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Quale crescita con lo spread energetico al 30%?

di Nicola Cipolla

I provvedimenti che, finalmente, la BCE di Draghi, con il difficile e limitativo consenso della Merkel, ha adottato stanno producendo una riduzione, ancora insufficiente, dello spread tra gli interessi del debito pubblico tedesco e quelli pagati dal nostro paese. La crisi attuale ha avuto inizio in America con lo scandalo dei subprime ed è continuata con il tentativo di riversarne gli effetti sull’euro, il cui successo insidiava il dominio del dollaro stabilito con gli accordi di Bretton Woods. Attacco guidato dalle agenzie di rating americane che hanno volta a volta indirizzato la speculazione contro uno o più paesi, tra cui il nostro, dell’euro gruppo. Man mano che diminuisce però lo spread dei tassi di interesse viene fuori con forza un altro spread quello tra il costo dell’energia rispetto agli altri paesi della UE: il 30% circa. Ma questo spread ha una causa tutta italiana e deriva da modo in cui è stata realizzata la privatizzazione degli enti pubblici, in particolare dell’Enel, dell’Eni e dell’IRI, ad iniziativa dei governi Prodi, Berlusconi e, in ultimo, del governo Monti.
Il caso Alcoa, esaltato in questi giorni da tutti i mass media, ci spinge ad una riflessione. L’industria dell’alluminio è la più energivora: l’elettricità rappresenta il 45% del costo complessivo. Fino a che l’impianto di Portovesme era inserito in un complesso industriale di grandi enti di Stato: IRI, Eni, Enel, il problema del costo dell’energia veniva risolto al loro interno. La privatizzazione di questi enti, trasformati in Spa alla ricerca del massimo profitto, ha creato una situazione nuova e disastrosa. Per un certo numero di anni l’Alcoa, che si è sostituita alla gestione IRI, ha ottenuto contributi pubblici per oltre 3 miliardi. Alessandro Penati su Repubblica ha rilevato che la somma di questi supera l’ammontare dei salari. La UE, però, con un nuovo provvedimento, ha dichiarato illegittimi questi contributi, il che ha portato l’Alcoa ad abbandonare il sito.
Da dove viene questo spread energetico in Italia che ora mette in fuga l’Alcoa ma che costituisce una remora per tutta l’economia italiana e colpisce tutte le imprese, le amministrazioni pubbliche e i singoli cittadini non meno dello spread sugli interessi pagati alle banche?
“Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito” dice l’antico proverbio orientale.
Il decreto Bersani, del 1999, di privatizzazione “all’italiana”, ad esempio, ha posto fine al monopolio dell’Enel. Ma la produzione dell’energia elettrica, e soprattutto la sua distribuzione, non possono essere soggetti alle leggi del libero mercato. Il consumatore non può avere dieci contatori corrispondenti a dieci reti di dieci produttori perchè la rete deve essere unica per essere economicamente sostenibile ed è stata monopolizzata dall’Enel e da alcune ex municipalizzate anch’esse privatizzate. Si è costituita poi una società diversa, ma intimamente collegata all’Enel attraverso mille fili, Terna, limitatamente però al trasporto dell’energia ad alta tensione. Il capolavoro della privatizzazione “all’italiana” è costituito da due ulteriori passaggi: la determinazione del prezzo al consumo viene demandata al GSE (Gestore Servizi Energetici – ente pubblico non economico controllato al 100% dal Ministero dell’economia) e da questo alla Borsa Elettrica (altra società dipendente dallo stesso Ministero), che remunera i produttori pagando a tutti un prezzo che è pari a quello dell’offerta più costosa tra quelle accettate per soddisfare la domanda. Il meccanismo è più chiaro con un esempio, illustrato da Wikipedia che tutti possono consultare: “Ipotizziamo che la domanda chieda 10 KWh. I produttori sono più di uno, ed il primo offre 5 KWh a 1€, il secondo 4 KWh a 2€ ed il terzo 1 KWh a 3€. Il totale delle unità domandate ed offerte è così pari a 10 Kwh, che verranno pagate tutte e 10 a tutti i produttori al prezzo più alto offerto, ovvero 3€, per un totale di 30€”.
