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Echi del forum #regreeneration di Homo Condomini Tour

Pensare i condomini come fulcri di comunità

Il Tour di Homo Condòmini che da aprile girerà tutta l’Italia con lo scopo di promuovere la riqualificazione energetica integrata di edifici pubblici/privati. Un progetto di engagement teso ad orientare i comportamenti di consumo dei cittadini per contribuire al miglioramento dell’efficienza energetica con l’uso di fonti rinnovabili e ridurre le dispersioni degli edifici e le emissioni degli impianti di produzione di calore, favorendo e promuovendo la sostenibilità in campo ambientale, culturale, economico e sociale in tutto il territorio nazionale.


Abbiamo partecipato al Primo Forum “REGREENERATION – rigenerare come valore sostenibile crea valore immobiliare” organizzato da Tabula Rasa in collaborazione con Energia Felice. Iniziativa che ha scandito l’avvio di Homo Condòmini Tour 2018 , il roadshow  che partirà in primavera per promuovere l’efficienza energetica degli edifici, progetto collegato ad Habitami, campagna pubblica per la riqualificazione energetica immobiliare.

Una giornata densa d’interventi, introdotta da Mario Agostinelli di Energia Felice, Giovanni Pivetta e Cristiana Ceruti di Habitami, ponendo le coordinate di una ricognizione teorica che si delinea strategica per il sistema Paese: la rigenerazione urbana di cui tanto si parla oltre che articolarsi sui grandi piani di Economia Pubblica con Bando Periferie, Piano Nazionale delle Aree Interne e linee d’indirizzo come quelli sulla Smart City, riguarderà l’efficientamento energetico di milioni di immobili condominiali. Si tratta di un’azione ecosistemica, come sottolinea Marco Marcatili di Nomisma, che arriva a definire il condominio come un auspicabile fulcro di comunità. E’ un fronte d’investimenti non più rimandabili, tra incentivi da intercettare ed emergenza ambientale, visto che più del 60% dell’inquinamento atmosferico è provocato dagli impianti di riscaldamento. Le tanto sbandierate interazioni tra economia pubblica e privata troveranno su questo campo il loro banco di prova decisivo.

Il nodo è nel creare un ambito di consapevolezza generale che impatti con tutti i cittadini, compresi quelli che non si sono mai posti il problema d’impegnarsi in azioni civiche. Si parla appunto di engagement che non va necessariamente tradotto come impegno politico ma declinato in forme innovative di coinvolgimento, sollecitazione, proattività, come intende promuovere il progetto Homo Condòmini.

Tra i rappresentanti delle Commissioni Ambiente della Camera dei Deputati (Serena Pellegrino) e del Senato (Gianni Girotto), di ANCI ed ENEA, di Università e Politecnici e di varie associazioni che rappresentano i consumatori, gli agenti immobiliari e gli amministratori condominiali si è sviluppata una trama sorprendente di sinergie che sembravano impensabili.

In un tempo in cui i modelli economici si fanno sempre più incerti il valore immobiliare è sempre più punto fermo, anche se non è un dato scontato visto le “bolle” speculative. Un valore che verrà reso tale da aspetti troppo sottovalutati per troppo tempo, come quelli della sostenibilità, dell’efficienza energetica e della coesione sociale.

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Le proposte di programma ai partiti e alle coalizioni che si candidano alle elezioni del prossimo 4 marzo

Per il contrasto ai cambiamenti climatici e la giusta transizione verso un’economia decarbonizzata

A cura di Coalizione Clima

I cambiamenti climatici rappresentano un’emergenza globale e locale che mette a rischio la vita di persone, specie ed ecosistemi.

