Archivi categoria: Energie rinnovabili

Presidio sotto il Pirellone e incontro con assessore Terzi

non incenerireLa grande mobilitazione nazionale lanciata da Zero Waste Italy e dal grande schieramento di Associazioni nazionali e Comitati e Movimenti locali in tutte le Regioni contro il decreto applicativo dell’art.35 dello #SbloccaItalia e i conseguenti incontri con i Presidenti regionali hanno prodotto un primo importante risultato.

Oggi si è tenuta la Commissione ambiente-energia della Conferenza Stato-Regioni che ha confermato che l’incenerimento dei rifiuti non è considerato prioritario, giovedì 10 settembre si riunisce la Presidenza dalla Conferenza delle Regioni per preparare il plenum della Conferenza Stato-Regioni per il 24 settembre in cui si ipotizza il rinvio al 2016 del Decreto dopo le opportune valutazione delle Regioni sulla rispettive necessità impiantistiche alla luce dei progressi delle Raccolte Differenziate, oltre alle previsioni dei Piani di Riduzione dei rifiuti e a schemi alternativi per i TMB intesi al recupero di materia, mentre il Decreto li considera impropriamente come finalizzati solo alla produzione di CSS.

Si ringraziano fin d’ora tutti i cittadini che hanno risposto in massa all’appello di Zero Waste Italy e del suo Presidente Ercolini e i nostri tecnici di riferimento e supporto, che con le loro puntuali controdeduzioni tecniche ha messo in crisi lo schema legislativo forzato, proposto dal Governo.

Ovviamente l’impegno non finisce qua. E’ solo il primo passo di una battaglia, lunga estenuante e difficile verso una società a Rifiuti Zero.

La cittadinanza attiva come sempre ha fatto la sua parte e vigilerà da qui in avanti per eliminare definitivamente i gravi rischi per l’ambiente, la salute e l’economia che il decreto applicativo stava per determinare.

Con la stessa convinzione chiediamo ai Presidenti di regioni che abbiamo incontrato e che hanno risposto positivamente alle nostre osservazioni di mantenere alta la guardia nei confronti di ogni azione che possa mettere a rischio le pratiche virtuose di anni verso la sostenibilità e l’economia circolare di cui il nostro paese è all’avanguardia in Europa.

Si auspica infine un confronto col Ministro dell’Ambiente On. Galletti in uno con la Presidenza della Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome per scongiurare ulteriori errori di valutazione e definire uno scenario legislativo verso una società a Rifiuti Zero nel solco della proposta di Legge di Iniziativa popolare in discussione in Parlamento e forte della sottoscrizione di circa 90 mila cittadini elettori.
Zero Waste Italy

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Trivelle e nomine: reggono alla luce del sole?

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Dev’essere sconfortante dover partecipare ad una delle riunioni convocate da Renzi: sentirsi dire, senza poter battere ciglio, che il corso della storia coincide con la sua agenda politica non può che portare sconforto a chiunque abbia contezza delle urgenze ambientali e sociali che ci stanno cadendo addosso.
Ad esempio, il Papa, Obama (vedi gli ultimi post su questo blog), un’alleanza delle 24 principali istituzioni scientifiche britanniche guidate da Nichola Stern, i sindaci di tutto il mondo riuniti a Roma il 15 luglio, i  movimenti popolari accorsi in Bolivia, hanno lanciato il loro grido di allarme contro il probabilissimo superamento di 2°C della temperatura della terra.

L’opinione pubblica mondiale, i media e la società civile sono ora molto più impegnati e vi è una maggiore attenzione e pressione sui governi a mettere da parte gli interessi nazionali egoistici e sta nascendo un solido consenso per un cambiamento del trattato sul clima, per mitigare l’estrema gravità del degrado del nostro pianeta come risultato delle attività umane. Questa crescita di consapevolezza politica ed etica dovrebbe portare i governi ad intervenire sulle strategie energetiche e sulla politica industriale con benefiche ricadute sull’occupazione, in coerenza con un cambio profondo del modello fin qui perseguito. Ne sentite mai parlare negli innumerevoli report televisivi sulle esternazioni e gli immancabili tweet del premier?

