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Se è il clima a preoccupare le imprese

di Mario Agostinelli

Le 35 pagine del sommario per i decisori politici del Quinto Rapporto Ipcc confermano, ancora una volta, la solidità della scienza del clima e l’ampiezza delle variazioni del clima del pianeta già avvenute e attese per i prossimi decenni. Mentre i governi continuano ad eludere la raccomandazione di adottare un bilancio globale delle emissioni di Co2 per tenere l’aumento di temperatura al di sotto di 2°C, molto si sta muovendo nel campo delle imprese.

Al di là del tributo umano ed ecologico, condizioni meteorologiche estreme comportano enormi costi economici. Peter Thorne, coordinatore Ipcc, afferma che la competitività delle imprese in Europa sarebbe gravemente colpita: “Le aziende dovranno guidare la carica, se vorranno rimanere a galla”. Nel mondo industriale e nel settore alimentare, si sta diffondendo un allarme per la portata dei rischi di un cambiamento climatico non gestito. Come riporta Qualenergiaun sondaggio condotto nel corso del 2012 dal Carbon Disclosure Project su 405 aziende tra le più grandi al mondo, conclude che il 37% di queste (erano appena il 10% nel 2010) vede già l’impatto dei cambiamenti climatici sul proprio business, mentre l’81% percepisce un rischio materiale.

Nel caso delle imprese energetiche la questione è ormai urgente. È di 531.000 miliardi di tonnellate il bilancio della Co2 già immessa. L’industria dei combustibili fossili ha quasi 3.000 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio immagazzinati nelle riserve conosciute di carbone, gas e petrolio: troppi per non superare 2°C. Ciò significa che molti combustibili fossili non potranno mai venire estratti. Queste aziende possono quindi valere molto meno di quello che stanno affermando, perché le “riserve” che hanno comprato in concessione non potranno mai essere bruciate. Gli investitori negli Stati Uniti e in tutto il mondo hanno già invitato le 40 maggiori aziende di combustibili fossili (Eni tra di esse) a valutare l’effettiva consistenza delle loro attività, se non sono in grado di utilizzare i loro beni, in gran parte “virtuali”.

L’industria automobilistica localizza i nuovi impianti solo in zone rigorosamente esenti da catastrofi ambientali e compete principalmente sulla riduzione delle emissioni dei veicoli. Per i produttori di abbigliamento e calzaturecome denunciano North Face, Timberland, Reef e Nautica, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia molto reale. In particolare, i grandi acquirenti di cotone, non hanno garanzie di prezzi per una merce che può risentire di condizioni meteorologiche estreme, della diffusione dei parassiti e della scarsità d’acqua. La stagione sciisticaè mediamente ridotta di due settimane a causa del riscaldamento globale, che si traduce in un minor numero di sciatori e quindi un minor numero di persone che comprano abbigliamento invernale.

C’è poi una profonda preoccupazione nel settore assicurativo – lo affermano i Lloyd’s – dato che le perdite globali a causa di catastrofi ambientali sono in aumento. Solo negli stati Uniti, mentre la perdita annuale nel 1980 è stato di circa 10 milioni di dollari, negli ultimi anni la perdita è balzata a 50 milioni.

L’industria alimentare cerca di correre ai ripari e si schiera con l’Ipcc. La New Belgium Brewing Co., la terza più grande società di produzione di birra artigianale negli Usa, denuncia il pericolo della vulnerabilità al clima della sua catena di fornitura (orzo, luppolo e acqua). Starbucks si sta preparando alla possibilità di una grave minaccia per le forniture mondiali per il suo più prestigioso anello della catena (il chicco di caffè Arabica).

Secondo alcune tra le maggiori imprese ittiche europee (AG Seafood, Eismar, Norge) l’aumento della temperatura, l’acidificazione degli oceani e la carenza di ossigeno, che cresce con la temperatura, stanno producendo zone morte e modifiche negli ecosistemi oceanici, segnalati visibilmente dall’aumento delle popolazioni di meduse. Nell’Atlantico si stanno trovando sempre meno specie settentrionali e più specie meridionali, come l’ombrina atlantica, ormai diffusa sui banchi dei nostri supermercati. Il pesce spada si è spostato di 2000 Km a nord in Cile e l’hanno seguito con enormi disagi le colonie di pescatori siciliani emigrati.