In pericolo c’è la sicurezza di intere popolazioni e territori che in ogni area del pianeta devono affrontare questioni di giustizia climatica. Esse sono legate a costi economici crescenti e all’aggravamento delle condizioni ingiustizia sociale, a competizioni fra Stati e attori privati per il controllo e l’accaparramento delle risorse strategiche, a difficoltà nell’accesso all’acqua per tutt*, alla riduzione della produzione agricola che mette a rischio la sicurezza alimentare, causando anche nuovi motivi di conflitto e di fuga. Siamo consapevoli e convinti che la salvaguardia dell’ambiente e degli ecosistemi, i diritti umani, lo sviluppo umano equo e la pace sono interdipendenti ed indivisibili. Anche la comunità scientifica internazionale e i climatologi convengono sulle cause antropiche dei cambiamenti climatici che in gran parte dipendono dall’utilizzo massiccio delle fonti energetiche fossili e dalla deforestazione.

Oggi esistono le conoscenze e le soluzioni tecnologiche per sviluppare un’economia fossil free, che apre prospettive di nuovi settori produttivi con importanti ricadute occupazionali e che può dare vita a una nuova democrazia energetica.

Ciò nonostante siamo colpevolmente in ritardo nel processo di decarbonizzazione e siamo molto distanti dal raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5°C, come stabilito nell’Accordo di Parigi sul clima e negli obiettivi ONU per lo sviluppo sostenibile. Ci sono approcci sostenibili e innovativi in settori tradizionali che, applicando i principi dell’economia circolare, danno un contributo importante all’uso razionale delle risorse e alla riduzione della CO2. Allo stesso tempo sono essenziali nuovi modelli di comportamento e di stile di consumo dei cittadini.

Mancano però scelte politiche nazionali ambiziose e in grado di determinare il radicale cambiamento del modello di sviluppo, necessario per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima e gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU.

Per questo, Coalizione Clima avanza ai partiti che si candidano a governare il nostro paese, 8 proposte concrete per contribuire alla lotta globale contro i cambiamenti climatici e allo stesso tempo costruire nuova occupazione, democrazia e giustizia sociale.

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Piano Clima-Energia e per la Giusta Transizione

L’economia a zero emissioni di carbonio è un processo di radicale trasformazione del sistema produttivo e sociale che deve realizzarsi nel più breve tempo possibile e comunque in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Affinché questa trasformazione non comporti conseguenze negative, sui lavoratori e sulle comunità che dipendono economicamente dai settori economici legati all’utilizzo delle fonti fossili, occorre attivare un processo economico democratico e partecipato che produca una Giusta Transizione.

  • E’ necessario prevedere politiche e investimenti per determinare un futuro in cui tutti i lavori siano sostenibili e dignitosi, le emissioni siano azzerate, la povertà sia eradicata e le comunità siano resilienti.
  • Il Piano inoltre dovrà contenere misure di Giusta Transizione che garantiscano opportunità di lavoro nei settori che riducono le emissioni, favoriscano piani di adattamento ai cambiamenti climatici, forniscano sostegno al reddito, riqualificazione e reinserimento dei lavoratori che perderanno il proprio lavoro nel settore fossile e che sostengano l’innovazione tecnologica.
  • Il Piano deve essere coerente con la Strategia a lungo termine per un’economia low carbon, previsto dall’Accordo di Parigi, che va approvata entro il 2019.

Conferma del Phase Out del carbone al 2025

Il futuro governo dovrà confermare l’impegno dell’Italia ad abbandonare completamente il carbone entro e non oltre l’anno 2025, come previsto dalla Strategia Energetica Nazionale, adottando le misure necessarie per renderlo effettivo e vincolante.

Completa decarbonizzazione

Il gas è utile nella fase di transizione ma al tempo stesso, sebbene sia meno inquinante di carbone e petrolio, è un combustibile fossile che emette CO2 ma da un punto di vista climatico (e non solo), non è un’energia pulita. Per questo futuri investimenti in questa risorsa devono essere attentamente valutati per riequilibrare l’esigenza di garantire la sicurezza energetica nazionale con quella di programmare il percorso per la rapida e completa decarbonizzazione dell’economia nei tempi compatibili a garantire gli impegni sottoscritti nella COP21 di Parigi. Pertanto chiediamo che i maggiori investimenti in termini energetici vengano indirizzati sui settori dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili.

Attuazione del Clean Energy for All Europeans package

Poco dopo le elezioni il nuovo governo dovrà discutere alcuni importanti aspetti di un pacchetto di misure che deciderà il futuro energetico dell’Italia e dell’Europa fino al 2030.

