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Una nuova era

Il clima cambia, la politica italiana no

 

I mass media nei giorni scorsi hanno parlato di una nuova era climatica, pubblicando i dati dell’Organizzazione metereologica mondiale che hanno annunciato che nel 2015 per la prima volta il livello di CO2 nell’atmosfera ha superato la soglia delle 400 parti per milione.

Per la maggior parte di noi non è una cifra molta significativa, la nostra percezione dei cambiamenti climatici è legata al caldo torrido estivo, ai periodi di siccità, alle “bombe d’acqua” che allagano le strade ed abbattono gli alberi nel giro di poche decine di minuti; oppure all’assenza di neve e di gelo nei recenti inverni, ai ghiacciai alpini ormai agonizzanti. Per gli scienziati invece è la concentrazione di anidride carbonica a misurare i mutamenti in atto e soprattutto quelli futuri, perché la CO2 una volta emessa rimane nell’atmosfera per migliaia di anni e ancor di più nelle acque degli oceani.

L’annuncio dell’Organizzazione metereologica mondiale conferma la mole dei dati contenuti nell’ultimo rapporto di valutazione sul cambiamento climatico elaborato dall’IPCC , il Fifth Assessment Report (5AR), presentato due anni fa, nell’ottobre 2014, che in sostanza ha evidenziato come il cambiamento del sistema climatico non abbia precedenti nella storia degli ultimi 800.000 anni del nostro pianeta in termini di concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, metano e protossido di azoto, che assieme ad altri forzanti radiativi di origine antropica, sono la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del XX secolo.

E non si tratta di calcoli teorici perché il dato è frutto delle perforazioni in Antartide spintesi a 3.200 metri di profondità per analizzare la composizione dell’aria intrappolata nel ghiaccio.

L’IPCC ci dice che le emissioni di CO2 legate alla produzione di energia da combustibili fossili e processi industriali hanno contribuito a circa il 78% dell’incremento delle emissioni totali di gas serra registrate tra il 1970 e il 2010. Questo dato spiega perché si parla tanto di decarbonizzazione del settore energetico e quindi di come ridurre rapidamente l’uso delle fonti fossili e sostituirle con l’energia del sole, del vento, della terra e del mare.

E su questo fronte l’Agenzia Internazionale per l’energia (l’IEA) ha annunciato che nel 2015 per la prima volta le rinnovabili hanno superato il carbone in termini di potenza installata, piazzandosi in cima al podio delle fonti per generare elettricità. L’IEA ha rivelato che ogni ora nel mondo vengono installate 2 turbine e mezzo e 30 mila pannelli solari e che tre sono i paesi chiave dove le rinnovabili si svilupperanno di più nei prossimi anni: Cina, Stati Uniti ed India, la Cina da sola varrà il 40% della nuova potenza rinnovabile installata nel periodo 2015-2021. Ma va aggiunto che Cina ed India sono anche i paesi in cui si prevede che la domanda di elettricità crescerà ad un ritmo ancora maggiore di quello delle rinnovabili.

E l’Europa?

Il vecchio continente, ne abbiamo già parlato in passato, sembra aver ormai esaurito il suo ruolo di leader e negli ultimi anni ha bloccato quasi ovunque gli incentivi preoccupata del loro costo, cercando una compensazione (più teorica che reale) nel sequestro della CO2 da impianti termoelettrici, nello sviluppo del nucleare e nella diversificazione degli approvvigionamenti di gas. Eppure il sequestro della CO2 è rimasto a livelli sperimentali, il nucleare è fuori mercato e nel paese che ha investito di più, la Francia, è in crisi. E’ evidente che se l’Europa continuerà così non raggiungerà l’obiettivo annunciato della completa decarbonizzazione della produzione elettrica fissato per il 2050. Di fronte alla drammaticità del cambiamento in atto il vecchio continente non può mettere la testa sotto la sabbia fingendo che i problemi siano altri, non può continuare a considerare il pianeta e le sue risorse come un sottosistema dell’economia.

