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Vienna: interviene anche Papa Francesco

Quanto è urgente il bando delle armi nucleari? In che modo concretizzarlo in un trattato internazionale? Si trovera´ il coraggio di portarlo avanti anche senza l’iniziale coinvolgimento degli Stati nucleari? questi gli interrogativi al centro della terza  conferenza internazionale degli Stati sull’impatto umanitario delle armi nucleari, organizzata dal Ministero degli Esteri austriaco, dopo la prima di Oslo (marto 2013) e la seconda in Messico (febbraio 2014).

La conferenza è stata aperta stamattina, 8 dicembre, alle ore 10.00, nella storica cornice del castello di Hofburg, nel quartiere dei musei, dal ministro austriaco degli Affari Esteri, Sebastian Kurz.

Il ministro ha parlato di fronte a 3.000 partecipanti, provenienti dai cinque continenti: delegazioni ufficiali di oltre 150 Paesi ed anche numerosi rappresentanti della società civile, in particolare espressione di ICAN, la campagna internazionale per il disarmo che ha tenuto il suo incontro il 6 e il 7 dicembre, a ridosso della conferenza internazionale degli Stati. Ma erano presenti anche altre Reti internazionali disarmiste: WILPF, Abolition 2000, Majors for peace, Mondo senza guerre, IFOR…

 

Il ministro Kurz nel suo intervento ha ribadito l’impegno a proseguire il percorso umanitario verso il disarmo nucleare, ma non ha fissato scadenze precise per un primo atto giuridico vincolantre da parte degli Stati: si tratta di  concretizzare negoziati indipendenti  per arrivare ad un trattato che, proibendo le armi nucleari, porti rapidamente alla loro eliminazione.

Una novità è la partecipazione della delegazione USA (che ha trascinato la Gran Bretagna):  è da vedere e verificare con lo svolgimento dei lavori se questa adesione sarà un allargamento della coscienza dell´incompatibilità tra deterrenza nucleare e diritto umanitario espressa dal nuovo contesto disarmista degli Stati non nucleari autoconvocati oppure un modo sottile e furbo di depotenziare la carica innovativa e risolutiva dello stesso.

Si dice che gli USA abbiano insistito perchè non fossero costretti ad approvare dichiarazioni concedendo in cambio una sorta di riconoscimento del percorso umanitario quale complemento del percorso principale del Trattato di non proliferazione.

 

Circola molto, in verità, una sensazione di già visto e di già sentito nei lavori di questa Conferenza.

Le testimonianze delle vittime dei test nucleari (Setsuko Thulow di Hiroshima, Michelle Thomas dello Utah, Abacca Anjain-Maddison delle Isole Marshall) sono toccanti, ma nulla aggiungono a quanto già di drammatico e di orribile si sapeva in merito.

Solo la Thomas ha accennato ad una maggiore vulnerabilità, rispetto ai tumori scatenati su donne e bambini dall’inquinamento radiattivo, sulla quale pero`non esistono prove scientifche definitive.

 

Un intervento stimolante della mattina è stato quello di Silvano Maria Tomasi, Nunzio Apostolico della Santa Sede, che ha portato un messaggio di Papa Francesco: la Chiesa Cattolica non è contraria solo all’uso delle armi nucleari, ma anche alla loro stessa detenzione.

 

Mentre scriviamo, si attende l’intervento di Erich Sclosser, l’autore di Command e Control, un libro che dà un contributo decisivo all’urgenza disarmista:  alle considerazioni sull’impatto catastrofico delle armi nucleari per la distruzione di vite, l´ambiente, la salute, il clima, si aggiungono ora quelle, seriamente documentate dal giornalista americano, sulla alta probabilità che esplosioni e guerre nucleari possano scoppiare per caso o per errore.

 

Non c’è ovviamente traccia, nei lavori di questa conferenza, della nuova ipotesi strategica è stata considerata dalla delegazione italiana della società civile facente riferimento all´appello “ESIGETE! il disarmo nucleare totale” di Stephane Hessel e Albert Jacquard: quella di impostare la proibizione delle armi come attuazione del diritto alla sopravvivenza, che esige il dovere immediato ed inderogabile di rimuovere gli ordigni che la mettono a rischio.

La carta per un mondo libero dalle armi nucleari che si sta elaborando (e che si vuole fare discutere e approvare dalla Rete di scuole che simulano le Nazioni Unite) costituisce un modo per sperimentare un nuovo approccio culturale che forse potrebbe sbloccare le trappole che hanno finora impantanato e rallentato i negoziati sul disarmo.