Chiediamo che l’Italia assuma una posizione di leadership, chiedendo di innalzare il livello dell’ambizione per quanto riguarda il taglio delle emissioni di CO2, la quota di produzione da fonti rinnovabili e l’incremento dell’efficienza energetica.

Inoltre è importante che il futuro governo si schieri a favore dell’autoproduzione e dell’autoconsumo, assicurando sostegno a tutti quei cittadini che vogliano produrre “in casa” e da fonti rinnovabili almeno parte dell’energia che consumano.

Infine, l’Italia deve assolutamente prendere una posizione contro nuovi incentivi alle fonti fossili.

Intervento pubblico per l’economia sostenibile

Per accelerare la transizione energetica e la decarbonizzazione dell’economia e per le opere di adattamento ai cambiamenti climatici, servono ingenti investimenti pubblici. Tali investimenti dovranno essere finalizzati a ricerca e sviluppo, realizzazione di infrastrutture per le energie rinnovabili, efficienza energetica (sul patrimonio edilizio pubblico e privato occorre un piano di Deep renovation per la riqualificazione spinta di interi edifici e quartieri).

Si dovrà agire per uno sviluppo di città sostenibili, mobilità sostenibile, interventi di prevenzione, messa in sicurezza del territorio e piani di adattamento al cambiamento climatico, per garantire le misure di Giusta Transizione e per la digitalizzazione delle reti. Le risorse necessarie per effettuare gli investimenti pubblici dovranno essere reperite attraverso una riforma fiscale ambientale che, in conformità con l’art. 15 della L. 23/2014, orienti il mercato verso produzioni e consumi sostenibili, che contenga il riordino degli incentivi, una green tax o carbon tax, l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili (ben 16 miliardi annui), la revisione dell’utilizzo dei proventi delle aste del sistema ETS di scambio delle quote di carbonio, la finalizzazione della tassa sulle transizioni finanziarie, il taglio delle spese militari, il recupero delle esternalità negative derivanti dagli impatti negativi sulla salute. Allo stesso tempo andranno premiate le scelte virtuose di alcuni settori che finora non hanno beneficiato di alcun sostegno.

Formazione, ricerca e tecnologia per la sostenibilità

Per vincere la sfida della transizione, i principi delle sviluppo sostenibile devono integrare tutti i progetti economici, fiscali, industriali e di investimento. Per questo servono indirizzi politici e fiscali finalizzati a diffondere la cultura della sostenibilità per accelerare il cambiamento. Per farlo occorre partire dalla formazione, dall’educazione e dalla riqualificazione professionale e da una riforma degli ordinamenti didattici nei cicli dell’obbligo e universitari per la creazione di nuove competenze e professionalità. Anche a parità di risorse, l’intervento pubblico a sostegno di ricerca, innovazione tecnologica, digitalizzazione e automazione, deve essere finalizzato alla trasformazione sostenibile di tutti i settori del sistema produttivo, dall’industria all’agricoltura, all’economia circolare, alla transizione e all’efficienza energetica, alla mitigazione e adattamento degli effetti dei cambiamenti climatici.

Partecipazione democratica e democrazia energetica

E’ necessario definire strumenti per garantire la partecipazione democratica, nelle scelte strategiche del paese, con il pieno coinvolgimento delle istituzioni regionali e locali e della società civile tutta,. La partecipazione democratica deve essere garantita sia per la realizzazione di grandi opere e infrastrutture comprese quelle energetiche, che per le scelte strategiche, come sono state la SEN, la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, o il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima o il piano per la decarbonizzazione. Nel caso di realizzazione di opere, il percorso partecipativo non si deve limitare alla valutazione di alternative progettuali, ma deve poter valutare necessità e impatti. Un vero processo di democrazia partecipativa, che preveda anche la possibilità di totale rigetto del progetto, la possibilità di fare modifiche o di percorrere scelte strategiche e soluzioni totalmente diverse.

