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La FILLEA-CGIL dice NO al CONSUMO di SUOLO

PER LA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL PAESAGGIO, UN FUTURO ALLE LAVORATRICI E AI LAVORATORI DELLE COSTRUZIONI: CONSUMO DI SUOLO ZERO

Al convegno organizzato a Roma dal WWF il 31 maggio e il 1° giugno u.s. si è molto dibattuto, con interventi di grande autorevolezza, su “riutilizziamo l’Italia”, “contenere il consumo di suolo” e “riqualificare il belpaese”.

Il 1° giugno u.s. “La Repubblica” ha pubblicato un articolo di Salvatore Settis dal titolo “La strana alleanza in salsa verde”. Nei giorni precedenti sono stati depositati da parte di diversi gruppi parlamentari disegni di legge che rientrano entro il perimetro del consumo di suolo e delle aree urbane e altri gruppi parlamentari hanno annunciato la presentazione di nuovi ddl.

Le istituzioni, i partiti e i loro gruppi parlamentari, l’associazionismo e il sindacalismo imprenditoriali e dei lavoratori dipendenti, specialmente delle costruzioni, devono, a nostro avviso, affrontare un dilemma: viene prima il territorio e dopo le aree urbane e gli appartamenti o prima vengono gli appartamenti, le aree urbane e, poi, il territorio?

Fare una scelta anziché un’altra non è indolore.

Da tantissimi anni gli italiani che “partecipano” alla filiera decisionale del costruire hanno scelto, con i risultati disastrosi che sono stati evidenziati per ultimo dalla totalità degli intervenuti al già richiamato convegno, di soddisfare la fame (o l’ingordigia) di case, di immobili singoli o condominiali, di capannoni. Il tutto con la partecipazione di chi il territorio lo deve governare nel rispetto della Costituzione e della legislazione, che certamente non prevede i colossali processi di cementificazione privata o pubblica di cui il BELPAESE è vittima.

Invece, nello stesso periodo, del territorio se ne sono occupati solamente qualche professore o qualche associazione sindacale o di cittadini.

Tra le ultima iniziative evidenziamo quella organizzata a Torino il 22 marzo u.s. dalla FILLEA CGIL dal titolo “Consumo di suolo ZERO” e l’assemblea organizzata il 4 maggio u.s. a Bologna dal Forum nazionale “Salviamo il Paesaggio”.

Nel corso di queste ennesime iniziative si è approfondito il tema, assumendo la convinzione che la drammaticità della situazione non ammette subordinate.

Il Consiglio Europeo sta già per varare una Direttiva Comunitaria che identifica bene la questione attraverso l’analisi del fenomeno, la definizione di contenuti chiari e univoci dei termini che si usano (cos’è suolo, impermeabilizzazione, cementificazione, etc…), la predisposizione di programmi precisi e vincolanti finalizzati a raggiungere l’obiettivo “ZERO consumo di suolo”.

Gli istituti più autorevoli ci dicono che si consumano in Italia giornalmente circa 100 ettari (moltiplicare per 10.000 per avere i mq) e non sarebbe difficile calcolare per quanto si moltiplica il valore in Euro di un mq di terreno non impermeabilizzato fino alla fase in cui un cittadino acquista l’appartamento o altro manufatto che impermeabilizza il suolo.

La FILLEA, a Torino, ha lanciato la proposta di ridurre entro il 2020 il consumo di suolo in Italia di almeno il 50%, e che da subito tutte le decisioni che fanno capo all’edificazione dipendente dalle pubbliche amministrazioni e collegate, a qualsiasi titolo destinati, o che fanno capo a risorse finanziarie date a privati per lo stesso scopo, siano edificati solo su terreno impermeabilizzato, possibilmente già di proprietà pubblica.

Il Forum Salviamo il Paesaggio, a Bologna, ha suggerito diverse azioni immediate, tra cui la considerazione dell’identità dei suoli liberi o fertili come assoluto Bene Comune e come Valore ecologico ed economico (turistico, culturale, agricolo, enogastronomico …) e il rapido inserimento nel calendario dei lavori parlamentari delle commissioni competenti del ddl “Salva suoli”, per il contenimento del consumo di suolo e la valorizzazione delle aree agricole.