Ed in questa Europa il nostro Paese non si distingue in senso positivo.

Terna ad inizio ottobre ha finalmente diffuso i dati definitivi della generazione elettrica del 2015 confermando che i consumi sono tornati a salire ma con essi la generazione da fonti fossili, mentre è calata quella da fonti rinnovabili. Rispetto ai dati provvisori l’idroelettrico risulta aver prodotto due miliardi di chilowattora in più (TWh), ma le notizie positive si chiudono qui perché le fonti rinnovabili globalmente sono calate di quasi il 10% (9,8% per la precisione) e dai 120,7 TWh del 2014 sono scese a 108,9 con una incidenza sul consumo interno lordo di energia elettrica, al netto degli apporti di pompaggio, pari al 33,2% (era il 37,5% nel 2014).

E questo 2016 si sta rivelando ancora peggiore perché i dati da gennaio a settembre mostrano una produzione da rinnovabili di soli 83,7 TWh rispetto agli 86,2 dell’analogo periodo 2015 ed ai 94,2 del 2014. Anche a settembre 2016 l’elettricità prodotta da fonte fossile è aumentata del 7,7% mentre continua il crollo dell’idroelettrico e la crisi del fotovoltaico che da inizio anno ha prodotto il 10% in meno.

Questo andamento della generazione elettrica rende totalmente senza senso la riforma delle tariffe elettriche in fase di attuazione, varata lo scorso anno per rendere meno conveniente il risparmio proprio per favorire il passaggio dei consumi dal gas all’elettrico.

Non tutti i dati per fortuna sono negativi, ad esempio quelli di Anie Rinnovabili dicono che dopo due anni di crisi profonda c’è un timido accenno di ripresa delle installazioni di pannelli fotovoltaici: nei primi nove mesi dell’anno ne sono stati installati per circa 279 MW, quindi arriveremo a circa 300 entro fine anno, ma si tratta di una quantità ancora troppo bassa anche solo per compensare il calo fisiologico del vecchio installato.

Se il nostro Paese vuole davvero raggiungere gli obiettivi che si è dato con la vecchia strategia energetica nazionale deve tornare ad installare rinnovabili ai ritmi degli anni 2005-2013. Come ha scritto l’Asvis (Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile) “è quanto mai urgente varare una nuova Strategia energetica nazionale sostenibile, con un orizzonte operativo al 2030, con tappe di avvicinamento definite al 2020 e al 2025, e indicazioni strategiche al 2050, che delinei la trasformazione cui andranno incontro il sistema energetico nazionale, la rete di distribuzione dell’energia elettrica e i settori coinvolti almeno nei prossimi quindici anni. La mancanza di una chiara linea di sviluppo per il futuro energetico dell’Italia è tra le cause principali delle inefficienze che caratterizzano il sistema attuale”.

Peccato che il ministro Calenda, dichiarando che i lavori per la nuova strategia sono in corso, si limiti a sottolineare la priorità del capacity market, l’incentivo a sostegno dei cicli combinati a gas (“è una priorità assoluta” ha riferito ad un convegno il 26 ottobre a Roma); rimanendo nel solco della vecchia idea dell’hub italiano del gas, affermando che occorrerà decidere quali scelte fare in particolare “tra infrastrutture flessibili, come il Gnl, e infrastrutture rigide come i gasdotti”.

La recente ratifica italiana dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (ddl n. 2568), col via libera del Senato avvenuto con voto unanime (un solo astenuto) sembra davvero solo un atto formale.

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La rivoluzione Enel

Enel chiude 23 centrali e le riconsegna al territorio: una occasione straordinaria per il paese di recuperare aree progettandone nuovi usi.

a cura di Roberto Meregalli

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Con l’avvento di Francesco Starace alla guida di Enel (maggio 2014), la politica dell’ex monopolista elettrico ha subito una decida sterzata. Il nuovo amministratore delegato, in una audizione al Senato nell’ottobre dello stesso anno, spiegò che in uno scenario così rivoluzionato, come quello della generazione elettrica, Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche, divenute ormai una zavorra difficile da sostenere.

