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L’Enel di Civitavecchia rallenta sulla transizione e i lavoratori scioperano: le parole non bastano

di Mario Agostinelli e Mauro Mei

L’8 marzo 2024, i lavoratori elettrici di Enel hanno incrociato le braccia in una mobilitazione promossa dalle categorie sindacali nazionali di Cgil, Cisl e Uil. L’iniziativa esprime preoccupazione per la direzione che sta prendendo l’azienda energetica italiana. Dopo la gestione dell’ad Starace, proiettata verso il nuovo paradigma energetico per affrontare la crisi climatica e raggiungere gli obbiettivi di riduzione delle emissioni definite dal Green Deal europeo, il nuovo gruppo dirigente di Enel ha subito dato segni di minore autonomia rispetto ai grandi interessi ereditati dai potentati dell’era fossile ed ha rivolto la sua attenzione alla speculazione finanziaria e – come dice il comunicato di Cgil, Cisl e Uil nazionali – rischia di non “rimanere un motore essenziale nella giusta transizione energetica del paese, tradendo la vocazione industriale che da sempre ha contraddistinto l’azienda”. E’ infatti in corso un progetto di ridimensionamento che ha sollevato preoccupazioni tra le lavoratrici ed i lavoratori.

I sindacati criticano i tagli del personale e l’esternalizzazione di alcuni servizi, specialmente nella distribuzione, mettendo a rischio la continuità del servizio elettrico nelle case degli italiani, giorno dopo giorno. Assai significativa, tra le motivazioni della mobilitazione che ha già avuto precedenti momenti di rilievo, è la contrarietà alla riduzione degli investimenti nelle fonti rinnovabili che avevano aperto solide aspettative nel periodo più recente della gestione dell’Ente.

Siamo nella fase di “Phase -out” dal carbone e di sempre maggiore urgenza nell’adeguare il sistema centralizzato di produzione elettrica alla riconversione territoriale, cui concorrono le fonti rinnovabili, diverse forme necessarie di stoccaggio, forme di compartecipazione che riducano i consumi e contengano i costi in bolletta. Per Brindisi e Civitavecchia si tratta di garanzie di occupazione nel cambio strutturale dei sistemi che hanno alimentato fino ad ora i due poli.

L’astensione dal lavoro è risultata massiccia e, in particolare a Civitavecchia, lo sciopero davanti ai cancelli di Torre Valdaliga Nord ha avuto larga risonanza e solidarietà tra la popolazione da tempo impegnata alla trasformazione da una centrale a carbone ad un avanzato sistema eolico-offshore a 30 Km dalla costa. Il nuovo progetto è al vaglio con la piena convergenza di tutte le forze politiche e sociali: registriamo al riguardo la riuscita di un convegno partecipatissimo lo scorso 14 marzo a conferma del progetto da fonti rinnovabili ed un comunicato del Pd a sostegno della lotta aperta anche dai lavoratori dell’indotto per il loro futuro. (v. telegiornale locale dal min.7).

Il ministro Pichetto ha cercato di rassicurare: “Io sono determinato a dire che noi chiudiamo Civitavecchia e Brindisi il prima possibile. E’ chiaro che la chiusura deve vedere da parte della proprietà un impegno di riconversione, rioccupazione e gestione di un trapasso che dobbiamo portare avanti a che va gestito anche con le autorità locali e il diritto sindacale di porre le questioni di merito sul lavoro”. Ma le parole non bastano certo. La città e le rappresentanze sindacali e politiche pretendono dall’Enel risposte chiare e non dilatorie, preoccupata dall’assenza di progettualità e di un confronto serrato con l’ente elettrico, impegnato in una vertenza generale cui si sta sottraendo, nonostante la conversione energetica debba avere tra gli attori protagonisti l’Enel stessa, che ancora non si è impegnata in compartecipazioni indispensabili, come la definizione e costruzione di sistemi di accumulo e l’integrazione dell’alimentazione elettrica dell’area portuale.

Lavoratrici e lavoratori e la cittadinanza tutta attendono risposte adeguate da chi ha mantenuto una servitù prolungata su un territorio generoso, che ora attende realistiche misure per un futuro più salubre e foriero di buona e stabile occupazione.

