La maggioranza degli Stati non nucleari, nella Conferenza per il disarmo “umanitario” (8-9 dicembre), interviene e si fa sentire per passare subito ed in modo autonomo ai fatti giuridici vincolanti, ma la Presidenza austriaca media con gli USA e rinvia al percorso tradizionale del Trattato di non proliferazione “per colmare il vuoto giuridico” (New York, 2015)
44 Stati si impegnano, aderendo all’appello ICAN, per un Trattato di interdizione: l’Austria organizzatrice, il Bangladesh, il Brasile, il Burundi, il Ciad, la Colombia, il Congo, la Costa Rica, Cuba, l’Ecuador, l’Egitto, El Salvador, le Filippine, la Giamaica, la Giordania, il Ghana, Grenada, il Guatemala, la Guinea Bissau, l’ Indonesia, il Kenya, la Libia, la Malesia, il Malawi, il Mali, il Messico, la Mongolia, il Nicaragua, il Qatar, Samoa, il Senegal, , la Santa Sede, il Sudafrica, la Svizzera, la Taïlandia, Timor Est, il Togo, Trinidad e Tobago, l’Uruguay, il Venezuela, lo Yemen, lo Zambia e lo Zimbabwe
Anche i leader religiosi dovrebbero essere più chiari nel condannare la stessa “deterrenza”, e non solo l’uso delle armi nucleari: un messaggio di Papa Francesco alla Conferenza comunque auspica che “le armi nucleari siano interdette una volta per tutte”
I “disarmisti esigenti” Alfonso Navarra e Luigi Mosca (facenti riferimento all’appello lanciato da Stéphane Hessel e Albert Jacquard pubblicato in Italia dalla EDIESSE) incontrano il delegato del governo italiano Giovanni Brauzzi che ha chiesto loro una “consultazione” ma interviene – pro forma – “per mediare tra Stati nucleari e Stati non nucleari”
12.12.2014 – Alfonso Navarra, direttore di DIFESA-AMBIENTE, nella delegazione di ESIGIAMO! Il disarmo nucleare totale, vicepresidente di Energia Felice, obiettore alle spese militari e nucleari (www.osmdpn)
La Conferenza sull’Impatto Umanitario delle Armi Nucleari, tenutasi a Vienna l’8 e il 9 dicembre 2014, per organizzazione del governo austriaco, ha offerto principalmente agli Stati non nucleari, ma non solo per essi, data anche la presenza di Stati nucleari come USA e Cina, un luogo di confronto sulle conseguenze devastanti dell’esplosione delle armi nucleari.
La cornice è stata quella storica e maestosa del castello di Hofburg, nel centro della città, con la sua ampia sala capace di contenere 4.000 persone sedute (e vi posso assicurare che se non ci si sbrigava a prendere posto, si rimaneva in piedi e senza traduzione simultanea! Le lingue degli interpreti, oltre l’inglese, includevano lo spagnolo, il francese, il cinese, l’arabo, ma non l’italiano). Non poteva entrare chiunque, ma bisognava essere accreditati, e farlo per tempo: il sottoscritto e Giovanna Pagani ci siamo registrati per la testata DIFESA-AMBIENTE, edita dalla Euroedizioni, di cui sono direttore responsabile.
Per la società civile, quella organizzata ed accreditata, c’è stato qualche spazio, e se ne è tenuto conto più che in altre occasioni: in particolare è stato accolto il contributo del forum organizzato sempre a Vienna da ICAN (Campagna internazionale per abolire le armi nucleari) a ridosso della stessa, il 6 e 7 dicembre. Possiamo anzi dire che l’intervento più applaudito è stato quello di Beatrice Fihn, una giovane rappresentante della ICAN. Sono intervenute ufficialmente anche la Croce Rossa Internazionale, Peace Boat e la WILPF.