Maggiore ambizione dell’Italia e dell’Europa per la giustizia climatica

L’Accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile sottolineano l’importanza di contribuire a un partenariato internazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra e per l’adattamento al cambiamento climatico delle popolazioni più povere e vulnerabili: l’Italia non può sottrarsi.
Gli impegni di riduzione delle emissioni nazionali (NDCs) assunti dai vari Paesi non sono complessivamente in grado di garantire l’obiettivo di mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2°C. Ecco perché occorrono impegni più stringenti e ambiziosi. Le scelte strategiche e programmatiche energetiche nazionali devono definire e rispettare NDCs nazionali vincolanti su riduzione di emissioni, produzione da rinnovabili ed efficienza energetica.

La giustizia climatica passa anche attraverso la costruzione della pace perciò a questo proposito riteniamo essenziale che il nuovo Governo firmi e ratifichi il Trattato ONU del 7 luglio 2017 per la messa al bando delle armi nucleari.

E’ necessario inoltre aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo e orientarlo alle comunità più vulnerabili e ai soggetti più deboli, rispettando le loro decisioni sulla salvaguardia dell’ambiente e della vita sociale ed economica, adottando le migliori e appropriate soluzioni tecnologiche e infrastrutturali disponibili a livello internazionale. E’ necessario altresì proseguire l’impegno al programma per la partecipazione di genere in ambito climatico, il GAP (Gender Action Plan) approvato durante la COP23.

In ultimo chiediamo che l’ Italia contribuisca al Fondo Verde per il Clima e che l’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo e la Cassa depositi e prestiti sostengano la collaborazione tra società civile italiana e comunità povere e vulnerabili del Sud del mondo.


Le organizzazioni promotrici, con storie, culture, obiettivi, ragioni sociali e motivazioni diverse, non intendono comunque semplicemente delegare a Governo e istituzioni questi obiettivi. Siamo impegnati a declinare, nei rispettivi ambiti di attività ed iniziative, le azioni coerenti necessarie per contrastare i cambiamenti climatici, e questo intendiamo continuare a fare, assieme a tutte le espressioni della società e della cittadinanza attiva che operano per una società più equa, ambientalmente e socialmente sostenibile.

Chi siamo

Coalizione Clima nasce nel 2015 con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici e perché si giunga a un accordo equo, vincolante ed efficace per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° C.

Coalizione Clima è composta da oltre 200 realtà tra organizzazioni del Terzo settore, sindacati, imprese, scuole e università, nonchè da migliaia di cittadine e cittadini. Anche Energia Felice aderisce a Coalizione Clima.

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Auto elettriche, come saranno le macchine (e la salute) di domani

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Moltissimi sono stati gli interventi sui post precedenti sulla mobilità, con critiche, suggerimenti e insegnamenti tutti da tenere in conto. Grazie a chi è intervenuto perché costituisce una fonte di verifica e apprendimento. Qui vorrei precisare alcuni punti e abbozzare oltre che analizzare possibili e necessarie strategie.

Le strategie climatiche accentuano l’importanza del passaggio alla mobilità elettrica. Le auto vendute nel 2025 nella Ue dovranno raggiungere un livello di emissioni di 68-78 grammi CO2/km (35-40% in meno rispetto alle emissioni delle nuove auto in Italia) raggiungibili con una quota di veicoli elettrici del 15-25%.

In ambito urbano è ragionevole immaginare, in Europa e non solo, una contrazione del numero complessivo di auto in circolazione, sempre più condivise e senza guidatore, e un rapido declino di quelle a combustione interna. “La General Motors crede in un futuro tutto elettrico”, ha dichiarato il mese scorso Mark Reuss, presidente di GM North America. Parliamo di un mercato di duemila miliardi di dollari l’anno nel quale le auto elettriche rappresentano per ora solo l’1%, ma che è destinato a drastici cambiamenti.