Si costituisce, così, con l’intervento costrittivo dello Stato (altro che liberalizzazione), una rendita a favore degli impianti di produzione a costi più bassi, che sono quelli degli impianti idroelettrici costruiti a partire dagli anni 30, e già ammortizzati, o dei modernissimi impianti di cogenerazione a metano capaci di reggere la concorrenza internazionale e che assieme hanno una potenzialità quasi doppia rispetto al picco dei consumi italiani. I produttori privati e l’Enel si sono però accordati tra di loro per mantenere in piedi alcuni impianti ad alto costo allo scopo di rendere massima una rendita di tipo feudale anche tenendo fermi una parte degli impianti meno costosi. L’oligopolio privato sostenuto dall’intervento dello Stato ha sostituito il monopolio pubblico.
L’irrompere dell’energia fotovoltaica nel 2011 ha messo in crisi questo sistema. L’obbligo di immettere in rete questa energia, previsto dall’adozione del Conto Energia, analogo a quello esistente in Germania, ha estromesso dalla fornitura gli impianti più costosi, quelli, cioè, su cui si determinava il prezzo. Per effetto del fotovoltaico nel 2011 si è realizzata, quindi, (altro che un aumento del costo dell’energia, come dice la stampa foraggiata dagli oligopolisti) una riduzione del costo dell’energia nelle ore diurne per cui si è persino capovolto il rapporto tra il costo dell’energia nelle ore diurne e quello più basso delle ore notturne. Da ciò la levata di scudi che ha indotto il governo Monti a bloccare lo sviluppo del fotovoltaico così come era stato bloccato l’eolico dal governo Berlusconi.
Il secondo passaggio, in seguito della privatizzazione dell’Eni e soprattutto dell’Enel, è costituito dal fatto che la direzione di questo ha utilizzato il ricavato della vendita obbligatoria delle centrali eccedenti il 50% della produzione italiana e soprattutto l’indebitamento per sviluppare un’attività all’estero del tutto estranea agli interessi energetici dell’Italia. L’Enel oggi, ad esempio, malgrado due referendum antinucleari e malgrado Fukushima, investe centinaia e centinaia di milioni per partecipare alla costruzione in Francia del reattore nucleare di terza generazione EPR che ha già superato tutte le previsioni di tempo e di spesa. E soprattutto, dopo l’acquisizione in Slovacchia di alcune vecchie centrali nucleari tipo Chernobyl, ora dovrebbe investire 800 milioni per adeguarle alle esigenze di sicurezza poste dal disastro giapponese. Anche l’acquisto in Spagna dell’Endesa, privata però della parte moderna delle energie rinnovabili e degli impianti idroelettrici, è stata effettuata ricorrendo a forti indebitamenti la cui gestione degli interessi è assicurata “per cassa”, come più volte Monti ha affermato, dal gettito delle super bollette italiane. Analoga azione svolge l’Eni quando, invece di limitarsi a garantire, con gli investimenti esteri, l’approvvigionamento nazionale, si avventura in operazioni anche di distribuzione in paesi corrotti, come quelli ex sovietici dell’Asia, o del Sud America o dell’Africa, attraverso società domiciliate in paradisi fiscali che sfuggono ad ogni controllo degli organismi nazionali come la Corte dei Conti o il TAR, etc..
Questa situazione ha creato un rapporto, tra questi enti privatizzati e i loro dirigenti, rovesciato rispetto a quello esistente in Francia, dove EDF ed Alstom stanno sviluppando enormi impianti eolici, ad esempio, sulla costa tra Le Havre e Saint Nazaire o mentre la Germania, attraverso le società privatizzate, sta realizzando grandi impianti offshore nel Baltico collegati con imprese svedesi e russe. Sia in Francia che in Germania le società ex pubbliche privatizzate operano nel quadro di una politica industriale dettata dai rispettivi governi con le influenze esercitate sia dall’opposizione che dalla maggioranza dai movimenti ambientaliste e dai partiti Verdi. In Italia non è così.
