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Speciale Durban: Un accordo farsa

di Giuseppe De Marzo su Il Manifesto del 13 dicembre 2011

Un accordo farsa che fa carta straccia degli allarmi della scienza, della democrazia ed irride alle vittime del caos climatico. Impossibile definire diversamente quanto successo in Sudafrica, durante il vertice mondiale sul clima.

Dopo due settimane e 40 ore di extra time l’accordo di Durban in realtà non prevede assolutamente nulla di obbligatorio e vincolante per i grandi inquinatori, ma dice solamente che nel 2015 verrà definita un’intesa e che questa sarà valida nel 2020. Come un obeso che dopo 19 anni (gli anni passati dal primo summit ad oggi per trovare una soluzione vincolante sul clima) continua a rimandare al prossimo lunedì la dieta necessaria a salvargli la vita. Gli credereste? Irresponsabile cecità. Non c’è altro modo per definire il comportamento di chi governa oggi il mondo. 350 mila morti ogni anno, innalzamento dei mari, scomparsa di molti paesi del pacifico, distruzione delle economie degli stati costieri, intensificazione dei fenomeni metereologici estremi, acidificazione dei mari, desertificazioni di intere aree del mondo, 50 milioni di profughi ambientali, centinaia di milioni di posti di lavoro a rischio, perdita di biodiversità a ritmi superiori rispetto alle precedenti estinzioni di massa: come si fa a non vedere ed a rimandare ancora? Proprio qui in Africa, il continente che rischia di essere “cucinato” dal caos climatico, si è seppellito l’unico accordo in vita, quello di Kyoto, che vincola legalmente i paesi industrializzati a ridurre le emissioni. Nel 2012 scadrà senza essere sostituito da qualcosa di altrettanto obbligatorio.

Il COP17 di Durban sarà ricordato come un fallimento per l’umanità ed un grande affare per chi continua a far salire la febbre del pianeta. A sentire i governi dei grandi inquinatori, su tutti USA e Cina, dovremo aspettare il 2015 per negoziare un accordo che sarà vincolante solo nel 2020. Il punto è che non abbiamo 10 anni! La scienza è chiara su questo. Il picco delle emissioni deve essere il 2015 e dall’anno seguente dovranno ridursi se vogliamo evitare di essere responsabili di un innalzamento della temperatura superiore ai 4 gradi nel corso di questo secolo. I governi avevano indicato solennemente a Copenaghen due anni fa, sede del COP15, in 2 gradi il limite oltre il quale la conseguenza sarebbe trasformare la terra in un girone dantesco e sprofondare la gran parte dell’umanità nell’apartheid economica e ambientale.

E’ cambiato qualcosa da allora? Basterà la green economy gestita dal colosso cinese a ridurre il riscaldamento globale? Evidentemente no. Come si fa quindi ad aspettare il 2020? Chi dovrebbe obbligare i grandi inquinatori a ridurre le emissioni? Ha prevalso l’idea di lasciare nelle mani del mercato, delle forze produttive (o distruttive?) e della finanza la capacità di ridurre le emissioni di gas clima alteranti, come se la crisi finanziaria non avesse insegnato niente sulla mano “visibile” del mercato e sul suo unico interesse: fare soldi. L’assenza dei principali capi di Stato del mondo inquinante e industrializzato al vertice dimostra del resto come la politica sia oggi incapace di prendere decisioni contrarie ai grandi interessi economici e finanziari, anche se la posta in gioco sono le sorti dell’umanità. Chi per una ragione e chi per un’altra tutti privilegiano, sbagliando, le ragioni della crisi economica. Un pensiero primitivo, eppure vincente, quello che dipinge ancora in contrapposizioni l’economia all’ecologia ed ignora i limiti segnalati dalla scienza. E non è certo questa la strada per coniugare le ragioni dell’ambiente con quelle del lavoro.

Le proposte portate dalla società civile e dalla scienza per una seria riconversione energetica ed industriale dell’apparato produttivo, in grado di rispondere concretamente a queste due grandi urgenze, sono rimaste invece inascoltate. Nemmeno sui meccanismi di mitigazione ed adattamento si sono fatti passi avanti concreti per sostenere i paesi più poveri e quelli più vulnerabili, come le isole nel Pacifico che stanno scomparendo per l’innalzamento dei mari. Gli USA che avevano garantito 100 miliardi di dollari ogni anno per il Fondo Verde hanno fatto marcia indietro e non si capisce chi metterà i soldi, come saranno ripartiti e come avverrà il trasferimento di tecnologie pulite.

