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Rinnovabili 2015

a cura di Roberto Meregalli

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L’Italia è uno dei paesi più avanzati in Europa e nel mondo in materia di energie rinnovabili. Ricordiamo che già lo scorso anno abbiamo raggiunto il target previsto dalla Direttiva Europea 2009/28 conosciuta volgarmente con la sigla “20-20-20”, poiché già a fine 2013 la percentuale di energia rinnovabile sul totale dei consumi finali (elettricità, calore, trasporti) era salita al 16,7% (il target italiano al 2020 è del 17%).

Quota dei consumi finali lordi di energia - Fonte GSE
Fonte GSE

Il Bilancio energetico nazionale del 2013 (ultimo disponibile) evidenzia come a livello di fonti primarie, ossia delle fonti di base che servono a produrre tutta l’energia necessaria al paese, quasi il 20% è rinnovabile, mentre nel non lontano 2007 questa quota era sotto l’8%; quindi il balzo è stato notevole.

Bilancio energetico nazionale 2013
Fonte: Ministero dello sviluppo economico

In particolare è molto elevata la penetrazione nel settore elettrico, dove la percentuale nel 2013 era pari al 31,3% rispetto al target previsto per quell’anno, del 21%.

Grafico H
Fonte GSE

E’ ormai un luogo comune la critica sui costi dell’incentivazione alle fonti rinnovabili, soprattutto al fotovoltaico, ma non è così consolidata la consapevolezza di quanto siano riuscite, queste fonti, a rivoluzionare il sistema dell’energia italiano e di quanti benefici diretti e indiretti siano portatrici. Ad esse va unito l’effetto delle misure di efficienza che negli ultimi anni sono state fatte e che hanno contribuito in maniera sostanziale a ridurre i consumi.

Il risultato, nell’elettrico, è la crisi ormai irreversibile della generazione tradizionale termoelettrica, nessuna utility potrà pensare di affrontare il futuro senza radicali cambiamenti. A pronunciare la parola “fine” alle grandi centrali del passato è stato Francesco Starace che sta ripetendo con insistenza che Enel non costruirà più alcun grande impianto: “dobbiamo stare attenti al “gigantismo”, quindi ci impegneremo in tante piccole opere evitando quelle grandi[2]. Al contrario saranno chiuse per sempre 23 centrali a carbone, olio combustibile e gas, per un totale di 13 mila MW di potenza (vedi l’elenco completo nella cartina).

Questo per il nostro paese significa basta grandi centrali a petrolio, carbone o metano, un risultato non di poco conto sul fronte della salute e della tutela dell’ambiente, da non dimenticare in tema di bilanci.

Il rapporto annuale sui comuni rinnovabili, pubblicato nei giorni scorsi da Legambiente, conferma l’immagine di un paese che, pur tra mille contraddizioni, crede sia intelligente ricavare l’energia necessaria al nostro stile di vita, da acqua, sole, vento, geotermia e biomasse. In tutti gli 8.047 comuni italiani (tale il numero dei nel 2015), è installato almeno un impianto solare fotovoltaico e in 6.803 c’è almeno un impianto solare termico. 700 sono invece i comuni dell’eolico, 1160 quelli dove esiste un impianto mini-idroelettrico, 2.451 quelli con una centrale a bioenergie, infine 484 i comuni della geotermia.

La crescita dei comuni rinnovabili
Rapporto “Comuni Rinnovabili 2015” di Legambiente

La crescita della generazione elettrica da FER ha prodotto molteplici ricadute anche sui mercati elettrici, quello più evidente è la diminuzione dei prezzi dell’energia elettrica in Borsa, il cosiddetto effetto peak shaving, cioè dell’abbassamento del prezzo nelle ore di punta (picco) a causa della disponibilità di elettricità fotovoltaica ed eolica (la prima produce al massimo proprio nelle ore di picco). Nel 2014 ciò si è tradotto in un risparmio di 896 milioni di euro, meno rispetto al 2013 perché più bassi i prezzi rispetto a quell’anno (di anno in anno il solare sta abbassando i prezzi e, di conseguenza, i risparmi che riesce a produrre, come mostrato nel grafico che segue).

