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6-12 settembre: Scuola estiva della decrescita a Torino

Come cambia la città se cambiano le forme del lavoro? E come cambia il lavoro se cambiano le forme della città e del territorio?

A questo doppio interrogativo è dedicata la nuova edizione della Scuola estiva della decrescita che si terrà dal 6 al 12 settembre a Torino con il titolo “Tra sostenibilità e sussistenza: ripensare il lavoro ripensando la città e il territorio”. La scuola estiva sui temi della decrescita è un’esperienza giunta quest’anno alla XIIa edizione ma quest’anno non mancano le novità. La prima è che per la prima volta la scuola sarà il frutto del lavoro e della progettazione congiunta di diverse reti e soggetti impegnati sui temi della decrescita e della sostenibilità. A fianco dell’Associazione per la decrescita, organizzatrice delle passate edizioni, ci sono anche il Circolo per la Decrescita Felice di Torino, la Decrescita Felice Social Network e la prestigiosa UNESCO Chair in Sustainable Development and Territory Management di Torino.

Altro elemento di novità è la sede della scuola. Per la prima volta la scuola si terrà in città, anzi nel cuore di una delle più grandi metropoli italiane, Torino. Città scelta non a caso, poiché rappresenta il cuore della produzione industriale italiana, in particolare dell’automobile, simbolo chiave dell’era dello sviluppo e della crescita economica. Cosa succede dunque ad una città come questa, se cambiano le forme del lavoro? Se si riduce il lavoro operaio e salariato tradizionale? Se cambiano le forme di mobilità e di spostamento dalle quattro ruote ad altri sistemi più ecologici?

Cuore della riflessione che si terrà nei 7 giorni della scuola sarà appunto l’esplorazione degli intrecci che legano la ricerca di nuove forme di sussistenza a nuove forme di sostenibilità: l’abitare, lo spostarsi, il mangiare, la cura dei beni comuni, il consumo di energia e lo smaltimento o il riuso intelligente dei rifiuti.

I partecipanti alla scuola potranno giovarsi dei contributi di numerosi docenti – fra cui Ugo Bardi, Mauro Bonaiuti, Paolo Cacciari, Manuel Castelletti, Marco Deriu, Elisabetta Forni, Igor Giussani, Marta Guindani, Carlo Modonesi, Dario Padovan, Raphael Rossi, Luca Staricco -, della presentazione di diverse esperienze (Lombroso 16, Comune di Rivalta, PonyZeroEmissioni, Research&Degrowth) nonché contribuire loro stessi con le loro competenze e conoscenze.

SCARICA IL PROGRAMMA COMPLETO IN PDF >>>

Date e luogo:Torino, 6-12 settembre 2015

Sede della scuola: (in attesa di conferma)
Tomato Backpackers Hotel, Via Silvio Pellico, 11, 10125 Torino.

Titolo:
“Tra sostenibilità e sussistenza: ripensare il lavoro ripensando la città e il territorio”.

Soggetti promotori:
Associazione per la decrescita, Circolo per la Decrescita Felice di Torino, Cattedra Unesco di Torino, Decrescita Felice Social Network

Docenti della scuola:
Ugo Bardi, Mauro Bonaiuti, Paolo Cacciari, Manuel Castelletti, Giacomo D’Alisa, Marco Deriu, Dalma Domeneghini, Elisabetta Forni, Igor Giussani, Marta Guindani, Carlo Modonesi, Dario Padovan, Alice Pozzati, Raphael Rossi, Luca Staricco,

Comitato organizzatore:
Mauro Bonaiuti, Chiara Colombo, Maurizio Cossa, Elena Dal Santo, Marco Deriu, Dalma Domeneghini, Francesca Gardiol, Marta Guindani, Elena Massaia, Dario Padovan, Claudia Peirone, Igor Giussani.