Dato che i sette Paesi più grandi particolarmente responsabili delle emissioni attuali (Cina, Usa, Ue, India, Russia, Giappone e Canada), devono affrontare questo problema e sono consapevoli del fatto che l’umanità non può accettare ancora una volta la loro incapacità di agire, perché non affrontare anche in Italia questo decisivo passaggio, con trasparenza e concretezza, invece di dedicarsi giornalmente alle nomine dei manager e dei dirigenti che sequestreranno anche le decisioni sul clima dentro le cerchie lobbistiche e lontano dall’opinione pubblica?

Ad esempio, come è possibile che per il Sud si mettano all’opera le trivelle di nascosto dalle popolazioni e si progetti un insensato aumento delle perforazioni in mare, anziché un investimento straordinario nel sole, così prodigo di irraggiamento in quelle regioni? Nel mondo cresce il ricorso alle energie naturali, mentre noi stiamo mettendo fuori gioco le professionalità e l’esperienza del nostro settore industriale nell’eolico, nel solare e nella geotermia, mentre piazziamo risorse sul piatto delle fonti fossili. Vediamo un po’, allora, qualche esempio fuori dai palazzi romani.

Anche prescindendo dalla solita Germania, il cambiamento è impressionante. Obama ha fortemente irritato l’industria carbonifera Usa con una rigorosa riduzione dei gas di scarico delle centrali, che diminuirà la domanda di carbone a 650 milioni di tonnellate rispetto alla media di 1 miliardo all’anno. Inoltre il suo programma intralcerà certamente la scommessa dello shale gas, visto che sarà incentivata la quota delle rinnovabili nel mix di produzione e che, di conseguenza, secondo la Bloomberg New Energy Finance Research, “La crescente competitività delle energie rinnovabili indebolisce le prospettive di generazione di gas: nel 2040 si arriverà solo a un aumento inferiore al 30% rispetto al 2015″. SunEdison, l’azienda americana leader mondiale del fotovoltaico, ha iniziato la costruzione di 110 MW di fattorie solari in Cile.

Dall’altra parte del continente, la Banca di sviluppo brasiliana BNDES ha annunciato che quest’anno aumenterà il finanziamento di progetti di energia eolica ad un ritmo che, sebbene inferiore rispetto al 2014, contempla pur sempre un aumento del 15% rispetto all’anno precedente.

King Abdulaziz, la città della scienza dell’Arabia Saudita, ha firmato un accordo interno per costruire una fattoria solare di 50 MW, eguagliando in un sol colpo la potenza finora in funzione nel paese che è il più grande esportatore di petrolio. Anche l’Iran sta cercando di sfruttare le sue buone risorse eoliche. Il governo prevede di incentivare e installare 5GW di capacità entro il 2020, nel tentativo di alimentare il fabbisogno elettrico della sua popolazione: il recente accordo apre alle aziende (cinesi ed Usa finora) un grande mercato, ma le aziende italiane sono tagliate fuori.

Il governo etiope ha firmato il primo contratto per l’elettricità prodotta da centrali geotermiche nel sito di Corbetti per 500 MW di potenza. Il progetto in fase di sviluppo è in carico a soggetti islandesi e fa ricorso al Fondo africano per l’energia rinnovabile. L’Indonesia sta attivando il più grande gasdotto geotermico, mentre Guatemala, Honduras e la Nuova Zelanda stanno facendo investimenti in un settore in cui l’Italia è sempre stata all’avanguardia. L’India sostenuta dal fondo monetario, sta avviando il più grande progetto finanziario per incentivare il risparmio energetico.

La breve rassegna qui esposta dice che nel mondo si va da tutt’altra parte e, tra l’altro, in settori in cui l’Italia vanta una posizione di primo piano. O meglio, vantava. I dati definitivi del settore elettrico, diffusi come di consueto da Terna a metà luglio, dicono che la grande crescita nelle rinnovabili è cessata nel 2014 e che la nuova potenza rinnovabile installata è di “soli” 676 MW.

