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COP 21: Riduzione emissioni o barbarie – incontro a Genova

Venerdi 11 dicembre ore 17.00

Salone Rappresentanza Palazzo Tursi, v.Garibaldi 14 – Genova

I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità.

Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo, dove molte popolazioni vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali.

La scienza e la tecnologia non sono neutrali, dipendono dalle scelte politiche ed economiche.

Nessuno vuole tornare alla preistoria, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, abbandonando al tecnologia basata sui combustibili fossili, per un’economia basata sulal giustizia e la redistribuzione delle ricchezze.

L’attuale sistema economico energivoro, oltre a distruggere l’ambiente e a sfruttare i lSud del mondo, causa diseguaglianze e povertà anche nelel nostre città.

E’ necessaria una riconversione ecologico-sociale dell’economia.

Cosa sta succedendo alla Confernza di Parigi? In Italia e in Liguria a che punto siamo?

Ne parliamo con

Mario Agostinelli, ecologista, politico e sindacalista

Dott.ssa Maria Fabianelli, Direttore Divisione Energia IRE S.p.A, Agenzia Regionale Ligure (Il progetto COOPENERGY: la Governace multi-livello nella pianificazione energetica)

Enrico Pignone, Consigliere delegato all’Ambiente della città Metropolitana di Genova

COP 21: Riduzione emissioni o barbarie

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Cop21: attenti al gioco delle tre carte

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Occorre non cadere ancora una volta nella trappola mediatica e concettuale di tutte le conferenze mondiali sul clima fin qui svolte. Anche perché al numero 21 non c’è più tempo. Ma, tra il dire e il fare, per i governi seduti al tavolo Onu conta soprattutto l’apparire. Qui di seguito tre esempi di irresponsabilità camuffata, come al gioco delle tre carte, che non sembra proprio bandito da Parigi.

1. Il Trade Policy Committee dell’Unione Europea, tra i cui membri è rappresentato anche il Ministero dello Sviluppo italiano, in un documento rivolto ai negoziatori della Cop21, intima che non si parli di attività soggette ai trattati internazionali sul commercio, dato che “ogni misura adottata per combattere il cambiamento climatico” non dovrebbe costituire un mezzo di “restrizione del commercio internazionale“. Quindi,”non si faccia nessuna menzione specifica su questioni inerenti al commercio e alla proprietà intellettuale” perché ogni risoluzione in tal senso non potrà essere accettata dall’Ue”. Mentre, difronte alla instabilità mondiale, movimenti e cittadini ribadiscono la richiesta che siano le Nazioni Unite a gestire le crisi globali, ancora una volta la logica del “business is business” viene a prevalere. Far prevalere le trattative semisegrete del Wto e del Ttip, significa attaccare alla radice il negoziato climatico e favorire gli interessi economici rispetto alla tutela della salute del pianeta. La visione neoliberista del mercato globale non si smentisce, ma chi ne paga le conseguenze sono i cittadini, tenuti all’oscuro dall’ipocrisia di chi governa.

2. Il petrolio da sabbie bituminose è tra i combustibili più inquinanti al mondo. Tenerlo sotto terra è indispensabile per il contenimento dell’aumento di temperatura entro i 2°C.  Nonostante le prove fornite dalla Stanford University sull’eccesso di quantità di Co2 liberata nell’atmosfera (107 grammi di Co2 equivalente per megajoule (Co2eq / MJ) contro gli 87.5g (Co2eq / MJ) del petrolio tradizionale), il Parlamento Europeo, su disposizione della Commissione, ha ratificato l’inserimento del combustibile ricavato da sabbie bituminose nella stessa classe di inquinamento della benzina e del diesel convenzionale. Ciò è avvenuto perché le compagnie petrolifere e le raffinerie hanno vinto sull’evidenza scientifica e hanno ottenuto nel Ttip, il trattato di libero scambio tra Ue e Usa, una clausola di trattamento privilegiato per il petrolio da sabbie bituminose. Nello stesso periodo in cui ci si preparava per la Cop21, le maggiori raffinerie europee si sono attrezzate per ricevere e trattare il greggio da sabbie bituminose. Potremmo quindi trovarcelo sotto casa, come segnalato da questa mappa, che mostra Busalla, Livorno, Ancona, Sannazzaro (Pv), Trecate (No), e molti siti in Sicilia e Sardegna.