L’ampia partecipazione a questa conferenza, 158 Stati dei cinque continenti, allargatasi quest’anno, come si è rammentato, persino agli Stati nucleari (USA, Regno Unito, Cina, India), ed agli Stati della condivisione nucleare NATO (il governo italiano, ad esempio, stavolta era presente, anche se pro forma), ha dimostrato che le catastrofiche conseguenze di un’esplosione nucleare, ed ancor più di una guerra nucleare anche su scala limitata, costituiscono una preoccupazione universalmente diffusa.
L’intervento di apertura del Ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, “il padrone di casa”, ha sottolineato ancora una volta che la questione nucleare non è un relitto del passato: “Esistono ancora più di 16.000 testate nucleari – distribuite tra i 14 paesi e attraverso gli oceani – molti dei quali in allerta e pronti per l’uso con brevissimo preavviso. E dobbiamo essere chiari: fino a quando esisteranno armi nucleari, il rischio del loro uso – di proposito o per caso – rimane reale”.
Vi è quindi stata una evoluzione rispetto alla considerazione, al centro delle precedenti conferenze di Oslo (marzo 2013) e Nayarit (febbraio 2014), che nessuno Stato, nessuna organizzazione internazionale sarebbero in grado di affrontare l’emergenza umanitaria immediata causata dalla detonazione di un’arma nucleare, né sarebbero in grado di fornire assistenza adeguata alle vittime.
Per la prima volta, in una Conferenza intergovernativa, è stata data la parola ai sopravvissuti dei test nucleari, che testimoniano degli effetti a lungo termine di queste armi. Oltre alla testimonianza giapponese da Hiroshima, abbiamo avuto interventi dall’Australia, dal Kazakistan, dagli stessi Stati Uniti (Stato dello Utah), e dalle Isole Marshall.
Gli effetti dell’inquinamento radioattivo da esplosioni nucleari sarebbero, secondo gli ultimi studi scientifici, più gravi di quanto non immaginiamo. Secondo questi dati, comunque ancora da confermare, dovremmo mettere da parte il luogo comune secondo il quale mentre i missili nucleari ammuffiscono nei silos, sono le armi leggere quelle che effettivamente uccidono. No, la preparazione della guerra atomica (i test esplosivi, l’accumulazione del materiale fissile a partire dall’estrazione di uranio nelle miniere) è anche essa mortifera fin da subito e probabilmente già sufficiente ad innescare processi che mettono a grave rischio gli ecosistemi, quindi la nostra stessa sopravvivenza.
Il focus della problematica si è però spostato sulla probabilità che una guerra nucleare possa avvenire per incidente o per errore, senza che ci si possa affidare con sicurezza ai “sistemi di comando, controllo e comunicazione” per evitarla.
Un ruolo fondamentale per questa consapevolezza lo ha avuto l’intervento di Erich Schlosser, l’autore di “Command and control”, il libro-inchiesta che ricostruisce la storia delle armi nucleari negli Stati Uniti, le dottrine militari sul loro possibile impiego, i rischi di conflitto nucleare che il mondo ha corso e gli incidenti che hanno coinvolto armi nucleari verificatisi nel corso degli anni. È una denuncia efficace del loro pericolo e rafforza in modo riteniamo decisivo gli argomenti a favore della loro messa al bando.
Gli sforzi dell’umanità, data l’entità immensa del pericolo, che supera di gran lunga qualsiasi altra minaccia presente, allora dovrebbero essere indirizzati prioritariamente e principalmente nell’eliminare questa condizione suicida. L’unico modo per garantire che le armi nucleari non vengano mai più usate è di prevederne l’eliminazione totale partendo dalla loro proibizione giuridica. Ma nonostante tutti gli Stati, comprese le Potenze nucleari, parlino di necessità del disarmo nucleare si continua a rimandare gli impegni del Trattato di Non Proliferazione (il famoso articolo sesto sulle “trattative in buona fede” degli Stati nucleari) e a ostacolare il bando giuridico internazionale delle armi nucleari.
