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EDUCAZIONE: UN IMPORTANTE STRUMENTO PER COMBATTERE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

a cura di Mario Agostinelli

In questi giorni pesanti mi sono messo a tradurre e ricomporre un documento che trovo preziosissimo perché proviene dal sindacato internazionale, come una voce nel deserto che nessuna organizzazione nazionale del lavoro ha ripreso. Se ne avrete la voglia, potrete valutare come la sequenza illustri bene l’evoluzione storica malefica delle varie COP sul clima e muova una critica netta ai governi e al sistema del negazionismo climatico.

Credo che le indicazioni e le riflessioni che hanno l’autorevolezza di un documento prodotto dall’IE-EI* possano servire molto al nostro lavoro sia tra gli studenti sia nei confronti degli insegnanti e della formazione dei “disseminatori di didattica” quali ci siamo definiti. C’è qui una messe di informazioni sull’attività internazionale degli organismi UNESCO, ONU, UE, cui tutti potremmo accedere e sulla traccia di relazioni sociali che possono costruirsi a partire dal mondo del lavoro, del sindacato degli insegnanti, della ricerca, dell’Università fino alle scuole popolari: tutti, a quel che so, spaventati dalle arroganze spudorate della Lagarde, ma totalmente ignari di una presa di posizione così autorevole assunta per nome di milioni di lavoratrici e lavoratori.

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Education International è una Federazione dell’Unione Globale che rappresenta organizzazioni di insegnanti e altri dipendenti dell’istruzione. È la più grande e rappresentativa organizzazione settoriale mondiale dei sindacati con oltre 32 milioni di membri sindacali in 391 organizzazioni in 179 paesi e territori. Education International collabora con altre Federazioni sindacali globali e altre organizzazioni amichevoli per promuovere e raggiungere la solidarietà.


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Clima: ricorrere al metano è inutile, eppure le lobby lo rilanciano. Quindi a tutto gas

L’Accordo per limitare a 1,5 °C l’aumento di temperatura al 2030, ha suggerito alle lobby fossili il rilancio del metano come “rimedio”, a sostituzione dell’eccesso di emissioni dovute alla combustione di carbone e petrolio. Il punto di forza, a dire dell’Eni sta nel fatto che, mentre il carbone produce CO2, in ragione di 350-400 grammi per kWh, il gas “si ferma solo a 200 grammi/kWh”. Quindi… a tutto gas!

La verità è che sì, il gas naturale inquina meno di petrolio e carbone, ma inquina, eccome. Come “soluzione ponte” per approdare alle rinnovabili non ha ragione di esistere: anzi, chiudere un occhio sul metano, corrisponderebbe a mancare l’obiettivo più importante di totale decarbonizzazione per la metà del secolo. Qui sotto illustro tre motivazioni per non ricorrere al gas, pena il non raggiungimento degli obiettivi ritenuti necessari dall’Ipcc.

1. Si è recentemente scoperto che il metano (per oltre il 99% componente del gas naturale) è anch’esso un potente gas serra (una tonnellata di metano equivale a 25 tonnellate di anidride carbonica) ed è aumentato nell’atmosfera, non solo come prodotto di esalazione di paludi, allevamenti bovini, risaie, discariche, ma, soprattutto, come fuoriuscita da depositi superficiali e, in particolare, da attività minerarie dirette proprio all’estrazione di combustibili fossili.

Si libera in maggior misura in atmosfera nella forma di CH4 sia quando si ricorre a perforazioni non convenzionali sia quando si estrae shale gas. Le ricerche più accurate affermano che nell’ultimo decennio la dispersione di metano dall’attività mineraria supera quella proveniente da fonti biogeniche.

In definitiva, chi suggerisce (o impone) l’impiego massiccio della fonte fossile “meno sporca”, si limita a una comparazione di emissioni di CO2 alla combustione, ma glissa sul fatto che all’estrazione e nel corso della trasmissione venga disperso gas metano, ancor più pericoloso per il clima dell’anidride carbonica (le perdite dai tubi dei metanodotti non sono mai inferiori al 3%).

