Archivi categoria: Energie rinnovabili

Aspettando il treno sui binari produciamo energia

repubblica_energia_9.1.2013

di Arturo Zampaglione – Repubblica.it

NEW YORK – Ogni giorno migliaia di parigini e di turisti che visitano la capitale francese passano frettolosamente attraverso la stazione di Rambuteau, lungo la linea 11 della metropolitana e a due passi dal Centro Pompidou, senza rendersi conto di essere usati come mini-centrali energetiche. Gli ingegneri assoldati da Paris Habitat, infatti, hanno trovato un sistema ingegnoso e sperimentale per riscaldare diciassette case popolari che si trovano proprio al di sopra della stazione. In pratica viene captato il calore umano dei passeggeri di Rambuteau (oltre che quello dei treni) e poi convogliato sotto i pavimenti delle case. Può sembrare un modo strano per risparmiare sulla bolletta, ma funziona davvero. Non solo: molti esperti ritengono che proprio il corpo umano stia diventando l’ ultima frontiera delle energie rinnovabili.

Si calcola che tutti noi emettiamo circa 100 watt di surplus di calore. Negli ambienti piccoli e sovraffollati il calore sale rapidamente, come sappiamo anche dall’ esperienza empirica, ma per lo più si disperde nell’ atmosfera. Ora invece la scienza si appresta a sfruttarlo né più né meno come le altre fonti energetiche alternative. Negli ultimi anni le energie rinnovabili, aiutate da contributi pubblici e da orientamenti politici molto più sensibili alle problematiche ambientali, hanno fatto passi da gigante. In Islanda il fabbisogno energetico viene coperto al 95 per cento dalle centrali geotermiche che sfruttano il calore proveniente dal centro della terra per accendere le lampadine e riscaldare case (e serre). In mezzo alle acque del basso mar Tirreno, sopra al vulcano Marsili (un gigante sottomarino di 70 chilometri di lunghezza, 30 di larghezza e 3.000 metri di altezza), nascerà la prima centrale termica sottomarina del mondo, capace di alimentare una città di 700 mila abitanti. Inoltre lo sfruttamento dell’ energia eolica e di quella solare continua a crescere a ritmi veloci, come testimoniato dalle distese di pannelli solari in Toscana o Sicilia e dalle immense pale lungo le coste del

New England. Ma come fare dove mancano i vulcani, il sole o il vento? E soprattutto come produrre energie nei centri metropolitani? La risposta degli esperti è, da un lato, l’ uso delle falde sotterranee per stabilizzare, attraverso pompe di calore, la temperatura degli edifici delle città, ovvero dei tetti delle case per installare dei pannelli solari, dall’ altro con il calore emesso dal corpo umano. Così, ad esempio, il più grande tempio del consumismo al mondo, il Mall of America, uno shopping center di 400mila metri quadri nel Minnesota, viene protetto dal freddo glaciale attraverso un sistema articolato cui contribuiscono, oltre ai metodi tradizionali, anche i raggi di sole che penetrano dai tetti trasparenti e il calore dei clienti. Uno dei migliori esempi di sfruttamento dell’ energia umana è quello della stazione centrale ferroviaria d

i Stoccolma, in Svezia, dove transitano ogni giorno 250mila passeggeri. Il sistema di ventilazione dello snodo ferroviario “cattura” il calore delle persone e

lo utilizza per riscaldare l’ acqua contenuta in grandi serbatoi sotterranei. Da lì l’ acqua calda viene pompata verso il Kungsbrouset, un edificio di 13 piani adibito a uffici, che è ad appena 100 metri dalla stazione e che riesce, grazie all’ apporto dei 100 watt di calore di ogni passeggero, a ridurre del 25 per cento la sua bolletta energe

tica. Ovviamente la stazione di Stoccolma, i cui lavori di ristrutturazione, costati 100 milioni di euro, sono stati gestiti dalla stessa società che possiede il Kungsbrouset, utilizza anche altri sistemi per ridurre i consumi energetici. Le finestre, ad esempio, sono angolate in modo tale da permettere alla luce del sole di entrare, pur respingendo il caldo durante l’ estate. Nei mesi più afosi la stazione viene raffreddata con le acque di un lago non distante. E un network di fibre ottiche trasmette i raggi dal soffitto nei posti che hanno bisogno di luce. Ma la vera novità è proprio l’ energia rinnovabile prodotta dal corpo e la stazione a calore umano – assicurano gli ingegneri svedesi – diventerà un modello diffuso in tutto il mondo.