Il cosiddetto Piano Energetico annunciato dal governo Monti riproduce, infatti, le iniziative in corso dell’Eni, alleato con altri monopoli internazionali nelle ricerche petrolifere, e che vuole realizzare infrastrutture a livello internazionale e ancora dell’Enel e dei monopoli elettrici per quanto riguarda il blocco sia dell’eolico che del solare fotovoltaico, mentre gli stessi impianti idroelettrici, costruiti con gli investimenti ampiamente ammortizzati dallo stato a partire dagli anni ’30, diventano oggetto di speculazioni nei numerosi passaggi di pacchetti azionari che la stampa ci fa notare ogni giorno. Sintomatico il caso dell’EDF divenuto unico proprietario dell’Edison che è felice di conferire per le sue centrali poste a poche decine di chilometri dal confine francese alla Borsa Elettrica italiana l’energia prodotta ad un prezzo che è il 30% superiore a quello ricavato nel proprio paese d’origine da centrali a metano dello stesso tipo.
Ridurre lo spread energetico diventa oggi un obiettivo fondamentale per chi vuole in Italia venire incontro alle esigenze delle famiglie, delle imprese, delle amministrazioni pubbliche e sviluppare nel contempo l’occupazione. Il decreto Bersani non è il Talmud bisogna modificarlo eliminando il riferimento agli impianti più costosi ed introducendo ad esempio il riferimento alle statistiche UE del costo dell’energia in Europa. Il che porterebbe, nell’immediato, alla chiusura degli impianti più arretrati e più inquinanti e ad una maggiore utilizzazione degli impianti più moderni a metano che oggi sono sfruttai al 60-70%. Eliminando nello stesso tempo i blocchi posti dai governi Berlusconi-Monti all’ingresso delle energie rinnovabili. Un tale governo dovrebbe subito convocare l’Enel, la Finmeccanica e la Fincantieri, principale beneficiaria della diffusione di impianti eolici offshore per promuovere lungo le coste italiane ed in particolare attorno alla Sicilia e la Sardegna parchi offshore lontani dalla costa creando così anche aree di riserva marina per centinai di Km quadrati. Alla proposta del governo Monti bisognerebbe contrapporre le linee di un Piano Energetico tendente, ai ritmi del 2011 del solare fotovoltaico e delle iniziative europee in corso per l’eolico, entro 10-15 anni, alla sostituzione totale delle energie fossili nella produzione elettrica. Per fare questo occorre un maggiore intervento pubblico valorizzando Terna e affidandole anche la gestione delle centrali idroelettriche che costituiscono un bene comune; affidando le reti urbane di distribuzione ai Comuni, così come per le strade; sviluppando anche il risparmio energetico, il riuso e il riciclo e la diffusione del solare fotovoltaico specialmente sui tetti degli edifici pubblici e delle zone industriali inquinate. E’ in corso una forte iniziativa per i referendum sociali sull’art. 8 e sull’art. 18, conquiste dei lavoratori italiani del secolo scorso e annullate dall’azione dei governi Berlusconi e Monti. Nel corso di queste iniziative occorre promuoverne altre, proprie del XXI secolo, come il referendum per i Beni Comuni o i progetti di iniziativa popolare tendenti a modificare gli orrori legislativi in materia ambientale dei governi Berlusconi e Monti. Occorre realizzare una mobilitazione analoga a quella che ha portato alla vittoria dei referendum dell’acqua e contro il nucleare e per la difesa dei beni comuni del 12 e 13 giugno dello scorso anno, causa principale, è bene ribadirlo ancora una volta, della crisi irreversibile del Berlusconismo e che potrebbe ora rovesciare il falso neoliberismo di Monti e dei suoi sostenitori.

