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E’ on line la Strategia Energetica Nazionale, alias il Famigerato Piano Passera

Da oggi è disponibile sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico la Strategia Energetica Nazionale, versione definitiva delle bozze che sono state diffuse in rete già alla fine di agosto e che abbiamo commentato su questo sito (Il governo della grande trivella; Ilva, Alcoa, Sulcis e l’energia fossile di Passera).

Per ora ci limitiamo a riportare tutta la documentazione disponibile. Nei prossimi giorni inizieremo a pubblicare una serie di documenti nei quali analizzeremo in modo approfondito e critico il documento.

Potete scaricare il documento completo qui: Documento di ConsultazioneUna sintesi del documento qui: Slide Piano Passera.

Il ministero ha ammantato la pubblicazione della SEN di una retorica della partecipazione: il documento è messo in rete e attraverso un form è possibile proporre modifiche e integrazioni. Per accedere al form clicatte qui: Partecipa alla consultazione.

Non crediamo che nella realtà la Strategia Energetica Nazionale possa subire delle modifiche sostanziali in seguito al processo di consultazione. Le linee generali sono già ben definite e non emendabili: Italia hub europeo del gas; petrolio nazionale con un incremento delle trivellazioni; riaccentramento dei poteri in materia energetica; e poi tante belle intenzioni su rinnovabili ed efficienza, ma è più che evidente come vi sia l’intenzione di marginalizzare le fonti pulite.

Osserva giustamente Leonardo Berlen di qualenergia.it: “Nella SEN c’è un profluvio di belle parole sull’efficienza energetica, ma proprio oggi è stata presentata alla Camera una proposta di legge di stabilità in cui non compare la proroga del 55% che rischia così di morire a giugno 2013, dopo essere stato depotenziato dallo stesso Governo proprio poche settimane fa”.

Esiste poi una questione squisitamente politica: è legittimo che un governo senza legittimazione popolare delinei la strategia energetica che è destinata a segnare le sorti del paese per molto tempo?

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L’energia per cambiare il mondo

Una bella intervista tratta da Comune-info, che ci racconta l’impegno di una cooperativa che attraverso le energie rinnovabili crea relazioni solidali.

Un po’ come il web, che è capitalismo puro di dimensioni globali ma anche software libero, l’universo delle energie rinnovabili è allo stesso tempo economia capitalista e fuga dal sistema energetico mean stream, quello centralizzato, ambientalmente devastante e alla ricerca del profitto prima di tutto. A muoversi nel mondo delle rinnovabili, accanto alle imprese giganti ci sono infatti cooperative sociali e reti che sperimentano soluzioni per il risparmio energetico e l’autonomia energetica, delocalizzata e di piccola scala, con cui pezzi di potere e non solo le energie si diffondono. Quelle cooperative spesso trovano il modo e il tempo per proporre accanto alle attività tecniche e commerciali (consulenza, progettazione, installazione) anche iniziative sociali e culturali (didattica, formazione, informazione). È il caso di Energetica, che lavora con privato e pubblico, privilegiando gli enti di prossimità, cioè comuni e municipi, perché a quelli di Energetica interessa prima di tutto costruire relazioni sociali diverse, favorire rapporti non capitalisti tra individui, comunità e territorio. Abbiamo incontrato Mauro Gaggiotti di Energetica  per capire qualcosa in più su quanto accade in questo momento nel mondo delle energie rinnovabili.

Mauro, cosa accade in questi ultimi mesi nel mondo delle energie rinnovabili? Ci spieghi in parole semplici che cosa succede in particolare sul versante dei famosi incentivi statali e perché cooperative come la vostra sono colpite da queste politiche?

Le rinnovabili, da fenomeno di nicchia di ambientalisti radicali e un po’ idealisti, è assurto a settore di mercato con elevati tassi di rendimento, quotazioni in borsa con rialzi a due cifre, scontri commerciali a livello internazionale, speculazioni nostrane con mazzette e corruzione business as usual. Gli incentivi nazionali al fotovoltaico hanno permesso questa trasformazione che d’altro canto ha il pregio di aver diffuso le rinnovabili non idrogene fino a far raggiugere la ragguardevole cifra del 18 per cento della produzione elettrica nel nostro paese. Dal 2006, l’anno del primo conto energia, a oggi, l’espressione green economy è diventata sempre più usata ed ormai abusata. Ma sarebbe un errore affermare che le rinnovabili sono state «comprate» dal mercato diventando un business come un altro. Un’affermazione semplicistica che farebbe solo il gioco dell’economia neoliberista. Dal nostro punto di osservazione, come piccola impresa ad alta competenza tecnica ci siamo confrontati sia con grandi società attente esclusivamente agli indici di valorizzazione monetaria del proprio investimento, sia con imprese radicate nel territorio e che vedono nelle rinnovabili un’opportunità per costruire occasioni di reddito, di autonomia energetica, di partecipazione attiva.