Eccesso di offerta di elettricità, calo dei consumi, aumento della generazione rinnovabile sono l’origine di questa colossale iniziativa di chiusura di centrali che hanno fatto la storia del nostro Paese.

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8 agosto: Earth Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento della Terra

Entro l’8 agosto, l’umanità avrà esaurito le risorse che la natura mette a disposizione per tutto l’anno: é quanto afferma il Global Footprint Network, un’organizzazione di ricerca internazionale che sta cambiando il modo in cui il mondo gestisce le sue risorse naturali e reagisce ai cambiamenti climatici .

Il giorno del sovrasfruttamento della Terra (Earth Overshoot Day), che quest’anno cade l’8 agosto, evidenzia la data in cui la domanda annuale di risorse naturali da parte dell’umanità supera le risorse che la Terra può rigenerare in un anno. Questo è possibile perché emettiamo più anidride carbonica nell’atmosfera di quanto gli oceani e le foreste siano in grado di assorbire e deprediamo le zone di pesca e le foreste più velocemente di quanto possano riprodursi e ricostituirsi.

Le emissioni di carbonio costituiscono la componente del sovrasfruttamento ecologico che sta crescendo più velocemente: l’impronta dovuta al carbonio (carbon Footprint) genera il 60 % della domanda di risorse naturali da parte dell’umanità. Noi denominiamo impronta ecologica questa domanda. Se vogliamo rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo sul clima di Parigi adottato da quasi 200 paesi nel dicembre 2015, l’impronta dovuta alle emissioni di carbonio dovrà calare gradualmente fin quasi a zero entro il 2050.

L'8 agosto é il giorno del sovrasfruttamento della Terra (Earth Overshoot Day)

Ciò ci richiede di trovare un nuovo modo di vivere sul nostro “unico” pianeta.
“Un tale nuovo modo di vivere porta molti vantaggi ma richiede anche impegno per realizzarlo”, dice Mathis Wackernagel, co-fondatore e CEO di Global Footprint Network. ” La buona notizia è che tutto ciò è attuabile con le tecnologie disponibili ed é economicamente vantaggioso dato che i benefici complessivi sono superiori a costi.
Si stimoleranno settori emergenti come le energie rinnovabili, riducendo i rischi e i costi connessi a settori imprenditoriali ormai senza futuro perchè basati su tecnologie caratterizzate da alte emissioni di carbonio o perchè soggetti ai rischi connessi al cambiamento climatico (es. edificazioni in riva al mare minacciate dall’innalzamento del suo livello). L’unica risorsa di cui abbiamo più bisogno è la volontà politica.”

Fortunatamente, alcuni paesi stanno raccogliendo la sfida. Per esempio, il Costa Rica ha generato il 97 % della sua elettricità da fonti rinnovabili nel corso dei primi tre mesi del 2016. Anche il Portogallo, la Germania e la Gran Bretagna quest’anno hanno dimostrato livelli molto avanzati riguardo alla capacità di produrre energia rinnovabile, quando il 100% della loro domanda di energia elettrica è stata soddisfatta da fonti rinnovabili per diversi minuti o, nel caso del Portogallo, per diversi giorni. In Cina, nel frattempo, il governo ha delineato un piano per ridurre del 50% il consumo di carne dei suoi cittadini prevedendo in questo modo di abbassare di un miliardo di tonnellate entro il 2030 le emissioni di biossido di carbonio equivalente per il comparto cinese dell’industria del bestiame.

