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Cambiamenti climatici, Obama perde: rilanciano i negazionisti climatici e le lobby del nucleare

La risalita dei repubblicani alle elezioni di metà mandato e l’isolamento anche tra i democratici dell’incerto presidente Obama ha ridato quota alle lobby che condizionano la politica americana e renderanno più problematiche le svolte richieste dalle classi sociali meno abbienti e dai movimenti ambientalisti. Esamino qui i risvolti di questo passaggio politico di oltre Atlantico sulla politica climatica ed energetica del pianeta.

Proprio a sondaggi già confermati a sfavore dei “Democrats” e a pochi giorni di distanza dalla discussione in Congresso della posizione da adottare da parte degli Stati Uniti per il prossimo vertice sul clima, il Pentagono ha pubblicato un nuovo rapporto che suona l’allarme sulle minacce alla sicurezza nazionale rappresentata dal cambiamento climatico e prevede che su di esso si sfidino sul serio le forze militari. Secondo il rapporto, le truppe degli Stati Uniti saranno sempre più schierate all’estero e molte delle basi navali degli Stati Uniti diventeranno vulnerabili alle inondazioni per l’innalzamento del livello del mare e le sempre più violente tempeste tropicali.clima_interna nuova

Anche se sembra delittuoso parlare del riscaldamento globale come di una “minaccia alla sicurezza nazionale” piuttosto che a un’emergenza planetaria, sia in termini di giustizia ambientale che intergenerazionale, questo è il taglio di tutto il rapporto, d’altra parte preoccupato per la prima volta dell’irreversibilità del cambiamento. Nel momento in cui il negazionismo climatico esercita ancora un’influenza sulla politica degli Stati Uniti, il focus non si sposta ancora su un nuovo trattato vincolante sul clima globale, ma si aggrappa a mantenere inalterati il tenore di vita e la sicurezza degli americani.

È così che il Ministero della Difesa si attrezza per affrontare l’innalzamento del livello dei mari a 1,5 metri per “i prossimi 20 o 50 anni” alla base navale di Norfolk e a studiare “scenari di pianificazione di difesa” di fronte alla diminuzione di ghiaccio marino artico, che creerà nuove rotte di navigazione e aprirà nuove aree per l’estrazione delle risorse. Si privilegia, in definitiva – come afferma Eric Bonds in Foreign Policy in Focus di ottobre – l’adattamento al cambiamento, anziché tagliare le emissioni in modo aggressivo, obbiettivo conseguibile solo con massicci investimenti pubblici atti a creare un’economia a basse emissioni di carbonio.

Nel suo nuovo libro, Naomi Klein fornisce una serie di possibili fonti di finanziamento per gli investimenti pubblici compresa l’eliminazione delle sovvenzioni alle imprese di combustibili fossili, una carbon tax, tasse sulle transazioni finanziarie e la patrimoniale. In particolare, il taglio del 25% dei bilanci della difesa di 10 paesi, compresa l’Italia, per liberare ulteriori 325 miliardi di dollari da spendere ogni anno per l’efficienza energetica e gli sforzi di energia rinnovabile.

Si tenga conto che il governo USA invece di continuare a pagare per 11 gruppi di portaerei per pattugliare il mondo fino al 2050, potrebbe rimuovere 2 gruppi e mettere i risparmi in pannelli solari su 33 milioni di case americane! La saggista canadese propone una politica economica e industriale in controtendenza, che fornirebbe risparmi, occupazione, equità. Una politica subito definita dai repubblicani “un attacco al capitalismo e alla classe media americana” e dall’ex colonnello e astronauta Nasa Harrison Schmitt “un cavallo di Troia per un socialismo nazionale”.

Le élites conservatrici di tutto il mondo si sentono rinfrancate se si guarda al cambiamento climatico attraverso la lente militarizzata che prende il nome di “sicurezza nazionale”. Questo può far dimenticare il debito contratto verso la natura e diminuire la nostra immaginazione politica collettiva nel momento in cui abbiamo bisogno di tutta l’intelligenza e creatività e di tutta l’innovazione che possiamo chiamare a raccolta per affrontare la principale sfida del nostro tempo.