La luce del sole, dati alla mano, dovrebbe abbacinare la frenesia delle nomine lottizzate e delle trivelle: infatti lo scorso anno le FER hanno generato 120.679 GWh, un bel 7,7% in più del 2013, una quantità di elettricità equivalente ai consumi totali di tre regioni energivore come Lombardia, Veneto e Piemonte o quasi equivalente al totale dei consumi dell’industria italiana (122,5 TWh)! Il loro peso è stato pari al 39% della domanda totale (che è stata pari a 310,5 TWh) e al 43% della produzione nazionale lorda (pari a 279,8 TWh). Nel 2015 invece la produzione da fonti rinnovabili ha segnato una flessione mentre la produzione da fonti fossili è in un aumento. Ben vengano allora le proteste e le manifestazioni di questi giorni.

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Cambiamenti climatici: la svolta di Obama

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Il conto alla rovescia per la XXI Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici (Cop 21), che si terrà a Parigi nel dicembre 2015, è già iniziata.  Da noi, con un governo impegnato allo stremo per le “riforme” non se ne parla proprio.  Dopo la pubblicazione della sua straordinaria enciclica Laudato Sì, il papa il 21 Luglio ha accolto sindaci e governatori delle principali città di tutto il mondo (comprese Milano, Roma, Napoli), che hanno firmato, assieme a Francesco, una dichiarazione che invita i governi di tutto il mondo ad adottare misure audaci alla Cop21 per limitare entro i 2°C l’aumento di temperatura, dato che la crescente preoccupazione per la salute del pianeta non accenna a diminuire.

In un nuovo rapporto sulla base di input da 413 scienziati provenienti da 58 paesi, la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti ha concluso che il 2014 è stato l’anno più caldo mai registrato. Il direttore dei Centri nazionali di informazione ambientale NOAA Thomas Karl ha avvertito che il cambiamento climatico non solo si registra con la temperatura dell’aria, ma anche con quella sul fondo dell’oceano e dell’atmosfera più esterna. Come risultato di questa situazione ci sono stati 91 cicloni tropicali nel 2014, ben al di sopra della media di 82 tempeste che si sono verificate nel periodo 1981-2010, secondo le conclusioni della NOAA.

Ora tocca ai politici a mostrare la loro dimensione di statisti mondiali. Diplomatici e politici sarebbero responsabili di un fallimento a Parigi, dato che il fallimento non è un’opzione. In questo quadro Obama ha deciso di giocare la sua eredità, oltre che su un avanzamento del sistema sanitario fortemente combattuto dai conservatori su una battaglia efficace per il clima. In una nota del New York Times del 2 Agosto firmata da Coral Davenport e Gardiner Harris e in un video postato su Facebook a mezzanotte dallo stesso presidente, si comunica che gli Stati Uniti intraprenderanno la più forte azione mai presa per combattere le emissioni climalteranti.

Il regolamento, che verrà imposto a tutti gli Stati federali, introdurrà una radicale trasformazione del settore elettrico degli Stati Uniti, favorendo uno spostamento “impetuoso” dall’energia elettrica prodotta con carbone alle energie rinnovabili. Per le centrali esistenti si ridurranno del 32 per cento entro il 2030 le emissioni conteggiate al 2005. La quota di fonti rinnovabili con capacità di generazione di energia nel 2030 sarà superiore del 28 per cento rispetto all’attuale.

Per favorire l’espansione sostitutiva di rinnovabili, l’amministrazione Obama ha anche cambiato la sua proiezione sulla quota del gas naturale nel mix di potenza degli Stati Uniti nel 2020, per evitare quella che sarebbe un “corsa veloce al gas” per allontanarsi dal carbone. Il piano spinge, prima del cambio di combustibile (da carbone a gas), a programmare riduzioni di consumi attraverso l’efficienza energetica e a compensi di potenza con energia naturale (sole, vento, acqua, biomasse). Il piano sarà fondamentale per il contributo degli Stati Uniti per un accordo delle Nazioni Unite per affrontare il cambiamento climatico, in cui l’amministrazione Obama ha annunciato di voler svolgere un ruolo di leadership.