Allo stesso tempo, come singole persone, ognuno di noi può impegnarsi per il cambiamento del suo stile di vita quotidiano. Sulla scia dello storico accordo di Parigi, il Global Footprint Network e i suoi 25 partner dell’Earth Overshoot Day hanno lanciato una campagna di coinvolgimento del pubblico, al fine di evidenziare l’importanza di poter contare sulla certezza delle risorse data da un mondo sostenibile in cui le persone e il pianeta possano prosperare.
Con la campagna #pledgefortheplanet (Impegno per il pianeta) lanciata il 22 aprile – Giornata della Terra, le persone sono invitate a scegliere un #pledgefortheplanet (si trova tutto su www.overshootday.org) e a condividere selfie attraverso i social media. (Macchine fotografiche GoPro saranno assegnate dopo l’Overshoot Day agli autori delle tre foto preferite).

Poiché la popolazione mondiale è cresciuta e il consumo è aumentato – soprattutto per quanto riguarda le emissioni di carbonio – la data dell’Earth Overshoot Day nel tempo si è spostata da fine settembre del 2000 all’8 agosto di quest’anno. Un dato positivo é che la velocità con cui la data dell’Earth Overshoot Day si è man mano anticipata é scesa a meno di un giorno all’anno, in media, negli ultimi cinque anni, rispetto a una media di tre giorni all’anno da quando nei primi anni 1970 é iniziato il sovrasfruttamento.

“L’accordo sul clima di Parigi è ancora la dichiarazione più forte riguardo alla necessità di ridurre drasticamente l’impronta di carbonio. In ultima analisi, la scelta é tra collasso o stabilità”, ha detto Mathis Wackernagel. “Raccomandiamo con forza le nazioni, le città e gli individui a prendere iniziative efficaci e coraggiose per rendere gli obiettivi di Parigi una realtà raggiungibile.”

Cosa è il Global Footprint Network
Il Global Footprint Network è un’organizzazione di ricerca che sta cambiando il modo in cui il mondo gestisce le sue risorse naturali e reagisce ai cambiamenti climatici . Dal 2003 ha collaborato con più di 50 nazioni, 30 città e 70 partner globali per fornire scenari scientifici che hanno indirizzato le politiche ad alto impatto e le decisioni di investimento. Insieme ai suoi partners sta creando un futuro in cui tutti possano prosperare entro i limiti del pianeta.
www.footprintnetwork.org

Per approfondire:
Earth Overshoot Day: www.overshootday.org
Sui social media: #pledgefortheplanet, #overshoot
Video sul National Footprint Accounts: https://youtu.be/_T5M3MiPfW4

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Le conseguenze di Brexit sull’energia

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Ci vorranno due anni per sostituire completamente gli accordi tra Ue e Gran Bretagna dopo il Brexit e c’è di mezzo una caduta prevista del Pil inglese del 5% medio, che evidentemente il governo inglese vuole diluire nel massimo tempo possibile. Il risultato del referendum di fine giugno può sembrare avere poche implicazioni dirette per l’energia pulita o il mercato elettrico ma è probabile che avrà importanti effetti indiretti – sia perché verrà cambiata la compagine di governo, sia perché sarà inevitabile una battuta d’arresto per l’economia del Regno Unito (si ricordi che Farage auspica un rilancio del carbone a scapito delle rinnovabili, ritenute troppo costose e inefficienti, e parla di sviluppo del fracking).

Gli investitori e le banche esiteranno a immettere nuovi capitali, il che potrebbe causare una caduta innanzitutto nelle nuove attività per le rinnovabili. La caduta della sterlina innalzerà i prezzi degli apparati importati, aumentando i costi dei progetti da finanziare. Non è chiaro se la Bei (Banca Europea per gli Investimenti) rimarrà il più grande fornitore di prestiti per energia pulita per la Gran Bretagna, avendo investito ben 31 miliardi dal 2011 al 2016. Non va dimenticato che gli inglesi detengono il 16% di quote nella banca, ma saranno i cambiamenti nella politica interna ad avere un impatto più grande del voto per quanto riguarda gli investimenti in rinnovabili. Il governo Cameron era impegnato a realizzare la seconda tranche per il contratto per il grande progetto dell’eolico offshore. Difficilmente il progetto non incontrerà ostacoli, e ancor peggio andrà per il solare fotovoltaico e l’eolico onshore.