Meno evidente è la riduzione di fossili che abbiamo bruciato, nel 2014 ben 16,6 miliardi di metri cubi di gas metano in meno rispetto al 2007:

Meno fossili importati significa minor deficit nella bilancia dei pagamenti; nel 2012 per la voce energia, il saldo negativo era di circa 63 miliardi, nel 2014 si è contratto a 43 miliardi (dati Istat), il calo del prezzo del petrolio che ha interessato la seconda parte dell’anno si è tradotto in un risparmio di 5,5 miliardi, ma quasi tre volte tanto è stato il risparmio sulle importazioni di gas.

Risultato finale della prima rivoluzione energetica è che l’Italia è oggi il primo paese al mondo per percentuale di generazione fotovoltaica che copre la domanda elettrica: 7,9% davanti a Grecia (7,6%) e Germania (7%).

Fine della prima rivoluzione

Ma la grande crescita delle rinnovabili è terminata poiché la fine degli incentivi nel fotovoltaico (nel 2013) e il sistema delle aste per le altre fonti ha ostacolato ulteriori sviluppi. In particolare, per il fotovoltaico l’approvazione del cosiddetto spalma-incentivi ha bloccato il settore spingendo le imprese all’estero. Il Rapporto Irex Annual Report 2015 mostra come l’industria italiana delle rinnovabili abbia spostato i suoi investimenti olteconfine con circa 2,5 miliardi di investimenti, in prevalenza nell’eolico, soprattutto nelle Americhe. Gli investimenti fuori dai confini nazionali sono stai nel 2014 l’88% della potenza, ossia l’88% degli impianti costruiti dalle nostre imprese sono ubicati all’estero.

I dati sulle installazioni domestiche negli anni 2013 e 2014 sono a disposizione di tutti, il solare fotovoltaico nel 2013 era calato a 1.700 MW per le code residue del conto energia, per il 2014 non è ancora disponibile un dato definitivo ma si parla di 600 MW.

Per l’eolico il sistema delle aste ha colpito prima, dopo il record del 2012 di 1.239 MW, nel 2013 le installazioni erano crollate a 444 MW e nel 2014 a soli 107 MW.

I risultati delle aste dell’eolico sono stati fallimentari perché le regole hanno permesso la partecipazione a un sacco di società parassite, lasciando fuori le imprese che davvero volevano costruire impianti. Risultato: gran parte dei vincitori non hanno messo in piedi nulla perché per vincere hanno abbassato i prezzo sotto i valori reali, così dei vincitori delle aste del 2012 il 46% dei progetti è rimasto sulla carta, di quelli del 2013 addirittura il 75%. Globalmente solo il 21% degli impianti è stato realmente messo in piedi, 461 MW su più di 2.200 MW previsti (vedi tabella seguente).

A conferma della fine della “prima rivoluzione” è utile guardare i dati relativi all’elettricità prodotta nei primi quattro mesi del 2015; a domanda stabilizzata rispetto al 2014, la generazione rinnovabile è in calo perché ormai le variazioni dipendono dal meteo e il fotovoltaico non è ancora così diffuso da poter compensare la riduzione dell’idroelettrico quando al nord le precipitazioni calano come è accaduto in questo 2015.

Le fonti rinnovabili nel periodo gennaio-aprile 2015 (che includono anche circa 5,7 TWh da biomasse registrate nel termoelettrico) hanno contribuito per il 40,3% alla produzione elettrica nazionale e per il 34,5% alla domanda elettrica. Nello stesso periodo del 2014 queste due percentuali erano più elevate: rispettivamente del 43,7% e del 37,2%. Nel mese di aprile il consumo di gas nel termoelettrico è tornato a salire del 4,7% (dato GME).

Quale futuro quindi per le FER? Quali indicazioni provengono dal governo? Giovedì 7 maggio, rispondendo al question time in Senato, la ministra dello Sviluppo Economico Federica Guidi ha promesso entro la fine del mese di maggio un decreto di incentivazione alle rinnovabili non fotovoltaiche, specificando che non sarà definito alcun budget aggiuntivo, che durerà due anni e che come metodo di assegnazione si useranno ancora aste e registri.