Quota di partecipazione:
La quota di partecipazione – che include il pernottamento, la colazione e il pranzo – è di 310 € in camera singola, 268 € in camera doppia e 232 € in camera tripla o quadrupla. Costo ridotto di 100 €, comprendenti le spese per il pranzo e la quota di iscrizione per i Torinesi.

Per informazioni: info@decrescita.it

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Oggi 13 agosto è l’Overshoot Day 2015

Oggi 13 agosto è il giorno dell’ Overshoot Day, l’ iniziativa internazionale organizzata dal Global Footprint Network (GFN) per far sapere che in “quel giorno” l’umanità ha finito di consumare le risorse che il pianeta produce in modo sostenibile in un intero anno.

Da domani  fino alla  fine dell’anno l’umanità si “indebita” con il pianeta perché consuma di più di quanto sarebbe ammissibile e il pianeta va “in rosso”: un fatto che non si può ovviamente ripetere all’infinito! Dobbiamo prendere provvedimenti!

In calce che cosa possiamo  fare per diminuire il nostro impatto  sul pianeta

Amalia Navoni – Coordinamento Lombardo Nord Sud del Mondo
Referente della campagna Global Footprint Network (GFN) in Italia: Roberto Brambilla

ECCO COSA
possiamo
FARE CONCRETAMENTE   

PER RIDURRE
il nostro impatto sull’ambiente

·   risparmia energia,

Assumendo comportamenti responsabili per far funzionare al meglio gli impianti esistenti: usa lavatrici e lavastoviglie solo a carico pieno ; spegni le luci quando non servono e non lasciare in stand by gli apparecchi elettronici; sbrina sovente il frigorifero; pulisci spesso la serpentina  e mantienilo ad una discreta distanza dalla parete, perché la polvere ed il calore ne riducono l’ efficienza .Metti il coperchio sulle pentole quando si porta l’acqua a ebollizione; evita che la fiamma sia più ampia del fondo della pentola perché di lato non scalda; riduci gli spifferi degli infissi riempiendoli di materiale che non lascia passare aria; non lasciare tende chiuse davanti ai termosifoni ; inserire apposite pellicole isolanti e riflettenti tra i muri esterni e i termosifoni

–  Sostituendo gli impianti poco efficienti con impianti più efficienti – lampade ad alta efficienza: a parità di potenza consumano delle lampade normali; ovvero ce ne vogliono 6 per consumare come 1 lampada normale;  elettrodomestici di classe A o superiore;  apparecchi elettronici ad alta efficienza ; scaldabagni a gas ;valvole termostatiche da applicare ai termosifoni  per regolarne automaticamente la temperatura (perché continuare a tenerli accesi quando si sono raggiunti i gradi desiderati?); caldaie a condensazione con impianti a pannelli radianti che rendono di più funzionando a temperature inferiori.

·   Dona ciò che non usi più a chi ne ha bisogno.

·   Privilegia i prodotti dell’agricoltura biologica possibilmente locale e di stagione per ridurre l’inquinamento ed il consumo di risorse necessari per il trasporto.

·   Non superare i 20 gradi di temperatura in casa ,  il gasolio inquina, il troppo caldo non fa bene alla salute ed  è vietato dalla legge.

·   Usa per gli spostamenti i mezzi pubblici e la bicicletta

·   Diminuisci il consumo di carne: ogni hamburger equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell’effetto serra. Mangiare meno carne o, perché no, non mangiarne affatto, è una scelta sociale. Una scelta solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta

·   Bevi acqua di rubinetto che è analizzata giornalmente, non sprecarla.  Eviterai l’inquinamento degli autocarri che portano le bottiglie di acqua minerale su e giù per l’Italia, l’inquinamento per lo smaltimento delle bottiglie di plastica e il tuo affaticamento per il trasporto.

·   Rifuggi L’usa e getta. Chiedi che gli oggetti che compri siano riparabili: è meglio spendere qualche cosa in più, piuttosto che riempire le discariche di oggetti dalla breve durata e che hanno comunque inquinato per essere prodotti e trasportati.

