Boom fotovoltaico, ma a Merano chiude la Memc

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano online – 8 gennaio 2012

Tante chiacchiere sulla necessità di sostenere le produzioni di avanguardia e nei mercati più stimolanti; reprimende continue ai sindacati perché non accettando i licenziamenti arbitrari bloccano la ripresa; espulsione della Fiom dagli stabilimenti del supermanager Marchionne. Tutta qui la risposta delle classi dirigenti alla crisi?

Intanto a Merano la Memc, tra i maggiori produttori mondiali, ha annunciato, nell’ambito di una ristrutturazione globale delle attività societarie, la cessazione delle attività dell’unico impianto italiano di silicio per fotovoltaico. Sono a rischio 310 posti di lavoro, più un altro centinaio nell’indotto, e una produzione d’avanguardia partita da pochissimo: i nuovi reparti per il silicio policristallino, che hanno richiesto un investimento di 19 milioni di euro, sono stati inaugurati poco più di un anno fa. Gli operai hanno tenuto un’assemblea prima di Natale bloccando il traffico e risultano gli unici a preoccuparsi della continuità produttiva di un settore strategico.

Per caso, i ministri Fornero e Passera hanno provato a riflettere con i dipendenti Memc sullo scandalo per cui la più grande performance mondiale di installazione di fotovoltaico per il 2011 si è registrata in Italia (6.900 MW, che, sommati a quelli esistenti, fanno segnalare dal GSE al 29 dicembre 12.408 MW allacciati alla rete, suddivisi in 316 mila impianti!) comperando quasi tutto il materiale e le apparecchiature all’estero? Se hanno diritto di parola e decisione solo i “tecnici” e ci si proietta unicamente nel loro mondo esclusivo, mentre si zittisce la gente in carne ed ossa con il proprio vissuto, ci si abbandona solo alla “giostra dello spread”, che non lambisce nemmeno da lontano la democrazia, non suscita partecipazione e ci allontana da un quotidiano in cui prevalga la solidarietà. Questo ci ricordano le lotte in corso in molte parti del Paese.

Per la vicenda del lavoro meranese si può fare molto, avendo a cuore però le famiglie dei dipendenti prima che gli interessi della multinazionale americana. Nell’immediato, per garantirsi che gli impianti non vengano fermati, si può agire sulla leva fiscale a partire da un’aliquota Irap ridotta a favore di quelle aziende che investono in ricerca e sviluppo nel settore delle energie rinnovabili. Si può anche stabilire temporaneamente una riduzione selettiva del costo dell’energia elettrica da parte della provincia e del comune, che sono propietari al 50% delle centrali elettriche fornitrici. Oppure, consentire l’importazione dalla vicina Austria, il cui governo non carica la bolletta di oneri impropri.

Soprattutto occorre progettare il medio-lungo periodo per uscire dall’emergenza e garantire un futuro socialmente desiderabile per il territorio. Il “libero mercato” non basta, anzi, spesso fa danni irrecuperabili. E’ indispensabile che “il pubblico” (Stato, Provincia e Comuni) assumano compiti di indirizzo e di programmazione economica sul territorio, intervenendo con idee, programmi, strumenti (comprese le municipalizzate e i centri di ricerca pubblici) e finanziamenti. Le energie rinnovabili (e non solo il fotovoltaico) hanno caratteristiche di filiera tipicamente territoriale, entro cui la missione della Memc può a buona ragione essere integrata con vantaggi dovuti alla specializzazione del mercato alpino attentissimo agli aspetti ecologici e interessato all’integrazione dell’energia nel paesaggio e nella valorizzazione della salute. La riconversione ecologica di cui spesso si parla è a portata di mano e, in questo caso, nemmeno tanto complessa. Perché non provarci proprio a partire, con uno sforzo straordinario e esemplare, da un’azienda in difficoltà ma ancora solida come la Memc?

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