2. Non basterà sostituire gas al carbone per arrivare a 1,5°C. Si calcola che, se tutto il carbone fosse sostituito da metano, usando le esistenti centrali a ciclo combinato, diminuiremmo le emissioni di CO2 di 15 milioni di tonnellate. Se invece la stessa quantità di elettricità venisse prodotta da nuove fonti rinnovabili, le ridurremmo di 26 milioni di tonnellate. Non basterà quindi il passaggio dal carbone al gas, ma occorrerà – e questo non lo si vuol ammettere – puntare su tecnologie di sequestro sottoterra della CO2 prodotta in eccesso.

Questa scommessa rischiosa ignora che non è affatto provato che le tecnologie di sequestro funzionino. Servono solo come specchietto per le allodole per ritardare l’adozione di misure immediate e, qualora fossero messe a punto, comporterebbero un onere economico ingiusto per le generazioni future e aumenterebbero significativamente l’insicurezza alimentare e idrica.

Infatti, un gas letale e inodore come la CO2, più pesante dell’aria, sarebbe una minaccia incombente, dato che eventuali fughe non sono avvertibili ai nostri sensi e i terreni coltivabili sotto cui porre in custodia il prodotto di una follia umana diventerebbero inservibili.

3. Anche sotto il profilo dei costi il vantaggio del gas non regge. Oggigiorno l’energia rinnovabile può ormai sostituire profittevolmente il carbone come generazione di massa, risparmiando nel contempo il denaro dei consumatori. In una proiezione futura, il confronto gas-rinnovabili è ancor più penalizzante per il primo. Le infrastrutture multimiliardarie del gas, eventualmente messe in opera oggi, verrebbero progettate per funzionare per decenni a venire.

Si tratta infatti di infrastrutture ad alta intensità di capitale che richiedono lunghi periodi di funzionamento per remunerare gli investimenti. Una volta che il capitale è stato impiegato, l’operazione è destinata a continuare finché i ricavi superano i costi operativi marginali. Ma la crisi climatica ha tempi bruschi e la sua precipitazione suggerisce di evitare di mettere in opera nuovi progetti sul gas, le cui emissioni “a vita intera” non rientrerebbero nei bilanci del carbonio previsti dall’accordo di Parigi e tanto meno dai suoi aggiornamenti.

Possiamo concludere che in Italia il gas come risorsa di transizione non ha ragione di essere. Purtroppo, non è quello che sta scritto nel Piano clima (Pniec) del governo. La percentuale del gas fossile rimane il 37% del totale del fabbisogno primario e solo per il 2040 si prevede una riduzione della sua percentuale al 33%.

Le fonti rinnovabili crescono solo dal 18% al 28%. Intanto, è confermata la partecipazione di Snam ed Eni ai nuovi metanodotti, così come la necessità di dotarsi di nuovi terminali (“gassificatori”) di importazioni di Gnl (gas liquefatto) anche da Paesi impegnati nell’estrazione di shale gas.

Che fare allora della Tap (Trans Adriatic Pipeline), del progetto di riconversione a gas del carbone di Civitavecchia e della metanizzazione della Sardegna? A chi giova un errore di previsione così incomprensibile a fronte dei dati forniti dalle previsioni climatiche?

L’articolo Clima: ricorrere al metano è inutile, eppure le lobby lo rilanciano. Quindi a tutto gas proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Clima, così un’azienda americana del gas ha fatto propaganda contro le rinnovabili

In un articolo del The Guardian del 26 luglio compare una notizia che dà conto di come l’emissione di climalteranti da fossili possa venire spacciata – se non come un’attrattiva – almeno per un ripiego conveniente per la quota di popolazione più indigente e, di sovente, meno informata sul pericolo del cambiamento climatico. La vicenda è così rappresentativa di una manipolazione dell’opinione pubblica e dell’irriducibilità del negazionismo climatico da essere riferita in dettaglio.

Con una indiscutibile efferatezza la SoCalGas, la più grande utility americana per il gas (fornisce gas naturale a quasi 22 milioni di consumatori nella sola California), nota per essere il più fiero nemico del ricorso all’elettricità fornita dalle fonti rinnovabili, sta cercando di contrastare gli sforzi per limitare l’uso del gas naturale in California. Per farlo è arrivata al punto di costituire e finanziare un gruppo di consumatori che, beneficiando del titolo e dei vantaggi delle società “no profit”, nel loro statuto si sono dati l’obiettivo di spingere verso “soluzioni energetiche equilibrate”, consistenti nella diffusione di gas fossile in sostituzione di altri fossili maggiormente climalteranti.