·   Protesta quando ti incartano i prodotti con troppi imballaggi: li paghi almeno tre  volte (come costi che il fornitore ti ricarica, come tassa smaltimenti rifiuti e come ambiente depauperato).

·   Privilegia i prodotti in vetro, meglio se in vuoto a rendere. Portati sempre da casa i sacchetti per fare la spesa: meglio ancora se usi delle borse in stoffa.

·   Ricicla con cura tutto il possibile: carta (i fogli già stampati utilizzali anche sull’altro lato), vetro, plastica, lattine, ferraglie, polistirolo , indumenti, rifiuti vegetali e animali

·   Per acquistare consapevolmente leggi la “Guida al consumo critico” (EMI Edizioni) del Centro Nuovo Modello di Sviluppo –    e abbonati a  AltrEconomia,  – www.altreconomia.it.

·   Denuncia le discariche abusive e chi deposita i rifiuti lungo strade e nei parchi .

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Energie rinnovabili, a Solarexpo il futuro è ibrido e a chilometro zero

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 22 maggio 2013

Solarexpo, l’esposizione-convegno che si è svolta la settimana scorsa a Milano ha affrontato le potenzialità dell’“ibridazione” tra tecnologie rinnovabili, dentro un quadro di risparmio e di drastico contenimento delle emissioni. Con un settore ormai competitivo sul mercato indipendentemente dagli incentivi d’avvio, i produttori cercano di diversificare sia i mercati in cui operano sia il portafoglio tecnologico. Sono stati presentati casi interessanti come aziende del fotovoltaico che hanno iniziato ad offrire servizi di climatizzazione con pompe di calore, illuminazione stradale o pacchetti di e-mobility, superando la “monocultura” del fotovoltaico e lo specifico della singola fonte. D’altra parte, il decentramento dell’energia e la sua caratteristica territoriale fanno sì che il massimo di efficienza stia nella complementarietà tra le tecnologie di captazione di sole, vento, acqua e calore disposte sul posto. Come pure quelle di creazione di “centrali negative”, che non richiedono energia se non dall’ambiente, come gli edifici passivi o le stesse reti di scambio intelligenti, che fanno fluire la produzione in eccesso verso la domanda insoddisfatta all’istante.

Una bolletta ridotta e un elevato grado di autonomia energetica sono ormai all’orizzonte, in base ad un modello comunitario e non più individuale. Questo schema integra sotto un profilo energetico organico diversi sistemi fino ai mezzi di trasporto e rende conveniente, ad esempio, l’utilizzo dellepompe di calore reversibili abbinate al solare per la climatizzazione in estate e in inverno. In più, l’autonomia è possibile attraverso lo sviluppo di sistemi di immagazzinamento dell’elettricità da fonti discontinue: non a caso la Germania ha disposto un piano nazionale e grandi investimenti in questa direzione.

Sullo sfondo di questa evoluzione c’è la disputa commerciale tra Ue e Cina e, in alcuni paesi, le sfide che il solare pone a quei sistemi elettrici. Se nel 2013 il mercato europeo ha visto una brusca frenata delle installazioni, complice il taglio agli incentivi, su scala mondiale si valuta che l’anno in corso sarà migliore del 2012. Il merito verrà dall’azione dei mercati emergenti come Cina, Giappone, Usa, da cui ci si aspettano nuove installazioni per oltre 36 GW, contro i circa 30,6 GW del 2012. A incidere, saranno sempre di più mercati ‘nuovi’, e sotto questo punto di vista l’occasione persa dall’Italia nel campo dell’industria verde e dell’occupazione risulta sconsolante.