Attualmente tutti i ragionamenti partono dalla necessità del disarmo nucleare (si veda il discorso di Obama a Praga nel 2009), non dalla sua obbligatorietà: si permette quindi, da parte della comunità internazionale, che alcuni soggetti vantino il diritto di minacciare l’uso delle armi nucleari al fine di evitarne l’uso.

Occorre invece escludere in radice ogni possibilità di giustificare la cosiddetta deterrenza: non si deve scherzare con il fuoco atomico, pensare di poter mettere tra parentesi il diritto di sopravvivere, ricorrere, ipocritamente, a mezzi illeciti per ottenere mezzi leciti…

Papa Francesco, attraverso il Nunzio Tomasi, ha lanciato il decollo di questo tipo di problematica.

 

Per i riassunti degli interventi e la biografia degli speaker:

 

http://www.bmeia.gv.at/fileadmin/user_upload/Zentrale/Aussenpolitik/Abruestung/HINW14_Abstracts_and_Speaker_Biographies.pdf

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A Vienna passi avanti verso il disarmo nucleare?

Vienna 6 e 7 dicembre 2014. Il bando delle armi nucleari e´ urgente e a portata di mano: questa la conclusione del Forum della societa´civile organizzato da ICAN, la campagna internazionale per il disarmo che ha tenuto il suo incontro (600 partecipanti dai cinque continenti) a ridosso della conferenza internazionale degli Stati.

Questi ultimi, che in circa 140, si riuniranno lunedi e martedi (8 e 9 dicembre), chiamati dal governo austriaco a proseguire il percorso umanitario verso il disarmo nucleare, troveranno il coraggio di avviare l´abolizione giuridica delle armi nucleari?

La novita´e´la partecipazione della delegazione USA (che ha trascinato la Gran Bretagna): sara´ un allargamento della coscienza dell´incompatibilita´tra deterrenza nucleare e diritto umanitario espressa dal nuovo contesto disarmista degli Stati non nucleari autoconvocati oppure un modo sottile e furbo di boicottare lo stesso?

ICAN comunque premera´perche´gli Stati consapevoli non aspettino piu´le potenze nucleari e comincino subito i negoziati per arrivare ad un trattato che, probendo le armi nucleari, porti rapidamente alla loro eliminazione.

L´urgenza e´ancor piu´sottolineata dalla coalizione disarmista perche´, alle considerazioni sullímpatto catastrofico delle armi nucleari per la distruzione di vite, l´ambiente, la salute, il clima, si aggiungono ora quelle, seriamente documentate da Erich Schlosser (il suo intervento e´stato centrale),  sulla alta probabilita´che esplosioni e guerre nucleari possano scoppiare per caso o per errore.

Una nuova ipotesi strategica e´stata avanzata dalla delegazione italiana facente riferimento all´appello “ESIGETE! il disarmo nucleare totale” di Stephane Hessel e Albert Jacquard: quella di impostare la proibizione delle armi come attuazione del diritto alla sopravvivenza, che esige il dovere di rimuovere gli ordigni che la mettono a rischio.

La carta per un mondo libero dalle armi nucleari che si sta elaborando (e che si vuole fare discutere e approvare dalla Rete di scuole che simulano le Nazioni Unite) costituisce un modo per sperimentare un nuovo approccio culturale che forse sblocca le trappole che hanno finora impantanato e rallentato i negoziati sul disarmo.

 

Alfonso Navarra

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CIBO NON CIBO di Roberto Meregalli

Ciao a a tutte/i,

è uscito il mio ultimo libro, dedicato all’agricoltura e al cibo che ne traiamo.

Questo libro parla di agricoltura, l’attività che ha fatto smettere gli uomini di vagare come nomadi e li ha fatti accasare attorno ad un fazzoletto di terra. Oggi, nelle società occidentali, sono sempre meno coloro che coltivano, abbiamo cibo in abbondanza, anche se non sappiamo ancora distribuirlo fra tutti gli abitanti della terra, cosicché quasi uno su sette la sera va a dormire con la pancia inquieta.

Un numero doppio di persone invece dorme male per il motivo opposto, perché ha la pancia gonfia da star male, e una massa che ne limita addirittura i movimenti; perché l’industria del cibo mette sugli scaffali alimenti troppo ricchi di zucchero, sale e grassi che soddisfano altri nostri bisogni a danno della nostra salute.