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Ripensare il paradigma energetico

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano

 

I commenti che arricchiscono questo blog anche sotto il profilo critico, partono spesso dalla constatazione dell’affidabilità nei sistemi energetici progettati e utilizzati nel passato e sembrano diffidare dell’innovazione radicale richiesta per affrontare la questione climatica e rispondere all’esaurimento dei fossili. A poco vale scoprire nuovi giacimenti in fondo all’oceano o tra i ghiacci polari in scioglimento o ricorrere a tecnologie – come quella dello “shale gas” – che richiederanno sempre maggiore energia primaria man mano che si esauriscono le riserve di accesso più immediato ed enormi infrastrutture di trasporto si mangeranno parte del contenuto energetico prelevato. Il ritorno energetico sull’investimento energetico (Eroei) per questi sistemi sarà sempre più compromesso, si accelererà l’esaurimento dei fossili tradizionali impiegati nel ciclo, sarà innalzata irreversibilmente la temperatura del pianeta con nuove emissioni di CO2. Inoltre, sarà inevitabile cercare di ridurre le esposizioni finanziarie di investimenti così massicci e rischiosi ricorrendo a polizze assicurative, prodotti derivati e altri artifici monetari, che giocando prevalentemente sull’economia virtuale, faranno pagare il conto finale ancora una volta ai contribuenti.

Perché allora non assumere strategicamente e definitivamente un cambio del paradigma energetico, sfruttando sempre di più l’energia diretta e diffusa che proviene dal mondo naturale, anziché quella foriera di grandi rischi, accumulata in milioni di anni di lavoro della fonte solare e immagazzinata nelle parti sempre meno raggiungibili del nostro pianeta? Ma quella che questo blog prova a suggerire e indagare non sembra la strada intrapresa dai leader mondiali nei loro incontri fallimentari. Eppure ormai il mondo scientifico, le comunità locali, l’opinione pubblica indicano una pluralità di esperienze e soluzioni nuove. Questi soggetti, in sostanza, abbandonano il dogma quantitativo e confutano l’idea che un organismo cui è impedito di crescere senza fine, diventi invalido. La sfida del meglio invece del più è considerevole ed è ad essa che si rivolge una estesa convergenza  di esperienze e di programmi che privilegia con convinzione e fiducia le rinnovabili, il risparmio, la riduzione delle emissioni climalteranti. A questo fine si prodigano ingegneri, scienziati, industriali, economisti, politici, filosofi e psicologi. Le resistenze, occorre dirlo, sono molto potenti e radicate. Perciò si tratta di affrontare il problema non solo con l’intelligenza, ma con saggezza ed è questa che forse oggi manca a gran parte dei politici che ci governano.

“È richiesto un altro modo di ragionare, non solo un cambiamento del paradigma tecnico-economico e occorrono azioni esemplari che si stampino nell’immaginario”. Così insegnava Joachim Gretz,recentemente scomparso, responsabile della ricerca sull’idrogeno nel Centro di Ricerca della UE a Ispra. A lui, mi piace ricordarlo, fu richiesto due anni fa un esempio dimostrativo per EXPO 2015. Stilò così un progetto per trasformare con poca spesa l’alimentazione dei vecchi piroscafi a ruota Patria e Piemonte dei Laghi di Como e Maggiore da gasolio ad idrogeno. Idrogeno che, almeno per i viaggi inaugurali, sarebbe stato accumulato nei serbatoi dopo essere stato prodotto per idrolisi con l’elettricità fornita da pannelli solari posti a copertura degli imbarcaderi di approdo.

Avremmo visto così scivolare silenziosi e senza emissioni inquinanti i fumosi “vapori” delle gite dei nostri nonni… Inutile dire che una dimostrazione suggestiva – oltre che attraente anche dal punto di vista turistico – dell’avanguardia tecnologica nel campo delle energie pulite, non è stata nemmeno presa in considerazione.

