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Sabato 19 gennaio a Milano: Forum dell’ASSOCIAZIONE LAUDATO SI’

Sabato 19 gennaio 2019, dalle ore 9.30 alle ore 17.30, nella Sala delle conferenze di Palazzo Reale a Milano, si terrà il Forum dell’associazione Laudato si’: Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale.

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Nel 2015 papa Francesco pubblicò l’enciclica Laudato si’, prendendo le mosse dal Cantico delle creature di Francesco d’Assisi: un testo rivolto a credenti e non credenti, segnato dall’abbandono della visione antropocentrica che caratterizza la nostra cultura e dal richiamo alla necessità di un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale. Un discorso rivoluzionario, che esce dagli specialismi – anche quelli umanitari – per dirci che distruzione del pianeta, guerre, corsa al riarmo, migrazione forzata, sfruttamento del lavoro e della natura a tutte le latitudini, cultura dello scarto, spregio del vivente, primato della finanza e violazione dei diritti civili e sociali sono fenomeni strettamente interconnessi.

Scopo del forum è aprire un tavolo di lavoro sulle tematiche dell’enciclica, articolate come un orizzonte di impegni da assumere per colmare un vuoto di rappresentanza, e da sottoporre già ai prossimi candidati e candidate alle elezioni europee. Nessun manifesto ecologico e politico è infatti così completo, capace di comprendere la dimensione della giustizia sociale, del rispetto dei diritti, della cura della casa comune e del vivente, nella consapevolezza dell’urgenza di una pratica di resistenza culturale, educativa e comunicativa.

Al forum prenderanno parte intellettuali, sindacalisti, attivisti impegnati nella difesa del clima, dell’ambiente, della pace, del lavoro, dei diritti umani, dell’accoglienza di profughi e migranti che hanno sottoscritto la lettera-appello costitutiva dell’associazione Laudato si’: da Donatella di Cesare e Francesco Remotti ad Aldo Bonomi e Luca Zevi, da Massimo Scalia e Karl Ludwig Schibel a Lisa Clark e Antonio De Lellis, dalla segretaria nazionale della FIOM Francesca Re David a Luigi Manconi, Raniero la Valle, Alessandra Ballerini e Riccardo Gatti.

Saranno presenti esponenti di numerose associazioni provenienti da tutta Italia: Re:Common, NoTap, NoTriv, Rete dei Comuni solidali, Comitato italiano per un Contratto mondiale sull’acqua,  No CPR, Ri-Maflow, Proactiva Open Arms, CIPSI, Comitato per l’annullamento del debito illegittimo, ARCI, Distretto Economia Solidale Rurale – Parco Agricolo Sud Milano, Associazione Italiana Esposti Amianto, Rete italiana per il disarmo, In difesa di, Pax Christi e molte altre.

L’impegno che verrà preso è costituire, sui cardini della Laudato si’ – ambiente, clima, pace, migrazione, accoglienza, lavoro, giustizia sociale, contrasto della povertà, cura della casa comune, tutela del vivente – i rispettivi gruppi tematici che elaboreranno, entro la fine di febbraio, i punti di una carta d’impegni condivisa, nella consapevolezza dell’urgenza di una pratica di resistenza culturale, educativa e comunicativa.

L’intervento conclusivo sarà affidato a don Virginio Colmegna presidente della Casa della Carità e cofondatore dell’associazione Laudato si’

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L’iniziativa è co-promossa dal gruppo consiliare Milano in Comune, con la partecipazione di Casa della carità, Osservatorio Solidarietà, Associazione Diritti e Frontiere (ADIF), CostituzioneBeniComuni, Energia Felice, Ecoistituto della Valle del Ticino.

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Germania: il primo treno passeggeri ad idrogeno del mondo

Approvata la messa in servizio in Germania del treno ad idrogeno Coradia iLint

 

Il Coradia iLint di Alstom, il primo treno passeggeri del mondo a celle a combustibile idrogeno, ha ottenuto approvazione dall’Autorità ferroviaria tedesca (EBA) per l’entrata in servizio in Germania. Oggi, Gerald Hörster, presidente dell’EBA, ha consegnato ad Alstom il certificato di omologazione presso il Ministero federale dei Trasporti e delle Infrastrutture a Berlino, alla presenza di Enak Ferlemann, segretario di Stato parlamentare presso il ministro federale per il traffico e l’infrastruttura digitale e membro del Parlamento tedesco.

Un primato in Germania: con l’approvazione dell’Autorità ferroviaria tedesca (EBA), arriva sui binari il primo treno passeggeri con tecnologia a celle a combustibile. Questo è un forte segnale di mobilità del futuro. L’idrogeno è veramente un’alternativa al diesel, è efficiente e a basse emissioni. Soprattutto sulle linee secondarie, dove le linee aeree di contatto non sono economiche o non ancora disponibili, questi treni sono un’opzione pulita ed ecologica. Ecco perché supportiamo e vogliamo far emergere questa tecnologia” ha dichiarato Enak Ferlemann, il delegato del governo federale tedesco per il trasporto ferroviario.