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Le primarie di Greenpeace sul clima

Greenpeace rende noti oggi i dati delle “sue primarie”. Ieri l’associazione ambientalista, in 24 città italiane, ha raccolto il parere degli elettori del centrosinistra sul futuro energetico del Paese. Oltre il 97% si dichiara indisponibile a votare chi continuerà a permettere la costruzione di nuove centrali a carbone o non si impegnerà a ridurre l’utilizzo della fonte più sporca e dannosa per il clima. Una percentuale identica vincola il proprio sostegno all’impegno, da parte dei candidati premier, a proteggere il Mediterraneo dalle perforazioni petrolifere; oltre il 99%, infine, dichiara che non darà il suo voto a chi non promuoverà concretamente la crescita delle fonti rinnovabili, che proteggono clima, aria e generano occupazione.

“Gli elettori del centrosinistra – afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – ci hanno detto la loro in maniera molto chiara.Renzi e Bersani, in oltre due settimane, non hanno trovato tempo per rispondere a un semplice questionario, per mettere 9 crocette e dirci sì o no agli impegni che sollecitiamo loro. Non solo: stanno mancando di rispondere a 25mila cittadini che in una sola settimana gli hanno scritto firmando la nostra petizione. Non sono in grado di prendere posizioni chiare neppure quando chiedono il consenso dei cittadini?”

Secondo Greenpeace i dati che emergono da questo sondaggio (il campione è costituito da 2.139 votanti alle primarie) indicano una netta divaricazione tra la base elettorale e l’atteggiamento dei leader. E questo non solo perché Bersani e Renzi non rispondono all’associazione e ai cittadini che ne hanno sottoscritto la petizione online dal sito www.IoNonViVoto.org: il PD in questi anni ha mancato di opporsi a progetti di nuove centrali a carbone e si è fatto addirittura promotore di progetti di espansione di centrali già esistenti, anche contro il parere dei suoi amministratori locali.

Ugualmente, il partito di Bersani rappresenta uno dei pilastri del Governo dei “tecnici”, promotore di una svendita del Mediterraneo alle compagnie petrolifere, sui cui ricavi vi sarà un prelievo fiscale bassissimo.

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Sosteniamo la campagna di GreenPeace per un futuro energetico pulito!

La politica tace su questioni che riguardano la nostra salute, il lavoro, i cambiamenti climatici, lo sviluppo del Paese. È il momento di pretendere risposte serie e immediate.

Centrali a carbone. La produzione di elettricità con il carbone causa circa 570 morti premature l’anno e oltre 2,6 miliardi di danni. Leggi tutto 
Trivelle in mare. Stiamo svendendo i nostri mari alle compagnie petrolifere e un disastro come quello del Golfo del Messico potrebbe avvenire presto nel Mediterraneo.Leggi tutto 
Chi affossa l’energia pulita. La politica, per assecondare gli interessi dei grandi gruppi energetici, tenta continuamente di affossare il settore delle energie rinnovabili, l’unico che aveva resistito alla crisi creando occupazione per più di 100.000 persone. Leggi tutto 

Abbiamo delle soluzioni. Leggi le nostre richieste “Energie pulite per l’Italia”.

IoNonViVoto.org non è una campagna astensionista. Al contrario: chiediamo a tutti i leader politici e a chi si candida a governare il Paese impegni precisi per salvaguardare ambiente, salute, economia e occupazione.
Chi ci sta a fermare l’avanzata di petrolio e carbone e a sostenere l’energia pulita? Leggi cosa risponde la politica…

 

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Il Manifesto di Firenze contro il nucleare

Noi, partecipanti a Firenze 10-10, riuniti nell’incontro per promuovere la costruzione del network antinucleare europeo

Esprimiamo la nostra convinzione che l’Europa dei cittadini necessita della “battaglia” antinucleare, per un modello energetico “giusto”, cioè gestito come un bene comune e pubblico nelle sue infrastrutture fondamentali, decentrato e rinnovabile, decarbonizzato, efficiente e dedito al risparmio e quindi fondamentale nel contrasto al cambiamento climatico, non predatorio rispetto alle risorse del Sud del mondo e quindi efficace nel combattere la povertà e nel prevenire i conflitti, rispettoso, alla fin fine, della salute dei cittadini e del territorio.