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Civitavecchia, dal gas al vento e al sole: una grande conquista dei cittadini di cui non si parla

In questi giorni è passata sotto silenzio una notizia di notevole rilievo che – a mio parere – potrebbe non solo influenzare ma qualificare il prossimo decennio dell’assetto del sistema energetico nazionale. Mentre la guerra in corso spinge i nostri ministri e capi di governo, affiancati dall’immancabile ad di Eni, De Scalzi, a siglare accordi per l’approvvigionamento di gas fossile proveniente dai pozzi e da regioni lontane dalla nostra penisola, con bilanci energetici ambientali e implicazioni finanziarie e politiche pesantemente sfavorevoli, il 22 marzo una serie simultanea di comunicati ufficiali – sottolineati con enfasi dalle sigle in calce di tre grandi imprese Eni, Cni, Cdp e Cip – hanno inondato le redazioni italiane e europee, senza tuttavia che le notizie in essi contenuti fossero in particolar modo amplificate da giornali, social o tv.

Il 22 marzo è stata formalizzata la costituzione di una colossale joint venture tra Eni, Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e un forte partner danese (Cip) – il più grande gestore di fondi dedicato agli investimenti verdi nelle rinnovabili – per rendere operativi a regime 3 GW di nuova capacità verde, ottenuta con eolico galleggiante a 30 km dalle coste del Tirreno (Civitavecchia) e delle grandi isole italiane.

Deve sempre sollevare apprensione la presenza di grandi interessi economici e finanziari nell’esecuzione di progetti decentrati e a carattere territoriale, ma credo che, nel caso della fruizione dell’elettricità, l’attenzione dei cittadini e il loro diritto a condeterminare le scelte partecipando e cooperando tra di loro possano risolvere ogni prevaricazione. Forse si può capire perché la comunicazione della nuova Joint Venture per l’eolico offshore sia stata data un po’ sotto traccia – come un improvviso colpo di fulmine da appannare dopo scoccato. In effetti, essa non poteva che risultare del tutto contraddittoria rispetto al rilancio del gas e del sistema centralizzato di approvvigionamento e combustione dei fossili per produrre energia, cui ci ha abituato il sistema che puntiamo a cambiare.

Siamo nel mezzo di una disputa aspra tra cittadini locali e rappresentanze istituzionali riguardo all’approdo in rada di enormi rigassificatori a Piombino e Ravenna. E il tenue clamore per un irreversibile rilancio delle rinnovabili, attraverso una partnership robusta e credibile, è del tutto spiegabile con il coinvolgimento e la compromissione dei nostri governi con la vecchia politica energetica. In questi stessi giorni viene rilanciato il progetto di sequestro di CO2 in Romagna, sotto l’egida di Eni e del Presidente della Regione, mentre la presidenza del Friuli mostra arrendevolezza nell’accettare la riconversione della Centrale a carbone di A2A a Monfalcone con un più potente turbogas.

Di conseguenza, un impegno così rilevante su eolico e fotovoltaico troverà resistenze e imbarazzi nel constatare che settori energetici, finanziari e industriali si muovono verso positive ricadute occupazionali, manifatturiere e ambientali fin qui ignorate dal Pniec (v. https://www.mase.gov.it/), dal maggior ente energetico nazionale e dai governi romani.

In ogni caso, non si può fare a meno di constatare che l’avvio di una riconversione dal gas al vento e al sole è maturata a Civitavecchia in un contesto di straordinaria partecipazione democratica che, andando oltre alla mera opposizione al metano, ha saputo costruire le condizioni per una coalizione sociale che ha favorito l’incontro di cittadini, studenti, sindacati, ricercatori e tecnici e ha tradotto in politica la pressione sociale per liberarsi dall’inquinamento.

Di questa premessa nei comunicati usciti il 22 marzo non c’è traccia, mentre sta proprio in essa il valore aggiunto dell’approdo cui si sta pervenendo e che richiederà passi ulteriori verso la solarizzazione delle strutture del porto, le comunità energetiche e la mobilità sostenibile.