“Questa approvazione è un momento cruciale per il Coradia iLint e un passo decisivo verso una mobilità pulita e orientata al futuro. Alstom è profondamente orgogliosa di questo treno regionale alimentato a idrogeno, che rappresenta una rivoluzione nella mobilità a emissioni zero e che ora entrerà in servizio regolare” ha affermato Wolfram Schwab, vicepresidente di Alstom per l’R&D e Innovazione.

Nel Novembre 2007, Alstom e l’autorità locale per il trasporto della Bassa Sassonia (LNVG) hanno firmato un contratto per la consegna di 14 treni a celle a combustibile idrogeno, relativa manutenzione per 30 anni e fornitura di energia. I 14 treni trasporteranno i passeggeri tra le località di Cuxhaven, Bremerhaven, Bremervörde e Buxtehude da dicembre 2021.

In seguito all’approvazione da parte di EBA, due prototipi di Coradia iLint entreranno nella fase pilota di operazioni nel network Elbe-Weser. L’inizio del servizio passeggeri è previsto per la tarda estate.

Il Coradia iLint è il primo treno passeggeri alimentato da celle a combustibile idrogeno, che producono energia elettrica per la trazione. Questo treno a zero emissioni ha livelli minori di rumore e l’unico scarico è costituito da vapore acqueo e acqua di condensa. Il Coradia iLint è unico per via della combinazione di diversi elementi innovativi: conversione di energia pulita, possibilità di immagazzinare l’energia nelle batterie, una gestione intelligente dell’energia di trazione e di altra energia a disposizione. Progettato specificamente per le linee non elettrificate, opera a rispetto dell’ambiente, assicurando, allo stesso tempo, un’ottima performance.

Il Coradia iLint è stato progettato dal team Alstom di Salzgitter (Germania), centro di eccellenza per i treni regionali e a Tarbes (Francia), centro di eccellenza per i sistemi di trazione. Il progetto beneficia del supporto del Ministero dell’Economia e di quello dei Trasporti tedeschi. Lo sviluppo del Coradia iLint è stato finanziato con 8 milioni di euro dal Governo tedesco come parte del Programma nazionale per l’innovazione nella tecnologia a idrogeno e celle a combustibile (NIP).

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Contributo sull’avvio del congresso della Cgil

Come iscritti e militanti della Cgil, di diverse categorie* avanziamo le riflessioni che seguono, prendendo spunto dall’avvio del congresso della Cgil, ed in relazione alle attività di associazioni, nelle quali siamo impegnati, che si occupano della transizione/decarbonizzazione del modello energetico e di sviluppo (come l’approfondimento riportato in appendice); temi sui quali già abbiamo avuto e abbiamo occasioni di collaborazione con la Cgil e le sue categorie.

Il congresso dovrebbe essere…

Il metodo nuovo, deciso dalla Cgil per avviare il 18° congresso, con la “Traccia di discussione per Assemblee Generali” sulla quale raccogliere suggerimenti e indicazioni per poi arrivare al documento congressuale vero è proprio, è molto utile.

E’ certamente giusto sottolineare come in questi anni la Cgil, nonostante la situazione e il clima sfavorevole, abbia retto bene. Ma l’affermazione “Non ci siamo limitati al conflitto e alla difesa, abbiamo scelto la strada della creazione di un’altra proposta di sistema come il piano del lavoro, elaborando la nostra proposta di legge di iniziativa popolare: la carta dei diritti universali del lavoro”, è troppo ottimistica. Ci siamo difesi abbastanza bene, ma di qui in avanti questo non basta.

“Un’altra proposta di sistema” è una indicazione strategica assolutamente condivisibile e necessaria, ma non possiamo dire di averla già creata. “Il piano del lavoro” è stata una buona intuizione, anche simbolica, importante, ma non è sufficiente; come non lo è ripetere semplicemente che siamo per “un modello alternativo, sostenibile, di crescita, sviluppo e giustizia sociale”. La stessa confusione tra i termini di crescita e sviluppo, che non sono – a proposito di “sostenibilità ambientale, economica, sociale e territoriale” – la stessa cosa, dimostra che nonostante l’avvio di alcune importanti elaborazioni (come “la piattaforma integrata per lo sviluppo sostenibile”) tutta l’organizzazione non ha ancora assimilato, soprattutto nella sua pratica contrattuale, la consapevolezza delle grandi emergenze globali, ambientali , energetiche, climatiche che abbiamo di fronte e, di conseguenza, le grandi trasformazioni sull’idea di sviluppo, che sarebbero necessarie.