Nel complesso, si tratta di un disastro che rischia di mettere in ginocchio l’industria della pescalocale. L’impatto si fa sentire anche sulla pesca d’allevamento. Circa il 65% dell’acquacoltura è in acque interne ed è concentrata per lo più nelle regioni tropicali e sub-tropicali dell’Asia, spesso nei delta dei grandi fiumi. L’innalzamento del livello del mare previsto per i prossimi decenni incrementerà la salinità dei fiumi, ripercuotendosi mortalmente sugli allevamenti ittici.

Insomma siamo al cortocircuito tra produzione, consumo e stili di vita con una unica via d’uscita: andare alla radice dei problemi, occuparsi del clima.

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La scienza del clima tra liberisti, negazionisti e cospirazionisti

di Mario Agostinelli – 13 maggio 2013

Gli aspetti fondamentali della scienza del clima sui quali c’è un forte consenso sono che il clima sta cambiando, che i gas serra sono responsabili e che stiamo cominciando a riscontrare i cambiamenti previsti dai modelli climatici. Nonostante più del 90% dei climatologi concordino sul fatto che il clima globale sta mutando, in gran parte in seguito alle emissioni di CO2 dovute all’attività umana, sono forti e diffuse le propensioni negazioniste, alimentate sia da poteri politici ed economici sia da autentici pregiudizi. Ampi segmenti del pubblico restano scettici e sono orientati in base a valutazioni senza fondamento scientifico.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Melbourne ha analizzato le correlazioni tra convinzioni soggettive e influenze esterne che portano l’opinione pubblica a disconoscere un’enorme mole di osservazioni e di conferme. Le loro conclusioni, che riportiamo di seguito, sono interessanti anche per quanto riguarda il dibattito che questo blog registra abitualmente.

1)  I blog su Internet sono diventati una piattaforma amplificatrice per i negazionisti del clima. Alcuni blogger professionisti hanno assunto un ruolo di primo piano e influente nel mettere in discussione i risultati della climatologia. Nella grande maggioranza, questi operatori dell’informazione condividono una concezione liberista dell’economia di mercato. L’approvazione del libero mercato ha già influenzato il rifiuto di altre scoperte scientifiche consolidate, come il fatto che l’Hiv causi l’Aids, che il fumo provochi il cancro ai polmoni, che il buco dell’ozono sia provocato dai clorofluorocarburi. Un piccolo numero di potenti organizzazioni e di individui hanno contribuito ad una disinformazione che vede come una minaccia qualsiasi scoperta scientifica con un potenziale impatto sulla regolamentazione, come nel caso della commercializzazione dei prodotti del tabacco o dei divieti d’uso di Cfc.

2)  Un’altra variabile che è stata associata al rifiuto della nozione di cambiamento climatico è il pensiero cospirativo – l’“ideologia cospirazionista” – definito come il tentativo di spiegare un evento significativo, politicamente o socialmente, come un complotto segreto da parte di individui o organizzazioni. Anche in questo caso, Internet offre agli individui che rifiutano un appurato consenso scientifico l’opportunità di alimentare sospetti di “sentimenti di persecuzione da parte di una élite corrotta”. Questi stessi negazionisti hanno sostenuto in passato diffuse teorie del complotto (ad esempio, che la Cia abbia ucciso Martin Luther King o che la Nasa abbia finto lo sbarco sulla luna). In definitiva, secondo i ricercatori australiani, l’ideologia cospirazionista contribuisce al rifiuto della scienza.