Naturalmente occorrerà vedere la traduzione reale di queste decisioni, quanto ci sia di diplomatica propaganda in vista di Parigi e quanto verrà contrastato dalle lobby dell’energia fossile, già in movimento. Le associazioni del settore e alcuni legislatori di stati come Virginia e Maryland, che hanno contato da sempre su energia da carbone, hanno detto che si sfideranno nelle Corti e attraverso tutte le possibili manovre nel Congresso, accusando l’amministrazione di un assalto normativo che farà salire i prezzi dell’energia. Ma nel piano c’è già una prima risposta: “ridurre la bolletta energetica per le famiglie a basso reddito” di almeno 85 $ e abbattere i costi delle tecnologie energetiche rinnovabili, argomenti da anticipare per gli avversari che sosterranno che il piano sarà troppo costoso.

Il cambiamento climatico non è un problema per un’altra generazione, non più“, ha detto Obama nel video di sabato scorso. L’Enciclica papale rivolge la sua carica all’emergenza di fronte a cui siamo. Il dibattito si allarga con una presa di coscienza sempre più ampia. C’è solo da augurarsi che anche la nostra opinione pubblica non venga ulteriormente distratta (chi parla della Cop 21 a EXPO 2015?) e che una classe dirigente tutta intenta a contendersi e conservare il comando di un vascello alla deriva si accorga da dove provengono le tempeste.

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Il nuovo paradigma: trasformare l’economia per vivere nel tempo dei limiti

a cura di Gianni Silvestrini

Il capitalismo ha avuto come sua ragion d’essere l’aumento continuo della crescita dell’economia. Anche il socialismo russo e quello cinese, all’insegna rispettivamente degli slogan “elettrificazione più soviet” e “non importa di che colore sia il gatto purché catturi il topo”, hanno perseguito una logica di aumento del Pil, scandita dagli obiettivi dei piani quinquennali.

Il nuovo paradigma: trasformare l’economia per vivere nel tempo dei limiti

Ma il ventunesimo secolo porta con sé problemi nuovi, che esigono risposte differenti. La popolazione raggiungerà il suo massimo, alcune risorse come cibo, acqua, petrolio, diversi minerali, diventeranno sempre più difficili da ottenere. Ma, soprattutto, l’uomo dovrà fare i conti per la prima volta con un limite autoimposto, la necessità di contenere la produzione di gas climalteranti.

Se la storia passata ha visto la rovina di intere popolazioni di fronte a limiti mal gestiti (i Maya, i Vichinghi, gli abitanti dell’Isola di Pasqua, ecc.) (Diamond Jared, “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere”, Einaudi 2005) nella storia recente molte difficoltà sono state superate grazie ad innovazioni sempre più sorprendenti ed efficaci. E c’è da aspettarsi che nei prossimi decenni le straordinarie potenzialità come descritte nel libro “2 °C“, dalla rivoluzione digitale a quella dell’uso delle risorse, contribuiranno ad affrontare le varie criticità. Salvo una, la concentrazione di gas climalteranti in atmosfera, che richiederà un approccio radicalmente nuovo.

Questo vincolo, che non era stato esplicitamente considerato nei “Limiti dello sviluppo” del 1972 (Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, JorgenRanders, William W. Behrens III (1972), The Limits to Growth. New York, Universe Books. Traduzione italiana: I limiti dello sviluppo, Milano, Mondadori, 1972), avrà un effetto profondo sulle economie. Nel corso dei secoli, a parte i casi citati di scomparsa di intere civiltà, il raggiungimento di un limite (risorse idriche, boschive, prodotti agricoli …) ha determinato lo spostamento delle popolazioni alla ricerca di habitat più consoni, magari strappandoli a chi già vi abitava, o ha stimolato innovazioni in grado di superare le difficoltà.

Gli equilibri climatici, per la prima volta nella storia dell’uomo, obbligheranno ad unaprofonda riconversione delle economie perché non possiamo pensare realisticamente di spostarci su un altro pianeta. Fortunatamente, come si è detto, siamo entrati in una fase di evoluzione tecnologica di tale portata da lasciare intravvedere la possibilità di una transizione virtuosa, naturalmente con caratteristiche molto differenziate nei vari paesi.