Il tetto di spesa rimarrà fermo a 5,8 miliardi, quindi sarebbero a disposizione degli operatori i circa 100 milioni attualmente liberi sul contatore del Gse (che monitorizza il tetto raggiunto e segna 5,7 miliardi) e le risorse che potrebbero in futuro liberarsi per la fine di alcuni incentivi (i certificati verdi) sia per le revoche degli incentivi assegnati mediante aste e registri a impianti che non sono stati costruiti.

Secondo alcuni analisti (eLeMeNS) potrebbero essere a disposizione circa 250 milioni di euro più altri 150 milioni per l’anno 2016, che insieme potrebbero sostenere lo sviluppo di circa 1.500 MW di nuovi impianti rinnovabili. Ma sono solo ipotesi e molte sono le incognite (si pensi agli ex-zuccherifici convertiti a biomassa, che possono accedere direttamente agli incentivi senza preventive procedure e che potrebbero erodere pesantemente la cifra ipotizzata).

Per il fotovoltaico nulla, anzi per questa risorsa le modifiche normative che l’Autorità sta studiando per riformare la suddivisione degli oneri di rete sulle bollette potrebbe costituire un nuovo ostacolo. L’idea è quella di applicarle in toto anche agli autoconsumi (il che danneggerebbe i SEU che oggi sono la via di sopravvivenza del FV in Italia) perché, per usare le parole della Guidi “ragionando al limite, se tutti i consumatori autoproducessero l’energia di cui hanno bisogno … tutti sarebbero esenti e nessuno pagherebbe”. Vero ma nessuna politica si può basare su ragionamenti “al limite”, della serie “se tutti fossero onesti” o “se tutti avessero un lavoro”. Banalmente non esiste una strategia per la generazione distribuita per far sì che tutti autoproducano, perché non c’è alcuna convinzione alle spalle.

Ma l’evoluzione tecnologica farà quello che lo politica non farà, nel mondo la progressione è impressionante, l’annuncio di Tesla sulle batterie (con costi annunciati dimezzati rispetto ai concorrenti) ha dato una ulteriore spinta che le utility stesse stanno cavalcando (Enel ha annunciato il 12 maggio un accordo per realizzare un sistema di accumulo Tesla da 1,5 MW di potenza e 3 MWh di capacità di stoccaggio). La transizione verso un nuovo sistema energetico è in corso e non si fermerà.

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8 maggio: incontro “Magenta solare”

La Città di Magenta e l’Associazione Energia Felice
sono lieti di invitarvi a

8 maggio: Magenta solareMAGENTA SOLARE
Idee sul futuro nell’anno di EXPO 2015

VENERDÌ 8 MAGGIO 2015
ore 21.00 – CinemateatroNuovo – Via San Martino, 19 – Magenta

– Saluti e introduzione
Marco Invernizzi, Sindaco di Magenta
– Con-vivere. Imparare nell’era solare
Mario Agostinelli, Energiafelice
– I beni comuni hanno un’anima commerciale? L’alienazione nelle parole
Peter Kammerer, Università di Urbino
– Giustizia climatica. Quanto tempo ancora?
Marica Dipierri, Associazione A SUD
– Efficienza energetica a scala locale. Riflessioni su un’esperienza
Fulvio Fagiani, Coordinatore PAES
– Azioni per una città più verde. Credevamo fosse un sogno
Rosella Brumetti, Assessora all’Ambiente Comune di Corsico
– Energia e vita. Che Expo sarà
Massimo Scalia, Università La Sapienza

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TTIP: UN TRATTATO PER I FOSSILI E CONTRO IL CLIMA

di Mario Agostinelli, Qualenergia, Aprile 2015

Il cambiamento è già in atto

Hermann Scheer sosteneva che la sfida energetica del XXI secolo si sarebbe giocata tra atomo e sole, in un anticipo ridotto all’essenziale dello scenario entro cui la geopolitica deve far i conti con la sfida per la sopravvivenza della biosfera. Secondo l’ideatore del “conto energia” un mondo vivente, soffocato da protesi artificiali di cui l’uomo si è circondato e che ha industrialmente prodotto e accumulato a disprezzo dei cicli naturali, avrebbe cercato scampo nella fonte nucleare per rallentare il cambiamento climatico senza alterare il modello capitalistico di crescita illimitata della produzione e dei consumi e, insieme, di spreco imperdonabile di lavoro e natura.