E’ noto come nello stato della California il ruolo delle amministrazioni locali abbia favorito la diffusione delle rinnovabili, ormai largamente convenienti anche in bolletta, e abbia reso efficiente la rete elettrica in competizione con le reti di distribuzione di petrolio e gas. L’opinione pubblica manifesta ampio consenso alla politica energetica meno “trumpiana” di tutti gli States, ma la reazione delle maggiori corporation energetiche, legate al vecchio carro, non si sono fatte attendere. In particolare, la SoCalGas ha puntato sulle classi sociali più indigenti e meno acculturate e, in un’inedita attività di lobbying a sostegno della diffusione del gas naturale, ha finanziato, con l’aiuto di una società di esperti di pubbliche relazioni, il lancio di un “gruppo di consumatori senza scopo di lucro”, rivolto specificatamente agli insediamenti di immigrati meno facoltosi.

Il compito del gruppo consiste nel propagandare, con l’assistenza di consulenti, l’uso del gas naturale mixato a gas di origine biologica. Quali siano le quote del mix propagandato non è dato sapere ed è anzi considerato un’esca fasulla. L’importante è tener viva la rete di distribuzione attraverso le condotte di proprietà e non far subentrare al suo posto quella elettrica, conveniente sia per prezzo che per gli effetti sul clima.

Se si entra in dettaglio, l’episodio risulta davvero inquietante. Berkeley, California, è diventata la prima città degli Stati Uniti a vietare il gas naturale ed è proprio tra la popolazione locale che SoCalGas ha individuato alcuni leader latinos da stipendiare per sostenere la propaganda all’uso del gas nelle industrie e nelle municipalizzate. Il gas “rinnovabile” viene presentato come metodo alternativo per rendere più verde la rete fossile e combattere così la crisi climatica. Mentre i fautori dell’ambiente spingono le città a spegnere il gas, SoCalGas ha reso gratuite le bollette per i suoi propagandisti riuniti in una società registrata come C4Bes, facendone una entità indipendente in quanto no profit al fine di nascondere la sponsorizzazione diretta.

SoCalGas e C4Bes non negano l’esistenza della crisi climatica. Promuovono l’uso di gas “pulito” e “rinnovabile” sotto forma di metano catturato da caseifici, dagli impianti di trattamento delle acque reflue e dalle discariche e affermano che l’uso di biogas al posto del gas fossile ridurrebbe le emissioni e si dimostrerebbe più economico della piena elettrificazione. Ma il parere degli esperti del ministero per l’Energia a San Francisco afferma che “non si può decarbonizzare la conduttura semplicemente sostituendo il gas naturale fossile con gas rinnovabile” – come informa Michael Boccadoro, direttore dell’associazione per la sostenibilità delle aziende agricole della California “perché il potenziale di biogas da latte sarebbe troppo costoso per essere utilizzato in abitazioni o aziende e, alla fine, dentro i tubi continuerebbe a scorrere in prevalenza gas fossile”.

Ma cosa non si fa per spacciare per buono il gas anche nella temperie climatica di quest’estate terrificante! Andrebbe detto a Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, disposti a fare patti col diavolo pur di farci bruciare gas metano in più.

L’articolo Clima, così un’azienda americana del gas ha fatto propaganda contro le rinnovabili proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Idrogeno e rinnovabili al posto del carbone a Civitavecchia?

Mario Agostinelli – il Fatto Quotidiano

Mentre le forze di maggioranza hanno scelto proprio la Giornata Mondiale dell’Ambiente per bocciare la mozione sull’emergenza climatica, che avrebbe dato accesso a quasi 50 miliardi tra contributi europei e fondi nazionali per fronteggiare sia le misure di adattamento che quelle di mitigazione del caos climatico nel nostro Paese, la Ue stimava il costo di un mancato adattamento tra i 100 miliardi di euro all’anno nel 2020 e 250 miliardi nel 2050, senza tenere in conto i costi sociali derivanti dagli eventi estremi. Pertanto, esigeva risposte urgenti ed adeguate da approvare nei piani nazionali da adottare. Il governo dei “litiganti per finta, ma negazionista per davvero”, non tiene in nessun conto l’emergenza climatica, dato che lucra già abbastanza voti e consensi dalle paure che una criminalità efferata e una invasione inarrestabile dei migranti stillano quotidianamente nelle “pance” degli italiani. Ma sul clima e sui fossili è difficile glissare.