La stima del progetto complessivo è data a circa 5 TWh (2 milioni di famiglie ai consumi attuali); la sua operatività è prevista tra il 2028 e il 2031 a valle della conclusione dell’iter autorizzativo e dei lavori di installazione da compiere. La realizzazione sarà affidata a un team di lavoro congiunto affiancato da Nice Technology e 7 Seas Wind Power, società italiane che si avviano a consolidare la loro esperienza nel comparto offshore incoraggiando la crescita occupazionale e professionale anche della filiera produttiva locale.

Forse comincia a traballare l’ipotesi propria del governo Cingolani-Draghi e, probabilmente, di quello attuale di dilazionare i tempi per l’abbandono del gas entro il 2050. E perfino l’Eni, dopo la rinuncia dell’Enel al turbogas di Torrevaldaliga, si comincia a rendere conto che non abbiamo più tempo per mantenere un mix fossile di fonti energetiche oltre la metà del secolo.

In conclusione, la risorsa che nasce dalla partecipazione e dalla democrazia dal basso dimostra che si possono far convergere sulla conversione ecologica interessi riluttanti a riprogettare l’erogazione di energia sulla base di un nuovo paradigma duraturo e desiderabile, in armonia con la biosfera, come si conviene in una fase di drammatica emergenza climatica e sociale.

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Dal Tirreno all’Adriatico: la democrazia del metano

Extraterreste Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Aprile 2021

Seguiamo da tempo la vicenda di Civitavecchia dove l’intera città in tutte le sue articolazioni chiede che la transizione energetica nel suo territorio non passi dal carbone al gas e lo pretende dopo aver costruito in confronti con esperti e ricercatori un progetto alternativo, con eolico e piattaforme fotovoltaiche galleggianti off-shore del tutto analogo a quello che Saipem ha annunciato di realizzare a Ravenna. Ora ci si dovrebbe domandare: perché le istituzioni interessate e coinvolte, dalla Regione al Governo – se si esclude il Consiglio Comunale e il Sindaco della città laziale – tacciono in modo inquietante sulla sponda del Tirreno, mentre su quella adriatica i permessi per impianto eolico e fotovoltaico da 620 MW sono calendarizzati e a portata di approvazione? 

Una richiesta ufficiale inviata da oltre un mese dal Sindaco di Civitavecchia al Ministro Giovannini per tracciare il corridoio marino su cui collocare le pale eoliche sostitutive dell’impianto a metano non ha avuto ancora risposta. Due pesi e due misure?

Siamo ben lieti che l’intuizione di Saipem – che tra l’altro ha già partecipato a grandi installazioni nel mare del Nord – sia in piena sintonia con la politica energetica UE, anche se l’entusiasmo è moderato dalla caparbietà con cui l’ENI insiste per produrre idrogeno blu con l’uso di energia prodotta da turbogas, sempre nel ravennate, a poca distanza.

Crediamo che la contraddizione trovi una spiegazione che ha a che fare con un certo dispregio della democrazia dal basso e che il tentativo di imporre soluzioni dall’alto stia tutta all’interno di decisioni e convenienze economiche delle imprese, anche quando si hanno conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute e precludendo nuova occupazione in maggiore armonia con la natura. La differenza tra Civitavecchia e Ravenna, in buona sostanza, sta nel fatto che nel Lazio viene contestata dagli abitanti la decisione aziendale dell’ENEL di bruciare metano al posto del carbone, celiando sulla neutralità climatica al 2050, mentre in Romagna la decisione viene presa direttamente sulla base delle convenienze e delle future strategie di mercato di Saipem, che, oltre che a rafforzare posizioni acquisite nell’eolico all’estero è tenuta a riconvertire le piattaforme marine adriatiche ormai insostenibili. Magari con la pretesa di attenuare lo scandalo di produrre idrogeno ad opera della sua consociata a pochi KM di distanza.

Quindi a prevalere è alla fine la visione dell’azienda, sia quando fa una scelta condivisibile che quando ne fa una sbagliata: noi pensiamo che occorre introdurre il terzo incomodo e cioè il punto di vista dell’interesse generale delle popolazioni e i vincoli dell’Europa. 