Nel secondo decennio del nuovo millennio la realtà è assai più complessa di quanto Hermann presagiva e presenta già tutte le turbolenze di un cambiamento profondo del paradigma energetico. La sorpresa cui ci troviamo di fronte sta nel crescente successo delle fonti naturali accompagnate da una ostinata ricerca di efficienza. Risultato non più ascrivibile al solo progresso tecnologico e alla raggiunta convenienza economica, bensì alla consapevolezza che la stabilità e il futuro di un modello di produzione e consumo non debba più passare dall’accaparramento delle risorse fossili. Un possesso e, contemporaneamente, un esproprio, conseguito per via militare o per “accordi” asimmetrici imposti dalla disparità economica dei contraenti. La verità è che quello che i governi trascurano – la responsabilità di assicurare salute, riproduzione e conservazione della specie – sta prendendo piede in una coscienza diffusa di cui abbiamo quotidianamente riscontro e che desidera cooperazione politica, riorganizzazione sociale e convergenza di “stili di vita”. In una lenta ma a mio avviso inesorabile presa di distanza delle popolazioni dalla competizione che i governanti inseguono nell’arena globale del mercato, ne sta passando di acqua sotto i ponti…

Molte sono le avvisaglie di un processo difficilmente reversibile, a dispetto dei disegni che il prevalere dell’economia sulla vita cerca ancora di perseguire.

1) Nonostante i rischi della tecnologia nucleare vengano esorcizzati con la promessa di una sua riconversione innocua e pulita e con impegni massicci dei governi che ne apprezzano la ricaduta militare (l’industria nucleare americana sostiene che occorre aumentare del 20% i finanziamenti a fondo perduto per le industrie dell’atomo, mentre il Pentagono ne appoggia la richiesta, suonando l’allarme per le minacce alla sicurezza nazionale rappresentata dal cambiamento climatico), solo il piano cinese sembra uscire dallo stadio di progetto sulla carta. E si avvertono anche in Asia le resistenze dei movimenti antinucleari.

2) Nonostante la riduzione dei prezzi dei fossili non convenzionali abbia fatto gridare alla “rivoluzione dello shale gas, il prezzo del petrolio non si stabilizzerà al ribasso nel lungo periodo, dato che i vincoli alle emissioni ne ridurranno comunque la compatibilità. In compenso, cresce il rischio di bolle finanziarie, perché sempre più elevati sono i costi attuariali di estrazione, combustione e trasporto.

3) Le tecnologie rinnovabili decentrate (sole + vento + geo + idro + biomasse), invece, pur limitate da una relativa discontinuità, sono sfruttabili direttamente in pressoché ogni angolo del mondo e stanno raggiungendo la “grid parity” a ritmi fino a un decennio fa impensabili. Nei primi tre trimestri del 2014, la Cina ha speso 175 miliardi dollari in progetti di energia pulita, un salto del 16 per cento rispetto all’anno precedente. Stando in Europa, sono le imprese a valorizzare per prime la maggiore disponibilità di elettricità da FER, al punto di richiedere che sia il mercato ad adattarsi alle FER, estendendo la possibilità di accumulo e di ricorso a reti intelligenti. Anche Bloomberg – una origine insospettabile – da tempo indica nel solare la fonte più conveniente in quanto a stabilità per gli investimenti.