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3. Le autorità degli Emirati Arabi vogliono mettere da subito a frutto i loro petrodollari prima che sia troppo tardi. A questo fine annunciano grandi investimenti nel solare, ma anche 20 miliardi per la costruzione di una grande centrale nucleare. Naturalmente non se ne parla a Parigi, dove, stranamente, le centrali nucleari in costruzione o quelle francesi in funzione sembrano scomparse. Il fatto è che, di fronte ad un mancato accordo sulle emissioni di Co2, come purtroppo prevedibile, si potrebbe invece legittimare un uso massiccio dell’energia nucleare in sostituzione dell’uso di petrolio e carbone, nonostante i rischi del militare, degli incidenti, dello smaltimento delle scorie. Ci sono settori dell’establishment mondiale che potrebbero pensare di rilanciare questo discorso e che non vanno sottovalutati. La questione messa in questi termini fornirebbe anche una ragione in più alle guerre in corso: non soltanto per determinare il predominio sulle fonti energetiche come petrolio e gas in progressivo esaurimento, ma anche per determinare nuovi equilibri politici adatti ad aprire una ipotetica nuova fase ancora nelle mani degli stessi. Alla Cop21 è presente una lobby nucleare di 140 soggetti, che “richiede un attento esame di tutte le possibili soluzioni e la prevenzione di tutte le decisioni ideologicamente o dottrinalmente guidate”. E manda un segnale ai negoziatori: “tutti i paesi devono avere il diritto di scegliere l’energia nucleare per ridurre le emissioni di gas serra e raggiungere i loro obiettivi nazionali di energia pulita. Tale scelta non deve essere limitata da convenzioni o protocolli firmati a livello internazionale”.

Insomma, tre notizie inquietanti, che non possono che richiedere quella attenzione e quella mobilitazione democratica che le azioni terroristiche cercano di tenere lontano, schiacciata dalla paura.

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Il nucleare non salverà il clima

di Alfonso Navarra
Parigi, 8 dicembre 2015

Parigi, che si sveglia lepenista (grazie, credo, anche all’insipenza di Hollande ed ai suoi strumentali stati di emergenza per la guerra al terrorismo islamico”) gioca a fare la “capitale del mondo” durante la conferenza sul clima. E’ la logica dei grandi eventi calamita tutto, che abbiamo già visto dispiegarsi con l’EXPO di Milano: ogni realtà culturale e associativa riceve le sue briciole di finanziamento per partecipare alla celebrazione del tema retorico dominante, mentre la grande industria nucleare (EDF, AREVA) sponsorizza.

Sono arrivato ieri notte (il 7 dicembre, una notte sorprendentemente non fredda) e, rimediata la RER dall’aeroporto di Orly, ho preso alloggio presso il Vintage, un dignitoso ostello per la gioventù (c’è persino la stanza con gli attrezzi per la ginnastica!), in rue Dunquerque, vicino alla Gare du Nord: siamo nel 10mo arrondissement.

La piccola camera a due letti, con bagno interno, telefono, TV, etc., l’ho occupata purtroppo in solitaria e mi costa 108 ero al giorno.  Nel prezzo è compresa la colazione: caffè, cornetto, scelta di burro e marmellate, succo di arancia. Nella sala in cui si fa breakfast è piazzato, lo giuro, un calcio balilla!

Lancio l’ennesimo appello a chi voglia prendersi il letto libero condividendo l’esperienza degli ultimi giorni della conferenza (e la spesa, che per il sottoscritto è alquanto gravosa)!

Mi è molto utile il servizio di Free wifi access, garantito dall’Ostello, per il quale avrò facilitato il lavoro, che spero risulti utile al movimento di base italiano, di prendere informazioni e di resocontare.

Tutte le municipalità di Parigi ovviamente partecipano alla COP 21 con un fitto programma di manifestazioni organizzate.

A mo’ di esempio, riporto quanto ha organizzato il quartiere dove mi sono stabilito sotto lo slogan: “Il clima cambia, noi pure“.

Gli eventi sono raccolti sotto titoli:

1- la sfida dell’energia positiva (una proposta rivolta alle famiglie su come ridurre i consumi di energia)

2- i film con la possibilità di interloquire con i realizzatori. Mercoledi 9 dicembre è in programma “Intox”, a cura dell’Associazione Bloom, seguito da un dibattito con Laure Ducos, la regista

3 – le mostre, una fotografica a cura della Fondazione Abbé Pierre, e un’altra, “DIXruption”, definita come interattiva e partecipativa

4- un dibattito di bilancio della COP 21 (previsto il 15 dicembre a cura dell’associazione 4D).