Sarà ancor più complicato per Barack Obama dopo la recente sconfitta elettorale, sostenere il piano per la riduzione della CO2 dell’Epa, che richiederebbe il 30% di diminuzione delle emissioni entro il 2030. Il piano è stato progettato per sostituire il carbone come fonte principale per la produzione di energia elettrica con maggiore uso di gas naturale, più rinnovabili ed efficienza energetica e un nuovo sistema più decentrato di generazione e distribuzione di energia elettrica. A dimostrazione delle nuove difficoltà, sono tornate alla carica le grandi lobby del nucleare – pronte al rilancio di tre grandi progetti da oltre 12 miliardi di dollari – e le corporation che chiedono centrali di grande potenza (l’industria nucleare afferma che le garanzie sui prestiti sono troppo ridotte, mentre Edison ha fatto immediata richiesta per una centrale a gas da 1250 MW).

Già il giorno dopo le elezioni, l’industria americana del nucleare dichiara di aver bisogno di maggiori sussidi sotto forma di garanzie bancarie sui prestiti: le stesse che i repubblicani avevano attaccato per le rinnovabili. Bloomberg, da non confondersi con Greenpeace, ammette con una certa preoccupazione che il controllo repubblicano del Congresso farà probabilmente crescere la potenza nucleare. Pipeline Builder Olio TransCanada Corp. può trovare adesso il modo per far approvare la pipeline Keystone XL dal Canada alle raffinerie del Golfo del Messico per le sabbie bituminose da scisto, su cui fino ad ora Obama aveva posto un veto.

Insomma: il clima è brutto, ma non sembra turbare le alchimie politiche cui siamo sottoposti quotidianamente nel nostro piccolo buco da cui guardiamo il mondo.

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Energia Bene comune – Festival Sabir Lampedusa

LAMPEDUSA 1-5/10/2014

Quale energia – Bene comune solo se rinnovabile
intervento a cura di Giuseppe Farinella, delegato di Energia Felice

Il protocollo di kyoto e il contratto mondiale dell’energia nel 2005
Riflessione su quanto hanno inciso le nostre proposte
– garantire a tutti l’accesso all’energia e di conseguenza combattere la povertà ed il sottosviluppo
– limitare i cambiamenti climatici e l’inquinamento dell’aria, che l’attuale tipo di sviluppo produce;
– limitare l’impatto ambientale e sociale della produzione e della trasformazione di energia su larga scala;
– ribaltare il paradigma energetico basato sul controllo centralizzato delle risorse, decentralizzando la produzione;
– favorire democrazia e partecipazione perché sole vento e biomasse in quanto rinnovabili e distribuite sul territorio, non monopolizzabili, come invece il petrolio, il carbone, il metano e il nucleare;
Obbiettivi che avevano la necessità di essere praticati e che hanno inciso profondamente nel modo di pensare e affrontare le questioni energetiche.

Cosa è cambiato
Europa 20/20/20 (-20% co2, +20% rinnovabili, +20% efficienza), direttiva europea 2009 con la quale si sono ottenuti enormi risultati che stanno incidendo sulle scelte politiche mondiali.
Grazie alla direttiva europea e alla azione politica della sinistra in Italia negli ultimi 10 anni abbiamo raddoppiato la produzione di energia da fonti rinnovabili (+PV +eolico +biomasse) mettendo in crisi le centrali a metano e a carbone e dimostrando che esiste una alternativa praticabile all’uso dei combustibili fossili.
E’ possibile delineare un percorso che entro il 2050 potrebbe consentire a qualunque nazione industrializzata di affrancarsi dal petrolio, dal carbone e dal nucleare.
Auto, camion, navi e aeroplani ultraleggeri e, quando possibile, elettrici o ibridi; edifici super efficienti e progettati con modalità innovative; cogenerazione di calore ed elettricità , cicli chiusi e biomimesi; reti intelligenti, apporti massicci di energia da fonti rinnovabili…

Il clima, se fosse una banca l’avrebbero salvato” articolo di Mario Agostinelli
“Il negoziato che si svolge nell’ambito della Convenzione sui Cambiamenti Climatici è lungo e complesso, ma sembra arrivato a un punto cruciale nel percorso per l’approvazione di un nuovo strumento legale che favorisca la riduzione globale delle emissioni di gas serra. I leader internazionali sono convocati nel mese di dicembre in Perù per preparare un accordo globale sul clima nel 2015 a Parigi.
Dalla mobilitazione di tante persone, organizzazioni e popoli diversi, agli annunci dei banchieri Rockefeller (ieri padroni di Exxor e oggi di Standard Oil) di non voler più investire nei combustibili fossili; dai piani ambiziosi di alcuni Paesi alle coalizioni di grandi aziende: tutto si è riversato all’interno del Palazzo di Vetro, lasciando interdetti i grandi e i piccoli della Terra”.