Di questi due aspetti tratta il primo capitolo; il secondo disegna la grande industria dei campi in Italia, Europa e nel resto del mondo: parleremo di raccolti, di industrie di processo, di catene di supermercati, di commercio internazionale.

Nel terzo ci affacceremo sul lato oscuro dell’agricoltura mondiale, sul retrobottega, dove si ammassano i rifiuti, le cosiddette esternalità, tutto ciò che non si mostra mai al cliente per non rovinare il suo appetito. Quanto inquina l’agroalimentare? Quanto costa all’ambiente il consumo di carne? Quanti antibiotici entrano nella pancia degli animali allevati? Quanti fertilizzanti, quanti antiparassitari si spargono sui campi? Nel capitolo cercheremo di rispondere a tutte queste domande.

Sono tanti i dati riportati perché si è preferito evitare discorsi generici, ma molte sono anche le cose che non troverete e che avremmo voluto aggiungere ma che abbiamo omesso per rendere “digeribile” il testo. La ricchezza di dati genera il rischio di ammucchiare tante informazioni sui pericoli del mondo del cibo col risultato di farci sentire sempre meno capaci di affrontarli. Ma non è certo questo l’obiettivo e nella parte finale del libro andremo oltre con lo sguardo, per vedere nuove agricolture, già presenti ma non ancora pienamente sviluppate, che cercano di evitare i danni e perseguono un rapporto più rispettoso verso l’ecosistema. Parleremo quindi di agricoltura sociale, di agricoltura urbana, di agricolture non omologate all’unica vocazione dell’economia.

Concluderemo il viaggio con una riflessione su come il rispetto per le piante e gli animali – nostri compagni indispensabili di vita – implichi non solo l’esigenza di migliorare le tecniche agricole e le filiere alimentari, ma non possa avvenire senza un cambiamento di noi stessi. Senza la riscoperta delle nostre origini, dei legami con l’intero creato, della nostra capacità adattiva su un pianeta che cambia e, soprattutto della necessità esistenziale di superare il mito dell’individuo per abbracciare quello di comunità, non troveremo la sostenibilità, la giustizia e la felicità che cerchiamo.

Siamo entrati in un nuovo secolo, e le questioni che dobbiamo affrontare sono diverse da quelle di cinquant’anni fa. Un nuovo paradigma incentrato sul benessere, la resilienza e la sostenibilità deve sostituire quello produttivista del passato per dare piena realizzazione al diritto ad una alimentazione adeguata e per difendere le basi stesse dell’esistenza umana. L’equazione è complessa, ma può essere risolta e nel risolverla troveremo cibo soprattutto per la nostra anima.

La scheda del libro è disponibile qui >>>

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Il ‘miracolo’ della fusione, gli F35, il rischio nucleare

da Il Fatto Quotidiano – di Mario Agostinelli – 19 novembre 2014

Energia pulita, praticamente illimitata e a costo zero o quasi: il sogno della fusione nucleare promette tutto questo, e Lockheed Martin pensa di riuscire ad arrivarci in appena 10 anni. Questa la notizia rimbalzata in tutto il mondo per accreditare la ricerca su un reattore compatto di nuova concezione da parte della casa produttrice del discusso caccia  F35.

«Il nostro progetto di fusione compatta combina diversi sistemi alternativi di confinamento magnetico, prendendo il meglio da ciascuno, e offre una riduzione delle dimensioni pari al 90% rispetto ai progetti precedenti», ha spiegato Tom McGuire, capo del team che lavora su questa idea.

Perché questa notizia proprio ora, quando si gioca una partita che sembrava persa per il rilancio dei reattori a fissione di grande potenza e mentre si rincorrono le voci che vorrebbero il ricorso al nucleare tra le opzioni sostenute per contenere il cambio climatico, ma senza ridurre i consumi elettrici e mantenendo le colossali infrastrutture energetiche attuali? La geopolitica è tuttora fatta di petrolio, gas e nucleare e chi tra i padroni del pianeta se la sente di ascoltare le preoccupazioni popolari per la salute e le catastrofi all’orizzonte?

Tra l’altro, nessun dubbio che la Lockheed abbia bisogno di restaurare il proprio prestigio dopo gli insuccessi del suo F35, velivolo multipolare destinato a teleguidare (e non solo trasportare) gli ordigni nucleari della Nato. E nessun dubbio che la sinergia tra nucleare civile e militare voglia mantenere in campo e potenziare la filiera degli impianti che assicurano il plutonio per le testate atomiche.