Il quartiere patrocina, in rue Dunquerque, “Place to B” (slogan: “Rinfresca il clima, riscrivi la storia!”) che si presenta come una “cassa di risonanza della società civile” ma anche per i media partecipativi (vai su: http://www.placetob.org).

Oggi, 8 dicembre, è in programma lo “spazio per ridere”, ma anche un “programma radio a porte aperte”, un gioco-quiz, l’incontro con esperti internazionali, trasmesso in diretta, che fa il punto della giornata dei negoziati, uno stage teatrale…

Place to B è ospitata da Belushi’s, una struttura aperta nel 2013, uno spazio molto ampio a disposizione della creatività giovanile, con biblioteca, laboratori, sala concerto, postazioni per co-working…

C’è anche posto per un ristorante “verde” con prodotti biologici ed equo-solidali…

Quanto finora ho scritto riguarda la programmazione di un solo quartiere di Parigi.  Dovete però tenere presente che ogni arrondissement – a Parigi sono ben 20! – ci ha messo del suo e presenta una analoga mitragliata di eventi.

La mappa di queste divisioni amministrative è bene che me la studi perché, per muovermi, ho da comprare il biglietto “turistico” del metrò, che copre solo 3 zone. Per quello che ho capito, sentendo la mia amica Giovanna che è parigina acquisita (insegna storia della matematica in una delle 13 Università che illustrano la “Ville Lumiere”), gli arrondissement si sviluppano a spirale in cerchi intorno al primo centrale, verso l’esterno, in senso orario.

Cosa andrò a seguire oggi? Per me la risposta parte dalla premessa che i negoziati farlocchi di Le Bourget li lascio volentieri ai “giornalisti”: da “antigiornalista” condivido l’opinione di Hermann Sheer, il profeta tedesco dell’energia solare, che si tratti solo di “minimalismo organizzato”? Se tutto – secondo le concezioni del WWF e simili – va bene, insomma, saremmo comunque (mezzi) rovinati!

Mi interessa in particolare, tra le azioni critiche in ballo, cosa fa Sortir du Nucléaire, rete di oltre 600 gruppi di base, che contrastano l’atomo, sia di guerra, sia quello presunto di pace, con la quale, LOC, Energia Felice, Accademia Kronos, Confederazione COBAS, etc., a Firenze 10+10 (novembre 2012) abbiamo cominciato a costituire il Network antinucleare europeo.

La Rete ha lanciato, in occasione della COP 21, una mobilitazione all’insegna dello slogan: “Il nucleare non salverà il clima”. L’obiettivo è, appunto, quello di contrastare la proposta del nucleare “civile” come soluzione al problema climatico.

Il 29 novembre c’è stata la catena umana con 10.000 persone che hanno sfidato il divieto di manifestare imposto dal governo (e che è stata disturbata dall’immancabile imbecillità dei Black Bloc: hanno offerto il pretesto per le cariche poliziesche e per gli arresti di massa indiscriminati, che ho già commentato).

La Rete ha poi partecipato al Villaggio delle Alternative, svoltosi a Montreuil il 5 e 6 dicembre.

Sortir du Nucléaire ha lanciato una petizione on-line contro le affermazioni menzognere di EDF: la corrispettivo francese di ENEL sostiene di produrre elettricità senza emettere C02.

Nel sito: http://www.sortirdunucleaire.org/WISE-nucleaire-climat troviamo un rapporto di esperti che sbugiardano questa affermazione.

Vi riferirò se ci sono novità da parte degli antinucleari francesi, a parte l’intenzione di confluire nella manifestazione ecopacifista del 12 dicembre, che pare il governo consentirà, anche se con molte limitazioni.

Per quanto riguarda la nostra iniziativa di “disarmisti esigenti” – emendare in senso antinucleare la Carta dei diritti dell’Umanità, che Hollande sta elaborando – ho da registrare le lettere che Luigi Mosca, il fisico di Armes Nucléaires Stop, ha indirizzato sia a Jean Marie Collin, presidente dell’Associazione dei Parlamentari per il disarmo nucleare, sia a Leila Aïchi, senatrice e vice presidente della Commissione degli Affari Esteri e della Difesa del Senato francese (Leila Aïchi, appartiene al partito EELV – Europe Ecologie Les Verts).