A livello mondiale la domanda tiene e c’è un parziale riequilibrio con l’offerta: dai primi mesi del 2013, dopo un lungo periodo di caduta libera, i prezzi di tutti i componenti del FV si sono stabilizzati e hanno ricominciato a crescere leggermente.
“In Italia siamo a 30 TWh prodotti con la generazione distribuita su un totale nazionale che è di circa 300 TWh”. Andrea Galliani, responsabile dell’unità fonti rinnovabili dell’Autorità, ha sostenuto che “questo dato comporta una esigenza regolatoria altrettanto rapida che renda sostenibile questa produzione sia a livello tecnico, cioè che garantisca la sicurezza del sistema elettrico nella sua complessità, sia a livello economico, cioè che contenga il più possibile i costi del dispacciamento”. È per questo che diventa urgente anche da noi un intervento sulla rete di distribuzione.

Infine, vale la pena di considerare qui come l’intreccio tra ibridazione delle rinnovabili e risparmio energetico consenta ormai sperimentazioni una volta impensabili anche in campo industriale. È il caso dell’azienda Loccioni (350 dipendenti ad Ancona) che si è resa energeticamente autonoma combinando lo sfruttamento termico ed elettrico del sole con l’idroelettrico del vicino fiume Esino e implementando un sistema di controllo informatico dello scambio e dell’efficienza abbinato ad un accumulo a batterie appositamente sviluppato dalla Samsung. Energia a chilometro zero, come si sarebbe fin qui detto per l’agricoltura contadina.

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Municipalizzate: buchi o risorse comunali?

di Mario Agostinelli

Decrescita è ormai il miglior termine per definire il mondo dell’energia in Italia. Nel 2013 il consumo interno lordo di gas metano è sceso del 6,8% nel mese di gennaio; ancor di più quello di prodotti petroliferi: -10,4%. Rispetto al febbraio 2012, in diminuzione netta la produzione termoelettrica (-23,9%): un settore ormai in crisi dichiarata. In confronto ad un anno fa, segnano invece un segno positivo l’idroelettrico (+43%), la produzione del vento (+19,1%) e del sole (+11,2%): tutta energia prodotta senza import.

Il cambiamento di scenario, non previsto dagli amministratori delegati delle aziende elettriche, appare ormai irreversibile. Nessuno pensa più che i consumi possano risalire ai livelli pre-crisi, anche per effetto dei miglioramenti in efficienza energetica e per il diffondersi di impianti decentrati di autoproduzione a rendimento migliorato. Se si fa un’analisi degli ultimi quattro anni è impressionante la crescita nella produzione di elettricità “verde”: +81% dalle bioenergie, +103% dal vento, mentre per il sole l’elettricità prodotta si è centuplicata e la produzione del 2012 è più che doppia rispetto alla produzione del nucleare italiano nel suo massimo anno di splendore (fu il 1986 con 8.750 GWh generati).

Se non si accetta il cambiamento, nascono serissimi problemi occupazionali: per questo occorre capire la direzione della svolta nella produzione e nel consumo di energia elettrica e termica. Ma né il governo né le amministrazioni comunali sembrano accorgersene. Da tempo, in Enel si parla di una eccedenza del 10% del personale in Italia, mentre A2A/Edipower ha annunciato la fermata con cassa integrazione a rotazione in quattro centrali, la chiusura della sede di Mestre e 400 esuberi di personale. Nei fatti, il parco termoelettrico è eccessivo e ammonta a 70mila MW a fronte di una domanda massima di 56mila MW.

La verità è che servirebbero idee per riconvertire le nostre utility – Acea, A2A, Iren, Hera – sennonché gli amministratori comunali si sono affidati completamente al mondo della finanza. Che, evocando mirabolanti effetti con le quotazioni in borsa e mettendo in ombra il grande patrimonio tecnico-professionale e di conoscenza del territorio, di fatto priva i sindaci e i consigli comunali di uno straordinario strumento di intervento per la qualità della vita dei cittadini e il risanamento dell’economia delle città.