Im un frangente così straordinario si dovrebbe aprire un dibattito autentico sulla dimensione nazionale di questi grandi cambiamenti, per far crescere il Paese sul tema della riconversione ecologica, rifiutando la tesi che sia materia soltanto da specialisti, quasi sempre dettata da estensori assunti nelle imprese energetiche e rivista dai loro consulenti, con l’unico obiettivo di salvaguardare l’atteggiamento conservatore di troppe aziende. Sull’energia sta avvenendo qualcosa di simile alla privatizzazione dell’acqua, che procede in sordina. Qual è la posizione del governo? Contraddire l’esito del referendum per favorire il ruolo “di mercato” che la partecipazione pubblico-privato affermerebbe definitivamente con il sostegno finanziario dei PNNR?

Avremmo molte motivazioni, confermate da prestigiosi studi internazionali sia in campo economico che scientifico per confutare la scelta ENEL (appoggiata da ENI) su Civitavecchia. L’abbiamo già fatto in molte occasioni e rimandiamo ad esse, ma, soprattutto, vorremmo si tenesse conto della risorsa politica e democratica rappresentata dalle posizioni espresse dalle forze politiche locali e dalla società civile, dai comitati, dai Sindacati, dalle Associazioni degli artigiani e dei commercianti. 

Occorre riconoscere che si pone una questione di primordine in una fase storica straordinaria e drammatica, in cui l’emergenza si affronta se si è consapevoli che non si tratta di scegliere tra passato e futuro ma tra futuri diversi, più o meno fecondi di speranze a seconda che queste vengano partecipate e corroborate da autentica sapienza popolare. L’ENEL ha già misurato a Civitavecchia la reazione di cittadini, lavoratori e loro rappresentanze ai diktat che Tamburi ha trasmesso attraverso la pagina locale del Messaggero.

I bilanci in espansione degli enti energetici non bastano più a convincere. Ne va del futuro di generazioni e il prezzo pagato è quello di territori sottomessi e passivi, anche sul piano della ricerca, della conoscenza diffusa, dell’informazione elaborata in comune. Sotto questo profilo, preoccupano le dichiarazioni del ministro Cingolani dopo l’incontro con Symbola dell’8 Aprile. “E’ ovvio – afferma – che abbiamo un obiettivo di decarbonizzazione al 2050, e di parziale decarbonizzazione al 2030 e che dobbiamo fare il possibile per eliminare i combustibili fossili. Il Gas sarà l’ultimo a sparire perché ci consentirà di portare avanti la transizione”. In queste dichiarazioni non c’è il minimo allure della novità ecosostenibile e del ruolo di traino che dovrebbe esercitare il PNRR come ci si aspettava dal nuovo Ministro. 

In rete girano centinaia di osservazioni sul PNRR, ma non sembrano approdare ai piani alti separati, dove si parla di “robotica e fusione”, ma intanto si mantiene viva la penetrazione del gas nel nostro tessuto produttivo e manifatturiero, a discapito di una politica industriale che gareggi con Germania e Francia nella ricerca, nell’innovazione e nell’occupazione di qualità, a partire dal Mezzogiorno.

Laudato Sì, CDC e Nostra, tre associazioni di diversa ispirazione, hanno deciso in un dibattito aperto di affrontare i nodi della ecologia integrale sotto il profilo della democrazia, della giustizia sociale e dell’abbandono dei fossili: lo faranno in un webinar il 17 aprile per imprimere ai PNNR la direzione di svolta finora per nulla evidente.

Mario Agostinelli, Alfiero Grandi 

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Produzione e consumo di energia non sono infiniti

Mario Agostinelli, Andrea Ranieri, 13.12.2020
Ambiente e sindacato. Accanto al miraggio della decrescita felice c’è il rischio della decrescita infelice.


La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.


Oltre la pandemia, le emergenze sempre più prossime fanno sì che lo sviluppo debba cedere il passo al bisogno di sopravvivenza: una autentica rottura. Ad esempio, la necessità di porre la questione
sanitaria al centro della ricerca scientifica e della stessa prospettiva della produzione sta già spezzando l’andamento della spirale della crescita tecnologica, visto che il vaccino sta nell’ottica della salvaguardia della specie, in luogo della cura rivolta al singolo.

