Nei giorni scorsi sono arrivate diverse buone notizie dallaricerca sul fotovoltaico. Nei laboratori svizzeri dell’Empa, l’ente federale per la ricerca sui materiali, è stata prodotta unacella flessibile a film sottile (con semiconduttore di diseleniuro di rame-indio-gallio) con un’efficienza record: 20,4%, ormai a ridosso delle migliori celle in silicio cristallino. All’estremo opposto della gamma commerciale, le costosissime celle a tripla giunzione in grado di sfruttare gran parte della luce solare, i Naval Research Laboratory americani hanno annunciato di aver progettato un nuovo tipo di cella, composta da ben 11 strati diversi di semiconduttori “tarati” su diverse lunghezze d’onda, che dovrebbe superare il 50% di efficienza (il massimo teorico, però, è ancora lontano: 87%).
Infine ricercatori della Lund University, in Svezia, hanno annunciato su Science di aver costruito celle composte di nanotubi di fosfuro di indio (4 milioni per millimetro quadro di cella), con un’efficienza del 13,8%, battendo ogni record precedente per questa tecnologia. In futuro, combinando nella stessa cella nano tubi di diverso spessore, questa tecnologia promette di catturare una porzione molto più vasta dello spettro solare di quanto possano le celle in silicio, ma a costi molto inferiori delle celle a giunzione multipla.
Ma forse, la notizia scientifica recente di maggior interesse è meno futuribile, ma molto più concreta: se veramente vogliamo un sistema energetico sostenibile,abbandoniamo il motore a scoppio a biocombustibili, concentrandoci invece suauto elettriche alimentate con il fotovoltaico. A sostenerlo è una ricerca condotta daRoland Geyer, professore di ingegneria ambientale all’Università della California a Santa Barbara. Geyer si è chiesto quale sia il migliore uso che si possa fare dell’energia solare per alimentare i trasporti: farla trasformare dalle piante in biocarburanti (biodiesel, bioetanolo, biometano, ecc.) e poi bruciarla nei motori a scoppio, oppure trasformarla in elettricità, e utilizzarla in veicoli elettrici?
La risposta l’ha data con un articolo apparso su Environmental Science & Technologyil 26 dicembre scorso, e può essere sintetizzata con le sue parole: «Il fotovoltaico è di ordini di grandezza una scelta migliore dei biocarburanti». La prima ragione è che la fotosintesi, la serie di reazioni che usano le piante per trasformare acqua e CO2 in zuccheri o oli usando l’energia solare, è un processo molto inefficiente: solo l’1% circa della luce solare finisce immagazzinata nel prodotto finale, contro il 10-20% di quella convertita in elettricità dai pannelli solari. Ma non basta, mentre l’elettricità può essere poi trasportata dalla rete e immagazzinata nelle batterie di un’auto con una perdita minima, le piante vanno seminate in campi lavorati, concimate, trattate con pesticidi, raccolte, spremute e processate, prima che il loro contenuto energetico sia utilizzabile nei veicoli.
Questa lunghissima serie di trattamenti, ognuno dei quali consuma una parte dell’energia o ne richiede di esterna, spesso sotto forma di combustibili fossili, fa sì che in alcuni casi particolarmente sfavorevoli il bilancio energetico finale sia addirittura negativo: serve più energia esterna di quella che si ricava dalla pianta, così che solo i sussidi pubblici giustificano alla fine queste produzioni. Ma anche senza arrivare a tali estremi, si calcola che le perdite di processo per i biocombustibili varino fra il 90% per l’etanolo da mais americano al 15% di quello da canna da zucchero brasiliana, passando per 30% del biodiesel europei, al 20% per il biodiesel da olio di palma e il 25% dell’etanolo da cellulosa.
Ma non è ancora finita: mentre i motori elettrici hanno rendimenti superiori anche al 90%, i biocarburanti finiscono in motori a scoppio che ne buttano via non meno di tre quarti come calore di scarto. Una follia che poteva, forse, essere giustificata quando si usava petrolio che sgorgava da solo da sotto terra, ma non è tollerabile per risorse faticosamente prodotte con procedimenti complicati ed energivori.
Secondo Geyer, è addirittura meglio bruciare i biocombustibili in centrali elettriche e con queste alimentare auto a batteria che utilizzarli direttamente nei motori a scoppio. In questo quadro, quindi, non sorprendono le sue conclusioni: «A secondo del tipo di coltivazione, negli Usa i biocombustibili richiedono da 30 a 200 volte più terreno per produrre energia, rispetto al fotovoltaico. E questo si ripete anche per quanto riguarda le emissioni di CO2».
Per non parlare del fatto che il fotovoltaico non richiede acqua e può usare anche terreno non agricolo, non entrando così in competizione con la produzione di cibo e non provocando, basti pensare all’olio di palma, distruzione di biodiversità. Secondo il ricercatore californiano, quindi: «Insistere con i biocombustibili per le auto è una strada del tutto sbagliata. Questi prodotti non hanno alcuna chance di migliorare in modo decisivo in futuro, a causa del collo di bottiglia iniziale costituito dall’inefficienza della fotosintesi. Mentre il solare fotovoltaico si sa già che andrà incontro ancora per molti anni a una continua diminuzione di costo».
Sarebbe meglio quindi investire le enormi risorse spese dagli Stati per incentivare la produzione di biocombustibili, nel miglioramento e incentivazione delle auto elettriche che, se alimentate con elettricità solare, consentiranno riduzioni delle emissioni di CO2 enormemente migliori.
di Alessandro Codegoni, 24 gennaio 2013