In fondo, le municipalizzate erano nate per assicurare e distribuire l’energia come il nuovo “bene comune” che il progresso offriva. La società pubblica di Milano (Aem) nacque per referendum tra i cittadini per convogliare verso la metropoli la ricchezza d’acqua delle valli alpine sotto forma di elettricità. Nessuno avrebbe osato trascurare il buon servizio per avventurarsi in speculazioni di dubbio ritorno. Invece, oggi in tutta Italia ci troviamo di fronte ad una rincorsa verso sistemi multiutility extraterritoriali, governati da manager affrancati dal controllo dei cittadini e delle loro rappresentanze.

Nel nuovo quadro energetico-climatico, servirebbero urgenti misure per affiancare ai piani regolatori autentici piani energetici territoriali, di risparmio e di produzione pulita, per cambiare il mix delle fonti nelle aree urbane e quindi ottenere benefici risultati per ridurre le emissioni e l’inquinamento. Una spinta verso le rinnovabili e l’efficienza dovrebbe essere la “mission” rivalutata delle municipalizzate: diventerebbero così il cuore per una politica industriale locale, per buona occupazione e per tariffe sociali calmierate. Altro che mirabolanti operazioni che aumentano il debito della proprietà pubblica e spingono alla privatizzazione!

In fondo, per far continuare lo sviluppo ed evitare i licenziamenti nel solare fotovoltaico e nell’eolico, non servono nuovi incentivi ma bastano strutture innovative di rete, informazioni adeguate per allacciamenti e impianti al minor costo, detrazioni fiscali decise dal governo (come quella del 55%) e possibilità di finanziamenti a interessi bassi decise a livello cittadino. Questo magari tramite un fondo della cassa depositi e prestiti, per permettere alle famiglie e a gruppi di acquirenti in cooperativa diauto produrre e ridurre i costi della bolletta, con un analogo meccanismo per le rinnovabili termiche. Compiti che spetterebbero alle municipalizzate, riconsegnate ai cittadini.

I soldi sono sempre più nelle tasche di pochi e la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi Ocse. Così non si fa nulla perché il risparmio non finisca sempre di più nelle grinfie della finanza, anziché in investimenti diffusi e remunerativi per le famiglie e le imprese, come succede con il ricorso al solare, all’eolico, alle biomasse. Come non si fa nulla perché cessi l’abusivismo (oltre 15 abitazioni abusive ogni cento costruite legalmente) e perché crolli l’inquinamento (oltre metà delle 30 città europee più inquinate si trovano da noi, che viviamo in mezzo a 5.000 siti contaminati da bonificare).

A partire da queste considerazioni, risultano importanti indicazioni per la riconversione delle funzioni e la piena ripubblicizzazione delle municipalizzate e per tornare a renderle, come una volta, luoghi di partecipazione delle amministrazioni. Altro che installare, come hanno fatto le “super municipalizzate” che si quotano in borsa, 24.000 Mw fossili negli ultimi 15 anni, con un colossale errore industriale che ora fanno pagare ai lavoratori, ai cittadini e ai programmi nazionali a favore delle rinnovabili decentrate.

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L’energia per cambiare il mondo

Una bella intervista tratta da Comune-info, che ci racconta l’impegno di una cooperativa che attraverso le energie rinnovabili crea relazioni solidali.

Un po’ come il web, che è capitalismo puro di dimensioni globali ma anche software libero, l’universo delle energie rinnovabili è allo stesso tempo economia capitalista e fuga dal sistema energetico mean stream, quello centralizzato, ambientalmente devastante e alla ricerca del profitto prima di tutto. A muoversi nel mondo delle rinnovabili, accanto alle imprese giganti ci sono infatti cooperative sociali e reti che sperimentano soluzioni per il risparmio energetico e l’autonomia energetica, delocalizzata e di piccola scala, con cui pezzi di potere e non solo le energie si diffondono. Quelle cooperative spesso trovano il modo e il tempo per proporre accanto alle attività tecniche e commerciali (consulenza, progettazione, installazione) anche iniziative sociali e culturali (didattica, formazione, informazione). È il caso di Energetica, che lavora con privato e pubblico, privilegiando gli enti di prossimità, cioè comuni e municipi, perché a quelli di Energetica interessa prima di tutto costruire relazioni sociali diverse, favorire rapporti non capitalisti tra individui, comunità e territorio. Abbiamo incontrato Mauro Gaggiotti di Energetica  per capire qualcosa in più su quanto accade in questo momento nel mondo delle energie rinnovabili.

