un dossier del 2013 di Legambiente, per quanto riguarda i sussidi al trasporto – diretti al sostentamento del settore, sconti sui pedaggio autostradali, riduzioni sui premi Inail e Rca e via dicendo – tra il 2000 e il 2013 siano stati dati 5.324,7 milioni di euro. Ci sono poi gli sconti sull’acquisto di carburante per cui l’Italia nel 2011 ha sostenuto il settore energetico fossile con riduzioni ed esenzioni dall’accisa per oltre 2 miliardi di euro. A partire dal 2013, poi, ci sono state riduzioni di accise da 9,7 milioni di euro per le emulsioni di gasolio od olio combustibile in acqua impiegate come carburanti o combustibili. E ancora, la responsabile del clima di Legambiente ha citato i 160 milioni di euro di fondi pubblici Ets, che sarebbero dovuti servire a ridurre le emissioni di CO2, ma che andranno a finanziare invececentrali inquinanti. “La pressione delle lobby delle fonti fossili – spiega – e di Confindustria al momento della definizione del Piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione nel 2008 e un successivo intervento del governo Berlusconi del 2010, hanno portato a far in modo che le imprese verranno ripagate per le quote di emissione comprate sul mercato con soldi presi dai proventi della vendita all’asta dei permessi ad emettere”. Altri 51 milioni di euro vanno alla centrale a carbone Enel di Civitavecchia.

E poi i sussidi alle trivellazioni: le royalties previste per trivellare in Italia sono state portate con il decreto Sviluppo del governo Monti al 10%-7% per il petrolio a mare, “estremamente vantaggiose – dice la Eroe – come si legge anche in alcuni report delle stesse compagnie straniere che vengono a svolgere la loro attività in Italia”. A questo si aggiungono le esenzioni sul pagamento delle aliquote allo Stato per le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare.

I numeri non cambiano a livello globale. La ricercatrice di Enea, Maria Velardi, citando l’ultimo rapporto Iea – l’Agenzia internazionale dell’energia – ha fatto sapere che i sussidi ai combustibili fossili sono stati, nell’ultimo anno, circa 523 miliardi dollari, una cifra sette volte tanto quella che gli Stati investono in aiuti ai Paesi in via di sviluppo per combattere i cambiamenti climatici. Solo l’8% dei 409 miliardi spesi in sussidi ai combustibili fossili, poi, nel 2010 è andato al 20% più povero della popolazione. “I sussidi – ha commentato Laura Tagliabue, dell’Italian Climate Network – comportano un aumento dell’inquinamento atmosferico locale e delle emissioni di gas serra. I bassi prezzi dei combustibili fossili, infatti favoriscono lo spreco dell’energia, riducono l’interesse ad adottare misure di risparmio energetico e limitano gli investimenti in energie rinnovabili, infrastrutture e servizi energetici”.

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CONFERENZA STAMPA ARCI ENERGIA FELICE

CONFERENZA STAMPA ARCI ENERGIA FELICE

3° Anniversario del Referendum contro il nucleare.

Un nuovo pericolo si aggira in Europa: il fantasma dell’industria nucleare

CONFERMIAMO IL NOSTRO IMPEGNO

CONTRO IL NUCLEARE PER UNA ENERGIA DI PACE

 

Milano, giovedì 12 giugno, ore 18.00

Arci ENERGIA FELICE, via Borsieri 12

 

Tre anni fa il popolo italiano si è pronunciato contro la ripresa dei programmi di produzione di energia elettronucleare nel nostro paese. Quel grande successo avvenne a pochi mesi di distanza dal disastro nucleare di Fukushima, in Giappone (11 Marzo 2011).

Il risultato del referendum è stato un risultato straordinario ottenuto anche grazie al grandissimo impegno delle migliaia di volontari che in tutta Italia hanno prima raccolto le firme e poi fatto una capillare campagna di informazione per spiegare ai cittadini il motivo per cui era fondamentale andare a votare e votare SI.

Oggi è necessario non abbassare la guardia sui mai abbandonati tentativi dell’industria nucleare di riprendere i vecchi progetti. Lo stesso testo definitivo di Strategia Energetica Nazionale non esclude esplicitamente la produzione di energia da fonte nucleare. L’associazione ENERGIA FELICE, affiliata ARCI, intende informare l’opinione pubblica sullo stato in cui versa l’eredità del passato ciclo nucleare italiano, e al tempo stesso informarla della persistente gravità degli incidenti di Fukushima e Chernobyl, e delle prospettive di produzione di energia dal nucleare in Europa e nel mondo.

L’industria nucleare mondiale è in crisi: questa fonte energetica è già fuori mercato e si sostiene grazie ai sussidi pubblici, inoltre l’adeguamento delle norme e dei sistemi di sicurezza la rende definitivamente antieconomica: ora più che mai si giustifica solo per rifornire gli arsenali nucleari militari.

La via di uscita dalla crisi energetica è quella del risparmio, efficienza energetica e sviluppo di tutte le energie rinnovabili: solare, eolica, idroelettrica, geotermica e altre minori. Non si tratta di un ripiego, ma di una strada sicura che dobbiamo aprire e che sarà progressivamente ampliata dalle prossime generazioni. L’Italia, che non ha carbone, non ha petrolio, non ha metano e neppure uranio, solo sviluppando le energie rinnovabili e, in particolare, l’energia solare così abbondante, potrà raggiungere l’indipendenza energetica.

 

Durante la conferenza stampa sarà presentato il pamphlet postumo di Stéphane Hessel e Albert Jacquard

 

INTERVENGONO

Mario Agostinelli (Energiafelice)

Luigi Mosca (Laboratorio sotterraneo fisica particelle di Modane)

Alfonso Navarra (Comitato per la messa al bando delle armi nucleari)

Roberto Meregalli (Beati i costruttori di pace)

 

Un aperitivo “NO ATOMIC DRINK” sarà offerto ai presenti dalla Associazione Culturale Carmilla

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Efficienza, consultazione sul Piano di azione 2014

È online sul sito internet dell’Enea da ieri e fino al 15 giugno 2014 la consultazione pubblica sul Piano di azione nazionale per l’efficienza energetica 2014, che riporta le misure previste per il raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica fissati dall’Italia al 2020, con lo scopo di raccogliere commenti e suggerimenti da parte di tutti i soggetti interessati, da prendere in considerazione in vista dell’elaborazione e dell’approvazione definitiva del testo. Il documento, dopo la fase di consultazione, sarà approvato dal ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il ministro dell’Ambiente, d’intesa con la Conferenza Stato Regioni. Successivamente all’approvazione, il Piano sarà trasmesso alla Commissione europea.

Il documento, disponibile in allegato, è stato predisposto dall’Enea in conformità con le disposizioni dello schema di decreto della direttiva 2012/27/UE, attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari.

Le osservazioni potranno essere inviate entro il 15 giugno 2014 alla casella di posta elettronica: paee2014@enea.it.

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