A questo proposito, sono molto più precise le affermazioni contenute nel contributo dello Spi “Verso il congresso nazionale Spi 2018”: “Di fronte a questo scenario, obiettivo dello Spi Cgil, in coerenza con le priorità dell’Onu e per l’Italia dell’Asvis, è quello di battersi insieme alla comunità scientifica e ai movimenti ambientalisti affinché si avvii un ambizioso processo di transizione che dall’economia globale conduca verso un’economia ecologica e circolare. È sempre più necessario, infatti, limitare i cambiamenti climatici, liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili, affermare nuovi modelli di consumo, raggiungere l’obiettivo dei rifiuti zero, e garantire a tutti, oltre che la sicurezza alimentare, anche l’accesso a uno dei beni più preziosi: l’acqua potabile. Ma la diffusione di una cultura della sostenibilità deve anche partire dall’assunzione di responsabilità dei singoli individui. Basare i nostri comportamenti quotidiani sul consumo consapevole delle risorse naturali, sul risparmio energetico, sul rispetto dell’ambiente rappresenta il primo passo verso un mondo più giusto ed equo”.

Sono affermazioni importanti che non hanno implicazioni solo per le scelte individuali, o per i “consumatori consapevoli”, ma pongono, soprattutto, la necessità della transizione del modello produttivo, e quindi di come conquistare un modello di sviluppo alternativo.

Nel secolo scorso, i movimenti sociali, ed in particolare quello sindacale, potevano svolgere il loro ruolo di mobilitazione e rivendicazione per la tutela dei diritti, delle condizioni di lavoro e di vita, per obiettivi di giustizia sociale e poi trovare una “sponda politica”, tra forze politiche che avevano una “idea complessiva di società”, a cui delegare la necessaria mediazione e realizzazione di questi obiettivi.

Oggi, per il movimento sindacale, ed in particolare per la Cgil, è molto più problematico trovare “una sponda” nell’attuale quadro politico; infatti si sostiene di avere “letto prima…il prepararsi della rottura tra il mondo del lavoro e la rappresentanza politica”. A maggior ragione, questa realtà, dovrebbe implicare la necessità di un cambio nel ruolo e nelle responsabilità del sindacato.

Certamente il sindacato deve fondare in primo luogo la sua rappresentatività partendo dalle condizioni concrete di tutto il mondo del lavoro, anche nei settori più marginali ed esclusi (spesso anche per noi ai margini), ma deve allargare il concetto di coalizione a tutti quei settori sociali che possono oggettivamente convergere su obiettivi coerenti. Per questo il sindacato deve avanzare in proprio una sua idea di società e di modello di sviluppo, cercando di farlo vivere e avanzare, non solo nelle elaborazioni generali, ma anche, e soprattutto, nella propria iniziativa corrente e nella pratica contrattuale a tutti i livelli.

Come si legge nel contributo della Fiom “Il congresso dell’uguaglianza”: “consolidare la strada intrapresa… di autonomia e indipendenza dal sistema dei partiti e dalle logiche che oggi dominano la politica”. E, conclude: “Non si può quindi prescindere dalla necessità di stringere i legami della coalizione delle lavoratrici e dei lavoratori e allargare le alleanze oltre il lavoro dipendente”.

Per il sindacato, porre la necessità di “un nuovo modello di sviluppo” e operare direttamente per essere protagonista di questa progressiva transizione, significa saper intrecciare l’attenzione all’occupazione, alla riduzione degli orari, ai diritti, alle condizioni, alla retribuzione, con una riflessione sulle finalità del lavoro stesso (“cosa, come, per chi produrre”, si sosteneva una volta) e della sua redistribuzione.

La transizione nei settori energetici, dell’economia circolare, della mobilità, dell’organizzazione delle città, dell’edilizia, dei servizi, ecc. – con l’accelerazione indotta dalla digitalizzazione – è già in atto, magari a volte in modo distorto e contradditorio, ma proseguirà. L’unico modo perché “non sia pagata dai lavoratori” è che il sindacato, e i lavoratori, svolgano un ruolo attivo, ponendo le proprie priorità, con una “contrattazione d’anticipo”. Disinteressarsene, pensando solo ad un ruolo sindacale “tradizionale”, o tentare semplicemente di frenare questo processo (come a volte è successo e succede) produrrebbe danni ben peggiori.

Per andare in questa direzione servono strategie e normative precise, politiche industriali e investimenti pubblici e privati adeguati (vale per le grandi scelte nazionali, ma anche per quelle locali e territoriali) che devono essere rivendicati con forza, ma non possiamo semplicemente delegare, o fare lobby, verso i decisori politici.

Una transizione “giusta” non si può realizzare senza un coinvolgimento attivo dei soggetti sociali interessati a questi cambiamenti (i lavoratori, i consumatori, i cittadini, ecc.) o addirittura contro di loro. Per questo, superando tendenze alla frammentazione e al settorialismo, è necessario aggregare un “fronte sociale più ampio” (che coinvolga oltre al sindacato, associazioni sociali, ambientali, dei consumatori, comitati dei cittadini, competenze scientifiche e tecniche) per intervenire e contrattare questi cambiamenti, a partire dalle aziende più innovative, dagli amministratori locali più sensibili, ecc., per investire poi il sistema delle imprese di tutti i settori.