Nel nostro incontro, nello spirito di Firenze 10+10, abbiamo ricercato le convergenze di proposte e di azione tra la lotta per l’ecologia e l’energia bene comune con i movimenti che si battono per il disarmo e la pace (la denuclearizzazione euro-mediterranea e del Medio Oriente), con quelli che rivendicano il diritto all’acqua e al cibo, con chi cerca una via di uscita dalla crisi dal punto di vista del 99% (l’energia “giusta” è una base ineludibile per una economia reale che soddisfi bisogni e diritti delle persone e delle comunità), con la società civile consapevole che la democrazia effettiva necessita di condizioni che suscitino partecipazione locale e recidano gli apparati centralizzati della potenza e del profitto monopolistico.

Mai più Fukushima, preveniamo una catastrofe europea e mediterranea!

Il Coordinamento che abbiamo deciso di costituire, quale primo nucleo promotore, ha l’obiettivo di estendere ed approfondire, a livello europeo e mediterraneo, la “vittoria” fondata sulla mobilitazione e la consapevolezza popolare, che abbiamo conseguito in Italia con il referendum antinucleare del 2011; e di fare sì, che le decisioni dei Paesi che hanno stabilito la fuoriuscita dal nucleare (14 Paesi UE su 27 dovranno, seguendo il recente esempio di Germania e Belgio, abbandonare questa tecnologia per la produzione elettrica) conducano ad un’Europa e ad un’area mediterranea effettivamente denuclearizzati.

Si tratta, in pratica, di supportare, coordinare, unificare le seguenti attività:

1- campagne di informazione e sensibilizzazione di dimensione europea che sanciscano a livello UE, con misure precise, la fuoriuscita dal nucleare e dalla energia padrona.

Un primo impegno che ci assumiamo in tal senso è di sostenere l’ECI (Iniziativa dei Cittadini Europei) proposta da Global 2000, di recente ammessa dalla Commissione.

Valutiamo la possibilità di proporre ed attuare un referendum consultivo europeo in materia di nucleare;

2- azioni di base di contrasto contro il nucleare ad ogni livello, locale, nazionale ed internazionale, anche con azioni dirette: in particolare, un nuke-watching europeo contro il trasporto delle scorie radioattive;

3- il collegamento civile-militare nelle lotte antinucleari: denuclearizzazione significa chiudere le centrali ma anche le basi con le armi nucleari. Denuclearizzare è anche disarmare e ridurre, per di più prevenendola, le spese funzionali alla guerra, più che mai odiose in periodo di crisi economica.

In particolare riteniamo utile far leva anche con iniziative dal basso sul “processo di Barcellona” quando, con consenso unanime (non scontato) dei governi, stabilisce dal 1995 un orizzonte mediterraneo privo di armi di sterminio di massa;

4- diffondere studi, progetti, buone pratiche e realizzazioni con le energie pulite, rinnovabili, ecocompatibili: l’alternativa al nucleare non è il gas, tanto meno il petrolio e peggio che mai il carbone, con annessi grandi impianti e tecnologie invasive e devastanti.