Che impatto hanno le diverse crisi in atto sulle piccole imprese che hanno scelto di proporre un’economia del rifiuto delle energie fossili?

Proprio nella polarizzazione tra mercato e territorio, con le sue mille sfumature, va letto l’impatto della crisi sulle imprese del settore e in particolare sulle piccole imprese attive in questo campo. Per le «imprese verdi» la crisi ha assunto le vesti dei tagli agli incentivi e peggio ancora dell’incertezza sul futuro della politica energetica nazionale. In questo modo scoraggiando investimenti a medio e lungo termine e portando le società orientate al mercato a chiusure o licenziamenti. Per fortuna però, ci sono le piccole imprese, locali, aperte, connesse e resilienti. Imprese, come la nostra, che di fronte a una contrazione del fatturato, guardano comunque alle necessità del territorio, cercando legami con le realtà sociali e la cittadinanza attiva per costruire nuove proposte che alimentino il percorso comune verso la generazione distribuita di energia, verso reti energetiche locali e interconnesse, verso una maggior sicurezza e indipendenza energetica.

Per questo, di fronte alle incertezze legate al settore fotovoltaico, settore trainante della nostra impresa per più di quattro anni, stiamo cercando di aprirci ad altre tecnologie per l’efficientamento e il risparmio energetico, come la cogenerazione, meno dipendente da incentivi pubblici, il termico solare, le soluzioni per l’immagazzinamento dell’energia rinnovabile. Tutti elementi necessari e non sufficienti per affrontare il tema dell’autonomia energetica delle comunità locali in modo globale e complesso. Obiettivo questo, per il quale nacque a gennaio del 2006 Energetica coop. Dal quel giorno a oggi abbiamo vissuto varie fasi. Dal cosidetto start up, a zero reddito e ad alto investimento di tempo vita, passando per una fase di relativa stabilità e riuscendo a pagare con regolarità una decina di stipendi per più di tre anni, fino a una profonda ristrutturazione interna avvenuta dal gennaio di quest’anno. Dalla scommessa incosapevole, direi quasi incosciente, di partecipare al bando per la costituzione di nuove imprese verdi avvenuta nel 2005, oggi possiamo dire di essere degli imprenditori consapevoli. Consapevoli soprattutto dei nostri limiti.

Pensi che oggi questa scelta di lavorare nel settore delle rinnovabili sia sufficiente per definire la qualità e i valori di un’attività economica alternativa alle logiche del mercato?

No , come ti spiegavo occorre esser consapevoli anche del fatto che fare impresa in modo socialmente e ambientalmente sostenibile è un impegno che da sola la piccola impresa non può sostenere se non sulla carta. Va ripensato un modello di economia che consideri l’impresa parte di una strategia condivisa tra istituzione locale, cittadinanza attiva, impresa stessa e ambiente. Cercando di azzerare la distanza tra chi offre un servizio e chi ne usufruisce, tra chi produce un bene e chi lo utilizza. Parafrasando, direi, impresa a chilometro zero. Queste considerazioni nascono anche dalla nostra scelta di dare priorità alle relazioni più che agli obiettivi di vendita e questo ci ha portato a far parte del neonato incubatore di imprese sociali di Roma nel 2006 e poi a entrare dal 2007 della sperimentazione più avanzata in Europa di altraeconomia realizzata per quasi cinque anni nella Città dell’altraeconomia a Testaccio. D’altronde Energetica nasce da un connubio tra qualifiche di alto livello e bisogni sociali da soddisfare, ovvero dal ragionamento per la riqualificazione sostenibile di un’occupazione a scopo abitativo di dieci nuclei familiari, tra i nostri, più note come Le Casette in Action. Il «peccato originale» forse sta qui.

Come vivete il rapporto sostenibilità economica e dimensione politico sociale della vostra esperienza?