Si parla tanto di Industria 4.0, ma in genere si affrontano solo aspetti tecnologici, digitalizzazione (internet delle cose, additive manufacturing…). “Affermiamo di voler contrattare la digitalizzazione”, che è un ottimo proponimento, ma “l’algoritmo” non controlla solo le condizioni di lavoro, ma l’intero ciclo della produzione, dei servizi, dei consumi. L’innovazione che dovremmo contrattare non interessa solo le tecnologie, ma anche gli aspetti organizzativi, ambientali, sociali e le stesse finalità del lavoro e delle produzioni. Per svolgere questo ruolo, il sindacato, ha la necessità di costruire un punto di vista autonomo, proprio e dei lavoratori che rappresenta, anche in relazione a soggetti esterni, oltre il lavoro dipendente.

Le trasformazioni in atto necessitano di più sapere e di più intelligenza nell’uso di tutte le risorse, servirebbe uno straordinario sforzo di educazione e di formazione a tutti i livelli, non solo nei luoghi tradizionali della ricerca e della formazione, ma anche nei luoghi di lavoro e nella società.

In queste trasformazioni vi saranno settori che andranno a ridursi e altri invece che dovrebbero crescere, e il sindacato ne dovrebbe essere protagonista attivo, facciamo sommariamente solo alcuni esempi:

– Per i settori dell’automotive e della mobilità, pensiamo all’enorme impatto che avrà la progressiva sostituzione di mezzi a combustione interna con quella elettrica o ad altre propulsioni; o la progressiva riduzione dell’uso dei combustibili fossili, con la fine dell’uso del carbone, il restringimento dei settori delle estrazioni e della raffinazione e quindi le ricadute in quelli dell’oil & gas.

– Viceversa, pensiamo al possibile grande sviluppo di tutte le fonti rinnovabili, la stessa Strategia Energetica Nazionale (che può essere criticabile per taluni aspetti) ne prevede un aumento tale che non sarebbe raggiungibile con i trend attuali, a partire dal solare e dall’eolico (per il quale sarebbe necessario puntare su quello offshore); oppure le grandi opportunità per l’autoproduzione, e soprattutto per l’efficienza energetica in tutti i settori, a partire da Interventi radicali di efficientamento energetico per la riqualificazione spinta di interi edifici e quartieri (deep renovation).

Ma in modo più trasversale, anche solamente partire da iniziative diffuse per generalizzare le diagnosi energetiche e poi l’efficientamento dei cicli produttivi (es. l’Avviso comune Cgil Cisl Uil Confindustria del 2011, sull’efficienza energetica) oltre a dare vantaggi immediati, può fornire indicazioni per intervenire, non solo sui cicli attuali, ma anche sulle materie prime, sulla logistica, sugli scarti, sui rifiuti, ecc., ripensando cicli di vita e tipologia dei prodotti e dei servizi. Tematiche queste, applicabili non solo ai settori produttivi e industriali, ma in modo trasversale in ogni comparto. Incluso anche il ruolo che può svolgere una categoria come lo SPI, nella contrattazione sociale e nel promuovere comportamenti e stili di vita e di consumo più sostenibili.

A proposito di un ruolo più determinato del sindacato nella realizzazione di queste trasformazioni, pur non essendo citato nei documenti preparatori, si torna a parlare di “codeterminazione”. Certo, l’esperienza tedesca, fatte le dovute differenze, può avere un qualche interesse anche in Italia, che non ha mai avuto procedure di questo tipo, se si esclude Il caso del “protocollo IRI” (che risale agli anni ’80) o, da ultimo, il “timido” capitolo sulla “Partecipazione” del recente accordo con Confindustria sulle “relazioni industriali e la contrattazione“, ma essenziale in tutto questo è appunto avere punto di vista autonomo del sindacato.

*Mario Agostinelli
Vittorio Bardi
Paolo Bartolomei
Oscar Mancini
Gianni Naggi
Ettore Torregiani

APPROFONDIMENTO DI SCALIA E MATTIOLI (PDF 984 Kb) >>>

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Il contratto Salvini-Di Maio ignora il clima e i target di Parigi

di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

Con una lettera aperta pubblicata dal Financial Times perfino le società petrolifere riconoscono che devono fare di più per combattere il cambiamento climatico. Arrivando ad «assumere la responsabilità di tutte le emissioni» di gas serra, comprese quelle prodotte dall’impiego di combustibili fossili, come la benzina per le auto o il gas con cui scaldiamo le nostre case. A chiederlo è un gruppo di 60 grandi investitori- fondi, banche e assicurazioni, che insieme gestiscono più di 10.400 miliardi di dollari e che alzano la pressione sulle major a livelli senza precedenti proprio a pochi giorni dalle assemblee degli azionisti, in cui l’ambiente promette di essere un tema centrale.