La previsione, fornita dagli analisti di Bloomberg in comunicazioni riservate, è che, in seguito a Brexit, potrebbero scendere i prezzi del carbone, data una sua maggiore richiesta su impianti anche obsoleti. Ci saranno meno investimenti in nuovi interconnectors transnazionali. Il mercato dell’elettricità della Gb si avvale oggi di 4 Gw di capacità dovuta a interconnessioni con il continente; si stima che per ogni Gw dovuto alle interconnessioni, il prezzo dell’energia in Gb si riduce dell’1 o 2%. Secondo le stesse stime di Bloomberg, la Parity grid sul territorio della Regina aumenterà del 2% rispetto all’attuale 6% per il fotovoltaico e dell’8% per l’eolico. Sarà quindi impossibile per il Regno Unito rispettare la quota del 20% al 2020 fissato dall’Ue.

E’ ormai sicuro che il grandioso progetto nucleare di Hinkley Point, un sito con 3.200 MWe di potenza nucleare con due reattori Epr (European Pressurized Reactor), verrà rimandato o abbandonato. Questo interessa da vicino la società francese Edf, l’industria nucleare Areva, la Commissione europea (che aveva promesso incentivi) e l’apparato militare inglese, tutti coinvolti e interessati al progetto di ben 18,1 miliardi di euro. Edf chiede che Hinkley Point vada a compimento in ogni caso. Ma aumenta il rischio di insuccesso anche di fronte all’interesse manifestato dai cinesi, che si rivolgerebbero altrove al minimo inconveniente (sul “nuovo” nucleare interverremo nei prossimi post). Ad un crollo previsto di domanda di energia, seguirà una riduzione degli impegni sull’efficienza energetica e, complessivamente, si punterà sulla riduzione della CO2 (- 80% al 2050 con una pluralità di sistemi e un largo commercio di quote), più che su aumento sostitutivo delle rinnovabili (che si fermeranno al 15% al 2020).

Molti degli sforzi saranno spostati sulle reti intelligenti e sull’accumulo. Da questo punto di vista ne soffrirà anche l’Europa, visto che un mercato unico digitale che consentirebbe servizi on-line e contenuti applicabili alla distribuzione e al consumo di elettricità deve essere valutato e distribuito in maniera singolare in tutto il continente. Il referendum del 23 giugno ha lasciato fuori dal dibattito i temi energetici e ambientali, che però sono tornati alla ribalta dopo la vittoria del leave. Quale sarà il ruolo di Londra nell’agenda climatica internazionale? Christiana Figueres, segretario esecutivo della Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), parlando dell’ipotesi Brexit prima del 23 giugno, era stata molto chiara: “Dal punto di vista degli accordi di Parigi, la Gran Bretagna è parte dell’Unione europea e ha manifestato il suo impegno come membro dell’Ue”. Tradotto: l’eventuale uscita di Londra rimetterà in discussione i patti della Cop21.

Infine, la Brexit obbliga a rivedere anche la nostra strategia energetica, rendendo più marginale il gas e ricorrendo all’acqua sia per produrre biometano che come accumulo, in sinergia con sole, vento e biomasse. Ma, dato che il governo prende gli orientamenti che gli passa il trio Eni-Enel-Terna, ci troviamo con il paradosso di un aumento della bolletta elettrica quando cala il prezzo dei fossili e un’occasione persa per “rilanciare” le rinnovabili, come rivela la conferenza stampa del premier commentata da Francesco Ferrante su La Stampa.

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Calo delle energie rinnovabili in Italia. Perché?

a cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

logo-il fatto quotidiano 2015Nell’indice Recai relativo al 2015 (Renewable Energy Country Attractiveness Index) la produzione delle rinnovabili nel mondo risulta in netta crescita, con una sorprendente eccezione dell’Europa. Nella classifica mondiale solo la “testarda” Germania difende il quinto posto, mentre scivolano in basso Francia (ottava), Regno Unito (tredicesimo), Olanda (diciassettesima), Belgio (ventesimo). L’Italia non scivola perché sprofonda al ventiseiesimo posto (eravamo al quinto nel 2012!).