Riflettere sull’analisi dell’economista Fitoussi: la crescita economica dei paesi in via di sviluppo solo se sostenuta da energia da fonti rinnovabili potrà creare più occupazione e ridurre la domanda di fossili creando un circolo economico virtuoso per uscire dalla crisi.

Quale energia: Bene comune solo se rinnovabile
Il footprint sta peggiorando ad un ritmo insostenibile: da un consumo di 3/4 delle risorse generate dal pianeta negli anni ’60 ad oggi che già dal mese di settembre siamo in deficit.
Il nodo è politico non più tecnico o scientifico: movimento mondiale sempre più ampio e capace di incidere.
Agire per creare economia dal basso democratica, capace di valorizzare risorse locali.

Proposte operative
– Promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili con progetti di cooperazione e di sostegno allo sviluppo nei paesi che si affacciano sul mediterraneo
“In the Mediterranean region, the level of urbanisation reached 60% in 2010. The annual urbanisation rate has been around 2% during the last decade. In absolute figures, population in urban areas in the MENA region has already reached 165 million. This is expected to increase by another 80 million by 2025, which will make the region one of the most urbanised in the world, with around 80% of the total population living in urbanised areas. Presently, Mediterranean cities face a range of challenges relating to sustainable development and climate change. Consequently, the need for investments in many areas, including transport systems, water and waste management infrastructure and energy saving activities, is already significant and is expected to increase sharply over the ensuing years.”
– A Vienna (8-9 dicembre 2014) cominciamo a liberare il Pianeta da tutte le armi nucleari
La “ribellione” degli Stati non nucleari (contiamo ben 125 dichiarazioni ufficiali!), supportata dai movimenti della società civile, come l’ICAN e i Mayors for Peace, a livello internazionale, ed ESIGIAMO! in Italia, rende finalmente possibile un negoziato internazionale che porti ad un Trattato per la messa al bando e l’eliminazione di tutte le armi nucleari. Un negoziato che può partire dalla Conferenza internazionale che si terrà a Vienna l’8 e 9 dicembre 2014.

Giuseppe Farinella

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La Francia blocca le scorie nucleari italiane

di Alfonso Navarra – Network antinucleare europeo – vicepresidente dell’Associazione Energia Felice
La Francia, riferisce la Stampa di oggi, 9 settembre, ha deciso di bloccare il trasferimento del combustibile nucleare da riprocessare. I trasporti nucleari da Saluggia via Val Susa a Les Hague vengono, al momento, interrotti.

Sappiamo, in particolare noi valsusini, ed habituée delle lotte NO-TAV, che da Saluggia (sede di depositi temporanei di rifiuti radioattivi) e Trino (ex centrale nucleare) le scorie nucleari vengono inviate via treno a Les Hague per un riprocessamento che, in teoria, dovrebbe mettere in sicurezza i rifiuti atomici, ma che, in pratica, combinano poco o nulla in questo senso.

Lo sappiamo perché il movimento NO-TAV ha organizzato, in particolare a Villar Focchiardo, Comune che a suo tempo ha predisposto un ricorso al TAR, convegni sull’argomento ed ha attivato, in collaborazione con i francesi di Sortir du Nucléaire, una Rete di attivisti che protestano per ostacolare con blocchi nonviolenti il percorso dei treni radioattivi.

Dopo, le stesse scorie trattate nell’impianto francese dovrebbero compiere il cammino a ritroso per l’immagazzinamento in Italia nel deposito unico di stoccaggio che dovrebbe essere pronto entro il 2025.

Ma a Parigi, in soldoni, non si fidano che potremmo, noi “italiani”, riprendere le scorie indietro, costruendo il deposito entro questa scadenza del 2025. Ed ecco la decisione di sospendere i viaggi.

Dopo i cinque viaggi già effettuati, informa la Stampa che “a Trino restano ancora 47 barre di combustibile nucleare esaurito e a Saluggia 13,2 tonnellate di combustibile irraggiato che aspettano di varcare le Alpi per essere riprocessate“. Sarebbero necessari ancora tre viaggi per riprocessare questo materiale residuo.