La Royal Dutch Shell voterà una mozione che chiede un taglio più aggressivo delle emissioni di CO2 rispetto al dimezzamento a cui il management «ambisce» entro il 2050. Nonostante le riserve, si sono schierati a favore anche la Church of England e il fondo pensioni dell’Agenzia per l’ambiente britannica. Il testo afferma che «a prescindere dal risultato all’assemblea di Shell» tutte le compagnie del settore dovrebbero «chiarire come vedono il loro futuro in un mondo low-carbon». La richiesta in particolar e è che le Major assumano «impegni concreti» per ridurre in modo significativo la CO2, per stimare l’impatto delle emissioni legate all’impiego dei combustibili che producono e per «spiegare come i loro investimenti siano compatibili con il percorso verso gli obiettivi di Parigi», che impegnano a contenere il riscaldamento globale almeno entro 2° C. Sono ormai diversi anni che il mondo della finanza ha preso coscienza dei rischi legati al cambiamento climatico: rischi non solo per l’ambiente, ma anche per gli investimenti stessi

Il 2018 è l’anno in cui dovrebbero essere realizzate le prime bozze dei Piani Energia e Clima, gli strumenti con cui i Paesi Membri dell’Unione Europea dovranno mostrare le politiche e le strategie per raggiungere gli obiettivi fossati per il 2030 e che, per l’Italia, rappresentano l’occasione per dare concretezza a quanto scritto nella Strategia Energetica Nazionale (SEN), predisposta oramai da quasi un anno.

Della SEN in verità, al di fuori degli addetti ai lavori e della stampa specializzata, se ne è parlato poco. Probabilmente non a torto perché si tratta di un documento che ha solo valore di indirizzo, approvato da un governo in scadenza, quasi un lascito a quello successivo per la sua messa in pratica. È comprensibile quindi che dopo la sua approvazione, l’ad di Enel Starace, rispondendo ai giornalisti abbia detto che “abbiamo la direzione ma non ci sono stati dati strumenti per arrivare agli obiettivi indicati”. (Vedi “Stop al carbone al 2025, Starace: vanno indicati gli strumenti”, Staffetta quotidiana del 22 novembre 2017).

Il tema di cui si era dibattuto era soprattutto quello della chiusura delle centrali a carbone entro il 2025, decisione che porrebbe qualche problema all’impianto di Torrevaldaliga nord, avviato nel 2009 e che quindi avrebbe bisogno di qualche anno ancora dopo il 2025 per ammortizzare l’investimento. La realtà però è che la politica si muove più lenta delle imprese perché il ministero ancora non ha dato l’ok a dismettere la centrale di umbra di Bastardo, che Enel ha deciso da tempo di non utilizzare più.

La SEN, ricordiamolo, prevede una decarbonizzazione completa (ossia chiusura di tutte le centrali a carbone) entro il 2025, produzione con fonti rinnovali del 55% dei consumi elettrici (quindi significa arrivare a generare 184 miliardi di chilowattora l’anno con le FER) e riduzione dei consumi finali di energia dell’1,5% annuo fra il 2021 e il 2030.

Qual è la realtà?

La realtà è che i consumi non scendono, nel 2017 i consumi di energia primaria sono aumentati dello 0,8% rispetto al 2016. Di positivo è da segnalare che sono aumentati della metà rispetto all’aumento del PIL, che nel 2017 è cresciuto dell’1,5%. I consumi finali di energia sono invece aumentati dell’1,3% circa, dunque in misura di poco inferiore all’aumento del PIL, per citare ENEA: “un segnale che nella forte contrazione dei consumi di energia dell’ultimo decennio l’auspicato disaccoppiamento tra crescita economica e consumi energetici ha avuto un ruolo meno rilevante di quello avuto dalla crisi economica”.

Nel 2017 si è consolidato il ruolo del gas naturale come prima fonte primaria del sistema energetico italiano, coprendo il 36,5% del totale. Per il terzo anno consecutivo i consumi sono aumentati in modo significativo (+6%, dopo il +5% del 2016. I consumi di petrolio sono invece diminuiti di un punto percentuale, il carbone presenta per il secondo anno consecutivo un calo in doppia cifra (-12% dopo il -10% del 2016) e si riduce al 6% del mix.

E le fonti rinnovabili? Per il terzo anno consecutivo sono in calo! L’aumento del solare e dell’eolico non hanno compensato la perdita dell’idroelettrico. Più volte abbiamo sostenuto che un sistema basato su queste fonti deve prevedere un mix dimensionato in modo da rendere complementari le fonti, e in Italia solare ed eolico sono fortemente sottodimensionate se si vuole che siano in grado di supplire all’acqua negli anni di siccità. Il risultato è stato l’aumento della generazione termoelettrica: +4,6% (dopo il +4,3% del 2016 e il +9,4% del 2015), che ha raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni.

Le FER hanno generato 103 TWh di elettricità (107 TWh del 2016, -3,4). È dunque scesa anche la quota di fonti rinnovabili sulla domanda, che ha perso due punti percentuali (dal 34,1% del 2016 al 32,3% del 2017). Anche la massima produzione da fonti rinnovabili su base mensile è rimasta lontana sia dal valore massimo raggiunto nel 2016 sia dai storici: nel 2017 il valore più elevato è stato raggiunto a maggio, con una quota pari al 39%, la più bassa degli ultimi cinque anni.