Certo il rallentamento della crescita esponenziale delle emissioni climalteranti, registrata negli ultimi decenni, e la successiva spinta ad una loro forte riduzione rappresentano una sfida di dimensioni colossali, difficile da vincere se la rivoluzione digitale non sarà accompagnata da altre decisive trasformazioni.

Pensiamo alle dinamiche che s’innescano in un’economia di guerra. Cambiano i modelli comportamentali, aumentano i vincoli di solidarietà, s’impongono nuove regole. Analogamente, la consapevolezza dell’esistenza di un limite insuperabile, quello sulle emissioni, potrebbe indurre mutamenti profondi nel funzionamento delle società. Ma la necessità di introiettare il concetto del limite non deve essere intesa in senso “pauperistico”. Per fare un esempio, le giornate senz’auto che hanno visto il coinvolgimento di molte centinaia di città italiane ed europee all’inizio del secolo, hanno fatto riscoprire a milioni di abitanti la bellezza delle città liberate dalle auto.

Un altro elemento determinante sarà l’ampliamento dell’economia informale, di quegli spazi dei “beni comuni collaborativi” citati da Rifkin nel suo ultimo libro (L. Rifkin, “La società a costo marginale zero”, Mondadori, 2014) che, se ben gestiti, potrebbero garantire un maggiore equilibrio sociale. Se l’economia di guerra lo ottiene livellando verso il basso, la consapevolezza interiorizzata del limite può indurre unagestione più condivisa dei beni naturali e avviare cambiamenti comportamentali in grado di garantire un benessere equilibrato.

Alla luce di queste considerazioni, prende forma l’idea di una transizione tecnologica, economica e sociale – che potrebbe implicare anche una revisione dei meccanismi di funzionamento del capitalismo. Più volte infatti si è indagata la possibilità di una gestione diversa delle regole del capitale per tenere conto di vincoli ambientali, come hanno fatto Lovins e Hawken in “Capitalismo Naturale” (AmoryLovins, L. Hunter Lovins, Paul Hawken, Edizioni Ambiente, 2001).

Non è certo un’evoluzione scontata. A fronte della necessità di scelte drastiche nel contenimento delle emissioni, va sempre considerato il rischio che più si ritarderà nella definizione di strategie di riduzione delle emissioni, più severe saranno le misure da mettere in atto, fino all’introduzione di divieti destinati a limitare la libertà dei cittadini. Uno scenario preoccupante che può essere evitato accelerando le trasformazioni già avviate in vari settori dell’economia.

Nello scenario di decarbonizzazione, alcuni grandi poteri sono destinati a perdere la loro forza. Pensiamo alle multinazionali dei fossili, alle aziende elettriche, ma anche ad altri comparti industriali, come quello dell’auto. Il settore manifatturiero dovrà puntare a prodotti con caratteristiche diverse, come la maggior durata, e subirà trasformazioni strutturali, con una tendenza al decentramento delle lavorazioni.

La circolarità dei processi e la razionalità nell’uso di risorse sempre più difficilmente accessibili diventerà il nuovo quadro di riferimento. Questo modello sarà particolarmente utile per i paesi emergenti che potrebbero saltare interi passaggi impattanti e energivori, nella produzione energetica e nella manifattura, che hanno caratterizzato lo sviluppo delle economie industrializzate nel secolo scorso. Una possibilità tutt’altro che scontata, ma che in alcuni casi si sta già realizzando.

Questo articolo è un estratto dal libro di Gianni Silvestrini, “2 °C. Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia”, Edizioni Ambiente, febbraio 2015.

www.duegradi.it è il sito dedicato al libro. L’estratto è stato pubblicato con il consenso della casa editrice.