Un conflitto di così ampia portata, che riguarda nientemeno che la transizione da un sistema fossile e nucleare, fondato su concentrazione di capitale, finanza e infrastrutture proprietarie, ad un sistema di fonti naturali non proprietarie, diffuse e territorialmente governabili, non sfugge certo agli interessi dei governi e delle corporation che tengono il campo nell’economia, nel commercio, nel sistema finanziario globale. Ed è qui che entra in campo l’iniziativa che Stati Uniti ed Europa in particolare stanno assumendo sul fronte dei trattati commerciali che riguardano anche l’energia, di cui tratterò di seguito in dettaglio.

Il TTIP: tra “Washington consensus” e illusioni liberiste

Va qui ricordato che quando si tratta di esportazioni di GNL o shale gas, la legge statunitense concede l’approvazione automatica alle applicazioni per i terminali destinati a spedire il gas ai paesi che hanno sottoscritto accordi commerciali con Washington, mentre le richieste di terminali GNL per inviare il gas altrove, al contrario, devono passare-attraverso un processo di valutazione, che determina se tale commercio è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti. Questo è il nodo che gli Stati Uniti vogliono risolvere una volta per tutte a loro vantaggio e a vantaggio delle loro imprese, sia con l’UE che con i Paesi asiatici (Cina e India escluse) e dell’Oceania. Washington è attualmente impegnata in due importanti accordi commerciali multilaterali di negoziazione: il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP, con i 28 Paesi dell’UE) e la Trans-Pacific Partnership (TPP, con 11 Paesi nella regione Asia-Pacifico e Americhe). Di fronte ad una palese asimmetria che gli Stati Uniti vogliono rendere norma universale cogente, l’UE sta purtroppo rinunciando ai suoi obiettivi ed è giunta ad annacquare gli obiettivi di efficienza e rinnovabili che si era fin qui data.

Sono le maggiori imprese euro-americane che si sono mosse, formalmente per avviare negoziati per un accordo di libero scambio che aumentasse ulteriormente “la generazione di ricchezza monetaria legata al commercio”. Gli obiettivi non dichiarati esplicitamente stanno però altrove: non tanto rimuovere le barriere commerciali fra i due partner per facilitare la vendita di merci e servizi, quanto allineare al ribasso le norme ambientali e sul lavoro, consentire la privatizzazione dei beni comuni, affidare i contenziosi che si apriranno in tema di diritti ad un arbitrato di natura privata, in cui le multinazionali e i loro interessi avranno ruolo decisivo. Nel caso specifico dell’energia la cosiddetta “coerenza nei regolamenti” e una “più stretta cooperazione” minano alle fondamenta la cultura di cui l’Europa è stata a lungo leader nel mondo.

Business Europe – la più grande federazione di datori di lavoro europei, che rappresenta le maggiori multinazionali d’Europa – ha accusato la normativa ambientale europea di aver posto le imprese continentali in una situazione di svantaggio rispetto ai loro concorrenti globali, ed ha evidenziato la “necessità di ridurre il differenziale UE-USA”.

Sotto tiro ancora il protocollo di Kyoto, che in attesa della COP di Parigi entrerebbe in una nuova fase critica, dato che i grandi emettitori di CO2 avrebbero strada libera per aumentare l’inquinamento e, quindi, gli accordi sul clima troverebbero una sintonia di opposizioni sul fronte “atlantico”.

Il risultato del reciproco riconoscimento degli standard ambientali potrebbe essere il proliferare di tecnologie controverse come la fatturazione idraulica (fracking) per produrre il gas di scisto, con gravi danni alla salute e alla sicurezza delle persone e dell’ambiente. Il fracking, già bandito in Francia per rischi ambientali, potrebbe diventare una pratica tutelata dal diritto: le compagnie estrattive interessate ad operare in questo settore potrebbero – sulla base delle norme previste – chiedere risarcimenti agli Stati che ne impediscono l’utilizzo. Diverse imprese energetiche USA hanno posato gli occhi sui giacimenti europei di gas di scisto (specialmente in Polonia, Danimarca e Francia) e potrebbero avvalersi del TTIP per smantellare i divieti e le moratorie nazionali adottate per proteggere i cittadini europei. Nella sua attività di lobby BusinessEurope sollecita un capitolo energia che renda libero il flusso di petrolio e di shale gas dagli USA all’Europa. Ad oggi infatti non esiste export petrolifero dagli USA e per il gas si attende il 2016, ma esistono molte restrizioni legislative oltreoceano al riguardo. L’eliminazione di qualsiasi restrizione all’export di materie prime fossili in Europa è la richiesta di una industria europea che, consapevole dell’esaurimento delle risorse del vecchio continente (la produzione domestica di petrolio è stimata in calo del 57% al 2035 e quella del gas del 46%), ignora la possibilità della rivoluzione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e rimane ancorata a carbone, gas e petrolio.