Siamo in balia delle onde. Per evitare di scoprirci naufraghi sul nostro stesso pianeta dobbiamo fare prestissimo e costruire un campo nuovo che esprima una cultura ed una pratica egemone che ripensi lo sviluppo a partire dai limiti del pianeta. Non è impossibile. La società civile, i movimenti, i lavoratori, i contadini e la scienza sono pronti. Speriamo che la politica questa volta scelga di stare dalla parte giusta. È l’ultima occasione.

Giuseppe De Marzo, portavoce A Sud

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Speciale Durban: la lunga notte

Alberto Zoratti, da Durban

La Conferenza delle Parti di Durban, come molti si aspettavano, ha scelto di sforare nei tempi. La fine della plenaria, programmata per ieri, si è rimandata ad oggi con inizio, in sala da decidere, alle 10 ore di Durban. In un Convention center a metà tra il bivacco ed il disimpegno, le delegazioni governative corrono per trovare un accordo che consenta di non far perdere ulteriore tempo al mondo che aspetta. C’è la possibilità di una conclusione comunicabile, non si sa ancora quanto accettabile nei contenuti. E come ogni volta si accende la polemica sul multilateralismo e sulla possibile inutilità dei percorsi Onu, non tenendo presente che chi chiede con forza approcci multilaterali sono proprio i Paesi del sud del mondo, approcci che le grandi potenze come gli Stati Uniti notoriamente rifiutano.

La lunga notte di Durban

Nelle stanze e nei corridoi dell’ICC di Durban si sono fatte le ore piccole. Molti delegati hanno trovato posto sulle poltrone per passare la nottata, altri si sono trovati impigliati in estenuanti negoziati. L’Assemblea plenaria della COP17 ha scelto di non fare il bis della sua precedente versione messicana: sospensione a tarda notte e ripresa alle 10 del mattino di sabato. Ed i testi usciti dagli Indaba lasciano spazio a molte interpretazioni, ma anche ad alcune preoccupazioni. Con una domanda: il multilateralismo val bene una messa?

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Speciale Durban: Attenzione! Il ritardo ti uccide

Si conclude la 17° Conferenza Onu sul clima di Durban, Sudafrica. Dopo due settimane di lavori il solo commento possibile è che l’obiettivo numero uno, ovvero la riduzione di emissioni, è fallito. Kyoto scade tra un anno e non c’è consenso su un nuovo regime vincolante. Unico impegno: la continuazione delle negoziazioni per arrivare ad un patto entro il 2015, la cui validità potrebbe partire dal 2020. Decisamente troppo tardi per la scienza – che parla del picco massimo entro il 2015 – e per evitare la catastrofe, ovvero un aumento della temperatura media di circa 4°c (7 in Africa) l’inabissamento di molti stati insulari e di migliaia di km di coste, desertificazione, eventi climatici estremi, e 350mila vittime l’anno destinate ad aumentare, di cui fanno parte anche le vittime delle alluvioni italiane di questo autunno.

Due anni fa alla Cop15 di Copenaghen erano presenti tutti i capi di Stato e ripetevano che i cambiamenti climatici sono la più grande minaccia per l’umanità. Solo due anni dopo e a situazione ambientale non certo migliorata, a Durban i capi di stato sono assenti e sui giornali quasi ovunque si parla solo di spread e debito, cancellando dalle prime pagine i rischi del caos climatico e le possibili alternative. Anzi, la crisi climatica è diventata spudorata occasione di speculazione per i mercati e la finanza, attraverso i noti meccanismi di carbon trade e redd+. Sullo sfondo, l’occasione fornita dalle grandi potenzialità economiche della green economy – non a caso strategico è il ruolo della Cina – venduta come ricetta per la febbre del pianeta ma in realtà benzina nel motore e nuova frontiera di espansione dello stesso modello di sviluppo che ha causato la crisi climatica ed economica.

Una scelta irresponsabile e disastrosa per le sorti dell’umanità. Dall’altra parte la scienza richiama l’attenzione sulla necessità di agire rapidamente. Movimenti sociali, sindacati, comitati, organizzazioni e associazioni presenti a Durban hanno offerto soluzioni concrete per transitare verso un modello basato sulla sostenibilità sociale ed ambientale. Riconversione industriale, democrazia energetica, agricoltura organica sono le proposte a cui i governi e le forze politiche dovrebbero dare seguito. Facciamo in fretta.