Questi pochi numeri mostrano come la rivoluzione energetica sia ferma, mostrano che gli obiettivi della SEN al momento sono delle chimere: dal 2015 al 2030 per raggiungerli la generazione da FER dovrebbe aumentare del 70% , dovremmo cioè raddoppiare la potenza fotovoltaica installata oggi, mettendo in opera 2,3 GW l’anno, ma nel 2017 (nonostante sia stato un anno di crescita) ne abbiamo installati solo 0,4 GW, come colmare il gap?

Fonte: www.energystrategy.it

I dati delle istallazioni dei primi tre mesi 2018 sono impietosi: fotovoltaico, eolico e idro non hanno superato i 138 MW, con un calo del 5% rispetto al primo trimestre 2017. Nessuna accelerazione all’orizzonte quindi.

Fonte: Anie Rinnovabili

Cosa scoveremo dal cilindro per implementare la SEN? Cosa scriverà il nuovo governo nel Piano per l’Energia e il clima? Il contratto di governo Di Maio – Salvini appare estremamente deludente, clima ed energia emergono (o meglio scompaiono) come problemi molto secondari.

La parola clima non è mai citata, compare il termine “cambiamento climatico” solo nella parte finale della sezione intitolata “Ambiente, green economy e rifiuti zero” (il che già stupisce), “In tema di contrasto al cambiamento climatico sono necessari interventi per accelerare la transizione alla produzione energetica rinnovabile e spingere sul risparmio e l’efficienza energetica in tutti i settori”; una frase così generica da essere perfetta forse per un programma elettorale non di certo per un programma di governo. E la parola “fonti rinnovabili” compare una sola volta in tutto il testo, sempre nelle righe finali di questa sezione: “È necessario avviare azioni mirate per aumentare l’efficienza energetica in tutti i settori e tornare ad incrementare la produzione da fonti rinnovabili, prevedendo una pianificazione nazionale che rafforzi le misure per il risparmio e l’efficienza energetica e che riduca i consumi attuali”. Impossibile commentare, manca qualsiasi elemento di concretezza.

Nessuna citazione sul decreto per le rinnovabili abbozzato dal ministero, nessun chiarimento se davvero per effetto della flex tax scompariranno tutte le detrazioni in vigore (senza le quali le installazioni casalinghe di pannelli fotovoltaici sparirebbero perché i tempi di payback praticamente raddoppierebbero), niente su come rinnovare il parco eolico, sul tema batterie, sulle comunità energetiche, sulla questione che si trascina da anni dello sblocco dei sistemi di distribuzione chiusa per dare la possibilità di fornire elettricità generata da un impianto rinnovabile, al altre utenze contigue. Niente su questa benedetta SEN o sul piano per il clima, quasi fossero affari che riguardano solo la povera e misera Europa.

Insomma al momento il piatto è davvero vuoto. Il clima invece non sta fermo, le centrali termoelettriche continuano a bruciare, così come i motori endotermici. Viviamo tempi esigenti, non frustriamo la nostra intelligenza: clima e ambiente sono uno dei nostri maggiori problemi, insieme alle diseguaglianze sociali. Come scrisse papa Francesco nella Laudato sì. L’avranno letta?

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Le proposte di programma ai partiti e alle coalizioni che si candidano alle elezioni del prossimo 4 marzo

Per il contrasto ai cambiamenti climatici e la giusta transizione verso un’economia decarbonizzata

A cura di Coalizione Clima

I cambiamenti climatici rappresentano un’emergenza globale e locale che mette a rischio la vita di persone, specie ed ecosistemi.

In pericolo c’è la sicurezza di intere popolazioni e territori che in ogni area del pianeta devono affrontare questioni di giustizia climatica. Esse sono legate a costi economici crescenti e all’aggravamento delle condizioni ingiustizia sociale, a competizioni fra Stati e attori privati per il controllo e l’accaparramento delle risorse strategiche, a difficoltà nell’accesso all’acqua per tutt*, alla riduzione della produzione agricola che mette a rischio la sicurezza alimentare, causando anche nuovi motivi di conflitto e di fuga. Siamo consapevoli e convinti che la salvaguardia dell’ambiente e degli ecosistemi, i diritti umani, lo sviluppo umano equo e la pace sono interdipendenti ed indivisibili. Anche la comunità scientifica internazionale e i climatologi convengono sulle cause antropiche dei cambiamenti climatici che in gran parte dipendono dall’utilizzo massiccio delle fonti energetiche fossili e dalla deforestazione.

Oggi esistono le conoscenze e le soluzioni tecnologiche per sviluppare un’economia fossil free, che apre prospettive di nuovi settori produttivi con importanti ricadute occupazionali e che può dare vita a una nuova democrazia energetica.