La proibizione giuridica delle armi nucleari è una assoluta necessità e questo sta sempre più emergendo nella consapevolezza collettiva anche a livello di governi. Molti Stati latino-americani la invocano ormai apertamente nei loro interventi e con una decisione ed una lucidità che impressionano. La richiesta si leva anche dalla maggioranza degli Stati in Africa. Ma non è il caso, a quanto si è dovuto constatare, della “tiepida” e “timida” Europa, specie in quella coinvolta nella “condivisione nucleare NATO”.
Abbiamo registrato che quasi tutti gli Stati si sono iscritti a parlare ed hanno voluto intervenire parlando direttamente in aula (la prassi è consegnare un intervento scritto alla presidenza), i tempi programmati sono saltati per le dichiarazioni “a mitraglia” dei delegati degli Stati non nucleari; e questo è stato indice di una grande volontà di partecipare e di contare, manifestando una insofferenza per lo stallo dei negoziati del percorso ufficiale del Trattato di non proliferazione – TNP .
Alcune delegazioni sono state più radicali ed esplicite delle altre nel pronunciarsi, assumendo l’appello di ICAN, per un Trattato che vieti le armi nucleari. Ecco l’elenco di questi 44 Paesi, ricavato da un comunicato dell’ICAN Francia: l’Austria, il Bangladesh, il Brasile, il Burundi, il Ciad, la Colombia, il Congo, il Costa Rica, Cuba, l’Ecuador, l’Egitto, El Salvador, le Filippine, la Giamaica, la Giordania, il Ghana, Grenada, il Guatemala, la Guinea Bissau, l’ Indonesia, il Kenya, la Libia, la Malesia, il Malawi, il Mali, il Messico, la Mongolia, il Nicaragua, il Qatar, Samoa, il Senegal, , la Santa Sede, il Sudafrica, la Svizzera, la Tailandia, Timor Est, il Togo, Trinidad e Tobago, l’Uruguay, il Venezuela, lo Yemen, lo Zambia e lo Zimbabwe.
Quello che avremmo voluto sentire, nella sintesi del ministro austriaco, che ha concluso alle 19.20 di martedì 9 i lavori della conferenza, è una dichiarazione, chiara ed esplicita, pur nelle dovute forme diplomatiche, a nome della maggioranza degli Stati presenti, che si sono pronunciati in tal senso: le armi nucleari, TNP o non TNP, devono esser messe al bando in modo inequivocabile e giuridicamente vincolante, bisogna partire subito con chi ci sta e questa proibizione è la premessa necessaria e non eludibile per la successiva eliminazione degli arsenali nucleari.
Se non ho capito male, Sebastian Kurz (non ho ancora sotto gli occhi il comunicato scritto ufficiale che non è stato diramato, ed anche questo è significativo) si è invece limitato ad affermare che appoggerà questa richiesta, proveniente, come si è detto, in modo inequivocabile dal basso, nella sede internazionale realmente decisiva, cioè la sessione a New York di revisione del Trattato di non proliferazione del 2015 (aprile-maggio), in cui aiuterà a porre all’ordine del giorno l’inizio di negoziati in tal senso.
La “reticenza” è forse frutto della “mediazione” che è stata esercitata per portare gli USA (e molti loro alleati, tra i quali l’Italia) a partecipare e quindi a riconoscere come complementare il percorso umanitario rispetto al percorso TNP. Ma il ministro austriaco ha comunque avanzato delle dichiarazioni orali che lasciano sperare che l’impegno austriaco proseguirà nella direzione giusta.