Mauro, cosa accade in questi ultimi mesi nel mondo delle energie rinnovabili? Ci spieghi in parole semplici che cosa succede in particolare sul versante dei famosi incentivi statali e perché cooperative come la vostra sono colpite da queste politiche?

Le rinnovabili, da fenomeno di nicchia di ambientalisti radicali e un po’ idealisti, è assurto a settore di mercato con elevati tassi di rendimento, quotazioni in borsa con rialzi a due cifre, scontri commerciali a livello internazionale, speculazioni nostrane con mazzette e corruzione business as usual. Gli incentivi nazionali al fotovoltaico hanno permesso questa trasformazione che d’altro canto ha il pregio di aver diffuso le rinnovabili non idrogene fino a far raggiugere la ragguardevole cifra del 18 per cento della produzione elettrica nel nostro paese. Dal 2006, l’anno del primo conto energia, a oggi, l’espressione green economy è diventata sempre più usata ed ormai abusata. Ma sarebbe un errore affermare che le rinnovabili sono state «comprate» dal mercato diventando un business come un altro. Un’affermazione semplicistica che farebbe solo il gioco dell’economia neoliberista. Dal nostro punto di osservazione, come piccola impresa ad alta competenza tecnica ci siamo confrontati sia con grandi società attente esclusivamente agli indici di valorizzazione monetaria del proprio investimento, sia con imprese radicate nel territorio e che vedono nelle rinnovabili un’opportunità per costruire occasioni di reddito, di autonomia energetica, di partecipazione attiva.

Che impatto hanno le diverse crisi in atto sulle piccole imprese che hanno scelto di proporre un’economia del rifiuto delle energie fossili?

Proprio nella polarizzazione tra mercato e territorio, con le sue mille sfumature, va letto l’impatto della crisi sulle imprese del settore e in particolare sulle piccole imprese attive in questo campo. Per le «imprese verdi» la crisi ha assunto le vesti dei tagli agli incentivi e peggio ancora dell’incertezza sul futuro della politica energetica nazionale. In questo modo scoraggiando investimenti a medio e lungo termine e portando le società orientate al mercato a chiusure o licenziamenti. Per fortuna però, ci sono le piccole imprese, locali, aperte, connesse e resilienti. Imprese, come la nostra, che di fronte a una contrazione del fatturato, guardano comunque alle necessità del territorio, cercando legami con le realtà sociali e la cittadinanza attiva per costruire nuove proposte che alimentino il percorso comune verso la generazione distribuita di energia, verso reti energetiche locali e interconnesse, verso una maggior sicurezza e indipendenza energetica.

Per questo, di fronte alle incertezze legate al settore fotovoltaico, settore trainante della nostra impresa per più di quattro anni, stiamo cercando di aprirci ad altre tecnologie per l’efficientamento e il risparmio energetico, come la cogenerazione, meno dipendente da incentivi pubblici, il termico solare, le soluzioni per l’immagazzinamento dell’energia rinnovabile. Tutti elementi necessari e non sufficienti per affrontare il tema dell’autonomia energetica delle comunità locali in modo globale e complesso. Obiettivo questo, per il quale nacque a gennaio del 2006 Energetica coop. Dal quel giorno a oggi abbiamo vissuto varie fasi. Dal cosidetto start up, a zero reddito e ad alto investimento di tempo vita, passando per una fase di relativa stabilità e riuscendo a pagare con regolarità una decina di stipendi per più di tre anni, fino a una profonda ristrutturazione interna avvenuta dal gennaio di quest’anno. Dalla scommessa incosapevole, direi quasi incosciente, di partecipare al bando per la costituzione di nuove imprese verdi avvenuta nel 2005, oggi possiamo dire di essere degli imprenditori consapevoli. Consapevoli soprattutto dei nostri limiti.