L’Unione, dal canto proprio, ha fatto di tutto nell’ultimo periodo per preparare il terreno delle importazioni di idrocarburi non convenzionali. Ha stracciato tutti i regolamenti che si era data per limitare l’inquinamento, come la direttiva sulla qualità dei carburanti e quella sulla qualità dell’aria. Un regalo all’industria automobilistica da una parte, alle multinazionali dell’energia fossile dall’altra. Si andrebbe così verso l’armonizzazione nella concessione delle licenze di estrazione: i Paesi contraenti sarebbero obbligati a rimuovere ogni ostacolo che inibisca la libera circolazione dei combustibili fossili (ogni comunità che reagisca alla costruzione di oleodotti, leggi Keystone XL, o a nuovi pozzi, leggi Basilicata, è avvertita).

Interessante in questo quadro è notare la predisposizione del nostro Governo a anticipare le avances americane e a offrirsi come l’approdo (hub) europeo del gas. Federica Mogherini, alto rappresentante Ue per gli affari esteri e certo non estranea alle posizioni italiane al riguardo, ha fatto pressioni a dicembre sul segretario di Stato americano John Kerry per inserire il capitolo sull’energia nel Trattato e, con esso, aprire un canale di importazione per lo shale gas americano. Mogherini ha sostenuto che un capitolo sull’energia nell’accordo di libero scambio potrebbe rappresentare “un punto di riferimento per il resto del mondo” in fatto di mercati energetici.

Per i biocombustibili, il TTIP, attraverso l’armonizzazione delle normative europee in ambito energetico, incentiverebbe l’importazione di biomasse americane che non rispettano i limiti di bilancio di emissione di gas a effetto serra e altri criteri di sostenibilità ambientale.

Per le rinnovabili si profila il divieto assoluto di “domestic content nelle energie alternative” (quindi addio ad ogni connessione tra sviluppo locale e green economy), con stretti limiti alla possibilità in uso in Europa di incentivare le fonti naturali. In particolare, l’articolo O della bozza al comma a) vieta ai Governi di far valere “requisiti relativi al contenuto locale” nei programmi per le energie rinnovabili. Tradotto dal burocratese, significa abolire la corsia preferenziale per favorire chi produce e consuma sul posto energia rinnovabile.

Nei carburanti da autotrazione sono differenti i limiti inquinanti e anche qui il rischio è un accordo al ribasso. Assai critica è la discussione che si è aperta sulla qualità dei carburanti, che impone in Europa di assicurare una riduzione delle emissioni dei gas serra nell’intero ciclo di vita dei combustibili impiegati nel settore dei trasporti. Fin dalla sua adozione Shell, BP, Exxon Mobil, Chevron e gli altri big del petrolio hanno fatto pressioni per annacquare i suoi effetti. L’UE sinora ha sostenuto un “peso CO2” diverso per ciascun carburante in base all’origine/metodo di estrazione della materia prima. E’ su queste basi che il petrolio non convenzionale (ad esempio quello estratto dalle sabbie bituminose in Canada), che in seguito al processo di estrazione emette più anidride carbonica di quello convenzionale, viene penalizzato e fin qui rifiutato.