Dall’idea del progresso lineare e infinito dentro al meccanismo del consumo, nel pensiero umano prende prevalenza la logica di una ugualitaria conservazione della specie. Un fatto del genere non era capitato neppure di fronte al richiamo del mutamento climatico, nonostante gli sforzi di Francesco, di Greta, degli studenti, degli ecologisti ancora assortiti per culture nazionali diverse.


Queste novità sfuggono imprudentemente al documento del sindacato energia. Non sono i fior fiori di ingegneri e tecnici iscritti alla Cgil che dovrebbero chiarirci le linee della svolta necessaria: anch’essi, come noi, sono figli di una educazione non interdisciplinare, che sa ben trattare la
trasformazione di materia e energia, ma non presta attenzione agli effetti irreversibili che, oltre una soglia, la tecnologia può procurare alla comunità umana, alla vita e alla riproduzione di tutto il vivente. In fondo, almeno negli ultimi cinquant’anni, c’eravamo abituati alla penuria d’acqua, alla furia dei tornado, all’erosione del suolo, ma trascuravamo, non senza colpa, i danni procurati da una crescita incontenibile di energia.


Finora la ricaduta sui territori è stata elusa e la discussione è rimasta ai piani alti. Non sarà mai più così. Noi abbiamo di fronte l’esperienza sul nascere di Civitavecchia, dove la pretesa degli enti energetici di ricondannare le popolazioni già colpite nel passato ad un futuro a metano, sta suscitando un autentico movimento popolare e dove la Cgil territoriale, assieme alla Uil, ha avanzato la richiesta di mettere in rete tutti i comitati e le associazioni che avanzano proposte alternative per
la riconversione della centrale a carbone, ottenendo l’attenzione di medici, studenti, associazioni ambientaliste, sindacati di categoria e cittadini, che hanno reso pubblica una totale convergenza in
una trasmissione molto significativa sulla rete TV locale.


Siamo, dicono i partecipanti alla trasmissione, ad un momento storico, ad un voltar pagina, che può contare su ricerca, occupazione qualificata, sviluppo del territorio con ridotto impatto sull’ambiente e con il sostegno, per la prima volta, di una finanza Ue che allenta i criteri di pura competizione tra le singole nazioni. Purtroppo, l’illusione che non ci fosse freno al consumo di energia è rimasto nel bagaglio delle nostre generazioni già da quando andavamo a scuola.

A quella storia rischia di
rimanere appeso il sindacato dei lavoratori dell’energia, che quando parla di transizione pensa che molto possa a parole cambiare, ma che esista una soglia di danno – quella in particolare provocata da nuovi investimenti in gas – tollerabile per un “green washing” delle imprese e utile per la tutela dei lavoratori attualmente occupati. Ignorando così le ben più consistenti possibilità occupazionali per loro e per i giovani del territorio, che potrebbero derivare da una riconversione davvero verde
della produzione di energia e dalle possibilità di sviluppo che si aprirebbero per l’intero contesto territoriale.


Questa saldatura sul territorio fra organizzazione sindacale e associazione della cittadinanza attiva,


la volontà manifestata dalla Camera del Lavoro di assumere come livello di decisione, quando le questioni di politica del lavoro e di politica economica riguardano la vita di tutti i cittadini, un ambito più grande di quello dei lavoratori attualmente sindacalizzati, è un esempio importante di quella “Camera del lavoro di strada” che più volte Maurizio Landini ha evocato. Restringere l’ambito della determinazione delle posizioni al sindacato di categoria, alla ragionevolezza di quello che è possibile fare dentro l’attuale modello di sviluppo, magari riuscendo a redistribuire i profitti in maniera più equa, è certamente una visione alternativa a quella decrescita felice che la Filctem sembra ritenere
il pericolo maggiore da esorcizzare, ma rischia di mantenerci prigionieri di quella decrescita infelice che caratterizza ormai gli ultimi anni della nostra storia.


© 2020 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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