La mozione, da noi ispirata e  presentata dalla Sinistra Italiana, è bene precisarlo, non è stata l’unica approvata alla Camera il 26 novembre scorso:  ne sono passate altre cinque con il placet del governo Renzi (che ha “benedetto” tutti, tranne, se non ho capito male, una iniziativa proveniente dal Gruppo Misto).

Per sì e per no, sulla base della mozione approvata, e delle conclusioni del Seminario di Villar Focchiardo del 25 e 26 settembre scorsi, un incontro a Ban Ki-moon è già stato chiesto, per il momento scrivendo al sito ufficiale del Segretariato delle Nazioni Unite.

Aspetto notizie da Luigi Mosca sulla riunione che faremo per vedere come organizzare un coinvolgimento ed un sostegno internazionale al disarmo nucleare come “diritto dell’Umanità”.

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Il clima di Parigi

di Roberto Meregalli

Sino a qualche giorno fa Parigi veniva associata all’imminente ventunesima conferenza delle Parti dedicata al clima. Quantomeno nella mente del 29% della popolazione italiana, secondo una stima di Legambiente, per gli altri, COP21 probabilmente faceva immaginare più un nuovo supermercato che una conferenza multilaterale su come preservare la nostra vita su questo pianeta (questo è il tema in questione).

Oggi Parigi fa scattare un altro link, ma nonostante le 129 vittime degli attentati, la conferenza è confermata e rimane inalterata la sua importanza, nonostante il terrorismo riempia oggi internet, televisione e giornali2.

Succederà qualcosa di buono dal 30 all’11 dicembre?
L’esperienza farebbe rispondere di no, siamo alla ventunesima edizione (tutto ebbe inizio nel 1992 con il summit della Terra di Rio: nacque lì la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), e tutto quello che è scaturito è stato il protocollo di Kyoto firmato ed applicato solo da una parte ridotta dei paesi. Tanti i vertici aperti con grandi speranze e chiusi senza risultati, eclatante quello di Copenaghen nel 2009 quando 115 leader mondiali fallirono l’impresa di un accordo storico e Barack Obama, fresco di nobel per la pace, tornò a Washington a mani vuote. Parigi è stata immaginata come l’occasione per cancellare Copenaghen e concludere un accordo legalmente vincolante per ridurre le emissioni di gas climalteranti in modo da evitare che la temperatura media globale aumenti di oltre due gradi centigradi. L’aumento di due gradi lo abbiamo già accettato come inevitabile, ma oltre il mondo scientifico paventa mutamenti insostenibili.

Negli ultimi anni abbiamo compreso meglio i fattori che provocano il cambiamento del clima, i cui effetti sono già visibili, il 2014 è stato l’anno più caldo da quando misuriamo la temperatura del pianeta e a parte il 1998, i dieci anni più caldi sono tutti dal 2000 in poi.

Per rispettare l’impegno a non superare il target dei due gradi in più, da tempo sentiamo ripetere che occorre ridurre la quantità di anidride carbonica, ossidi di azoto, composti di fluoro e gas metano che “liberiamo” quando ci muoviamo, quando ci riscaldiamo, quando coltiviamo, quando produciamo energia e prodotti di uso quotidiano. Il carbonio e suoi derivati sono da sempre al centro della scena perché l’atmosfera è in gran parte trasparente rispetto alle radiazioni del sole ma queste radiazioni non possono essere accumulate senza fine, vanno “ributtate” nello spazio per mantenere equilibrio fra input ed output.

Gli scienziati dicono che per limitare a due gradi in più la perdita di equilibrio, nei prossimi 35 anni dovremo rimanere sotto i 3.200 miliardi di tonnellate di CO2. Oggi siamo a 2 mila e per far bastare il bonus di 1.200 da qui al 2050 sarànecessario rallentare drasticamente il ritmo, ossia vivere riducendo del 60% le emissioni.

Detta in questi termini la questione può anche apparire semplice, ma tradotta in termini pratici no.