5- Affermare un sistema pubblico a livello europeo che arresti la mercificazione dei beni essenziali e insostituibili per la vita e il vivere insieme. Si tratta di togliere alle logiche del mercato e della finanza privata il governo continentale dei beni comuni. Proponiamo che tutti i movimenti si diano come obiettivo comune una campagna per la promozione di una Comunità europea dei beni comuni. Si tratterebbe di una Comunità dotata di poteri sovranazionali per quanto riguarda la terra, l’energia, l’acqua, l’aria, l’ambiente, la conoscenza, la sicurezza (nelle sue declinazioni essenziali: militare, energetica, alimentare, idrica, geologica, finanziaria) e finalmente dotata di una rivalutata carta dei diritti del lavoro, che deve tornare ad essere obiettivo del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

A livello italiano denunciamo e combattiamo la Strategia Energetica Nazionale di Monti-Passera che, in spregio ai risultati referendari, nel prospettare un ruolo italiano da “hub del gas”, conferma una infrastruttura energetica che può prestarsi al ritorno del nucleare.

Inviamo un messaggio di solidarietà alla manifestazione che il movimento antinucleare giapponese terrà a Tokio l’11 novembre 2012: : l’uscita dall’energia atomica del Giappone può rappresentare una svolta per la sconfitta della lobby nucleare a livello mondiale.

I presenti qui a Firenze 10+10 si costituiscono come Nucleo Promotore del Comitato per attuare la volontà del referendum antinucleare in Italia.

Ci diamo appuntamento e diamo appuntamento per il 9 marzo 2013 a Parigi (secondo anniversario di Fukushima) nella convinzione che, nell’impeto crescente delle campagne, delle azioni, delle iniziative, degli scambi comuni, avremo, entro quella scadenza, significativamente esteso la quantità e la rappresentatività di adesioni e collaborazioni del nostro costituendo Network antinucleare.

La componente italiana del Network valuterà la fattibilità di una Carovana antinucleare che attraversi l’Europa nucleare e si concluda a Bruxelles.

Abbiamo obiettivi semplici, diretti e chiari che, ne siamo sicuri, già registrano il consenso della maggioranza dei popoli europei e mediterranei:

spegniamo subito tutti i reattori atomici, liberiamoci dalle armi di sterminio di massa, orientiamoci verso il 100% di energie rinnovabili!

(Primo elenco provvisorio di adesioni)

Sortir du Nucléaire – Francia – Martin Delavarde

Stop Bugey – Francia – Emmanuel Coux

War Resisters’s International – Coordinamento internazionale (sede centrale Londra) – Luciano Zambelli

Mondo senza guerre – Coordinamento internazionale

Roberto Musacchio – Altramente

ARCI – Associazione Energia Felice- Mario Agostinelli

Associazione Italiana Decrescita – Gianni Tamino

Associazione Si alle rinnovabili No al Nucleare – Massimo Bardi

Accademia Kronos – Ennio La Malfa

Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta – Alfonso Navarra

Comitato Salute Ambiente Energia- Angelo baracca e Giorgio Ferrari

Commisione Giustizia Pace Solidarietà Misionari Comboniani – Alex Zanotelli

Confederazione Cobas – Vincenzo Miliucci

Fermiamo chi scherza col Fuoco Atomico – Tiziano Cardosi

Fiom- Alessandra Mecozzi

IALANA Italia – Joachim Lau

Semi sotto la neve – Yakuri Saito

Amigos Sem Terra – Antonio Lupo

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Effetto serra: attenzione alle biomasse!

di  sul Il Fatto Quotidiano 29 ottobre 2012

È valutazione comune che il ricorso alle biomasse(coltivazioni, alberi ad alto fusto, palme, barbabietole da zucchero, etc.) contribuisca a ridurre l’emissione di CO2. Così, di fronte ad un caminetto scoppiettante o al rabbocco con biocombustibile al nostro autoveicolo, ci sentiamo in pace con il clima che cambia. Ma uno studio appena pubblicato dal JRC, il centro comune di ricerche della UE che ha sede ad Ispra, ammonisce sulla possibilità che le attuali politiche bioenergetiche dell’UE aumentino le emissioni di gas a effetto serra nel breve termine.

Nel 2009, la Bioenergia costituiva più di due terzi della produzione primaria delle energie rinnovabili UE e verrà contabilizzata per più della metà delle riduzioni delle emissioni degli Stati previste per il 2020 nei loro piani di azione nazionali. Il nostro governo, nel suo piano energetico, sposta addirittura gli incentivi dal solare alle bioenergie.