Allora, cosa c’è di meglio che annunciare che tra due lustri ci sarà un nucleare “in scatola”, senza scorie, alimentato gratis e per tempo illimitato? Così fantastico da farci accettare, perché no, come sopportabile una transizione preparatoria al nuovo Eden, che installa e tiene in piedi impianti enormi con tremendi rischi, con scorie ineliminabili, costi spaventosi, incidenti non troppo frequenti ma di portata incommensurabile. Ricordate i reattori di IV generazione cui saremmo approdati il mese dopo dei referendum del 2011? Spariti.

In effetti, i problemi del nucleare permangono e non si superano con i miracoli, tantomeno a mezzo stampa. Il professor Ian Hutchinson, del MIT ha replicato: «Per quel che posso vedere, alla Lockheed non hanno fatto attenzione alla fisica di base della fusione nucleare», e il professor Harald Griesshammer della George Washington University spiega che le ridotte dimensioni lo convincono poco. Gli attuali reattori in cui si sperimenta la fusione sono delle dimensioni di alcuni campi di calcio – tribune comprese – sia per lo spazio occupato dai grandi magneti, che per la necessità di schermare completamente i neutroni prodotti dalla reazione, che sono in quantità tale da indebolire consistentemente le strutture di contenimento.

Oggi il cambiamento dei modelli delle precipitazioni e gli eventi meteorologici più estremi acuiranno i rischi di apparecchiature nucleari sul territorio: non solo terremoti e tsunami, ma inondazioni, smottamenti e siccità ridurranno la praticabilità e la sicurezza dei siti. Ci sarà ancora più resistenza alla localizzazione e ai trasporti di materiale radioattivo, come dimostra la mobilitazione piemontese attorno ai depositi di Saluggia, potenzialmente soggetti a inondazione, nonché la crescita di allarme per l’affidamento alla SOGIN, soggetto proprietario degli impianti, dello smantellamento degli stessi, dell’individuazione del sito nazionale unico, dell’interlocuzione con la popolazione e gli amministratori locali per la sua scelta e gestione sicura. Negli Usa Obama e Harry Reid, il senatore del Nevada e leader della maggioranza fino a gennaio, avevano bloccato i finanziamenti per il deposito di scorie nucleari proposto in Nevada a Yucca Mountain e sembra che si orientino per lo stoccaggio a tempo indeterminato dei rifiuti radioattivi in contenitori “sepolcri” a lato delle centrali e per la creazione di analoghi depositi regionali continuamente monitorati.

L’assurdità della tecnologia nucleare può solo essere esorcizzata con la promessa di una sua riconversione innocua e pulita: il miraggio Lockheed serve solo a giustificare sussidi e investimenti pubblici al nucleare che c’è! Dopo l’avanzata dei repubblicani alle elezioni della scorsa settimana, l’industria nucleare americana ha immediatamente sostenuto che i 10,6 miliardi di dollari di garanzia dei prestiti per i nuovi progetti nucleari messi a disposizione dal Dipartimento per l’Energia non bastano più. Ed ha subito ottenuto un aumento a 12,6 miliardi di finanziamento pubblico: 2 miliardi per i cosiddetti progetti nucleari front-end: come la conversione dell’uranio o l’arricchimento e produzione del combustibile nucleare e 10,6 miliardi di dollari per centrali nucleari. La sfida tra sole e atomo continua, ma non si vuole far svolgere certamente ad armi pari.

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Una nota sul mercato elettrico di Alberto Meregalli

E’ molto interessante il recente rapporto di Eurelectric (gli industriali dell’elettricità europea), sull’integrazione della corrente prodotta con le fonti rinnovabili (FER) nei mercati elettrici d’Europa. In sintesi le imprese dicono che visto che sempre maggiore è la quantità di elettricità da FER disponibile, è necessario che queste fonti si adattino al mercato, tradotto nei loro termini significa:“applicare alle FER gli stessi diritti e doveri delle altre fonti” e applicare “sistemi di sostegno che tendano a minimizzare le distorsioni al mercato”.

Ma è anche necessario che il mercato si adatti alle FER, come? Siccome queste richiedono centrali termoelettriche di back-up pronte ad entrare in servizio in caso di necessità, occorre sviluppare dei “mercati della capacità”, ossia sussidi che non remunerano elettricità prodotta ma la disponibilità delle centrali a gas ad entrare in produzione quando necessario.