Lo spostamento di gran parte dell’informazione e del dibattito dalla carta stampata alla rete può far registrare un confronto deviato e a volte molto insidioso. Basta confutare i dati scientifici con il conformismo del pensiero dominante o con il ricorso a bufale suggestive, per essere ripresi e “forwardati” senza essere sottoposti ad un filtro critico e oggettivamente contestabile. I ricercatori in storia e sociologia spesso citano come fattore di plagio la “fabbricazione di dubbio” che proviene dainteressi particolari e da gruppi politici. Ad esempio, è stato dimostrato che oltre il 90% dei libri scettici sull’ambiente pubblicati dal 1972 sono stati promossi da think tank conservatori(Jacques PJ, Dunlap RE, & Freeman M., “L’organizzazione della negazione”, 2008).

Non c’è dubbio che i potentati che organizzano l’intera filiera delle fonti fossili (petrolieri, corporation minerarie, gestori delle reti del gas) e i grandi gruppi automobilistici e gli uomini della finanza legati alle grandi opere, mostrano una chiara propensione a disconoscere la necessità di cambiare il paradigma energetico, che oggi marginalizza ancora le fonti rinnovabili, i sistemi di mobilità sostenibili, i trasporti collettivi. Non stupiamoci quindi se li incroceremo sul web con parole d’ordine che difendono e perpetuano il modello del passato e mettono la sordina a qualsiasi preoccupazione sulla nostra salute e sulla vitalità della biosfera. Cosa dire, infine, di un governoappena formato che nel suo programma non accenna nemmeno di striscio alla temperatura del pianeta o all’inquinamento delle nostre città ed arruola tranquillamente, come ministri e sottosegretari, negazionisti incalliti?

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Lettera a Clini su qualità dell’aria e ambiente urbano

Qualità dell’aria e dell’ambiente urbano

Associazioni ambientaliste scrivono al ministro Clini in vista dell’incontro a Dublino

“Rivedere le norme europee e adottare impegni più stringenti per contrastare l’inquinamento”

 Scarica il testo completo della lettera: Lettera al Ministro Clini

“L’inquinamento atmosferico rappresenta uno dei problemi ambientali più rilevanti e riguarda non solo le aree urbane ma anche altre zone, a partire da quelle situate a ridosso di grandi complessi industriali o altre attività particolarmente inquinanti. Le città rimangono comunque le aree più critiche. Secondo il dossier Mal’ aria  di città 2013 di Legambiente, lo scorso anno ben 52 capoluoghi di provincia hanno superato il bonus di 35 giorni di superamento del valore medio giornaliero di 50 microgrammi/metro cubo stabilito dalla legge per le polveri fini (PM10). Situazione particolarmente grave evidenziata anche dal Rapporto OCSE del marzo 2013, che segnala che oltre il 50% delle città europee più inquinate si trova nel nostro Paese, con situazioni particolarmente critiche nella Pianura Padana”.

Le associazioni ambientaliste hanno inviato oggi una lettera al ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Corrado Clini e per conoscenza al ministro della Salute Balduzzi, in vista della riunione dell’ Informal Council of European Union’s (EU) Environment Ministers su Qualità dell’aria e dell’ambiente urbano, che si terrà a Dublino il prossimo 22 aprile.

 

Ogni anno – si legge nella lettera – secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 420.000 persone muoiono prematuramente per cause legate all’inquinamento atmosferico e si stima una riduzione dell’aspettativa di vita fino a 24 mesi nelle aree più inquinate; stando ai limiti proposti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità per il PM2.5, se questo venisse rispettato nelle maggiori 25 città di tutta Europa, si avrebbe un risparmio di oltre 31 miliardi di euro all’anno, oltre i costi intangibili dell’aumentato benessere e dell’aspettativa di vita; l’inquinamento atmosferico danneggia la natura e le biodiversità a causa della deposizione di sostanze acidificanti ed eutrofizzanti oltre i valori di carico ammissibile degli ecosistemi sensibili in molte aree di tutta Europa. Solo nell’area padana viene stimata una riduzione di produzione agricola tra il 15% ed il 30% dovuto all’impatto dell’Ozono, degli Ossidi di Azoto e dei COV.