Per noi la scelta è tra il mercato e il suo obiettivo di massimizzare gli utili e dall’altra parte il territorio e la cura di nuove relazioni di scambio economico. In questa dinamica e le sue mille intersezioni sta la capacità e la sfida di dare una risposta immediata alla nostra esigenza di reddito ed una risposta di medio termine alla crisi economica e a quella ambientale in atto. Ad esempio,lo scippo della Città dell’altra economia, perpretato dalla giunta Alemanno con l’acquiescenza di alcune imprese legate all’altra economia, ci ha dimostrato quanto sia difficile praticare l’alternativa e stare in piedi. Muovendosi tra il mercato classico e la relazione con il territorio, oggi Energetica si trova a dover prendere una decisione importante per il futuro dei propri soci lavoratori e dei collaboratori.

Quali difficoltà state incontrando in questo periodo?

Il ritardo nei pagamenti e la burocratizzazione espongono i “piccoli” alla cannibalizzazione delle banche. Soprattutto i grandi operatori (Marchionne docet) utilizzano i subappaltatori come “banca” scaricandogli addosso gli oneri finanziari di pagamenti anche a 24 mesi: alle volte è più ragionevole rifiutare le commesse che accettarle per pagare gli interessi alle banche…In questo momento girano fatture, commesse, progetti, ma non girano i soldi: a guardare i bilanci, tutto normale, a guardare la cassa….vuota. Si lavora sulla fiducia in un progetto condiviso e nel tentativo di mettere in moto meccanismi virtuosi.

Quali progetti per il futuro?

 

Oggi guardiamo al domani con ottimismo e apprensione. Sono stati fatti molti passi in avanti verso una consapevolezza dei limiti del pianeta, vengono fatti molti investimenti nazionali e internazionali per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, ma la crisi strangola i piccoli e i non organizzati. Noi siamo piccoli e stiamo facendo difficoltà ad organizzarci con imprese simili alla nostra. Se non saremo capaci di creare sinergie comuni e strategie per uscire dalla crisi, saremo costretti a decisioni drastiche. In chiusura possiamo dire con certezza che, comunque vada, il cammino fatto sin qui ci ha dato molto, ci ha fatto sentire vivi e partecipi di un cambiamento radicale che stiamo contribuendo a determinare.

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L’eolico dello sviluppo locale

Un interessante ricerca di RSE (Ricerca Sistemi Energetici) mette in luce il rapporto tra eolico e territorio.

In questi 15 anni, lo sviluppo dell’energia eolica e delle altre rinnovabili è avvenuto quasi esclusivamente a seguito della diffusione sul territorio di grandi impianti industriali. Impian- ti di grande taglia sono presenti in 260 dei 374 Comuni dell’eolico. Oggi, aprire una seconda fase della diffusione dell’eolico e delle altre rinnovabili, significa avviare una programmazione capace di disegnare un modello che non sia costituito esclusivamente da impianti di grandi dimensioni.

Bisogna aprire una seconda fase: legare lo sviluppo dell’eolico allo sviluppo locale territoriale, investendo su aerogeneratori di piccola taglia.

 Non significa soltanto promuovere la diffusione capillare di micro e mini impianti, ma soprattutto cercare di collegare in modo veramente sinergico lo sviluppo di queste tecnologie con le dinamiche di sviluppo locale dei territori, nella convinzione che l’accettabilità sociale delle rinnovabili dipenda dalla capacità che queste hanno di integrarsi con le specificità, le voca- zioni e i settori produttivi territoriali.

Per scaricare la ricerca clicca sull’immagine.

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Il principio di realtà che vanifica il Piano Passera

Se diamo uno sguardo al rapporto mensile sul sistema elettrico di Terna di settembre, scopriamo una serie di dati interessanti, che nei fatti vanificano e mettono al di fuori dei processi reali il Piano Passera.

Che cosa è successo nei primi 9 mesi del 2012?

– hanno continuato a calare i consumi di energia (-2,3% rispetto al 2011);

– è calata la produzione di energia (-1,6%), ma eolico e fotovoltaico sono cresciute rispettivamente del 37,2% e del 91,3%, mentre il termoelettrico ha perso ancora quote di produzione (-4,3%).

 

Il quadro che emerge, perciò, conferma il trend dei rilevamenti dei mesi scorsi (si veda per i dettagli il Quaderno di Energia Felice 1). Ad un calo dei consumi corrisponde un incremento della produzione da rinnovabili e una progressiva marginalizzazione del termoelettrico.