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Il carbone di A2A, sporca fuori, pulita dentro

dal Blog di Mario Agostinelli

Diversi commenti all’ultimo mio post su A2A e il carbone nella centrale compartecipata in Montenegro criticano la mia “pretesa” di avanzare riserve di carattere ambientale su operazioni vantaggiose economicamente anche se “sporche”. Vorrei innanzitutto ricordare che ex municipalizzate – ora SpA – come A2A hanno come azionisti di maggioranza i comuni che le hanno fatte nascere per gli esclusivi interessi dei loro abitanti. Di conseguenza, nei loro casi, la redditività economica non può prescindere dalla salute, dai danni climatici, dai rischi finanziari – non solo attuali – cui possono essere esposti i cittadini (in questo caso di Brescia e Milano).

In questo quadro risulta allora istruttivo valutare il resoconto dell’assemblea annuale di A2A del 10 giugno scorso in cui si è preso in esame il coinvolgimento montenegrino dell’azienda, su richiesta esplicita di un azionista critico nei confronti dell’importazione di elettricità da carbone. Seguendo le piste della domanda avanzata a nome di un comitato locale e delle risposte del Presidente, scopriamo che:

a) Andrebbe superata la diffidenza verso una attività “colonizzatrice” da parte dell’azienda milanese-bresciana. Dal che si deduce che per il management è superato l’ambito territoriale vissuto come linea guida dell’attività e che il mercato è il campo aperto in cui si giudica la strategia aziendale. Che, nel caso, può essere quella di incorporare gradualmente le aziende a partecipazione comunale di tutta la Lombardia e rischiare avventure extraterritoriali discutibili sotto molti profili, purché immediatamente redditizie (nel caso del Montenegro l’affidabilità di quel governo non è certo indubbia).

b) Il negoziato con il governo del Montenegro per continuare l’avventura del carbone verrà sottoposto a verifiche di redditività e efficienza aziendale, senza cenno alcuno alle implicazioni ambientali locali e globali della combustione di quantità elevate di lignite. E inoltre, nel caso di rottura del tavolo, è previsto un “arbitrato internazionale a Washington” per salvaguardare e dare valore attuale all’investimento realizzato nel 2009. Ci sono aspetti da non minimizzare: per esaminare la convenienza effettiva dell’operazione, occorrerebbe spiegare come si importerebbe l’energia prodotta a basso costo, se non con un elettrodotto (quello “interadriatico” approvato contro i territori abruzzesi di approdo e finanziato pubblicamente?); inoltre, se si ricorre ad un arbitrato, dove comparirebbero gli interessi dei cittadini milanesi, bresciani e montenegrini? Non è forse una delle maggiori obiezioni al negoziato tra Europa e Stati Uniti (Ttip) quella della possibilità di sottoporre a decisione esterna di natura privata i conflitti tra governi o enti pubblici e imprese? Perché proprio A2A – società ancora a maggioranza pubblica – dovrebbe spingersi in questa direzione?

c) La paradossale inversione dei fini dell’operazione Montenegro, rende ancora più oscure le ragioni del perché siano i cittadini a doverla finanziare: importare energia gravida di CO2, non fa bene all’ambiente, allontana il rispetto dei nostri impegni sul clima e contrasta con ogni dichiarazione pubblica dei nostri governanti come quella al G7 in Germania, dove ci siamo impegnati a fare di tutto per mantenere l’aumento di temperatura globale sotto i 2°C. Se da questi impegni scaturisse – che so – una Carbon Tax, dove finirebbe la valutazione di mercato espressa nell’immediato e che da molti è ritenuta determinante ed esaustiva?

Con le tendenze sempre più accentuate al decentramento della produzione energetica e all’ottimizzazione su base territoriale dei cicli di acqua, energia, cibo e consumo di suolo, si sente il bisogno di interventi pubblici e partecipati, sottratti alla sola dimensione del mercato. La privatizzazione in corso delle municipalizzate dell’energia, l’estremizzazione dell’autonomia manageriale, lo scarso controllo su di essa dei comuni e dei cittadini, facilitano anziché contrastare l’ancoraggio al modello dei fossili. A2A dovrebbe rivolgere il suo futuro industriale e la sua strategia innovativa alla componente idroelettrica e rinnovabile assai più che a quella fossile-gas-inceneritori-teleriscaldamento. Alle giunte comunali nessun suggerimento per il dopo Expo dallo slogan “energia per la vita”?

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