Gli interventi e le azioni volte a ridurre e contrastare l’inquinamento dell’aria sono richieste dalla grande maggioranza dei cittadini. In Italia la popolazione risulta essere la più preoccupata dall’impatto dell’inquinamento atmosferico, e per l’87% degli intervistati le autorità pubbliche non stanno facendo abbastanza per il miglioramento della qualità dell’aria nel nostro paese. Alla luce di quanto scritto è evidente che ogni ulteriore ritardo nelle politiche di riduzione dell’inquinamento atmosferico sia ingiustificato e inaccettabile. Per questo confidiamo in un impegno del ministro dell’Ambiente a supporto di tali azioni nel prossimo incontro del 22 aprile a Dublino e nei mesi a seguire”.

La lettera a Clini si chiude con le tre richieste condivise da oltre 60 associazioni ambientaliste europee in cui si chiede l’implementazione e il rafforzamento delle attuali norme europee sulla qualità dell’aria prevedendo misure più severe e limiti più stringenti sulla base delle più recenti raccomandazioni fornite dall’OMS; l’adozione di significativi impegni di riduzione delle emissioni nell’ambito della revisione della direttiva NEC, in particolare fissando limiti di emissione più stringenti e aumentando il numero di sostanze inquinanti a cui la direttiva si riferisce, aggiungendo anche il PM2,5 per il raggiungimento di “livelli di qualità dell’aria che non causino rischi per la salute umana e per l’ambiente” (Long-term obiective of the 6th EU Environment Action Programme); l’adozione di una normativa di settore che punti alla netta riduzione delle emissioni da tutte le fonti principali: trasporti (stradali, non stradali e navali), agricoltura e uso di solventi.

L’ufficio stampa Legambiente: 06.86268376 – 53 – 99

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Le primarie di Greenpeace sul clima

Greenpeace rende noti oggi i dati delle “sue primarie”. Ieri l’associazione ambientalista, in 24 città italiane, ha raccolto il parere degli elettori del centrosinistra sul futuro energetico del Paese. Oltre il 97% si dichiara indisponibile a votare chi continuerà a permettere la costruzione di nuove centrali a carbone o non si impegnerà a ridurre l’utilizzo della fonte più sporca e dannosa per il clima. Una percentuale identica vincola il proprio sostegno all’impegno, da parte dei candidati premier, a proteggere il Mediterraneo dalle perforazioni petrolifere; oltre il 99%, infine, dichiara che non darà il suo voto a chi non promuoverà concretamente la crescita delle fonti rinnovabili, che proteggono clima, aria e generano occupazione.

“Gli elettori del centrosinistra – afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – ci hanno detto la loro in maniera molto chiara.Renzi e Bersani, in oltre due settimane, non hanno trovato tempo per rispondere a un semplice questionario, per mettere 9 crocette e dirci sì o no agli impegni che sollecitiamo loro. Non solo: stanno mancando di rispondere a 25mila cittadini che in una sola settimana gli hanno scritto firmando la nostra petizione. Non sono in grado di prendere posizioni chiare neppure quando chiedono il consenso dei cittadini?”

Secondo Greenpeace i dati che emergono da questo sondaggio (il campione è costituito da 2.139 votanti alle primarie) indicano una netta divaricazione tra la base elettorale e l’atteggiamento dei leader. E questo non solo perché Bersani e Renzi non rispondono all’associazione e ai cittadini che ne hanno sottoscritto la petizione online dal sito www.IoNonViVoto.org: il PD in questi anni ha mancato di opporsi a progetti di nuove centrali a carbone e si è fatto addirittura promotore di progetti di espansione di centrali già esistenti, anche contro il parere dei suoi amministratori locali.

Ugualmente, il partito di Bersani rappresenta uno dei pilastri del Governo dei “tecnici”, promotore di una svendita del Mediterraneo alle compagnie petrolifere, sui cui ricavi vi sarà un prelievo fiscale bassissimo.