Nel resto del mondo, invece, il 2015 è stato un nuovo anno record per gli investimenti green: 329 miliardi di dollari sono stati spesi per rinnovabili ed efficienza energetica. La quota delle rinnovabili, in euro, è stata di 298 miliardi, +26% rispetto al 2014, ed è stata appannaggio soprattutto del fotovoltaico e dell’eolico: 116 i miliardi investiti nel sole, 92 nel vento. È giusto sottolineare che “ciò che è veramente straordinario di questi risultati è che sono stati raggiunti nel momento in cui i prezzi dei combustibili fossili erano ai minimi storici e che le fonti rinnovabili sono rimaste in svantaggio significativo, in termini di sussidi governativi alle fossili” (Citazione di Christine Lins, Segretario esecutivo di REN21).

Concentrandoci sugli investimenti in nuovi impianti, ci sono tre elementi da sottolineare:

Gli investimenti europei sono calati da 90 a 64 miliardi di euro; solo Regno Unito, Germania e Francia, con rispettivamente 13, 11 e 5 miliardi di investimenti (oltre il 45% del totale europeo), continuano ad avere piani di sviluppo delle rinnovabili di qualche rilevanza. L’Italia è tornata purtroppo a giocare un ruolo marginale”, dopo aver recitato un ruolo di primo piano nel periodo 2010-2012.

Interessante notare come la crescita delle Fer (Fonti energetiche rinnovabili) vada di pari passo con la creazione di nuovi posti di lavoro; secondo l’agenzia Onu Irena (International Renewable Energy Agency), ci sono 8,1 milioni di persone che lavorano nel settore delle energie rinnovabili, un dato in costante crescita al di fuori dell’Europa, dove invece, negli ultimi due anni, gli occupati sono in calo. Purtroppo l’Europa non sta mostrando lungimiranza nella sua strategia energetica, prigioniera delle grandi lobby energetiche. Pari dignità viene dato allo sviluppo di shale gas e alla cattura e sequestro del carbonio per continuare a rimanere nel settore fossile. Riguardo poi al nucleare, il recente Nuclear Illustrative Programme (Pinc) parla della necessità di investire dai 3.200 ai 4.200 miliardi di euro dal 2015 al 2050, per mantenere la produzione attuale del nucleare, generata oggi da 129 vecchi reattori, la cui età media è di trent’anni.

Più in dettaglio, per l’Italia abbiamo 50,3 gigawatt di potenza installata per fare elettricità; un terzo è costituito da centrali idroelettriche (il 90% c’era già prima del 2008), un terzo di solare, un terzo suddiviso fra eolico, biomasse e geotermia. Sono valori di eccellenza a livello mondiale, ma sono il risultato del passato perché, rispetto al 2014, lo scorso anno registriamo un calo produttivo del 9,6%. L’andamento è preoccupante ed è confermato dai dati dei primi quattro mesi del 2016 che indicano un ulteriore calo del 6,5% della produzione di energia da fonti rinnovabili; calo determinato da una diminuzione del 12,3% della produzione da idrico e da una flessione del 13,7% della produzione da fotovoltaico, mitigata dalla produzione da eolico, in salita del 10,3%. Per il solare si tratta della prima flessione di produzione, sinora era sempre stato in crescita e ciò deve suonare come un campanello di allarme.

Siamo leader sulle energie rinnovabili in Europa. Quelli che dicono il contrario dicono il falso (…). L’obiettivo è arrivare al 50% delle rinnovabili entro fine legislatura sul totale dell’energia elettrica” (Matteo Renzi). Anche questa volta tra il dire e il fare c’è di mezzo… un mare di petrolio e gas.

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