Nel rapporto scientifico anticipato da Euractive si legge che: “l’uso di tronchi [alberi] proveniente da foreste a fini bioenergetici causerebbe un effettivo aumento dei gas serra: emissioni paragonabili a quelle di equivalenti combustibili fossili nel breve periodo”. Questo perché la combustione di un albero per produrre bioenergia – ad esempio in forma di pellet, legno o trucioli – rilascia tutto il carbonio che l’albero ha assorbito nella sua vita ma, contemporaneamente, riduce anche il deposito vegetale in grado di assorbire nuovo carbonio nella vita futura. Di conseguenza, si crea un “debito di carbonio” con un bilancio di emissioni sfavorevole rispetto alla produzione distruttiva e una tantum di bioenergia.

Le conclusioni del gruppo di scienziati sono che “con una corretta contabilità, la bioenergia da tronchi o da coltivazioni intensive non contribuirebbe a obiettivi politici di breve termine, come gli obiettivi del 2020, anche se l’uso di potature, puliture e residui (biomasse di seconda generazione) potrebbe invece dare un contributo considerevole”. Queste osservazioni sono di capitale importanza, dato che attualmente la UE valuta come neutri gli effetti delle biomasse e non evita né contabilizza così effetti indesiderati.

In effetti, la bioenergia sembrerebbe la scelta più semplice ed economica. In particolare per i trasporti, il biocombustibile o il biogas si inseriscono nel sistema e non c’è bisogno di cambiare molto: basta mettere biodiesel a base di olio di palma, soia e semi di colza e bruciarlo all’interno del sistema esistente.

Ad oggi non ci sono regole internazionali concordate sulla contabilità della CO2 per la gestione forestale. La bioenergia è semplicemente considerata come “carbon neutral” dallo stesso protocollo di Kyoto. Quindi, il cambiamento che sarebbe imposto da questo studio è molto vincolante e oneroso e viene perciò contrastato dai grandi produttori di legname e dalle corporation dell’agroindustria. Se nell’ambito della politica delle energie rinnovabili dell’UE le regole per premiare la creazione di disavanzi netti di emissioni fossero prese davvero in considerazione, molti dei prodotti in commercio (pellets, trucioli, agro combustibili) verrebbero disincentivati.

Nella Commissione europea cresce la convinzione che, come minimo, dovranno essere emanate indicazioni per permettere l’uso della biomassa solo a saldo di emissioni positive (calcolando quindi il ciclo vegetale, il ciclo del trasporto, la distruzione del territorio, oltre a tener conto della sottrazione di terreno alla salubrità o all’alimentazione). Questo fa pensare che i biocarburanti di prima generazione non saranno “il futuro dell’Europa”, dato che, pur apparendo amici del clima e ottenendo sovvenzioni, possono essere considerati addirittura peggio dei combustibili fossili che vanno a sostituire.

La questione è ancora più grave fuori Europa, dove le grandi compagnie distruggono suolo fertile per l’alimentazione ai fini di importare energia per la mobilità. Le nuove regole che saranno adottate dall’UE quasi certamente modificheranno i biocarburanti e conterranno misure volte a impedire incentivi per lo spostamento continuo delle colture alimentari per il carburante. Con una nuova crisi alimentare incombente e quasi un miliardo di persone sul pianeta che soffrono la fame, dobbiamo smettere del tutto di bruciare il cibo e di provocare volatilità dei prezzi alimentari. Favorire invece il settore biocarburanti di seconda generazione ha il potenziale di scatenare forti investimenti, ricerca e sviluppo industriale, nel mantenimento delle foreste e delle culture e, forse, nel settore delle alghe (bioenergia di terza generazione). Ma, mentre viene strombazzata la nuova Strategia Energetica nazionale (SEN), chi si sta occupando di tutto ciò nel nostro Paese?

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