Fa un po sorridere questa posizione, perché potremmo riassumerla così: le rinnovabili non vanno più incentivate e vanno trattate come le fonti fossili, queste ultime, siccome c’è meno spazio per loro, vanno incentivate per il solo fatto di esistere.

Il problema della variabilità delle rinnovabili

E’ corretto scrivere che l’aumento della produzione da FER crea qualche problema a chi lavora quotidianamente per gestire il sistema elettrico ed evitare che vada in black-out; è vero pure che alcune FER caratterizzate da variabilità richiedono capacità di back-up termoelettrica, ma il problema non è così rilevante come sostenuto. Forse solo l’eolico risulta difficile da prevedere, la generazione del solare grazie al miglioramento delle previsioni meteo (a un giorno), si può stimare con una buona approssimazione e la sua curva di produzione durante la giornata è ormai chiara, pertanto la imprevedibilità è meno reale di quanto spesso paventato.

Qualcuno di fronte ad una commissione parlamentare è stato ancor più esplicito: “il problema di non programmabilità della produzione da rinnovabili c’è sempre meno oggi grazie ai software e alle previsioni sempre più precise, per cui l’errore medio da un giorno all’altro è in linea con gli errori di previsione della domanda elettrica”, e questo qualcuno lavora come amministratore delegato nella maggior impresa elettrica italiana.

Stop ai sussidi

Eurelectric conclude la propria analisi scrivendo che occorre eliminare in tutta Europa i sussidi alle FER entro il 2020 in modo che da quella data sia il sistema di scambio di emissioni di CO2 predisposto dall’Unione Europea (ETS) a fare da “principale driver per gli investimenti nelle tecnologie mature a basse emissioni di anidride carbonica”.

Si tratta di una posizione che oltre ad essere “fossile” nel senso di propendere per queste fonti, si caratterizza come “vecchia”. L’Europa ha bisogno di una politica europea comune perché l’attuale spezzatino di norme e di infrastrutture genera sprechi. Ci sono paesi che hanno bisogno di centrali e paesi che di centrali ne hanno troppe, se esistessero linee di trasmissione si potrebbe evitare di chiuderne da una parte per costruirle da un’altra. Oppure si pensi al tema delle forniture di gas e al fatto che si insiste perché siano costruiti nuovi rigassificatori che ci renderebbero meno dipendenti dalla Russia: in Spagna ci sono ma sono utilizzati per un quarto della loro capacità, ci fosse qualche tubo inter-europeo in più si potrebbero utilizzare per far arrivare il gas in altri paesi europei evitando di costruirne altri altrove.

Troppe rinnovabili?

L’Italia è uno dei paesi più avanzati in Europa e nel mondo, quando si parla di sviluppo delle FER elettriche e questo spiega perché da tempo si discuta di mercato della capacità (anzi già è stato approvato) e di riforma del mercato, poiché risulta evidente il suo fallimento. Nei giorni scorsi, sulla testata di Confindustria “L’imprenditore” è comparso un articolo scritto dal prof. Massimo Beccarello, vicedirettore delle politiche industriali di Confindustria, intitolato “Per un nuovo mercato elettrico”, che lo conferma con parole più tecniche: “se valutiamo la relazione tra investimenti effettuati ed il fabbisogno di domanda, possiamo osservare una capacità installata netta che ha raggiunto oltre i 134 GW (1 GW equivale a mille MW e mille MW sono la taglia di una grossa centrale), a fronte di una domanda massima alla punta pari a poco oltre 54 GW, considerando inoltre che dal 2008 al 2013 il consumo di energia elettrica italiano è diminuito di circa l’8%. Da questi primi dati appare evidente che la regolamentazione del mercato ha prodotto delle inefficienze in quanto il mercato ha determinato una capacità di generazione eccessiva, ovvero un uso sub-ottimale del capitale investito nel settore”.

In realtà Assoelettrica (l’associazione delle imprese elettriche italiane), difende il proprio operato2, cioè quello di aver messo in piedi tra il 2002 ed il 2013 21,7 mila MW di nuovi impianti termoelettrici, principalmente impianti a gas a ciclo combinato che attualmente soffrono di sottoutilizzazione acuta, sostenendo che le stime di Terna ancora nel 2007 giustificavano tali investimenti. Quindi a sbagliare secondo loro è chi prevedeva la crescita infinita.

 

Continuate a leggere qui: Oltre lo Sblocca-Italia

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