Pensi che oggi questa scelta di lavorare nel settore delle rinnovabili sia sufficiente per definire la qualità e i valori di un’attività economica alternativa alle logiche del mercato?

No , come ti spiegavo occorre esser consapevoli anche del fatto che fare impresa in modo socialmente e ambientalmente sostenibile è un impegno che da sola la piccola impresa non può sostenere se non sulla carta. Va ripensato un modello di economia che consideri l’impresa parte di una strategia condivisa tra istituzione locale, cittadinanza attiva, impresa stessa e ambiente. Cercando di azzerare la distanza tra chi offre un servizio e chi ne usufruisce, tra chi produce un bene e chi lo utilizza. Parafrasando, direi, impresa a chilometro zero. Queste considerazioni nascono anche dalla nostra scelta di dare priorità alle relazioni più che agli obiettivi di vendita e questo ci ha portato a far parte del neonato incubatore di imprese sociali di Roma nel 2006 e poi a entrare dal 2007 della sperimentazione più avanzata in Europa di altraeconomia realizzata per quasi cinque anni nella Città dell’altraeconomia a Testaccio. D’altronde Energetica nasce da un connubio tra qualifiche di alto livello e bisogni sociali da soddisfare, ovvero dal ragionamento per la riqualificazione sostenibile di un’occupazione a scopo abitativo di dieci nuclei familiari, tra i nostri, più note come Le Casette in Action. Il «peccato originale» forse sta qui.

Come vivete il rapporto sostenibilità economica e dimensione politico sociale della vostra esperienza?

Per noi la scelta è tra il mercato e il suo obiettivo di massimizzare gli utili e dall’altra parte il territorio e la cura di nuove relazioni di scambio economico. In questa dinamica e le sue mille intersezioni sta la capacità e la sfida di dare una risposta immediata alla nostra esigenza di reddito ed una risposta di medio termine alla crisi economica e a quella ambientale in atto. Ad esempio,lo scippo della Città dell’altra economia, perpretato dalla giunta Alemanno con l’acquiescenza di alcune imprese legate all’altra economia, ci ha dimostrato quanto sia difficile praticare l’alternativa e stare in piedi. Muovendosi tra il mercato classico e la relazione con il territorio, oggi Energetica si trova a dover prendere una decisione importante per il futuro dei propri soci lavoratori e dei collaboratori.

Quali difficoltà state incontrando in questo periodo?

Il ritardo nei pagamenti e la burocratizzazione espongono i “piccoli” alla cannibalizzazione delle banche. Soprattutto i grandi operatori (Marchionne docet) utilizzano i subappaltatori come “banca” scaricandogli addosso gli oneri finanziari di pagamenti anche a 24 mesi: alle volte è più ragionevole rifiutare le commesse che accettarle per pagare gli interessi alle banche…In questo momento girano fatture, commesse, progetti, ma non girano i soldi: a guardare i bilanci, tutto normale, a guardare la cassa….vuota. Si lavora sulla fiducia in un progetto condiviso e nel tentativo di mettere in moto meccanismi virtuosi.

Quali progetti per il futuro?

 

Oggi guardiamo al domani con ottimismo e apprensione. Sono stati fatti molti passi in avanti verso una consapevolezza dei limiti del pianeta, vengono fatti molti investimenti nazionali e internazionali per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, ma la crisi strangola i piccoli e i non organizzati. Noi siamo piccoli e stiamo facendo difficoltà ad organizzarci con imprese simili alla nostra. Se non saremo capaci di creare sinergie comuni e strategie per uscire dalla crisi, saremo costretti a decisioni drastiche. In chiusura possiamo dire con certezza che, comunque vada, il cammino fatto sin qui ci ha dato molto, ci ha fatto sentire vivi e partecipi di un cambiamento radicale che stiamo contribuendo a determinare.

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