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Spaciale Durban: meno uno

Ultimo giorno della COP17, possibile nottata in bianco per arrivare alla conclusione. Le opzioni sul tavolo sono ancora molte, ma la possibilità che si esca con uno scenario poco convincente ci sono tutte. Stati Uniti, Cina, India ed in fondo l’Unione Europea potrebbero trovare una convegenza finale che salvi la struttura e che rilanci in avanti il negoziato. Leggendo le date in ballo, però, che parlano anche di 2020, il rischio è che sia troppo avanti. Visto che l’IPCC chiede che il picco di CO2 si possa raggiungere al massimo al 2015.

Oggi ultimo giorni anche per le iniziative dei movimenti sociali, che tra veglie, iniziative interne, contatti con le delegazioni e lanci stampa, provano a fare tutta la pressione possibile sulle delegazioni governative. In attesa della grande plenaria di stasera. E forse di stanotte.

 

 

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Speciale Durban: Green Fund

DURBAN, COP17. CGIL, LEGAMBIENTE E FAIR: “NECESSARIO UN ACCORDO VINCOLANTE SUL CLIMA, DA SUBITO OPERATIVO IL GREEN FUND E LA WTO NON PUO’ CONDIZIONARE I NEGOZIATI DELLE COP”

[Durban/COP17, 8 Dicembre 2011]. Ad un giorno dalla fine dei negoziati della 17a Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite in corso a Durban, in Sudafrica, le delegazioni governative stanno lavorando per trovare un accordo che possa consentire alla comunità internazionale di avere strumenti efficaci nella lotta contro il cambiamento climatico, come richiesto dal panel di scienziati dell’IPCC e dagli ultimi rapporti dell’UNEP, sulla necessità di tagliare radicalmente le emissioni di gas climalteranti.

Diversi sono i capitoli sul tavolo negoziale, come il second commitment period del Protocollo di Kyoto, che dal 2013 dovrebbe imporre nuovi impegni di riduzione ai Paesi industrializzati in base al concetto di “responsabilità storica e differenziata”; il Green Fund, che dovrebbe essere reso operativo con uno stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno per adattamento e mitigazione e l’importanza di una shared vision condivisa che renda operativa una transizione verso una società zero-carbon, capace di rispettare i diritti dell’ambiente, delle comunità umane e delle culture indigene.

CGIL, Legambiente e Fair, presenti alla COP di Durban come organizzazioni osservatrici, spingono perchè da Durban si esca con un accordo legalmente ed operativamente vincolante già dal 2013 sulla base del Protocollo di Kyoto.

“Il protocollo di Kyoto è l’unico accordo internazionale vincolante per la lotta al cambiamento climatico, uno strumento che seppur da aggiornare permette una cornice legale all’interno della quale coinvolgere tutti i Paesi membri della Convenzione” spiega Maurizio Gubbiotti, responsabile dipartimento internazionale di Legambiente, “un second commitment period, come previsto e rilanciato anche nella road map di Bali, è elemento sostanziale per mantenere efficace la lotta al cambiamento climatico, sulla base di una responsabilità dei Paesi storicamente inquinatori”.

E’ necessario un Green Fund operativo già da subito, secondo CGIL, Legambiente e Fair, basato soprattutto su fondi pubblici nuovi ed aggiuntivi e sotto l’egida dell’UNFCCC, che eviti ogni intervento di Banca Mondiale e di altre istituzioni internazionali nella gestione del Fondo stesso. Il Green Fund, di 100 miliardi di dollari all’anno, sebbene sottostimato rispetto alle reali esigenze dovrebbe stanziare, e non mobilizzare fondi, e dedicarli specificamente alla lotta al cambiamento climatico ed all’adattamento.

“Per quanto riguarda il Green Fund occorre che altri Paesi, oltre alla Germania, si impegnino concretamente nel suo finanziamento” dichiara Oriella Savoldi, responsabile dipartimento ambiente e territorio della CGIL, “a sostegno dell’equa transizione che non può essere scaricata sui Paesi del Sud del mondo e neppure sui lavoratori, le lavoratrici e le fasce sociali più deboli.”

Di sostanziale importanza è poi la legittimità delle decisioni prese all’interno della COP, che non dovrebbero essere sottoposte all’interferenza di altre organizzazioni internazionali. “Nella bozza di shared vision appena diffusa” dichiara Alberto Zoratti, responsabile clima ed economia dell’organizzazione equosolidale Fair, “c’è un chiaro accenno alla necessità che le scelte prese in sede COP siano condizionate dalle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un precedente molto pericoloso”, precisa Zoratti, “che metterebbe nelle mani di un’organizzazione orientata alla liberalizzazione dei mercati e fuori dalle Nazioni Unite un percorso multilaterale che va salvaguardato e non sottoposto ad una visione del mondo, peraltro in crisi”.

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