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Informazione e guerra, convegno a Venegono Sup.

7dicembre_Venegono_webL’informazione come vittima, ostaggio e arma di guerra.

La mistificazione della informazione inizia con la mistificazione delle parole stesse.
Dai tempi più antichi “Se vuoi la pace prepara la guerra” a quelli più recenti “Se vuoi amare la pace devi armare la pace” del ministro, sponsor bellico, Mario Mauro, il senso delle parole è capovolto e quando si dice “pace” o “sicurezza” si intende “guerra”, chi resiste ad attacchi o occupazioni diventa “terrorista”, sino all’invenzione di ossimori fantasiosi come “guerra umanitaria” o “missioni di pace”  (maestri come sempre gli Israeliani che chiamarono “Pace in Galilea” la guerra contro il Libano del 1982).

La propaganda, cioè la distorsione della informazione, e lo spionaggio (oggi ipocritamente definito “monitoraggio”), cioè la raccolta di informazioni come mezzo di controllo sociale, sono da sempre strumenti della guerra; se ne è fatta una scienza e i governi “moderni” si dotano di gruppi di studiosi, scelti e appositamente formati, che pianificano campagne di disinformazione al preciso scopo di elaborare mistificazioni finalizzate o, più in generale, di “militarizzare le menti”.

Gigantesche balle diventano verità universali a cui doversi adeguare; chi non si adegua e rivela il vero è massacrato, rinchiuso, definito pazzo. Quindi dall’uso di armi incruente si passa anche a quelle cruente, quando necessario, per difendere queste “verità utili”.

E allora ? Che cosa facciamo, che cosa possiamo fare per vaccinarci contro la disinformazione che avalla la guerra, la fa ingoiare o se ne fa addirittura strumento, sino a diventare una vera arma?

Ti invitiamo per discutere di questo al:
Castello dei Comboniani di Venegono Superiore (VA), via delle Missioni, 12,  sede del “Forum contro la guerra”, sabato 7 Dicembre 2013, mattina e pomeriggio (vedi programma in PDF).

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Fracking: un Papa no-triv?

di Mario Agostinelli

Oscurata dal clamore dell’inabissamento del Cavaliere, si è persa la notizia del “no al fracking” di papa Francesco. Un monito autorevolissimo e fuori dell’ordinario contro l’irresponsabile tecnica di estrazione del gas (shale gas o gas di scisto) dalle rocce fratturate idraulicamente. Approfittando del silenzio dei media sul pontefice, i “pontifica tori” del ricorso al fracking non hanno tardato a fare le loro rimostranze e sono stati accolti prontamente dai quotidiani nazionali. Ben cinque pagine di Repubblica Affari e Finanza, sono state dedicate alla “gas renaissance”, in base al solito vizio di cambiare film a seconda che si deplorino gli eventi estremi del cambiamento climatico o che si difendano gli interessi delle compagnie energetiche (vedi  le centrali di De Benedetti).

Ma cosa ha mosso Bergoglio, tutt’altro che ignorante sulla questione? L’accusa più comune per il fracking è che le sostanze iniettate nel sottosuolo possono avvelenare le falde acquifere, con conseguenze sulla salute di uomini e animali. In Francia e in Germania il fracking è stato reso illegale e ovunque stanno sorgendo movimenti di protesta. Il dibattito sul gas di scisto impegna molte diocesi europee ed è arrivato persino all’interno della Chiesa anglicana. Il Papa argentino ne è al corrente e sa bene che il sottosuolo dove è nato custodisce riserve di shale gas seconde solo a quelle cinesi. E che, per accaparrarsele, è già in pista la Chevron, la prima tra le 90 aziende responsabili, da sole, di due terzi delle emissioni di gas serra.

Quando ha ricevuto il senatore argentino Fernando “Pino” Solanas (nella foto), che ha sposato la causa dei manifestanti anti-fracking, ha anche visivamente comunicato e in modo inequivocabile il suo appoggio e la sua contrarietà alle devastazioni delle corporation.