Ecco quanto di saliente ha affermato oralmente Kurz nella sua sintesi conclusiva (secondo la ricostruzione effettuata dagli amici antinucleari francesi, con i quali noi italiani abbiamo fatto comunella):
“Molti delegati hanno espresso preoccupazione per i pochi progressi in materia di disarmo nucleare e hanno sottolineato che le considerazioni umanitarie non dovrebbero più essere ignorate, ma essere al centro di tutte le decisioni di disarmo nucleare… Molte delegazioni hanno osservato che il discorso sull’impatto umanitario delle armi nucleari ha mostrato che le armi nucleari rappresentano un rischio inaccettabile, che questo rischio è superiore a ciò che era stato comunemente inteso, e che continua ad aumentare nel tempo…Molte delegazioni hanno ribadito che l’eliminazione totale delle armi nucleari è il modo più efficace per prevenire il loro uso…La maggioranza delle delegazioni ha rimarcato che l’eliminazione definitiva delle armi nucleari deve essere perseguita in un quadro normativo concordato, tra cui una convenzione sulle armi nucleari… Molte delegazioni hanno sottolineato il bisogno di sicurezza per tutti e che l’unico modo per garantire questa sicurezza è attraverso il divieto e l’eliminazione totale delle armi nucleari. Esse hanno espresso sostegno per la negoziazione di un nuovo strumento giuridico che vieti le armi nucleari che costituiscono una misura efficace verso il disarmo nucleare, come richiesto anche dal TNP.”
Bisogna, allora, come diplomaticamente dice Kurz, “cooperare con tutte le parti interessate per colmare il vuoto giuridico verso il bando”; ma occorrerebbe anche sottolineare che, se qualche parte “nicchia” o avanza resistenze ingiustificate, si va avanti lo stesso.
Quella del bando delle armi nucleari è comunque di una questione letteralmente “vitale”, che non riguarda solo i governi, ma ogni cittadino e cittadina di questo nostro mondo interconnesso ed interdipendente. La questione delle questioni, però è normalmente sottovalutata dai media (e quindi dalla gente), se non rimossa. Aumentando la consapevolezza delle catastrofiche conseguenze che inevitabilmente si produrrebbero con il continuare a “scherzare con il fuoco atomico”, la società civile ha un ruolo cruciale da svolgere, da spina nel fianco dei governi, affinché si assumano le proprie responsabilità.
Dobbiamo, noi cittadinanza attiva e movimenti di base, fare lo sforzo di lavorare insieme, fianco a fianco, per liberare, con una azione coordinata, il mondo, non solo il nostro cortile di casa, dalla minaccia posta dalle armi nucleari: è la nostra responsabilità verso le future generazioni ed anche delle passate. La salvaguardia infatti del senso del passato comune è costituente essenziale della nostra umanizzazione, condizione della nostra facoltà di pensiero.
Un intervento che avrebbe potuto essere “storico”, ma che invece – a giudizio di chi scrive – è rimasto confinato nella convenzionalità (contano infatti i discorsi ufficiali e non le interviste estemporanee rilasciate davanti ad una telecamerina), è stato quello di Silvano Maria Tomasi, Nunzio Apostolico della Santa Sede, che ha portato un messaggio di Papa Francesco: non ha detto in modo chiaro che la Chiesa Cattolica non è contraria solo all’uso delle armi nucleari, ma anche alla loro stessa detenzione.
Il testo ufficiale del messaggio papale è riportato integralmente, sotto, in appendice, tratto dall’agenzia stampa ufficiale del Vaticano. Questi i passi che mi sembra importante mettere in rilievo:
“I codici militari e il diritto internazionale, tra gli altri, hanno da tempo condannato persone che hanno inflitto sofferenze non necessarie. Se simili sofferenze sono condannate nel corso di una guerra convenzionale, allora dovrebbero ben di più essere condannate nel caso di conflitto nucleare… La deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono essere la base di un’etica di fraternità e di pacifica coesistenza tra i popoli e gli Stati. I giovani d’oggi e di domani hanno diritto a molto di più. Hanno il diritto ad un pacifico ordine mondiale… Sono convinto che il desiderio di pace e di fraternità, profondamente radicato nel cuore umano, porterà frutti in modi concreti al fine di assicurare che le armi nucleari vengano vietate una volta per tutte…”
Questo mancato intervento papale (perché troppo sfumato e inibito nei contenuti) di condanna esplicita della deterrenza nucleare avrebbe potuto essere collegato al fatto che, come si è accennato, nei lavori di questa conferenza, con i discorsi delle delegazioni latino-americane, ed in particolare con il discorso del delegato dell’Ecuador, si è affacciata la nuova ipotesi strategica di impostare la proibizione delle armi come attuazione del diritto alla sopravvivenza, che esige il dovere immediato ed inderogabile di proibire e di rimuovere gli ordigni che la mettono a rischio.