Per la sede del deposito italiano, che sarà di superficie (e dunque non sotterraneo come quello a suo tempo ipotizzato a Scanzano Jonico), Giampiero Godio, di Legambiente Piemonte, è portato a puntare su

Saluggia, in provincia di Vercelli.

Sostiene Giampiero, che è stato ricercatore ENEA all’Eurex di Saluggia, che “l’Italia è quel Paese noto per far diventare definitivo il temporaneo. A Saluggia c’è già depositata la maggioranza delle scorie radioattive italiane nei centri D2 e D3, tra l’altro in una collocazione “infame”, a ridosso della Dora Baltea (io parlerei di catastrofe annunciata, le esondazioni del fiume sono frequenti!); ed è quindi concretissimo il rischio che si decida per mantenerle laddove la gente si è abituata a sopportarle“.

Altre voci, riportate dal quotidiano torinese, ipotizzano che il deposito sarà localizzato in una di queste quattro Regioni:

Puglia, Lazio,Toscana, Basilicata.

La struttura, riferisce il giornale, “dovrebbe accogliere fino a 90mila metri cubi di materiale radioattivo, e sarà grande come un campo da calcio, nonchè alto quanto un palazzo di cinque piani. Lo scorso 4 giugno l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha ufficializzato i criteri per la localizzazione dell’impianto, che successivamente sarà realizzato dalla società pubblica Sogin, azienda che gestisce lo smantellamento delle vecchie centrali, appena uscita da periodo di sprechi, scandali e indagini. Entro il gennaio del 2015 bisognerà così definire una mappa delle aree “potenzialmente idonee” per il deposito“.

I tempi: secondo le previsioni, il sito si sceglierà entro la primavera del 2016; la costruzione si farà entro il 2022, e prevederà anche la creazione nell’area del Deposito di un “Parco Tecnologico”, dedicato alla ricerca e alla formazione su decommissioning, gestione dei rifiuti e radioprotezione.
Il costo complessivo, dicono alla Sogin, sempre secondo la Stampa, “sarà di 1,5 miliardi di euro, che saremo noi italiani a pagare attraverso un (ennesimo) contributo sulla bolletta dell’elettricità. Altri osservatori però stimano la spesa finale in una somma più vicina ai 2,5 miliardi“.

Per aggiungere qualche nota personale, direi che i francesi hanno motivi seri per dubitare in quanto va ricordato, ad esempio, che secondo legge 368 del 2003, di recepimento di direttive UE a loro volta derivate da direttive Euratom, il deposito nazionale avrebbe dovuto essere operativo entro la fine del 2008. Ma siamo al punto in cui siamo, cioè di fatto si sta partendo, a chiacchiere, solo ora.

I consiglieri regionali del Piemonte si fidano quanto i francesi del governo italiano. Ecco perché, con una mozione, fanno pressing su Chiamparino affinché, a sua volta, il governatore piemontese costringa Renzi a darsi una mossa: “altrimenti si corre il rischio che il Piemonte dove è stoccato il 96% dei rifiuti radioattivi presenti a livello nazionale diventi la pattumiera nucleare italiana” (dichiarazione di Marco Grimaldi, capogruppo di SEL).

Ulteriore punto da sottolineare, non riferito dai media mainstream: il riprocessamento effettuato a Les Hague con la tecnologia PUREX serve alla Francia anche per estrarre dalle scorie radioattive il plutonio necessario alla costruzione delle sue bombe atomiche.

Per concludere direi che l’intera vicenda possiamo inserirla nella categoria: “referendum del 2011 da attuare”. Gli italiani in 27 milioni si sono pronunciati contro il rischio nucleare quindi dobbiamo esigere dai decisori politici che la questione dei rifiuti radioattivi, nel rispetto della volontà popolare, sia gestita nel modo più razionale e sicuro possibile.

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Earth Overshoot Day

Il 19 Agosto é l’ Earth Overshoot Day (il giorno del superamento):

Il giorno in cui la nostra Impronta Ecologica supera il budget annuale del nostro pianeta

 

(OAKLAND, CALIFORNIA, USA) — AUGUST 19, 2014 — Ci sono voluti meno di otto mesi per far sì che l’umanità abbia esaurito l’intero budget di tutto l’anno e sia andata in una situazione di deficit ecologico. Tutto questo secondo I calcoli del Global Footprint Network, un centro di ricerca internazionale sulla sostenibilità con uffici in Nord America, Europa e Asia.