Ma come hanno reagito i manager nostrani? L’amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, ha lamentato che da noi “non ci fanno trivellare un pozzo, perché dopo i no-Tav ci sono NoTriv”. Paolo Scaroni, ad di Eni, ha definito la politica energetica europea “sbagliata e sfortunata” perché ha dato sussidi alle rinnovabili che, dato che funzionano, fermano le centrali elettriche alimentate a gas! Naturalmente Letta se ne è fatto carico nella manovra finanziaria appena imposta con la fiducia, spostando scandalosamente i fondi dalle rinnovabili ai fossili e a nulla vale che il ministro dell’ambiente Orlando se ne sia lamentato dopo. Giuseppe Recchi arriva a sostenere che lo shale gas in Europa sarà “l’arma della ripresa” e che “il blocco del fracking è dovuto a pregiudiziali ideologiche”.

E se, come dice il report della Commissione Industria ed Energia del Parlamento europeo “l’impatto ambientale, sarà troppo alto, anche in rapporto al contributo alla sicurezza energetica che potrà dare”, direste che è più saggio il Papa NoTriv o i manager e i premier di questo Paese alla frutta?

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IL GOVERNO ASCOLTA SOLO I GRANDI INTERESSI DEI PRODUTTORI DA FONTI FOSSILI E COLPISCE LE RINNOVABILI

Il Governo Letta, con intese più o meno larghe, ha ottenuto ieri la fiducia sul maxiemendamento relativo alla legge di stabilità che contiene, al comma 99, la “perla” di togliere soldi alle rinnovabili per darli alle fonti fossili.
La questione è quella dell’ormai famoso “capacity payment”, ossia il pagamento, alle centrali elettriche convenzionali, di una quota economica, solo per la capacità di produrre energia, anche se questa non é utilizzata, e neppure prodotta.

Non erano proprio i grandi produttori energetici tra i campioni del liberismo e del mercato che si regola da sé? Come mai oggi chiedono una sovvenzione, che è un vero e proprio aiuto di stato?

Per di più prendendo le risorse facendo pagare gli oneri di sistema anche sull’energia da fonti rinnovabili autoprodotta e autoconsumata.

Queste sovvenzioni sono richieste per “compensare” l’eccesso di capacità produttiva convenzionale, dovuta allo sviluppo delle fonti rinnovabili (che ormai coprono più di un terzo del fabbisogno), ma anche per la riduzione dei consumi (dovuta alla crisi economica, e in misura minore ad un aumento dell’efficienza energetica); ma, soprattutto, per gli esagerati investimenti in centrali convenzionali, fatti senza nessuna programmazione e scommettendo contro lo sviluppo delle rinnovabili, da parte delle imprese del settore.

Perchè dovrebbero essere premiati costoro? Perchè dovrebbero essere tenute in operatività anche centrali obsolete, inquinanti e poco efficienti, come già avviene per quelle a olio combustibile?

Viene portato a sostegno l’argomentazione che esiste un problema di sicurezza della rete e degli approvvigionamenti e quindi della potenza di riserva, essendo le fonti rinnovabili per loro natura discontinue e solo in parte programmabili.

Certo il problema va affrontato con una rimodulazione del modello energetico che sviluppi la generazione distribuita, le reti intelligenti, il massimo di efficienza e razionalità nell’uso di tutte le fonti energetiche. In quest’ambito saranno necessari anche incentivi per chi innova e contribuisce alla transizione energetica, non per chi difende il vecchio sistema fossile.

Invece questo Governo continua a vedere solo gli interessi del fossile, sempre ieri a Trieste, sotto gli auspici del premier Letta, l’Eni ha firmato con i russi un accordo per trivellare il Mediterraneo, alla ricerca di idrocarburi.

Oggi, nel corso del Forum di Qualenergia? Il Ministro Orlando ha detto di condividere “l’incazzatura” dei partecipanti contro il “comma 99” e ha annunciato che intende “proporre un emendamento alla Camera”, quando verrà presentato il testo della legge di stabilità.

Auspichiamo esista una maggioranza adeguata, ma per questo è bene che gli interessi diffusi, che sostengono le ragioni dell’ambiente e delle fonti rinnovabili, si facciano sentire.

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Dodici miliardi di euro all’anno gli aiuti pubblici in Italia alle fossili

da qualenergia.it

A livello mondiale il problema dei sussidi alle fonti fossili è abbastanza noto: l’ultima denuncia è contenuta nel World Energy Outlook 2013 della IEA, che li quantifica in 544 miliardi, cinque volte quelli alle fonti rinnovabili. Secondo stime di Ong ambientaliste, solamente eliminando questi aiuti si ridurrebbero le emissioni mondiali di CO2 di 750 milioni di tonnellate, ovvero il 5,8% al 2020, contribuendo al raggiungimento della metà dell’obiettivo climatico necessario a contenere l’aumento di temperatura globale di 2 °C.