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Energia partecipativa: il movimento cooperativo in Germania

Le rinnovabili non fanno bene solo perché riducono le emissioni ma anche perché democraticizzano la produzione di energia. Lo mostra bene quel che sta accadendo in Germania dove, attraverso la partecipazione a cooperative spesso locali, 80mila tedeschi riescono a soddisfare il loro fabbisogno elettrico con energia pulita autoprodotta.

Non fa bene solo perché è pulita ma anche perché è distribuita e democratica. L’energia da fonti rinnovabili non è una rivoluzione solo perché riduce le emissioni di gas serra, ci evita le esternalità negative delle fossili e migliora la sicurezza energetica, ma anche perché permette di passare da un sistema energetico centralizzato, basato su grandi impianti concentrati nelle mani di grossi gruppi industriali come le centrali termoelettriche o nucleari, a uno in cui la produzione di energia è distribuita in impianti più piccoli, è più vicina ai punti di consumo e può essere gestita direttamente dai cittadini, sia in caso realizzino un impianto fotovoltaico sul tetto sia quando si riuniscano in cooperative comunitarie.

Un caso esemplare è quello di Prato allo Stelvio in Val Venosta dove gli abitanti, riuniti in una cooperativa, producono con un mix articolato di fonti rinnovabili più dell’intero fabbisogno energetico sia elettrico che termico e riescono a pagare così il 30-35% in meno sulla bolletta elettrica e il 50% in meno sul riscaldamento. Altra positiva esperienza italiana è Retenergie, cooperativa ad azionariato popolare che ha già realizzato oltre un centinaio di impianti.

Numeri confortanti sul fenomeno delle cooperative energetiche arrivano anche dalla Germania: sono 80mila i tedeschi che partecipano a cooperative per la produzione di energia pulita, dice uno studio redatto da Deutsche Genossenschafts- und Raiffeisenverband e.V. (DGRV), assieme a BSW-Solar, l’associazione tedesca del solare e all’Agenzia per l’energia rinnovabile (Agentur für erneuerbare Energien – AEE). Ottantamila cittadini i cui consumi elettrici domestici sono totalmente coperti dall’energia pulita prodotta dalle cooperative di cui sono soci.

Nel Paese, per molti aspetti un passo avanti a noi nella transizione all’energia pulita e democratica, negli ultimi anni sono state fondate oltre 500 cooperative che installano impianti a fonti rinnovabili con investimenti per circa 800 milioni di euro. Cooperative spesso a livello locale e basate su un azionariato popolare: nei due terzi dei casi la quota minima di partecipazione è sotto ai 500 euro e a volte anche sotto ai 100.

Tra le rinnovabili preferite c’è il fotovoltaico, sul quale investono circa il 90% delle cooperative tedesche, piuttosto attive anche nel campo delle biomassee. Gli impianti non sempre sono di piccole dimensioni: il 16 agosto è stato allacciato alla rete il Bosbüll Solar Project, un parco FV da 9,7 MW realizzato con investimenti di 75 residenti locali a partire dai 1.000 euro di contributo. E assieme alle cooperative nascono nuovi strumenti per il crowdfounding: per esempio il portale berlinese Crowd Energy, che nasce per mettere assieme progettisti, proprietari di tetti e terreni e investitori, fornendo anche assistenza burocratica e legale per realizzare progetti rigorosamente comunitari.

Le cooperative e i progetti comunitari “rappresentano la democratizzazione dell’energia  n Germania”, sottolinea Carsten Körnig, CEO dell’associazione tedesca per il solare. Ma, oltre a rendere possibile la produzione di energia pulita anche per coloro che non hanno un tetto proprio, le cooperative svolgono anche un ruolo di formazione culturale. Come si scopre dallo studio, infatti, a spingere i soci non sono tanto le motivazioni economiche: la ricerca mostra che nella lista delle priorità di questi 80mila tedeschi prima del profitto vengono la difesa dell’ambiente, la diffusione delle rinnovabili e la creazione di valore a livello locale.