Il disarmo nucleare come diritto umano fondamentale e non come concessione (interpretante una necessità): la “Carta per un mondo libero dalle armi nucleari” che i “disarmisti esigenti” hanno elaborato (e che si vuole fare discutere e approvare dalla Rete di scuole che simulano le Nazioni Unite) costituisce un modo per sperimentare un nuovo approccio culturale che forse potrebbe sbloccare le trappole che hanno finora impantanato e rallentato i negoziati sul disarmo.
Attualmente tutti i ragionamenti partono infatti dalla “necessità” del disarmo nucleare (si veda il discorso di Obama a Praga nel 2009), non dalla sua obbligatorietà: si permette quindi, da parte della comunità internazionale, che alcuni soggetti vantino il diritto di minacciare l’uso delle armi nucleari al fine di evitarne l’uso.
Occorre invece escludere in radice, come anche il Papa e gli altri leaders religiosi potrebbero invitarci a fare (quando si decideranno), ogni possibilità di giustificare la cosiddetta deterrenza: non si deve, lo ribadiamo, scherzare con il fuoco atomico, pensare di poter mettere tra parentesi il diritto di sopravvivere, ricorrere, ipocritamente, a mezzi illeciti, alla minaccia di distruzione, per ottenere obiettivi leciti…
L’obiettivo che ci eravamo proposti con Alex Zanotelli nel 2006 lanciando un appello resta quindi attuale: i rappresentanti di tutte le religioni dovrebbero dichiarare la guerra atomica nella sua stessa minaccia e preparazione Tabù e peccato, un crimine contro l’Umanità come tale non assolutamente giustificabile.
I “disarmisti esigenti” presenti a Vienna (il sottoscritto e Luigi Mosca, con Giovanna Pagani assente per problemi tecnici) hanno anche incontrato per una buona mezz’ora il funzionario delegato del governo italiano prima che intervenisse, la mattina del 9 dicembre. Il delegato del MAE, Giovanni Brauzzi, incalzato dalle nostre sollecitazioni, ha espresso una volontà di “giocare un ruolo di mediazione tra Stati nucleari e Stati non nucleari”.
Secondo Brauzzi la via più conducente che oggi può essere esperita è quella dell’estensione delle zone libere dalle armi nucleari, a partire da quella che il TNP-Trattato di non proliferazione ha individuato, nella sessione di revisione del 2010, per il Medio Oriente.
“Ci stiamo lavorando alacremente come governo italiano e posso dirvi che siamo molto vicini ad organizzare una Conferenza, superando l’opposizione del governo di Tel Aviv, che pone come condizione una considerazione generale degli equilibri geopolitici della regione. Dobbiamo quindi impostarla – questa conferenza sul Medio Oriente – non solo sul disarmo nucleare, ma su un quadro di sicurezza globale”.
Menzioniamo, per concludere, anche l’iniziativa di discussione, negli ambiti pacifisti e nonviolenti, sulle risultanze della conferenza che si terrà a Roma, per organizzazione della WILPF, il 16 dicembre 2014, presso il CESV, via Liberiana, 14, con inizio alle ore 17.00.
Sarebbe importante che servisse ad approfondire e a sprovincializzare la nostra visuale, che spesso non va oltre ciò che ci tocca direttamente e da vicino: non possiamo pensare, quando ci sbattiamo sopra il muso, ammesso poi che lo facciamo veramente (ad alcuni interessa solo additare un “cattivissimo” unica facile causa dei mali del mondo), solo alle bombe e alle basi che ci sono in Italia, dobbiamo renderci conto che abituiamo in un piccolo Pianeta che hanno fatto diventare, più protagonisti, una polveriera che prima o poi salterà in aria.