A partire da “adesso” riteniamo che gli Enti Locali, in coerenza con l’obiettivo di ridurre il consumo di suolo, debbano rivalutare le scelte operate che comportano l’utilizzo del suolo non impermeabilizzato.

Convinti di essere all’interno dei solchi degli articoli 9, 41, 44 e 137 della Costituzione, ci sembra che le proposte di cui sopra possano essere assunte “velocemente e adesso” da tutti gli Enti Locali che hanno formale competenza sul “GOVERNO DEL TERRITORIO E DELLE AREE URBANE”.

Il pubblico può decidere sul pubblico, e può decidere se una superficie deve essere impermeabilizzata e no.

Sulla terra e sul suolo, a differenza dell’acqua e dell’aria, da secoli gli esseri umani vantano diritti di proprietà e di uso. Ma su di essi è la Costituzione, nei modi previsti, che esercita un diritto pubblico primario.

Pertanto prima si eserciti, finalmente, questo diritto primario e conseguentemente nello stesso provvedimento si affronti il tema della ristrutturazione, della riqualificazione e del riutilizzo delle aree urbane e non urbane. Il prima e il dopo non sono temporali, ma politici e di tutela degli interessi generali.

Chiudiamo il recinto prima che i buoi scappino definitivamente, intendendo per recinto il territorio e per buoi le aree urbane e gli edifici.

Continuano a essere tante le scelte di cementificare fatte per fini nobili, tra gli ultimi un terreno non impermeabilizzato confiscato alla mafia destinato al Comune di Palermo e ceduto alla Curia palermitana per costruire la chiesa a Padre Puglisi sul territorio in cui operava. Ma a Brancaccio non ci sono luoghi già impermeabilizzati dove edificare la chiesa? Sono rari i casi di amministrazioni che dicono “no” alla costruzione su terreno non impermeabilizzato come ha fatto nei mesi scorsi la provincia di Torino negando all’Ikea l’autorizzazione di costruire un centro commerciale su una superficie di 18 ettari.

Chi avrà voglia di approfondire, leggerà che il principale sindacato della filiera delle costruzioni e il Forum che comprende più di 900 organizzazioni e migliaia di cittadini non sono diventati degli “integralisti del territorio”. Più semplicemente una crisi che ha determinato 400 mila disoccupati su un milione di occupati non può essere affrontata con pannicelli caldi o con qualche nominale “eco” o “bio”, fermo restando che l’importante è continuare a costruire dappertutto.

Abbiamo sempre pensato che la fase di crescita o di arricchimento non corrisponde con quella di sviluppo del nostro paese e alle centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori che oggi piangono le conseguenze di questa crisi strutturale vogliamo dare una prospettiva non più basata su quanto Sciascia prima e Rosi dopo fin dagli anni ’60 hanno scritto e raccontato nel libro “Il giorno della civetta” e nel film “Mani sulla città”.

Il pubblico (eletti e funzionari) DEVE governare il territorio e non favorire gli interessi privati (palazzinari, cementificatori, tangentisti e mafiosi ).

I privati di cui sopra, come hanno dimostrato i grandi sequestri di mafia operati sul fronte degli impianti eolici, sono pronti a sfruttare qualsiasi tecnologia o tendenza ambientalista. Il pubblico, di cui sopra, affermi la determinazione di voler governare il paese sul solco di tutto ciò ha fatto diventare l’Italia il “BELPAESE”.

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400 morti per il carbone di Vado

da corriere.it

La dichiarazione è choc: «Senza la centrale a carbone di Vado tanti decessi non ci sarebbero stati… 400 morti dal 2000 al 2007». Sorprende il numero delle vittime e sorprende che a parlare in questi termini sia il procuratore capo di Savona, Francantonio Granero, che si sta occupando direttamente delle due inchieste sulle emissioni della Tirreno Power di Vado Ligure, un impianto costruito nel 1970 e ancora in funzione.