L’articolo D al punto 2, stabilisce che i Governi, in materia di energia, abbiano la possibilità di mantenere obblighi relativi all’erogazione dei servizi pubblici solo finchè la loro politica non è più onerosa del necessario. Diventerebbe quindi praticamente impossibile accordare ai più poveri e ai più deboli una “tariffa sociale” ribassata del gas o dell’energia elettrica. Prezzo di mercato per tutti, senza se e senza ma! (ma Renzi ci ha già pensato e la tariffa di maggior tutela per gas e elettricità cesserà per decreto tra un anno e mezzo).

Qualche riflessione conclusiva

In nome della competitività, dunque, si calpestano le capacità fisiche del pianeta, si ignorano le disastrose conseguenze sul clima, si ipoteca il futuro per un immediato piatto di lenticchie. Strano come questa enorme partita ancora non susciti allarme e reazione nell’opinione pubblica.

La rivoluzione Shale è sopravvalutata e potrebbe nel medio periodo rivelarsi strategicamente non solo poco risolutiva, ma addirittura perniciosa, dato che i vincoli climatici e finanziari di lungo periodo potrebbero risultare per questa tecnologia esiziali. In quanto rivaluta le riserve energetiche degli Stati Uniti precedentemente in grave crisi, fornendo ad essi una posizione di rilievo assoluto in un mercato tuttavia molto complesso, risulta ovvio che i produttori americani cerchino mercati di sbocco. Ma quale interesse può avere l’Europa – e il mondo intero – per un calcolo senza senso, se si parte dal bilancio energetico e dall’obiettivo di produrre sempre più elettricità consumando sempre meno risorse naturali, emettendo sempre meno anidride carbonica ed altri inquinanti. Questo dovrebbe essere l’obiettivo della politica energetica, preda ancora della retorica di una insuperabile contesa fra rinnovabili e fossili. E’ un discorso che in Italia, in una paradossale insicurezza energetica, dovrebbe rappresentare il nerbo di una politica industriale per sfruttare al massimo le proprie risorse naturali rinnovabili in un orizzonte che unisca lavoro, ambiente, clima e politica estera.

Non sembra che la classe dirigente mondiale – e italiana in particolare – sia all’altezza di una simile sfida. Basta ricordare che un esperto stimato come Alberto Clò, in una intervista ad un quotidiano nazionale, accusa l’Europa di “aver inseguito le farfalle delle rinnovabili”, “promuovendo una strategia illusoria di de-carbonizzazione delle fonti di riscaldamento e finendo per riversare su gas ed elettricità oneri non di mercato, legati agli incentivi per le “energie pulite”. Mentre, a suo dire – e delle sue fonti di ispirazione – “è certificato che nel lungo termine la crescita delle richieste energetiche potrà essere soddisfatta per l’80-85 per cento solo dai combustibili fossili”. Un po’ il contrario di quanto abbiamo provato qui a sostenere e documentare. Ma tant’è, perché se, a giudizio di Panebianco, l’obiettivo della politica energetica è quello di “spingere Teheran e Mosca a più miti consigli”, allora le grandi questioni dell’uguaglianza sociale e climatica, dell’accesso non dissipativo alle risorse naturali, del diritto alla pace come premessa ad una vita dignitosa, della democrazia come risorsa e potere di decisione saranno sempre fuori portata.

Ma al di là di tutto deve essere chiaro un vizio d’origine dei negoziati al centro della nostra riflessione. Il TTIP ripercorre la strada del NAFTA, del WTO, di decenni di Washington Consensus, di globalizzazione al servizio delle multi nazionali, riproponendo una ricetta ormai obsoleta. La libertà intesa come possibilità di fare ciò che economicamente risulta più conveniente, così da favorire solo gli oligopoli della ricchezza e danneggiare chi purtroppo non ha reddito sufficiente per difendere i propri diritti elementari. L’astrazione del mercato è un danno per il pianeta, l’economia deve rientrare nell’ecosistema perché le leggi della fisica non sono negoziabili. Questo andrebbe ricordato ai negoziatori del TTIP. E’ urgente sempre più un trattato sulla biosfera, che gli ultimi sussulti della geopolitica imperniata sulla guerra (militare, economica, sociale) vorrebbero allontanare nel tempo. L’appuntamento di Parigi a Dicembre potrebbe dare una chance a questo percorso nuovo, socialmente ed ambientalmente desiderabile, ma forse impraticabile se da qui ad allora si concludessero TTIP e TTP, due trattati che rappresenterebbero un nefasto canto del cigno di un liberismo che stiamo già ora pagando duramente.