“Le cooperative energetiche stanno diventando una forza trainante nella transizione energetica. Offrono ai cittadini la possibilità di partecipare alla trasformazione del sistema energetico a livello locale e così aumentano la disponibilità ad accettare progetti energetici in quelle aree”, commenta Eckhard Ott, presidente di DGRV.

“La partecipazione dei cittadini aiuta a creare quelle competenze di cui c’è urgente bisogno per la trasformazione del sistema energetico su larga scala. Perché le persone impegnate nell’espansione delle rinnovabili a livello locale si dimostrano poi disponibili ad assumersi anche altre responsabilità, per esempio riguardo a quanto serve tecnicamente per la trasformazione del sistema energetico su scala più ampia”, aggiunge Philipp Vohrer, direttore esecutivo dell’AEE.

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Quale crescita con lo spread energetico al 30%?

di Nicola Cipolla

I provvedimenti che, finalmente, la BCE di Draghi, con il difficile e limitativo consenso della Merkel, ha adottato stanno producendo una riduzione, ancora insufficiente, dello spread tra gli interessi del debito pubblico tedesco e quelli pagati dal nostro paese. La crisi attuale ha avuto inizio in America con lo scandalo dei subprime ed è continuata con il tentativo di riversarne gli effetti sull’euro, il cui successo insidiava il dominio del dollaro stabilito con gli accordi di Bretton Woods. Attacco guidato dalle agenzie di rating americane che hanno volta a volta indirizzato la speculazione contro uno o più paesi, tra cui il nostro, dell’euro gruppo. Man mano che diminuisce però lo spread dei tassi di interesse viene fuori con forza un altro spread quello tra il costo dell’energia rispetto agli altri paesi della UE: il 30% circa. Ma questo spread ha una causa tutta italiana e deriva da modo in cui è stata realizzata la privatizzazione degli enti pubblici, in particolare dell’Enel, dell’Eni e dell’IRI, ad iniziativa dei governi Prodi, Berlusconi e, in ultimo, del governo Monti.
Il caso Alcoa, esaltato in questi giorni da tutti i mass media, ci spinge ad una riflessione. L’industria dell’alluminio è la più energivora: l’elettricità rappresenta il 45% del costo complessivo. Fino a che l’impianto di Portovesme era inserito in un complesso industriale di grandi enti di Stato: IRI, Eni, Enel, il problema del costo dell’energia veniva risolto al loro interno. La privatizzazione di questi enti, trasformati in Spa alla ricerca del massimo profitto, ha creato una situazione nuova e disastrosa. Per un certo numero di anni l’Alcoa, che si è sostituita alla gestione IRI, ha ottenuto contributi pubblici per oltre 3 miliardi. Alessandro Penati su Repubblica ha rilevato che la somma di questi supera l’ammontare dei salari. La UE, però, con un nuovo provvedimento, ha dichiarato illegittimi questi contributi, il che ha portato l’Alcoa ad abbandonare il sito.
Da dove viene questo spread energetico in Italia che ora mette in fuga l’Alcoa ma che costituisce una remora per tutta l’economia italiana e colpisce tutte le imprese, le amministrazioni pubbliche e i singoli cittadini non meno dello spread sugli interessi pagati alle banche?
“Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito” dice l’antico proverbio orientale.
Il decreto Bersani, del 1999, di privatizzazione “all’italiana”, ad esempio, ha posto fine al monopolio dell’Enel. Ma la produzione dell’energia elettrica, e soprattutto la sua distribuzione, non possono essere soggetti alle leggi del libero mercato. Il consumatore non può avere dieci contatori corrispondenti a dieci reti di dieci produttori perchè la rete deve essere unica per essere economicamente sostenibile ed è stata monopolizzata dall’Enel e da alcune ex municipalizzate anch’esse privatizzate. Si è costituita poi una società diversa, ma intimamente collegata all’Enel attraverso mille fili, Terna, limitatamente però al trasporto dell’energia ad alta tensione. Il capolavoro della privatizzazione “all’italiana” è costituito da due ulteriori passaggi: la determinazione del prezzo al consumo viene demandata al GSE (Gestore Servizi Energetici – ente pubblico non economico controllato al 100% dal Ministero dell’economia) e da questo alla Borsa Elettrica (altra società dipendente dallo stesso Ministero), che remunera i produttori pagando a tutti un prezzo che è pari a quello dell’offerta più costosa tra quelle accettate per soddisfare la domanda. Il meccanismo è più chiaro con un esempio, illustrato da Wikipedia che tutti possono consultare: “Ipotizziamo che la domanda chieda 10 KWh. I produttori sono più di uno, ed il primo offre 5 KWh a 1€, il secondo 4 KWh a 2€ ed il terzo 1 KWh a 3€. Il totale delle unità domandate ed offerte è così pari a 10 Kwh, che verranno pagate tutte e 10 a tutti i produttori al prezzo più alto offerto, ovvero 3€, per un totale di 30€”.
Si costituisce, così, con l’intervento costrittivo dello Stato (altro che liberalizzazione), una rendita a favore degli impianti di produzione a costi più bassi, che sono quelli degli impianti idroelettrici costruiti a partire dagli anni 30, e già ammortizzati, o dei modernissimi impianti di cogenerazione a metano capaci di reggere la concorrenza internazionale e che assieme hanno una potenzialità quasi doppia rispetto al picco dei consumi italiani. I produttori privati e l’Enel si sono però accordati tra di loro per mantenere in piedi alcuni impianti ad alto costo allo scopo di rendere massima una rendita di tipo feudale anche tenendo fermi una parte degli impianti meno costosi. L’oligopolio privato sostenuto dall’intervento dello Stato ha sostituito il monopolio pubblico.
L’irrompere dell’energia fotovoltaica nel 2011 ha messo in crisi questo sistema. L’obbligo di immettere in rete questa energia, previsto dall’adozione del Conto Energia, analogo a quello esistente in Germania, ha estromesso dalla fornitura gli impianti più costosi, quelli, cioè, su cui si determinava il prezzo. Per effetto del fotovoltaico nel 2011 si è realizzata, quindi, (altro che un aumento del costo dell’energia, come dice la stampa foraggiata dagli oligopolisti) una riduzione del costo dell’energia nelle ore diurne per cui si è persino capovolto il rapporto tra il costo dell’energia nelle ore diurne e quello più basso delle ore notturne. Da ciò la levata di scudi che ha indotto il governo Monti a bloccare lo sviluppo del fotovoltaico così come era stato bloccato l’eolico dal governo Berlusconi.
Il secondo passaggio, in seguito della privatizzazione dell’Eni e soprattutto dell’Enel, è costituito dal fatto che la direzione di questo ha utilizzato il ricavato della vendita obbligatoria delle centrali eccedenti il 50% della produzione italiana e soprattutto l’indebitamento per sviluppare un’attività all’estero del tutto estranea agli interessi energetici dell’Italia. L’Enel oggi, ad esempio, malgrado due referendum antinucleari e malgrado Fukushima, investe centinaia e centinaia di milioni per partecipare alla costruzione in Francia del reattore nucleare di terza generazione EPR che ha già superato tutte le previsioni di tempo e di spesa. E soprattutto, dopo l’acquisizione in Slovacchia di alcune vecchie centrali nucleari tipo Chernobyl, ora dovrebbe investire 800 milioni per adeguarle alle esigenze di sicurezza poste dal disastro giapponese. Anche l’acquisto in Spagna dell’Endesa, privata però della parte moderna delle energie rinnovabili e degli impianti idroelettrici, è stata effettuata ricorrendo a forti indebitamenti la cui gestione degli interessi è assicurata “per cassa”, come più volte Monti ha affermato, dal gettito delle super bollette italiane. Analoga azione svolge l’Eni quando, invece di limitarsi a garantire, con gli investimenti esteri, l’approvvigionamento nazionale, si avventura in operazioni anche di distribuzione in paesi corrotti, come quelli ex sovietici dell’Asia, o del Sud America o dell’Africa, attraverso società domiciliate in paradisi fiscali che sfuggono ad ogni controllo degli organismi nazionali come la Corte dei Conti o il TAR, etc..