Con quali conseguenze occupazionali? Ancora una volta, dipende dalle scelte che verranno fatte dai singoli produttori nell’organizzazione del lavoro e dalle politiche dei vari paesi nel mercato del lavoro. L’automazione dei processi produttivi ha già portato ad una forte riduzione del lavoro necessario e il passaggio all’auto elettrica comporterà un’accelerazione di questo processo. Parliamo infatti di un numero molto inferiore di componenti da assemblare (200 contro 1.400) e di una semplificazione dei processi di lavorazione.
Occorre dunque riflettere sulla possibilità di cogliere nuove opportunità fornendo servizi di mobilità sempre più articolati che limitino il ricorso a veicoli di proprietà individuale. Il baricentro produttivo probabilmente si sposterà verso l’Asia. La Cina, incapace di competere sul fronte dei veicoli convenzionali, sembra infatti voler tentare il sorpasso puntando sull’elettrico (nel secondo trimestre 2017 ha registrato il 44% delle vendite mondiali di questi veicoli e punta a ospitare nel 2022)

Uno dei fattori decisivi in questa corsa riguarda, come è noto, la produzione dei sistemi di accumulo che al momento incidono per il 30-50% sul costo dei veicoli elettrici. Non a caso per il 2022 la Cina punta al 65% della capacità produttiva mondiale delle batterie al litio. Per ora la rapidità della riduzione dei prezzi degli accumuli taglia fuori dai giochi l’alimentazione ad idrogeno con celle a combustibile su cui puntano i giapponesi e metterà in difficoltà anche le alimentazioni alternative come il Gpl e il metano, punti di forza in Italia.

Creare le condizioni per la rivoluzione elettrica anche in Italia

La diffusione di veicoli senza emissione di particolato (a combustione interna) sarà di particolare interesse per gli innumerevoli centri urbani della nostra penisola, che si distingue per elevate concentrazioni di inquinanti nelle città. Bisogna accelerare anche per quanto riguarda la riduzione di climalteranti! Infatti Nel rapporto “Decarbonizzazione dell’economia italiana”, appena pubblicato da Rse le attuali politiche sul trasporto e l’edilizia consentirebbero infatti di ridurre solo del 24% le emissioni rispetto al 2005, contro il taglio del 33% che l’Italia dovrà raggiungere.

La prima smentita al pessimismo viene da Ispra. Un recente confronto di sostenibilità ambientale sulla base di dati dell’Ispra condotto sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Elementi per una roadmap della mobilità sostenibile, 2017), conferma che, già con l’attuale mix energetico utilizzato nel nostro Paese per la generazione elettrica, le emissioni di CO2 di un’auto elettrica sono inferiori a quelle di ogni altra tecnologia veicolare.

In base alle direttive europee le pubbliche amministrazioni e i loro enti e istituzioni, gli enti locali e i gestori dei servizi di pubblica utilità, al momento del rinnovo del parco veicoli sono obbligati all’acquisto di una quota del 25% di veicoli a Cng, Gnl, veicoli elettrici e ibridi plug-in. Ma, stante il divario di prezzo tra questi ultimi e quello delle altre tipologie tecnologiche elencate, e considerato lo stato delle finanze dei soggetti istituzionali oggetto del provvedimento, è difficile che si immettano i veicoli più costosi senza un fondo nazionale di incentivazione

Della scarsa convinzione è testimone la Sen che afferma testualmente: “è atteso al 2030 un importante contributo anche dai veicoli elettrici e Phev (ibridi ricaricabili dalla rete elettrica)”. Di conseguenza lo svecchiamento del nostro parco veicoli viene ottenuto solo attraverso le tecnologie convenzionali. Ma in questa campagna elettorale si sente forse parlare di mobilità pubblica o di decollo di veicoli meno inquinanti? Unicamente a livello delle amministrazioni locali si inizia a percepire la forte valenza proattiva che un’adeguata regolamentazione della mobilità locale e nella politica delle soste e parcheggi può avere nella promozione della mobilità a impatto zero (come accade a Milano).

Una proposta che merita grande attenzione è stata avanzata da G.B. Zorzoli. In Europa vige la regola di ridurre i debiti degli Stati europei al 60% rispetto ai rispettivi pil nominali. Sarebbe opportuno che l’Unione europea, attraverso speciali Enti di finanziamento – Banca Europea degli investimenti, ad esempio – assumesse su di se una quota dei previsti debiti pubblici rapportati al pil. Campi di possibile intervento sotto il nostro specifico interesse, potrebbe essere: viabilità, utilizzo e distribuzione di energia, trasporto terrestre.