 

Il Global Footprint Network studia l’andamento dell’imponta ecologica dell’umanità rispetto alla biocapacità naturale, cioé la capacità del pianeta di ricostituire le risorse e di assorbire i rifiuti, compresa la CO2.. L’Earth Overshoot Day pubblicizza la data in cui l’impronta dell’umanità  in un certo anno supera la capacità rigenerativa della Terra di quell’anno. Dal 2000, secondo I calcoli del  Global Footprint Network, l’entità del superamento é cresciuta e di conseguenza, l’Earth Overshoot Day si é spostato da inizio ottobre 2000 al 19 agosto di quest’anno.

 

“Il problema del superamento della capacità rigenerativa sta diventando una sfida caratteristica del 21° secolo. E’ sia un problema ecologico che economico” ha detto Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network and co-creatore dell’Impronta  Ecologica, un sistema scientifico di contabilità delle risorse. “Le nazioni con deficit di risorse e basso reddito sono particolarmente vulnerabili. Anche i paesi ad alto reddito che hanno avuto la possibilità economica di proteggersi dagli effetti più diretti generati dalla loro dipendenza dalle risorse devono rendersi conto che devono trovare una soluzione a lungo termine per superare tale dipendenza prima che diventino problemi troppo grandi rispetto alle loro capacità economiche”.

 

Nel 1961, l’umanità usava solo tre quarti della capacità della Terra di generare cibo, fibre, legname, risorse ittiche e di assorbire i gas che generano effetto serra.La maggior parte delle nazioni aveva una biocapacità più grande della loro rispettiva Impronta. Verso l’inizio degli anni settanta, la crescita economica e demografica hanno aumentato l’Impronta Ecologica dell’umanità portandola ad un livello più grande della capacità di produzione rinnovabile del pianeta : siamo quindi andati in una situazione di superamento ecologico.

 

Oggi, l’86% della popolazione mondiale vive in nazioni che richiedono alla natura più di quanto i loro ecosistemi nazionali riescano a produrre. Secondo i calcoli del Global Footprint Network, oggi ci sarebbe bisogno di 1.5 Terre per produrre le risorse ecologiche rinnovabili necessarie per sostenere l’Impronta attuale dell’umanità. Proiezioni moderate riguardanti la popolazione, l’energia e il cibo indicano che l’umanità potrebbe richiedere la biocapacità di tre pianeti ben prima della metà di questo secolo. Questo potrebbe essere fisicamente irrealizzabile.

 

I costi della nostra spesa ecologica eccessiva stanno diventando sempre più evidenti. L’interesse che stiamo pagando sul crescente debito ecologico che si concretizza in deforestazione, scarsità di acqua dolce, erosione del suolo, perdita di biodiversità e accumulo di CO2 nella nostra atmosfera va di pari passo con i crescenti costi umani ed economici.

 

I governi che ignorano i limiti delle risorse nel loro processo decisionale potrebbero mettere a rischio  la loro performance economica a lungo termine. In tempi di persistente “overshoot”, quei paesi che si trovano in situazione di deficit di biocapacità si renderanno conto che la riduzione della loro dipendenza dalle risorse coincide con i loro interessi. Al contrario, i paesi che sono dotati di riserve di biocapacità hanno un forte incentivo a preservare questi beni ecologici che costituiscono una crescente vantaggio competitivo in un mondo caratterizzato da vincoli ecologici sempre più stringenti.

 

A fronte di tutto ciò un crescente numero di nazioni si sta attivando in vari modi.

 

Le Filippine stanno per adottare l’Impronta Ecologica come indicatore per le loro politiche nazionali – il primo paese nel sud-est asiatico a farlo – attraverso il loro Land Use Act Nazionale. Questa legge, la prima del suo genere nelle Filippine, è stata pensata per proteggere i territori dallo sviluppo caotico e per pianificare l’utilizzo e la gestione delle proprie risorse fisiche. I legislatori stanno quindi cercando di integrare l’Impronta Ecologica nella politica nazionale, ponendo il tema dei limiti delle risorse al centro del processo decisionale.

 

Gli Emirati Arabi Uniti, un paese ad alto reddito, intendono ridurre in modo significativo la loro  Impronta Ecologica pro capite – uno delle più alte al mondo – a partire dalle emissioni di carbonio.