Quasi mai invece si sente parlare di questo tema su scala nazionale italiana. Prova ad accendere il dibattito pubblico nazionale un dossier targato Legambiente che mette in evidenza un dato: sono circa a 12 miliardi di euro all’anno i sussidi di cui beneficiano le fonti fossili nel nostro Paese. Il rapporto fa una sorta di censimento degli aiuti diretti e indiretti che finiscono a petrolio, carbone e altre fonti inquinanti e climalteranti (vedi allegato in basso) e cerca di fornire un po’ di trasparenza su questo argomento: le vie che portano al sostegno delle fonti sporche sono diverse, tortuose e individuarne la portata non è sempre semplice.

Secondo il dossier stiamo parlando di 4,4 miliardi di sussidi diretti, distribuiti ad autotrasportatori, centrali alimentate fonti fossili e imprese energivore, e di 7,7 miliardi di sussidi indiretti, tra finanziamenti per nuove strade e autostrade, sconti e regali per le trivellazioni. Il totale, appunto, è di 12,1 miliardi di euro.

La voce più importante riguarda i trasporti. Al settore dell’autotrasporto sono andati, dal 2000 al 2013, quasi 5,3 miliardi di euro attraverso fondi diretti al sostentamento del settore (400 milioni l’anno), sconti sui pedaggi autostradali (120 milioni in media ogni anno), riduzioni sui premi INAIL e RCA (rispettivamente 105 e 22 milioni), oltre a deduzioni forfettarie non documentate per circa 113 milioni annui. Per il 2013 si tratta di 400 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i 330 per il 2014, ad oggi in discussione nella Legge Stabilità.

Un’altra voce di sussidio riguarda gli sconti sulle tasse per l’acquisto di carburante; secondo l’OCSE, l’Italia nel 2011 ha sostenuto il settore con riduzioni e esenzioni dall’accisa per oltre 2 miliardi di euro.

C’è poi il capitolo termoelettrico. Diversi impianti da fonti fossili beneficiano di sussidi diretti per la produzione elettrica. L’esempio più noto è l’incentivo CIP6 alle assimilate. Complessivamente, agli impianti a fonti fossili, dal 2001 al 2012 sono stati assegnati 40,149 miliardi di euro, si legge nel report. Secondo i dati del GSE, nel 2012 il sussidio è stato pari a 2,166 mld di euro e continuerà, riducendosi nel tempo, ancora fino al 2021. Sempre secondo i dati del GSE, si può stimare che i CIP6 da qui al 2021 costeranno alla collettività circa altri 4,880 miliardi di euro.

Un nuovo sussidio diretto a centrali vecchie e inquinanti poi è entrato in funzione nel 2012, giustificato con presunti allarmi legati all’emergenza gas. In pratica le vecchie centrali a olio combustibile vengono remunerate con 250 milioni di euro (per il 2013), a fronte della disponibilità a entrare in funzione contro possibili nuove emergenze gas e per di più potranno operare con “deroghe alla normativa sulle emissioni in atmosfera o alla qualità dei combustibili”.

Diversi altri aiuti sono invece più difficili da individuare e contabilizzare. Ad esempio ci sono i rimborsi ai nuovi entranti nel meccanismo europeo di scambio delle emissioni ETS: gli impianti entrati in funzione negli ultimi quattro anni riceveranno rimborsi per circa 160 milioni, prelevati da risorse che sarebbero dovute invece servire a ridurre le emissioni di CO2 (vedi QualEnergia.it).

Altra voce che Legambiente mette nel conto come sussidi alle fonti fossili sono gli sconti ai grandi consumatori di energia: circa 600 milioni di euro l’anno. Stesso discorso per il servizio di interrompibilità, cioè il compenso garantito a certi grandi consumatori in cambio alla disponibilità di vedersi interrompere la fornitura nell’eventualità (a dire il vero piuttosto remota) che l’energia immessa in rete non basti per tutti. Nel 2013 il servizio di interrompibilità si può stimare in 736,5 milioni di euro. Altro sussidio diretto a favore delle aziende energivore è la riduzione dell’accisa sul gas naturale impiegato per usi industriali da soggetti che registrano consumi superiori a 1.200.000 mc annui, per 60 milioni di euro l’anno.