«Quei morti sono da attribuire alle emissioni degli impianti». Non solo. Ci sarebbero stati anche «tra i 1.700 e i 200 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d’asma, tra il 2005 e il 2012». I dati emergono da una consulenza disposta dalla procura nell’ambito delle indagini per disastro ambientale e omicidio colposo, due distinti fascicoli aperti sospettando che le polveri uscite dalle ciminiere di Vado siano la causa delle malattie fra gli abitanti della zona. Una conclusione alla quale i periti sono arrivati attraverso un’analisi sul tasso di mortalità in diverse aree vicine alla centrale (il perimetro riguarda quasi tutta Savona, Vado, Quliano e Bergeggi e in parte Albisola e Varazze), dove sarebbe stato accertato un sensibile incremento di decessi tra le zone di minima e massima ricaduta degli elementi inquinanti. Gli esperti hanno anche escluso che le patologie possano essere attribuite ad altri fattori: traffico automobilistico, altre aziende della zona o fumi delle navi in porto. Per il momento nel registro degli indagati sono stati iscritti tre nomi per il reato di disastro ambientale. Si tratta di tre dirigenti, fra cui l’ex direttore generale di Tirreno Power Giovanni Gosio, che ha lasciato la società qualche settimana fa, e il direttore dello stabilimento Pasquale D’Elia.

Tirreno Power, società controllata a metà dalla Suez Gaz de France e dalla Cir della famiglia De Benedetti (il 50% è detenuto dalla Energia Italia, a sua volta controllata per il 78% dalla Sorgenia del gruppo Cir), ha replicato alle parole del procuratore di Savona smentendo il nesso fra i decessi e i fumi della centrale: «Non si comprende quale sia stato il metodo di valutazione di esposizione agli inquinanti. Tale mancanza di chiarezza è accompagnata dall’assenza della doverosa analisi di robustezza, di sensitività e quindi di affidabilità globale del metodo adottato. Anche per questo motivo non si può affermare in concreto alcun nesso di causalità».

Va detto che il documento è comunque ancora coperto dal segreto istruttorio e che nessuno ha potuto visionarlo. «Un atto comunque di parte e mai sottoposto a contraddittorio», ha precisato la società che invita ad «una maggiore prudenza considerando la forte rilevanza anche emotiva che i temi trattati rivestono e che dovrebbero essere tuttavia sempre suffragati da fatti comprovati anziché da ipotesi di parte le cui fondamenta sono tutte da verificare».
Alla grana giudiziaria di Tirreno Power si stanno sommando i problemi finanziari di Sorgenia che lunedì aveva comunicato di avere un’autonomia di un mese. Anche per questa ragione ieri a Piazza Affari il titolo Cir ha subito una flessione di oltre il 3%.

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L’ENI sta con Matteo Renzi

 

L’Eni sta con Matteo Renzi. Parola di Paolo Scaroni, ad del gruppo petrolifero italiano: “Quel che mi piace di Renzi – spiega in un’intervista a Bloomberg Tv – è la sua volontà di agire e di agire velocemente. Ha impeto, è davvero una persona che vuole riformare il Paese e riformare il Paese a volte non equivale a essere popolari, ma quando si vuole qualcosa davvero si è già a metà strada”.

Un endorsement a Renzi nei giorni in cui si discute la riconferma di Scaroni come ad del Cane a sei zampe. L’amministratore delegato conferma la sua volontà di continuare: “Certamente sono disponibile per un nuovo mandato”. E aggiunge: “Ho il miglior lavoro del mondo – prosegue – e mi diverto parecchio quindi per me avere qualche altro anno di divertimento sarebbe una buona notizia. E’ un lavoro molto eccitante: si viaggia in parti del mondo dove non va mai nessuno, come il Turkmenistan o l’Angola, siamo nel mondo dei grandi numeri, degli affari internazionale e anche della politica internazionale, perché le risorse sono sempre una questione dei governi”.