Il loro Standard per l’efficienza energetica nell’illuminazione comporterà solo prodotti ad alta efficienza per l’illuminazione interna che saranno disponibili su tutto il territorio entro la fine di quest’anno.

 

Il Marocco é interessato a collaborare con il Global Footprint Network per il riesame – basato sull’Impronta Ecologica – del “Plan Maroc Vert”, una strategia nazionale di 15 anni per lo sviluppo sostenibile in agricoltura. Il Marocco è anche interessato a collaborare con il Global Footprint Network per valutare complessivamente in che misura il piano contribuisce alla sostenibilità del settore agricolo, nonché alla transizione verso la sostenibilità dell’intera società.

 

Indipendentemente dalle specificità di un paese, incorporare il rischio ecologico nella pianificazione economica e nella strategia di sviluppo non è solo un atto di lungimiranza – è un atto necessario ed urgente.

 

 

Per calcolare la propria Impronta ecologica e sapere cosa si può fare per ridurla, andare su:

http://www.footprintnetwork.org/calculator  dove si trova anche una versione adattata alla realtà italiana

 

Seguire i dibattiti sui social media: #oshoot

 

Siti addizionali:

 

Medio Oriente: Arab Forum for Environment and Development Report: “Survival Options: Ecological Footprint of Arab Countries” http://www.footprintnetwork.org/images/article_uploads/Survival_Options_Eng.pdf

 

Asia: Philippines 2013 Ecological Footprint Report: Restoring Balance in Laguna Lake Region

http://www.footprintnetwork.org/images/article_uploads/Philippines_2013_Ecological_Footprint.pdf

 

Sud America: Ecuador Reporte de la Huella Ecológica http://www.footprintnetwork.org/images/article_uploads/2008_and_2009_NFA_Ecuador_Report.pdf

 

Mediterraneo: Global Footprint Network Mediterranean Ecological Footprint Initiative
http://www.footprintnetwork.org/images/article_uploads/Med_Policy_Brief_English_RF.pdf

Governi nel mondo: National Reviews, http:/www.footprintnetwork.org/reviews
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Cos’é il Global Footprint Network:

Il Global Footprint Network é un centro di ricerca internazionale sulla sostenibilità che ha lo scopo di portare I limiti ecologici al centro dei processi decisionali grazie al progressivo miglioramento dell’indicatore “Impronta Ecologica”, uno strumento per la gestione delle risorse che misura quanta natura abbiamo, quante ne usiamo e chi usa cosa.

 

 

 

 

Contacts:

 

Ronna Kelly (English) – United States

Communications Director

Global Footprint Network

+1 (510) 839-8879 x 302 (PDT = GMT-7h)

ronna.kelly@footprintnetwork.org

 

Ingrid Heinrich (German, English, French) – Europe

Outreach & Programmes Associate

Global Footprint Network

+41 (22) 797 41 08 (CEST = GMT+2h)

ingrid.heinrich@footprintnetwork.org

 

Laetitia Mailhes (English and French) – United States

Media & Outreach Associate

Global Footprint Network

+1 (415) 794-288 (PDT = GMT-7h)

laetitia.mailhes@footprintnetwork.org

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Il Governo Renzi finanzia il carbone nel Sulcis

Ecco che cosa c’è nei Contratti di Sviluppo licenziati il 22 luglio 2014 dal Governo Renzi.

Si legge a pagina 28 del documento scaricabile a questo link: http://download.repubblica.it/pdf/2014/economia/contratti-2.pdf

Oggetto
Il programma di investimenti prevede la costruzione ed esercizio di un impianto di cogenerazione di energia elettrica e vapore, attraverso l’utilizzo di carbone d’importazione, da cedere prevalentemente ad Eurallumina. Obiettivo principale dell’intervento è l’abbattimento complessivo dei costi di esercizio dell’impianto per la produzione di allumina, attualmente chiuso, onde consentirne la riapertura.

Localizzazione Portoscuso (CI) – Area Sulcis
Investimenti 100 milioni di euro circa
Agevolazioni
74 milioni di euro circa, di cui 7 milioni di euro circa a fondo perduto e 67 milioni di euro circa in finanziamento agevolato
Occupazione (salvaguardia + nuova occupazione)
357 addetti

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