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L’ecosostenibilità: dal legno alla casa

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano

In queste note propongo e rielaboro le interessanti riflessioni di Samuele Giacometti, inviatemi in relazione ad un mio post di due settimane fa. Allora venivano discussi i costi sociali delle emissioni di CO2, non limitandosi al caso più eclatante delle combustioni di petrolio, gas e carbone, ma spingendosi a considerare anche il contributo delle biomasse al cambiamento climatico. La domanda posta dal signor Giacometti è la seguente: “È possibile quantificare il costo a carico della società per ogni tonnellata di CO2 comunque prodotta?”.

Il cosiddetto “Social cost of carbon” (SCC), il cui studio è stato addirittura richiesto dall’Amministrazione americana Bush prima e Obama poi, è considerata una misura di strategica importanza, perché quantifica il vantaggio economico qualora si riducessero le emissioni di CO2. Per calcolarla sono stati considerati gli effetti sulla salute, le ripercussioni economiche e altri effetti che i cambiamenti climatici possono causare all’umanità. Nel 2009, l’agenzia intergovernativa Usa aveva fissato il valore di riferimento a 21$ per tonnellata di CO2 mentre il Regno Unito a 83$. Due studiosi americani da me citati nel post precedente fanno oscillare il valore SCC da 55 a 266$. Come si vede, le differenze sono enormi e dipendono dagli effetti presi in considerazione.

Il signor Giacometti è un ingegnere meccanico che nel 2005, per motivi di lavoro, si è trasferito da Bologna a Prato Carnico (Ud) sulle Dolomiti Pesarine e ha progettato una casa interamente di legno. La casa è costruita con un metodo certificato, illustrato durante i lavori di Rio+20,come esempio di reale sostenibilità ambientale, sociale ed economica. L’esperienza ha tratto origine dall’impiego meticolosamente documentato da 43legno-pianta dei boschi gestiti dall’Amministrazione Frazionale di Pesariis.

Il fatturato generato fra le imprese e gli artigiani protagonisti dell’intera filiera di trasformazione del legno da pianta a casa è stato pari a 90.000 euro, arredamento compreso. Tutti questi operatori vivono e operano fra la Val Pesarina e il Comune di Sauris (UD) in un anello di soli 12 km. La buona riuscita dell’impresa, valutata nell’ambito dell’intero Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment), è stata certificata e premiata come caso esemplare sulla base di dati quantitativi, confrontati con quelli di altre abitazioni similari secondo un approccio rigorosamente scientifico certificato dall’Enea. Un successo, quello della casa di Sauris, riconducibile all’origine locale del legname utilizzato per la costruzione e all’assenza di trattamenti chimici applicati su di esso.

Dallo studio è emerso che la trasformazione delle 43 legno-pianta in legno-casa, ha generato un effetto di cambiamento climatico pari solo a 52 tonnellate di CO2eq. Il costo sociale della costruzione ammonterebbe a 14.000$ considerando l’ipotesi peggiore (52t x 266$, con il valore di SCC massimo). Attraverso vari scenari di confronto è stato dimostrato che lo stesso legname, trasportato su strada per 1000 km (come accade per gran parte del legname di origine industriale), avrebbe incrementato del 23% gli effetti sui cambiamenti climatici e di circa 3.000$ i costi sociali.

Le conclusioni di questo esame sono interessanti: un oggetto non si può definire “ecosostenibile” solo perché fatto di legno. Occorre sapere da dove viene, in che periodo della sua vita è avvenuto l’abbattimento della pianta di origine e che tipo di trattamenti chimici sono stati adottati.

In definitiva, anche nel caso delle biomasse e delle loro applicazioni residenziali, l’analisi dell’intero ciclo premia le soluzioni a chilometro zero, il mantenimento dell’habitat forestale, il rifiuto di impiegare sostanze derivate dal petrolio. Interessante davvero questo spunto, che si rifà a un’esperienza locale e personale, che fa riflettere come ciascuno possa contribuire a ridurre i 2.300 milioni di tonnellate di CO2 all’anno immesse nell’atmosfera in Italia, pari a un costo sociale minimo di 48,3 miliardi di dollari (SCCUSA=21$) o, più realisticamente, di 610 miliardi (SCCMAX=266).

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