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Corso di formazione “Energia del futuro e sviluppo sostenibile”

Il corso si prefigge di fornire le informazioni di base necessarie per capire e affrontare il tema delle fonti di energia e del suo legame con lo sviluppo e la sostenibilità. Durante il corso verranno descritte le modalità di produzione attuali (principalmente da fonti fossili) e la prospettiva della produzione futura da fonti rinnovabili (acqua, sole, vento, biomasse) sufficienti per rispondere al fabbisogno energetico dell’Umanità se unita ad un uso consapevole basato sul risparmio e l’eliminazione degli sprechi.

Si mostrerà l’importanza sociale, economica, energetica ed anche occupazionale del settore delle fonti rinnovabili e l’alternativa tra “energia di guerra” (nucleare+fossili) ed “energia di pace” (rinnovabili). Si forniranno utili indicazioni sui principali aspetti legali e fiscali che disciplinano il settore energetico. Alcuni esempi di impianti e di esperienze già realizzate oltre all’illustrazione di alcune soluzioni tecnologiche futuribili completeranno il corso.

Organizzazione: Carolina Balladares (Terra Nuestra)
Direttore: Alfonso Navarra (Energia Felice)
Periodo di svolgimento: marzo/aprile 2015
Sede: sala conferenze, via Marsala 8 – Milano
Incontri: n. 4 da 2 ore

Il corso è gratuito ed è necessaria l’iscrizione congiunta alle associazioni “Terra Nuestra” ed “Energia Felice”

PROGRAMMA (in formato PDF)

1° incontro 26 marzo 2015
Ore 18.30 – 20.30
Alfonso Navarra c/o Carmen Gargiulo c/o Maurizio Colleoni

  • Presentazione del corso
  • La sostenibilità dal quartiere all’edificio
  • Costo del riscaldamento e isolamento termico
  • Pompe di calore e pannelli termico solari
  • Risparmio energetico nel quadro normativo nazionale

2° incontro 2 aprile 2015
Ore 18.30 – 20.30
Giuseppe Farinella c/o Rinaldo Zorzi

  • La produzione di energia elettrica in Italia e nel mondo
  • Nozioni generali sulla tecnologia fotovoltaica ed eolica
  • Riferimenti legislativi e incentivazione delle fonti rinnovabili
  • Tecnologie per la misura e il risparmio dell’energia in ambito domestico

3° incontro 9 aprile 2015
Ore 18.30 – 20.30
Roberto Meregalli c/o Fabio Strazzeri

  • La fabbrica del cibo: quanta energia, quanto inquinamento e quante emissioni climalteranti produce il sistema agroalimentare
  • Come si legge la bolletta
  • Contenziosi con i fornitori di energia

4° incontro 16 aprile 2015
Ore 18.30 – 20.30
Mario Agostinelli c/o Alfonso Navarra

  • Concetto generale di energia: energia e vita, energia e sviluppo
  • Energie rinnovabili e salvaguardia del pianeta
  • Energia nel futuro: rinnovabili, fissione, fusione
  • Piano energetico nazionale
  • Conclusioni

 

Supporti didattici:

  • Testo: “Cercare il sole dopo Fukushima” Aut. Mario Agostinelli, Roberto Meregalli, Pierattilio Tronconi;
  • Testo: “CIBO NON CIBO” Aut. Roberto Meregalli;
  • Testo: “Esigete! Il disarmo nucleare totale” Aut. Stéphane HESSEL e Albert Jacquard;
  • book: “ABB quaderno 10: Impianti fotovoltaici“ Ed. ABB;
  • book: “L’energia fotovoltaica op.22” Ed. ENEA;
  • Testo: “Energia per tutti” Manuale ARCI
  • Dispense dei relatori;
  • Slide “Energia Felice”

 

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