Con l’emissione di obbligazioni con buone remunerazioni sui mercati finanziari, a disposizione di privati, banche, assicurazioni, enti locali come mediatori, con possibilità di effettuare investimenti lunghi, in ottica europea e mondiale, come nel caso della riduzione dell’impatto del traffico. Dato che accanto alla generazione distribuita con localizzazione fissa (tetti solari, eolico, miniidro, geo) se ne affiancherà un’altra, ancora più numerosa, ma che sarà mobile, legata anche ai veicoli elettrici e allo scambio bilaterale dell’energia con la rete, l’aspetto di incentivi a questo sistema regolati e remunerabili sul mercato è tutt’altro che da trascurare.

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Auto elettrica, si va troppo lenti e in Italia addirittura si sta fermi

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Negli ultimi mesi la questione del passaggio dai veicoli a propulsione tradizionale a quelli elettrici è venuta fortemente alla ribalta nel mondo. Anzi, ancor più che un tema tecnico, ha assunto la valenza economica e politica di svolta nel settore industriale più diffuso al mondo e nelle decisioni politiche per la lotta alle emissioni climalteranti e inquinanti.

Ma non tutti i Paesi e le loro politiche industriali e economiche vanno di pari passo per conquistare un primato, questa volta desiderabile se accompagnato alla diffusione delle rinnovabili e del risparmio energetico. Anzi! Se la direzione sembra chiara, è evidente che si va troppo lenti e in Italia addirittura si sta fermi.L’Occidente, con l’eccezione di Olanda e Norvegia, rischia di rimanere indietro rispetto alla Cina nel passaggio alla mobilità elettrica. Francia e Regno Unito e negli ultimi mesi l’Italia hanno annunciato di abbandonare i mezzi a benzina e gasolio, motorizzazioni ibride comprese, ma la deadline è veramente poco audace: al 2040.

Il ruolo della Cina

Questo Paese appare preoccupato dei disastrosi livelli di inquinamento delle proprie città, ma ne fa una ragione per conquistare il primato tecnologico in una serie di settori strategici. Così ha imposto per legge una quota crescente di auto elettriche o ibride e la proibizione di vendite di vetture a propulsione tradizionale, tra il 2030 e il 2035. Data la vastità e la popolazione, questo accelera l’introduzione dell’elettrico in tutte le case esportatrici e la filiera di produzione di pile nella stessa Cina (oggi primo produttore mondiale di vetture ecologiche e di batterie per le stesse). Non è un caso che Volvo, che nei giorni scorsi abbia annunciato che dal 2019 ogni modello commercializzato avrà un motore elettrico, sia controllata dal gruppo cinese Geely.

Le stesse norme tecniche tendono a diventare gli standard del settore, posizione che una volta competeva agli Stati Uniti, che, nella miopia di Trump, reagiscono imponendo alti dazi ai prodotti asiatici. Non si può sottovalutare che il paese nel corso del 2016 ha investito nel settore delle energie rinnovabili circa 120 miliardi di dollari, più o meno la metà del totale mondiale per lo stesso anno.

Il ruolo dell’Unione Europea

Apparentemente l’Unione Europea sembra all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico e ambientale e certamente il suo ruolo è stato molto importante nel perfezionare gli accordi di Parigi sul clima. Ma quando veniamo poi agli atti concreti sul piano operativo, nascono i problemi.

L’8 novembre la Commissione ha pubblicato delle proposte legislative per abbassare le emissioni inquinanti delle autovetture, proponendo di ridurre del 30% le emissioni di anidride carbonica nel 2030 in rapporto al livello fissato per il 2021, con un obiettivo intermedio del 15% nel 2025. (Si ricordi che l’obiettivo precedentemente approvato e perseguito era del -20% al 2020 rispetto al 1995) e, peraltro, senza fissare quote obbligatorie di auto a emissioni nulle. Eppure un documento interno a Volkswagen (VW) a cui Le Monde ha avuto accesso dimostra che il produttore tedesco dopo lo scandalo “dieselgate” si è preparato e detto in grado di produrre il 22% di veicoli a emissioni zero dal 2025. La stessa casa automobilistica tedesca è ora sotto accusa insieme a Bmw e Daimler per lo scandalo delle scimmie e delle cavie umane usate nei test per provare gli effetti dei gas di scarico.