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Olimpiadi ed ecomostri

di Mario Agostinelli

Una temperatura di 18°C, condizioni di innevamento non certo ideali per esaltare una competizione sportiva, un’ostentazione del nazionalismo russo che torna sulla scena geopolitica in una improbabile reincarnazione zarista proprio quando ogni spreco è una ferita al pianeta. I 51 miliardi di dollari per le Olimpiadi di Sochi sono già tristemente famosi per rimanere nella storia come la maggior spesa per i giochi. La contabilità offerta dagli organizzatori alla stampa per lenire le critiche, è sintomatica ai fini del nostro discorso: “solo 6 miliardi di dollari sono stati spesi “direttamente” sui Giochi. Il resto se n’è andato in infrastrutture pesantissime, tanti elefanti bianchi a presidiare territori sconvolti, come la “strada del caviale” dal costo di 8,7 miliardi di dollari nel distretto di montagna che sale alle spalle del mare. Occorre ricordare che nella Russia di Putin non si conta il denaro, quando si tratta di esibizione di potenza quasi sempre a danno dell’ambiente.

I giornalisti presenti all’evento rimarcano aspetti positivi: il traffico è sicuramente migliorato con le tangenziali costruite, la vita dei disabili in città è grandemente facilitata, l’aeroporto è efficiente, nuovi autobus urbani e treni navetta spostano i tifosi per 90 miglia lungo la costa.

Ma trascurano il fatto che sono state costruite undici grandi sale sportive e innumerevoli edifici annessi, di cui il governo locale sembra non avere un’idea di cosa fare. Quarantanove alberghi con una capacità di 26.000 letti rimarranno inutilizzati per l’afflusso turistico di Sochi in anni normali.

E quel che è più insopportabile – è denunciato dai giornali di opposizione (Alexei Navalny) – è che il governo ha speso il doppio di quanto necessario per costruire dieci dei siti olimpici. Perfino un controllo governativo nel 2012 ha trovato 430 milioni di dollari di superamento per costi “irragionevoli”. Questo non sorprende se si considera che gli uomini d’affari con stretti legami con i dirigenti federali e regionali, hanno vinto molti degli appalti.

Nel frattempo, i residenti del villaggio locale di Akhshtyr, dove una cava e una discarica abusiva sorti durante i lavori hanno inquinato l’ambiente, o Vesyoloye , dove rifiuti da costruzione hanno provocato una colata di fango su larga scala, si sono rivolte a Human Rights Watch per un risarcimento. Il futuro di Sochi come meta di sport invernali è già in dubbio: si avanzano proposte per farne una zona di gioco o una base gigante di atletica per bambini!

Evidentemente non sono bastate la lezione di Atene, quando la culla dei Giochi si è trasformata nella tomba del Paese (i costi, che inizialmente dovevano essere di 5 miliardi di euro, lievitarono fino a 8,95 miliardi) e quella di Torino, messa sotto il tappeto dai nostri governanti (i costi effettivi sono stati di 2,8 miliardi, sette volte in più rispetto all’iniziale preventivo).

Anche sotto le Alpi gli elefanti bianchi sono rimasti a sopravvivere inutilizzati in uno scenario surreale, come la pista da bob di Cesana (61 milioni di euro), i trampolini del salto di Pragelato (34 milioni), lo stadio di freestyle di Sauze d’Oulx (8 milioni), le strutture al Sestriere, il villaggio Olimpico a Torino, il mulino a Pinerolo addirittura mai aperto.

In definitiva, in Russia, Grecia e Italia non ha fatto scandalo buttare soldi per una fiammata di eventi, mentre ci si rifiuta ostinatamente di investire per preservare l’ambiente che lasceremo in eredità a figli e nipoti.

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Emissioni CO2, quando sono le spie ad occuparsi del clima

 di Mario Agostinelli

Perché mai notizie clamorose come quella che di seguito illustro vengono occultate? Lo spionaggio più accanito si è concentrato sul vertice Onu 2009 sul clima, ritenuto il più importante del suo genere dalla fine della seconda guerra mondiale. L’obiettivo del summit, tenutosi a Copenhagen, era un accordo globale sulla riduzione delle emissioni di CO2. Ma l’intesa, a lungo preparata, è stata fatta saltare: protagonisti i servizi di spionaggio Usa, come documenta nelle sue ultime carte Edward Snowden. A conferma che i padroni del mondo (le 85 persone più ricche valgono in denaro quanto 3,5 miliardi di poveri!) da sempre se la vogliono giocare nell’arena del mercato che controllano e non certo attenendosi ai vincoli politici della salute, della sicurezza e del benessere dei nostri figli.