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Cop21: per combattere l’inquinamento il Pentagono è militesente

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Quando nel 1991 l’Onu diede legittimazione alla guerra aerea degli Stati Uniti in Iraq – “Tempesta nel deserto” – accompagnata più tardi dagli scarponi sul suolo iracheno – “Scudo nel deserto” – qualcuno di noi cominciò a fare i conti di quale fosse non solo la spaventosa devastazione in vite umane e abitazioni, ma anche il riflesso sulla natura e il clima in termini di emissioni di CO2. Ne deducemmo che nei primi due anni la guerra all’Iraq era costata circa 200 miliardi di dollari e che il petrolio pompato dai pozzi iracheni ne avrebbe fruttati circa 30. Di fatto per la guerra sono stati consumati 650 milioni di barili equivalenti (bombe comprese) all’immissione in atmosfera di 300 milioni di tonnellate di CO2, ben più dei gas climalteranti di tutta l’Africa subsahariana.

Alle soglie del nuovo millennio pochissimi facevano di questi conti, ma dopo decine di Cop inconcludenti, questa a Parigi nel 2015 entra in scena in un clima di terrorismo e guerra, che rischiano addirittura di oscurare l’urgenza del cambio climatico o di tenerlo separato dai due temi che allontanano il diritto della pace e, con esso, qualsiasi richiamo ad una ecologia integrale, responsabile e senza ipocrisie.

Il senatore Bernie Sanders, in un recente dibattito al Congresso degli Stati Uniti, ha suonato l’allarme perché “il cambiamento climatico è direttamente correlato alla crescita del terrorismo”. Citando uno studio della CIA, Sanders ha avvertito che i paesi di tutto il mondo stanno “andando a lottare su una quantità limitata di acqua, quantità limitate di terra per coltivare i loro raccolti e si stanno riconsiderando sotto questo profilo tutti i tipi di conflitto internazionale”. In parole povere: la guerra e il militarismo alimentano esse stesse il cambiamento climatico e ne sono alimentate.

Prendendo atto di una affermazione non sospetta e venendo a noi, ci dovrebbe preoccupare che uno dei maggiori contribuenti al riscaldamento globale non abbia alcuna intenzione di accettare di ridurre l’inquinamento anche in vista della scadenza parigina. Il problema in questo caso è il Pentagono, che occupa 6.000 basi negli Stati Uniti e più di 1.000 basi in più di 60 paesi stranieri. Secondo il “2010 Base Structure Report”, l’impero globale del Pentagono include più di 539.000 strutture in 5.000 siti che coprono più di 28 milioni di acri, bruciando 350.000 barili di petrolio al giorno (solo 35 paesi nel mondo consumano più) senza contare l’olio bruciato da appaltatori e fornitori di armi. La fornitura di carburante riguarda più di 28.000 veicoli blindati, migliaia di elicotteri, centinaia di aerei da combattimento e bombardieri e vaste flotte di navi militari.

L’Air Force rappresenta circa la metà del consumo di energia operativa del Pentagono, seguita dalla Marina Militare (33%) e dall’esercito (15%). Ironia della sorte, la maggior parte del petrolio del Pentagono viene consumato in operazioni dirette a proteggere l’accesso degli Stati Uniti al petrolio straniero e le rotte di navigazione marittima per trasportarlo. Si stima che la guerra in Iraq del Pentagono abbia generato più di tre milioni di tonnellate di inquinamento da CO2 al mese per la sola movimentazione di sistemi d’arma (aerei, carri, autoblindo, tank, aerei etc.).

In breve, il consumo di olio si incarica di consumare più petrolio. Questo non è un modello energetico sostenibile. Ma cosa può fare un trattato sotto egida Onu come quello che si apre a Parigi nel momento in cui il Pentagono ha insistito su una “norma di sicurezza nazionale” che avrebbe posto le sue operazioni al di là di ogni controllo globale, esentandolo anche dalla regolamentazione dell’inquinamento e facendone un inquinatore privilegiato? Un paradosso: l’apparato militare è militesente nella battaglia per il clima…

In quanto al terrorismo, e ai fini circoscritti del tema di questa comunicazione, vorrei ricordare che Oliver Tickell su The Ecologist mette in guardia i leader politici dai rischi di un fallimento della COP21, ipotizzando un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che in parte è nella disponibilità dei terroristi di Isis per finanziare le proprie attività criminali: un motivo in più per non fallire e ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Ma l’ottimismo per un accordo adeguato con gli attuali leaders mondiali non ha grandi speranze, a meno che i popoli in marcia…

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