Le politiche energetiche ed industriali dovrebbero accompagnare questo processo, che appare ormai irreversibile. il Governo, però, sembra rispondere non agli interessi delle ormai migliaia di famiglie e piccole imprese che producono energia decentrata da fonti rinnovabili, ma dei pochi grandi produttori inquinatori.

 

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Rinnovabili e blackout: Italia vs. Germania

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano on-line –  10 0ttobre 2012

 

Mentre vengono resi noti i risultati degli stress test condotti su 145 reattori nucleari europei che hanno evidenziato estese criticità, la Commissione Europea rimane in stand-by. Non intima la chiusura delle 13 centrali più obsolete e a rischio perché sono fortissime le pressioni del vecchio sistema energetico a mantenere la megastruttura che unifica fossili e nucleare. Così si contrasta la stessa Roadmap 2050 dell’Ue, che prevede una larga prevalenza delle fonti rinnovabili per la metà del secolo.

Il nostro Governo, pur obbligato dal referendum a stoppare il nucleare, rientra nel gruppo degli avversari delle rinnovabili. Continua in questo la politica di Berlusconi – d’altra parte gli interessi dei banchieri al governo sono contigui a quelli delle lobby dei mega-impianti che ispiravano il Cavaliere – e quindi rilancia gas, petrolio e carbone. Tutto questo con lo spauracchio dei blackout energetici, in agguato, a quanto vorrebbero farci credere, se dovesse affermarsi un sistema decentrato, governato sul territorio e alimentato dalle fonti naturali.

Niente di più falso e indimostrabile. A riprova della faziosità di Passera & Co quando ipotizzano un’Italia solcata da tubi e elettrodotti, costellata di rigassificatori e magari depositi di CO2, viene la conferma che in Germania, l’inverno scorso, le luci sono state tenute accese dall’energia solare. Il Governo tedesco, che si prepara a chiudere i suoi 22 reattori nucleari, ha ridotto anche gli scambi nucleari con la Francia rischiando il blackout ma, come ha detto il responsabile per l’energia del Bunderstag: “Siamo stati salvati dal sole”. È pur vero che lo scorso febbraio il territorio dallaBaviera alla Mosella ha avuto un’eccezionale insolazione ma i 28 GW di potenza fotovoltaica, concentrati nella regione, erano collegati alla rete ed hanno fornito il 3% circa della potenza totale. Il solare è un generatore di elettricità intermittente, dipendente dagli impianti di stoccaggio e di back-up che ovviano, se ben progettati, alla capacità di potenza quando il sole non splende.

È risultato determinante per la Germania l’avere investito nelle reti e nei sistemi di immagazzinamento. Lo sforzo tedesco consiste nel ritenere le rinnovabili sostitutive dei fossili e quindi meritevoli della massima attenzione lungo tutta la filiera. Si è così creata una capacità di energia in eccesso, che ha consentito di aumentare le esportazioni di elettricità verso la Francia ipernucleare da 4 a 5 GW.

“I dati non mentono – ha affermato Brandon Mitchener, portavoce di First Solar, azienda leader nel fotovoltaico – e dimostrano che solare ed eolico sono in grado di fornire reale potenza proprio quando è più necessario, quando la domanda è al suo apice”. I governi europei dovrebbero puntare ad ampie e ben coordinate connessioni alla rete inter e intra-europea, che non esistono ancora. È proprio la “Roadmap 2050” a richiedere l’integrazione delle fonti energetiche rinnovabili nella rete e piani di sviluppo delle infrastrutture, ivi compreso il consolidamento delle interconnessioni con i paesi vicini. Invece di mettere controlli alle frontiere per l’energia elettrica (è bene sapere che il gas che passa da Dobbiaco subisce un aumento del 7% quando entra nelle condotte Snam!), occorrerebbe in Europa assicurare una migliore integrazione delle energie rinnovabili.

Come si comporta l’Italia, dove il silenzio copre tutte le decisioni strategiche che i cittadini dovrebbero conoscere? Il piano energetico di Passera, in discussione in questi giorni, va in direzione opposta alla linea proposta dalla Ue. Prevede l’autarchia da petrolio e gas e la marginalità delle rinnovabili. Niente visione di lungo periodo, né partecipazione all’integrazione europea strutturale. Che altro aspettarsi da banchieri e tecnici che usano la crisi per rimettere in corsa vecchi poteri, anziché aprire il varco a speranze, intelligenze, competenze e tecnologie che si misurino positivamente con la crisi climatica e ne facciano occasione per buona occupazione, risanamento ambientale, tutela della salute?

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