La risposta alla domanda iniziale sta proprio nella definizione del campo dove si vorrebbe far svolgere una partita che riguarda tutti: se i giocatori (l’1%) non sottostanno a regole e gli spettatori (il 99%) seguono le fasi del gioco nella nebbia che avvolge gli spalti, allora non fa notizia se la democrazia viene conculcata proprio mentre ipocritamente la si invoca.

E veniamo all’informazione occultata. Il primo giorno della conferenza in Danimarca, la Nsa diffonde un documento secretato che, come rivelano i files di Snowden, afferma che “gli analisti della Nsa – con la loro attività di spionaggio – continueranno a trasmettere ai responsabili politici Usa le deliberazioni sulle politiche del cambiamento climatico dei governi in campo e le strategie negoziali dei paesi chiave”. L’informazione viene inviata anche ai governi del Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda: in sostanza il blocco che si rivelerà refrattario ad un accordo post Kyoto. La Nsa ha spiato gli incontri privati tra le parti – 200 Paesi oltre alle associazioni accreditate – durante tutto il summit. Il vertice di due settimane è stato il primo dell’amministrazione Obama e ci si aspettava che finisse con un accordo tra Stati Uniti, Cina, India, con una forte riduzione delle emissioni. La speranza aveva dato vita ad una grande manifestazione, cui io stesso ho partecipato.

Non tutti però stavano giocando secondo le regole: lo spionaggio aveva come fine spianare la strada ai negoziatori americani contrari ad un accordo di riduzione delle emissioni di CO2 superiore al 5%. La tattica consisteva nell’esasperare il confronto, facendo balenare solo alla fine una ricomposizione, peraltro non impegnativa. Gli smartphone dei delegati erano hackerati, così da essere in grado di leggere i loro messaggi di posta elettronica e ascoltare le loro conversazioni telefoniche. Era stato installato un software sul computer all’Internet Cafè del vertice per carpire i codici di accesso e entrare nelle e-mail e per registrare, in tempo reale le telefonate, oltre che per utilizzare telefoni cellulari delle persone come microfoni.

Nella notte finale del vertice, il 18 dicembre, il presidente Obama ha condotto intensi negoziati tra i capi di stato di Cina, India, Sudafrica, Brasile, i rappresentanti di un gruppo di ventisei paesi minori e un certo numero di paesi dell’UE, arrivando a favorire una dichiarazione finale preparata dalla presidenza danese del vertice, che i partecipanti al summit non hanno approvato collettivamente, ma solo accettato. La dichiarazione non ha preparato il terreno per un avanzamento del protocollo di Kyoto e ha consentito ai Paesi di definire obiettivi solo individuali. Nel caso degli Stati Uniti, si è legittimato lo stesso 4-6% che gli americani avevano proposto prima delle trattative.

In definitiva, lo spionaggio è servito a convincere gli americani e i loro alleati che potevano fidarsi dei danesi per avallare ciò che volevano e che non avrebbero dovuto contrastare un’alternativa altrettanto compatta.

Un autentico scenario da combattimento su un terreno che, al contrario, dovrebbe evocare convergenza e unità. E’ la globalizzazione competitiva che si oppone alla giustizia climatica. La Nsa si occupa di attività di intelligence e promuove gli interessi strategici americani, che a Copenhagen coincidevano con l’impedire che i vincoli ambientali li rallentassero nella corsa globale per aumentare la competitività e massimizzare la crescita. James R. Clapper, sottosegretario Usa alla Difesa per l’Intelligence spiega: “Sempre più l’ambiente sta diventando un avversario per noi. E credo che le capacità e le risorse della comunità dell’intelligence devono essere esercitate sempre nel valutare l’ambiente come un avversario. La Nsa deve raccogliere informazioni che possano sostenere gli interessi americani, piuttosto che prevenire future catastrofi climatiche”.

Basterà tutto questo per convincere anche i più negazionisti che è in corso una battaglia molto aspra tra il modello liberista di sviluppo e quello che democraticamente i popoli dovrebbero essere abilitati a scegliere? Già a partire da un protagonismo dei movimenti e della società alle prossime elezioni europee.

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