Ciò nonostante siamo colpevolmente in ritardo nel processo di decarbonizzazione e siamo molto distanti dal raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5°C, come stabilito nell’Accordo di Parigi sul clima e negli obiettivi ONU per lo sviluppo sostenibile. Ci sono approcci sostenibili e innovativi in settori tradizionali che, applicando i principi dell’economia circolare, danno un contributo importante all’uso razionale delle risorse e alla riduzione della CO2. Allo stesso tempo sono essenziali nuovi modelli di comportamento e di stile di consumo dei cittadini.

Mancano però scelte politiche nazionali ambiziose e in grado di determinare il radicale cambiamento del modello di sviluppo, necessario per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima e gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU.

Per questo, Coalizione Clima avanza ai partiti che si candidano a governare il nostro paese, 8 proposte concrete per contribuire alla lotta globale contro i cambiamenti climatici e allo stesso tempo costruire nuova occupazione, democrazia e giustizia sociale.

SCARICA IL DOCUMENTO IN PDF (332 Kb) >>>


Piano Clima-Energia e per la Giusta Transizione

L’economia a zero emissioni di carbonio è un processo di radicale trasformazione del sistema produttivo e sociale che deve realizzarsi nel più breve tempo possibile e comunque in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Affinché questa trasformazione non comporti conseguenze negative, sui lavoratori e sulle comunità che dipendono economicamente dai settori economici legati all’utilizzo delle fonti fossili, occorre attivare un processo economico democratico e partecipato che produca una Giusta Transizione.

  • E’ necessario prevedere politiche e investimenti per determinare un futuro in cui tutti i lavori siano sostenibili e dignitosi, le emissioni siano azzerate, la povertà sia eradicata e le comunità siano resilienti.
  • Il Piano inoltre dovrà contenere misure di Giusta Transizione che garantiscano opportunità di lavoro nei settori che riducono le emissioni, favoriscano piani di adattamento ai cambiamenti climatici, forniscano sostegno al reddito, riqualificazione e reinserimento dei lavoratori che perderanno il proprio lavoro nel settore fossile e che sostengano l’innovazione tecnologica.
  • Il Piano deve essere coerente con la Strategia a lungo termine per un’economia low carbon, previsto dall’Accordo di Parigi, che va approvata entro il 2019.

Conferma del Phase Out del carbone al 2025

Il futuro governo dovrà confermare l’impegno dell’Italia ad abbandonare completamente il carbone entro e non oltre l’anno 2025, come previsto dalla Strategia Energetica Nazionale, adottando le misure necessarie per renderlo effettivo e vincolante.

Completa decarbonizzazione

Il gas è utile nella fase di transizione ma al tempo stesso, sebbene sia meno inquinante di carbone e petrolio, è un combustibile fossile che emette CO2 ma da un punto di vista climatico (e non solo), non è un’energia pulita. Per questo futuri investimenti in questa risorsa devono essere attentamente valutati per riequilibrare l’esigenza di garantire la sicurezza energetica nazionale con quella di programmare il percorso per la rapida e completa decarbonizzazione dell’economia nei tempi compatibili a garantire gli impegni sottoscritti nella COP21 di Parigi. Pertanto chiediamo che i maggiori investimenti in termini energetici vengano indirizzati sui settori dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili.

Attuazione del Clean Energy for All Europeans package

Poco dopo le elezioni il nuovo governo dovrà discutere alcuni importanti aspetti di un pacchetto di misure che deciderà il futuro energetico dell’Italia e dell’Europa fino al 2030.

Chiediamo che l’Italia assuma una posizione di leadership, chiedendo di innalzare il livello dell’ambizione per quanto riguarda il taglio delle emissioni di CO2, la quota di produzione da fonti rinnovabili e l’incremento dell’efficienza energetica.

Inoltre è importante che il futuro governo si schieri a favore dell’autoproduzione e dell’autoconsumo, assicurando sostegno a tutti quei cittadini che vogliano produrre “in casa” e da fonti rinnovabili almeno parte dell’energia che consumano.

Infine, l’Italia deve assolutamente prendere una posizione contro nuovi incentivi alle fonti fossili.

Intervento pubblico per l’economia sostenibile

Per accelerare la transizione energetica e la decarbonizzazione dell’economia e per le opere di adattamento ai cambiamenti climatici, servono ingenti investimenti pubblici. Tali investimenti dovranno essere finalizzati a ricerca e sviluppo, realizzazione di infrastrutture per le energie rinnovabili, efficienza energetica (sul patrimonio edilizio pubblico e privato occorre un piano di Deep renovation per la riqualificazione spinta di interi edifici e quartieri).