Che l’Unione Europea non mostri in generale un grande entusiasmo per i temi ambientali e che essa sia nei fatti divorata dalle lobby lo si è visto in queste settimane anche da un altro episodio. Sei tra le principali utility europee, tra cui addirittura la nostra Enel, hanno chiesto alla Commissione Ue di alzare la quota di quelle verdi con le quali coprire i fabbisogni di energia entro il 2030. La Commissione ha in effetti stabilito l’asticella, per quella data, al 27% del totale, sotto evidentemente la pressione di grandi strutture, mentre le sei aziende citate chiedono almeno il 35% e anche che si cambi il regime degli incentivi.

E l’Italia?

Solo lo 0,1% delle auto immatricolate in Italia nel 2016 sono elettriche. Parliamo di 1.403 veicoli venduti in un anno, da confrontare con il milione abbondante di mezzi diesel messi sulle strade e con i circa 600mila nuovi veicoli a benzina.

Pietro Menga, presidente di Cives (Commissione Italiana Veicoli Elettrici e Stradali a Batteria, Ibridi e a Celle Combustibili) osserva che nella SEN “si parla della mobilità elettrica, ma anche lì manca qualunque riferimento a obiettivi quantitativi o temporali” e ci sono fondi allocati che non vengono spesi”. R’ risaputo che a inizio 2017 la Corte dei Conti aveva bacchettato il Governo: a fine 2016 infatti erano stati spesi solo 6mila euro su 50 milioni disponibili.

Ma mentre tutti i principali produttori di auto del mondo stanno cercando di investire massicciamente nel settore dell’auto elettrica e in quello dell’auto a guida autonoma, la FCA appare di gran lunga quella che ha fatto meno sforzi in direzione delle novità e quindi essa si troverà in un futuro prossimo, inevitabilmente, senza grandi prospettive strategiche. Forse in seguito alla malaugurata decisione – della proprietà e dei suoi supermanager tanto osannati – di liquidare la sua partecipazione nell’auto, oltre che anche nelle attività di tipo più industriale concentrate nella CNH Industrial. E qui torniamo ancora una volta alla Cina. A quanto afferma Comito “un’ipotesi plausibile in gioco vede la Jeep ceduta agli statunitensi e la vecchia Fiat proprio ai cinesi, mentre una serie di attività al contorno, dalla Magneti Marelli alla Comau, due società in cui si concentrano competenze tecnologiche molto importanti nel nostro paese, appaiono in bilico e dal destino incerto”. Mala tempora currunt, almeno sull’auto italiana!

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Auto elettriche e energie rinnovabili, quanto inquinamento ci evitano davvero

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015In media in Italia dai veicoli privati vengono emessi 110 grammi per chilometro per un totale di 55 milioni di tonnellate di CO2 nel 2016. Le emissioni (in questo caso calcolate a valle degli scappamenti, escludendo cioè il ciclo che porta fino alla pompa del carburante) variano da regione a regione, con punte massime in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta e minime in Sicilia e Campania. Siamo la terza nazione europea in ordine di inquinamento dell’atmosfera (fonte: Eurostat). Un bel problema, naturalmente trascurato alle fatidiche scadenze elettorali, proprio perché la mobilità è tra i problemi meno facilmente risolvibili sotto il profilo ambientale e ormai i costi di riparazione in salute e natura superano l’effetto della crescita economica dovuta alla produzione delle quattro ruote.

Sei almeno sono i complessi fattori da affrontare con estrema decisione: la distribuzione del combustibile, l’entità e la tipologia delle sue emissioni, l’accumulo mobile di energia la resa dei motori, l’efficienza complessiva dell’apparecchiatura mobile e il suo peso per persona trasportata: attorno a questi nodi e all’infrastruttura spaziale e digitale dedicata alla mobilità, evolve e muta in rapidità e su molteplici linee il più grande sistema industriale creato nella storia umana. Molti sono i segnali di trasformazione: in questo post ci soffermiamo sui primi tre aspetti.