Questa situazione ha creato un rapporto, tra questi enti privatizzati e i loro dirigenti, rovesciato rispetto a quello esistente in Francia, dove EDF ed Alstom stanno sviluppando enormi impianti eolici, ad esempio, sulla costa tra Le Havre e Saint Nazaire o mentre la Germania, attraverso le società privatizzate, sta realizzando grandi impianti offshore nel Baltico collegati con imprese svedesi e russe. Sia in Francia che in Germania le società ex pubbliche privatizzate operano nel quadro di una politica industriale dettata dai rispettivi governi con le influenze esercitate sia dall’opposizione che dalla maggioranza dai movimenti ambientaliste e dai partiti Verdi. In Italia non è così.
Il cosiddetto Piano Energetico annunciato dal governo Monti riproduce, infatti, le iniziative in corso dell’Eni, alleato con altri monopoli internazionali nelle ricerche petrolifere, e che vuole realizzare infrastrutture a livello internazionale e ancora dell’Enel e dei monopoli elettrici per quanto riguarda il blocco sia dell’eolico che del solare fotovoltaico, mentre gli stessi impianti idroelettrici, costruiti con gli investimenti ampiamente ammortizzati dallo stato a partire dagli anni ’30, diventano oggetto di speculazioni nei numerosi passaggi di pacchetti azionari che la stampa ci fa notare ogni giorno. Sintomatico il caso dell’EDF divenuto unico proprietario dell’Edison che è felice di conferire per le sue centrali poste a poche decine di chilometri dal confine francese alla Borsa Elettrica italiana l’energia prodotta ad un prezzo che è il 30% superiore a quello ricavato nel proprio paese d’origine da centrali a metano dello stesso tipo.
Ridurre lo spread energetico diventa oggi un obiettivo fondamentale per chi vuole in Italia venire incontro alle esigenze delle famiglie, delle imprese, delle amministrazioni pubbliche e sviluppare nel contempo l’occupazione. Il decreto Bersani non è il Talmud bisogna modificarlo eliminando il riferimento agli impianti più costosi ed introducendo ad esempio il riferimento alle statistiche UE del costo dell’energia in Europa. Il che porterebbe, nell’immediato, alla chiusura degli impianti più arretrati e più inquinanti e ad una maggiore utilizzazione degli impianti più moderni a metano che oggi sono sfruttai al 60-70%. Eliminando nello stesso tempo i blocchi posti dai governi Berlusconi-Monti all’ingresso delle energie rinnovabili. Un tale governo dovrebbe subito convocare l’Enel, la Finmeccanica e la Fincantieri, principale beneficiaria della diffusione di impianti eolici offshore per promuovere lungo le coste italiane ed in particolare attorno alla Sicilia e la Sardegna parchi offshore lontani dalla costa creando così anche aree di riserva marina per centinai di Km quadrati. Alla proposta del governo Monti bisognerebbe contrapporre le linee di un Piano Energetico tendente, ai ritmi del 2011 del solare fotovoltaico e delle iniziative europee in corso per l’eolico, entro 10-15 anni, alla sostituzione totale delle energie fossili nella produzione elettrica. Per fare questo occorre un maggiore intervento pubblico valorizzando Terna e affidandole anche la gestione delle centrali idroelettriche che costituiscono un bene comune; affidando le reti urbane di distribuzione ai Comuni, così come per le strade; sviluppando anche il risparmio energetico, il riuso e il riciclo e la diffusione del solare fotovoltaico specialmente sui tetti degli edifici pubblici e delle zone industriali inquinate. E’ in corso una forte iniziativa per i referendum sociali sull’art. 8 e sull’art. 18, conquiste dei lavoratori italiani del secolo scorso e annullate dall’azione dei governi Berlusconi e Monti. Nel corso di queste iniziative occorre promuoverne altre, proprie del XXI secolo, come il referendum per i Beni Comuni o i progetti di iniziativa popolare tendenti a modificare gli orrori legislativi in materia ambientale dei governi Berlusconi e Monti. Occorre realizzare una mobilitazione analoga a quella che ha portato alla vittoria dei referendum dell’acqua e contro il nucleare e per la difesa dei beni comuni del 12 e 13 giugno dello scorso anno, causa principale, è bene ribadirlo ancora una volta, della crisi irreversibile del Berlusconismo e che potrebbe ora rovesciare il falso neoliberismo di Monti e dei suoi sostenitori.

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