Si dovrà agire per uno sviluppo di città sostenibili, mobilità sostenibile, interventi di prevenzione, messa in sicurezza del territorio e piani di adattamento al cambiamento climatico, per garantire le misure di Giusta Transizione e per la digitalizzazione delle reti. Le risorse necessarie per effettuare gli investimenti pubblici dovranno essere reperite attraverso una riforma fiscale ambientale che, in conformità con l’art. 15 della L. 23/2014, orienti il mercato verso produzioni e consumi sostenibili, che contenga il riordino degli incentivi, una green tax o carbon tax, l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili (ben 16 miliardi annui), la revisione dell’utilizzo dei proventi delle aste del sistema ETS di scambio delle quote di carbonio, la finalizzazione della tassa sulle transizioni finanziarie, il taglio delle spese militari, il recupero delle esternalità negative derivanti dagli impatti negativi sulla salute. Allo stesso tempo andranno premiate le scelte virtuose di alcuni settori che finora non hanno beneficiato di alcun sostegno.

Formazione, ricerca e tecnologia per la sostenibilità

Per vincere la sfida della transizione, i principi delle sviluppo sostenibile devono integrare tutti i progetti economici, fiscali, industriali e di investimento. Per questo servono indirizzi politici e fiscali finalizzati a diffondere la cultura della sostenibilità per accelerare il cambiamento. Per farlo occorre partire dalla formazione, dall’educazione e dalla riqualificazione professionale e da una riforma degli ordinamenti didattici nei cicli dell’obbligo e universitari per la creazione di nuove competenze e professionalità. Anche a parità di risorse, l’intervento pubblico a sostegno di ricerca, innovazione tecnologica, digitalizzazione e automazione, deve essere finalizzato alla trasformazione sostenibile di tutti i settori del sistema produttivo, dall’industria all’agricoltura, all’economia circolare, alla transizione e all’efficienza energetica, alla mitigazione e adattamento degli effetti dei cambiamenti climatici.

Partecipazione democratica e democrazia energetica

E’ necessario definire strumenti per garantire la partecipazione democratica, nelle scelte strategiche del paese, con il pieno coinvolgimento delle istituzioni regionali e locali e della società civile tutta,. La partecipazione democratica deve essere garantita sia per la realizzazione di grandi opere e infrastrutture comprese quelle energetiche, che per le scelte strategiche, come sono state la SEN, la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, o il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima o il piano per la decarbonizzazione. Nel caso di realizzazione di opere, il percorso partecipativo non si deve limitare alla valutazione di alternative progettuali, ma deve poter valutare necessità e impatti. Un vero processo di democrazia partecipativa, che preveda anche la possibilità di totale rigetto del progetto, la possibilità di fare modifiche o di percorrere scelte strategiche e soluzioni totalmente diverse.

Maggiore ambizione dell’Italia e dell’Europa per la giustizia climatica

L’Accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile sottolineano l’importanza di contribuire a un partenariato internazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra e per l’adattamento al cambiamento climatico delle popolazioni più povere e vulnerabili: l’Italia non può sottrarsi.
Gli impegni di riduzione delle emissioni nazionali (NDCs) assunti dai vari Paesi non sono complessivamente in grado di garantire l’obiettivo di mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2°C. Ecco perché occorrono impegni più stringenti e ambiziosi. Le scelte strategiche e programmatiche energetiche nazionali devono definire e rispettare NDCs nazionali vincolanti su riduzione di emissioni, produzione da rinnovabili ed efficienza energetica.

La giustizia climatica passa anche attraverso la costruzione della pace perciò a questo proposito riteniamo essenziale che il nuovo Governo firmi e ratifichi il Trattato ONU del 7 luglio 2017 per la messa al bando delle armi nucleari.

E’ necessario inoltre aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo e orientarlo alle comunità più vulnerabili e ai soggetti più deboli, rispettando le loro decisioni sulla salvaguardia dell’ambiente e della vita sociale ed economica, adottando le migliori e appropriate soluzioni tecnologiche e infrastrutturali disponibili a livello internazionale. E’ necessario altresì proseguire l’impegno al programma per la partecipazione di genere in ambito climatico, il GAP (Gender Action Plan) approvato durante la COP23.

In ultimo chiediamo che l’ Italia contribuisca al Fondo Verde per il Clima e che l’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo e la Cassa depositi e prestiti sostengano la collaborazione tra società civile italiana e comunità povere e vulnerabili del Sud del mondo.


Le organizzazioni promotrici, con storie, culture, obiettivi, ragioni sociali e motivazioni diverse, non intendono comunque semplicemente delegare a Governo e istituzioni questi obiettivi. Siamo impegnati a declinare, nei rispettivi ambiti di attività ed iniziative, le azioni coerenti necessarie per contrastare i cambiamenti climatici, e questo intendiamo continuare a fare, assieme a tutte le espressioni della società e della cittadinanza attiva che operano per una società più equa, ambientalmente e socialmente sostenibile.

Chi siamo

Coalizione Clima nasce nel 2015 con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici e perché si giunga a un accordo equo, vincolante ed efficace per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° C.

Coalizione Clima è composta da oltre 200 realtà tra organizzazioni del Terzo settore, sindacati, imprese, scuole e università, nonchè da migliaia di cittadine e cittadini. Anche Energia Felice aderisce a Coalizione Clima.

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