Opporci alle B-61 di Ghedi ed Aviano, come del resto alle altri basi militari “offensive”, deve avvenire con questa ottica ampia, rivolta alla costruzione organizzata internazionalmente della comune umanità che avanza con comuni obiettivi e comuni percorsi. Lo stesso ragionamento vale per le “campagne” che si propongano l’uscita dell’Italia dalla NATO.
Come ci invita a fare “ESIGETE!”, dobbiamo pensare, agendo anche localmente ma coordinati globalmente, all’avvenire di tutti, ad un avvenire dell’Umanità fondata sull’emulazione, non sulla competizione, ad uscire dai nostri piccoli “ego” per occuparci di perpetuare la fiaccola della vita da cui proveniamo.
Ringrazio per il loro aiuto:
I “disarmisti esigenti” (in particolare Luigi Mosca e Giovanna Pagani) che si riconoscono nell’appello lanciato da Stéphane Hessel ed Albert Jacquard. In Italia facciamo riferimento alla petizione on line rinvenibile a questa pagina
vedi http://www.petizioni24.com/esigiamo
Adesioni anche sui siti: Energia felice (www.energiafelice.it); Campagna di Obiezione di Coscienza alle Spese Militari (www.osmdpn.it); Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà ( http://wilpfitalia.wordpress.com/)
http://www.news.va/es/news/226638
Messaggio del Santo Padre alla III Conferenza sull’Impatto Umanitario delle Armi Nucleari (Vienna, 8-9 dicembre 2014)
Testo in lingua italiana
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che Papa Francesco ha inviato all’On.le Sebastian Kurz, Presidente della Conferenza sull’Impatto Umanitario delle Armi Nucleari che si svolge in questi giorni a Vienna, in Austria:
Testo in lingua italiana
A Sua Eccellenza il Signor Sebastian Kurz
Ministro Federale per l’Europa, l’Integrazione
e gli Affari Esteri della Repubblica d’Austria
Presidente della Conferenza sull’Impatto Umanitario delle Armi Nucleari
Sono lieto di salutare Lei, Signor Presidente, e tutti i rappresentanti delle varie Nazioni e delle Organizzazioni Internazionali, come pure della società civile, che partecipano alla Conferenza di Vienna sull’impatto umanitario delle armi nucleari.
Le armi nucleari sono un problema globale, che colpisce tutte le nazioni, e avranno un impatto sulle generazioni future, come pure sul pianeta, che è la nostra casa. Occorre un’etica globale se vogliamo ridurre la minaccia nucleare ed operare per un disarmo nucleare. Ora più che mai, l’interdipendenza tecnologica, sociale e politica esige urgentemente un’etica di solidarietà (cfr Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis , 38), che incoraggi i popoli ad operare insieme per un mondo più sicuro ed un futuro che sia radicato sempre più nei valori morali e sulla responsabilità in una dimensione globale.
Le conseguenze umanitarie delle armi nucleari sono prevedibili e planetarie. Mentre spesso ci si concentra sul potenziale delle armi nucleari per le uccisioni di massa, si deve porre maggior attenzione sulle “sofferenze non necessarie” causate dal loro uso. I codici militari e il diritto internazionale, tra gli altri, hanno da tempo condannato persone che hanno inflitto sofferenze non necessarie. Se simili sofferenze sono condannate nel corso di una guerra convenzionale, allora dovrebbero ben di più essere condannate nel caso di conflitto nucleare. Vi sono coloro, tra noi, che sono vittime di tali armi; essi ci mettono in guardia a non commettere gli stessi irreparabili errori, che hanno devastato popolazioni e la creazione. Porgo i miei calorosi saluti agli Hibakusha , come pure alle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari, presenti a questo incontro. Incoraggio tutti loro ad essere voci profetiche, richiamando la famiglia umana ad un più profondo apprezzamento della bellezza, dell’amore, della cooperazione e della fraternità, ricordando allo stesso tempo al mondo i rischi delle armi nucleari, le quali hanno il potenziale di distruggere noi e la civiltà.
La deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono essere la base di un’etica di fraternità e di pacifica coesistenza tra i popoli e gli Stati. I giovani d’oggi e di domani hanno diritto a molto di più. Hanno il diritto ad un pacifico ordine mondiale, basato sull’unità della famiglia umana, fondato sul rispetto, sulla cooperazione, sulla solidarietà e sulla compassione. Il tempo di contrastare la logica della paura con l’etica della responsabilità è adesso, così da promuovere un clima di fiducia e di dialogo sincero.
Spendere in armi nucleari dilapida la ricchezza delle nazioni. Dare priorità a simili spese è un errore e uno sperpero di risorse che sarebbero molto meglio investite nelle aree dello sviluppo umano integrale, dell’educazione, della salute e della lotta all’estrema povertà. Quando tali risorse sono dilapidate, i poveri e i deboli che vivono ai margini della società ne pagano il prezzo.
Il desiderio di pace, di sicurezza e di stabilità è uno dei desideri più profondi del cuore umano, poiché esso è radicato nel Creatore, che fa membri della famiglia umana tutti i popoli. Tale aspirazione non può mai essere soddisfatta soltanto da mezzi militari, e meno che mai dal possesso di armi nucleari ed altre armi di distruzione di massa. La pace non “può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione” ( Gaudium et spes , 78). La pace deve essere costruita sulla giustizia, sullo sviluppo socio-economico, sulla libertà, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla partecipazione di tutti agli affari pubblici e sulla costruzione di fiducia fra i popoli. Papa Paolo VI sintetizzò tutto questo nella sua Enciclica Populorum progressio : “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (76). E’ nostra responsabilità di prendere azioni concrete che promuovano la pace e la sicurezza, rimanendo, però, sempre attenti al limite costituito da approcci a breve termine a problemi di sicurezza nazionale ed internazionale. Dobbiamo essere profondamente impegnati nel rafforzare la fiducia reciproca, poiché solo mediante tale fiducia si può stabilire una pace vera e duratura fra le nazioni (cfr Giovanni XXIII, Pacem in terris , 113).
Nel contesto della presente Conferenza, desidero incoraggiare un dialogo sincero e aperto tra parti che sono all’interno di ogni Stato che possiede armi nucleari, fra vari Stati che hanno armi nucleari, e fra questi e gli Stati sprovvisti di armi nucleari. Un simile dialogo deve essere inclusivo, coinvolgendo le organizzazioni internazionali, le comunità religiose e la società civile; esso deve essere orientato verso il bene comune e non verso la protezione di interessi particolari. “Un mondo senza armi nucleari” è un obiettivo condiviso da tutte le nazioni, del quale si sono fatti portavoce i leader mondiali, come pure l’aspirazione di milioni di uomini e donne. Il futuro e la sopravvivenza della famiglia umana si impernia sull’andar oltre a tale obiettivo e assicurarsi che esso divenga realtà.
Sono convinto che il desiderio di pace e di fraternità, profondamente radicato nel cuore umano, porterà frutti in modi concreti al fine di assicurare che le armi nucleari vengano vietate una volta per tutte, a beneficio della nostra casa comune. La sicurezza del nostro stesso futuro dipende dal garantire la pacifica sicurezza degli altri, poiché se la pace, la sicurezza e la stabilità non vengono fondate sul piano globale, non saranno per nulla godute. Siamo responsabili individualmente e collettivamente del benessere sia presente che futuro dei nostri fratelli e sorelle. E’ mia viva speranza che tale responsabilità plasmi i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare, poiché un mondo senza armi nucleari è davvero possibile.
Dal Vaticano, 7 dicembre 2014.
FRANCISCUS PP.
[02024-01.01] [Testo originale: Italiano]