Altri sussidi potrebbero essere in arrivo: nella proposta di Decreto del Fare 2, ad esempio, è previsto un incentivo per la costruzione di una centrale al carbone cosiddetto “pulito” nel Sulcis: 60 milioni di euro l’anno, per un costo totale di 1,2 miliardi di euro, che saranno coperti tramite il prelievo nella bolletta elettrica.

Ma gli incentivi alle fossili sono anche indiretti. Una forma di sussidio indiretto riguarda ad esempio il campo delle infrastrutture. “Invece di investire su metropolitane e tram per aiutare i cittadini a lasciare l’auto a casa, o di migliorare la logistica delle merci per avere un’alternativa più efficiente con treni e navi, in Italia la priorità degli investimenti infrastrutturali continua ad andare a strade e autostrade, con la conseguenza di favorire il trasporto privato su gomma e quindi il consumo di fonti fossili”, spiegano gli autori del dossier. Nel 2012 la spesa per gli investimenti in nuove opere stradali e autostradali è stata pari a 2,4 miliardi di euro; erano 3,3 nel 2011.

Ancora, altri sussidi indiretti e sconti sono applicati a coloro che sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. Il caso più eclatante riguarda le irrisorie royalties previste per trivellare in Italia, portate con il Decreto Sviluppo al 10% (a parte il petrolio a mare dove la percentuale è al 7%). “Se in Italia avessimo portato le royalties al 50%, nel 2012 ci saremmo trovati invece che un gettito di 333,5 milioni di euro circa, con uno da 2,859 miliardi di €. Se si aggiornassero i canoni per la prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio con cifre più adeguate (almeno 1.000 €/kmq per la prospezione, 2mila per le attività di ricerca fino a 16mila per la coltivazione), le compagnie petrolifere potrebbero versare alle casse dello Stato oltre 300 milioni di euro invece dell’attuale milione. Anche in questo caso, la ‘distrazione’ nell’aggiornare i canoni determina evidenti sussidi indiretti pari a circa 300 milioni di euro”, denuncia l’associazione ambientalista.

Dossier Legambiente (pdf)

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Contro i cambiamenti climatici

Contro i cambiamenti climatici, i disastri ambientali, la politica e le industrie inquinanti che sono responsabili, un gesto eclatante della società civile italiana

Il clima mondiale sta rapidamente cambiando: l’effetto delle emissioni di gas clima alteranti e l’incuria del territorio si scarica sulla natura che si ribella con forza: dalle Filippine, agli Stati Uniti, alla Sardegna, uragani e alluvioni si susseguono, ma la politica e l’economia internazionale, e quella italiana, non se ne cura.
La 19a Conferenza delle Parti dell’Onu sul cambiamento climatico, in corso a Varsavia, si avvia a chiudersi con un nulla di fatto o il ripescamento di promesse in extremis.

A Varsavia le associazioni ambientaliste, sociali, le Organizzazioni non governative e sindacali presenti alla Conferenza Onu sul clima  hanno deciso con un’azione clamorosa di abbandonare i negoziati.
Tra le organizzazioni della società civile che hanno deciso di abbandonare i lavori della COP 19 ci sono anche Legambiente, la CGIL, Fairwatch ed il WWF Italia.
“Alla Conferenza di Varsavia” si legge in una nota “i Paesi ricchi non hanno nulla da offrire. Molti Governi dei Paesi in via di sviluppo stanno lottando ma non riescono a tutelare adeguatamente le necessità ed i diritti delle loro comunità”.
“E chiaro che” continua la nota “se si continuerà in questo modo, i prossimi due giorni di negoziato non decideranno le azioni che il mondo così disperatamente attende”.
“Per questo abbiamo deciso di utilizzare meglio il nostro tempo abbandonando volontariamente i negoziati climatici di Varsavia. Al contrario abbiamo scelto di impegnarci a mobilitare i cittadini per fare pressione sui nostri Governi per prendere la leadership per una seria lotta al cambiamento climatico. Lavoreremo per trasformare i nostri sistemi alimentari ed energetici a livello nazionale e globale così da porre le basi per un’economia sostenibile e low carbon con lavoro e vita degni per tutti. Così da ritornare ai negoziati portando la voce di tutte quelle cittadine e di quei cittadini che hanno a cuore un futuro sostenibile per l’intero pianeta”.

Energiafelice si associa a questo impegno

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