1. Le compagnie petrolifere stanno abbandonando la rete

E lanciano piani per strutture di ricarica elettrica e, in prospettiva ancora incerta, rifornimento di idrogeno. In Italia negli ultimi 30 anni ha chiuso il 40% degli impianti e l’erogato medio di carburanti è calato del 20% nella rete stradale ed è letteralmente crollato del 58% lungo le autostrade. Minori consumi al chilometro, ma anche crescente diffusione di componenti elettriche di trazione.

L’offerta nelle stazioni di servizio si differenzia sempre di più in previsione delle nuove tecnologie per l’auto: oltre all’obbligo già in corso di un erogatore di gas in ogni stazione, si stanno creando sinergie fra erogatori di carburanti e infrastrutture di ricarica elettrica. Le colonnine si moltiplicano presso i grandi brand, mentre il processo di evoluzione della vecchia rete viene accelerato anche per per le nuove norme che prevedono la chiusura degli impianti meno sicuri.

2 Per le emissioni dell’apparato motore

Il Joint Research Centre dell’UE assieme ad EUCAR (The European Council for Automotive R&D) e CONCAWE, a conclusione di una complessa elaborazione che prende in considerazione tutto il ciclo di emissioni dal pozzo alle ruote (from wells to wheels), ha approntato la seguente tabella:

Auto Elettriche

I dati riportati confrontano tra loro il numero di auto a combustione sostituibili da altrettanti veicoli elettrici in modo da ottenere lo stesso risultato si riduzione di CO2 che si avrebbe modificando 1 milione di auto a metano con altrettanti motori a gas alimentati con una miscela al 10% di biometano (si tratta di un suggerimento fornito dall’Ue già per il 2020, che darebbe luogo ad un abbattimento di 11 tonnellate di CO2 per ogni km compiuto dall’intera flotta di 1 milione di auto a gas).

Come si vede, per ottenere lo stesso obbiettivo di riduzione (11 tonnellate), basterebbe far circolare auto elettriche sostitutive, con vantaggi più netti nel caso dell’alimentazione a benzina e, a seguire, rimarchevoli nel caso di quella a metano e un po’ meno, ma sempre consistenti, su quella a gasolio. In conclusione, dai calcoli eseguiti per limitare le emissioni di CO2, risulta chiaro come siano vantaggiosi gli impieghi della miscela gas-biometano sul metano, ma, soprattutto, sia benefico il ricorso al propulsore elettrico rispetto al funzionamento di motori a combustione interna alimentati da fossili.

Parrebbe insomma razionale da subito sfruttare contestualmente tutte le opzioni disponibili: dai miglioramenti già in uso per le tecnologie convenzionali (biometano e ibrido), fino all’introduzione immediata di quelle innovative (plug-in, totalmente elettrico, fuel cell a idrogeno) adottando politiche più decise a favore di queste ultime, che maggiormente necessitano di stimoli e sostegno.

3. Favorire la produzione energetica da fonti rinnovabili

Per completezza, occorre rimarcare che solo favorendo la crescita accelerata della produzione energetica con fonti rinnovabili è possibile trarre un bilancio ottimale del ricorso all’elettrico nella mobilità. In una ricerca pubblicata dall’Economist si chiarisce come le auto elettriche siano più pulite di quelle che si basano su motori a combustione interna quando anche la potenza utilizzata per caricarle è pulita. Nel dicembre scorso, con il Clean Energy Package, l’Ue finalmente ha cominciato a favorire con la generazione distribuita l’autoproduzione e le comunità energetiche, in concomitanza con la fase di decollo della mobilità elettrica. I veicoli elettrici funzioneranno così anche da scambiatori bilaterali dell’energia con la rete, e sarà realmente praticabile l’eliminazione per il 2040 di tutti i veicoli alimentati da combustibili fossili.

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