Così capita che a Civitavecchia, nella città del carbone, la Lega si metta il vestito ambientalista e alle amministrative batta un Pd piuttosto ambiguo sul destino della centrale Enel. Senonché, appena eletto, il neosindaco del Carroccio, Ernesto Tedesco, si sente dire dal suo capo Salvini che “è finito il tempo dei ‘no’ a tutto” e che “con i soli ‘no’ non si campa”, ponendosi così in linea con i piani di phase-out dell’Enel che, nei siti di La Spezia, Fusina, Brindisi e Civitavecchia, vuole sostituire il carbone con il metano.

Con questi presupposti, il “polo delle rinnovabili dal 2025” di cui la nuova maggioranza ha parlato in campagna elettorale non si farà, a meno che la nascita e l’ottimo lavoro svolto da un Comitato locale che da No Carbone si è trasformato in “No al metano Si alle rinnovabili” mobiliti i cittadini e raccolga suggerimenti e conoscenze per dar vita ad un piano energetico territoriale sostitutivo del carbone.

Trovo di grande interesse, anche per il possibile coinvolgimento degli “studenti di Greta”, che laddove si aprano spazi per la riconversione ecologica, le forze che democraticamente vogliono riappropriarsi del territorio e stabilire attraverso la sua cura l’occasione per un miglioramento della vita, entrino in gioco per proporre una piena e stabile occupazione, una salubrità dell’aria, la vivibilità dei territori. Altro che patti Salvini-Blair per agganciare tubi di gasdotti come il Tap sulle nostre coste!

A questo proposito si è aperta in rete una discussione sul ricorso all’idrogeno per una alternativa alla combustione del carbone sulla costa tirrenica. Mi sono occupato a lungo di ricerca sulle celle a combustibile e sul ricorso all’idrogeno nel campo della mobilità e ne ho scritto nel mio primo blog sul fattoquotidiano.it.

Non avrebbe senso produrre energia con elettrolisi dell’acqua dal mare, nonostante i progressi avvenuti anche in questo campo. L’idrogeno, come vettore energetico, ha senso solo se prodotto con energie rinnovabili e assolutamente pulite (fotovoltaico e eolico), nella funzione di serbatoio dell’eccesso di energia accumulata cui ricorrere quando non c’è né sole né vento. Un serbatoio da trasformare in energia con buon rendimento attraverso celle a combustibile, molto interessanti per abitazioni o veicoli. Le reti intelligenti da porre in atto sul territorio dove insisteva la centrale fossile, potrebbero essere integrate con “accumuli di idrogeno” ottenuto quando c’è sovrapproduzione, per fare da compensatori negli scambi in rete di energia elettrica prodotta e consumata con fonti rinnovabili e in modalità cooperative. Ovviamente il sistema di fonti rinnovabili dovrebbe essere interamente dedicato e interamente integrato al sistema di consumi elettrici che “si appoggia” all’idrogeno da utilizzare come vettore.

Vanno certamente superati una serie di problemi di sicurezza e si potrebbe, nella fase di transizione, anche ricorrere all’idrometano, ovvero una miscela di idrogeno e metano fossile o bio che sia, che utilizza le linee già esistenti del metano per trasportarlo fino agli utenti finali. L’idrogeno ottenuto da rinnovabili che alimenta celle a combustibile è una buona soluzione già oggi per abitazioni e veicoli, se non fosse che il mercato vuole mantenere la prevalenza di un controllo centralizzato di tutto il settore energetico.

In Germania, con la carica di idrogeno pronto dall’esterno, sono in fase di sperimentazione alcuni treni su alcune tratte locali e l’industria dell’auto, oltre all’elettrico a pile, pensa seriamente all’idrogeno per motori elettrici e non termici. In Svezia stanno entrando in funzione stazioni di rifornimento di idrogeno solare per autoveicoli elettrici a idrogeno.

La partita è aperta e tocca enormi interessi. La mia esperienza dice che il cambiamento non viene dai cartelli dei produttori di veicoli o dalle corporation dei fossili, ma dall’attenzione delle popolazioni al loro futuro e alla salute dei loro figli. Ben venga quindi la discussione sulla eliminazione del carbone a Civitavecchia e non ci si fidi di amministratori pronti a rispondere ai richiami dall’alto anziché ai loro elettori. E benvenuto agli studenti di Fridays for Future, che in questa partita avranno molto da giocare.

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