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Gas e elettricità nel ddl Concorrenza: chi tutela i consumatori?

di Mario Agostinelli – dal blog de Il Fatto Quotidiano

Venerdì 20 febbraio il governo ha approvato al Capo IV del “Ddl concorrenza”, quello passato alla cronaca per la rivolta di taxisti, notai e farmacisti, un testo che conferma l’eliminazione della “maggior tutela” per gli utenti di gas e elettricità. Un provvedimento che interessa milioni di cittadini e che è passato, come solo questo governo riesce a fare, completamente sotto silenzio, stampa economica e tweet compresi. Per “maggior tutela” normalmente si intende il regime a cui hanno diritto i clienti domestici e le imprese sotto i 50 dipendenti che non vogliono passare al mercato libero.

La tutela esistente è costituita dalle condizioni economiche definite dall’Autorità (Aeegsi), che tutti i venditori hanno l’obbligo di offrire a coloro che non scelgono il mercato libero e, mantenendo i contratti in essere, hanno, tanto per portare un esempio, beneficiato della discesa dei prezzi del petrolio nel periodo aprile-dicembre 2013.

A partire dal 1 gennaio 2018 non ci saranno più i prezzi di riferimento per gas ed elettricità attualmente stabiliti. Per dare una dimensione del provvedimento adottato in quattro articoli piuttosto oscuri per i non addetti ai lavori, sono quasi 29 milioni i punti serviti dal mercato elettrico e solo il 25% di questi ha finora optato per il mercato libero (pari al 29% dell’elettricità totale). Per il gas, il numero di punti serviti dal mercato libero è solo il 22% (23% del gas totale).

La forzatura corrisponde all’ideologia vincente, che consegna al mercato la soluzione di problemi di enorme rilevanza per la società e che in questi stessi giorni sta portando colpi durissimi al patrimonio pubblico delle reti (non solo Tv e telefonia, che attualmente sollevano le maggiori preoccupazioni e proteste). L’Autorità ha appena dimostrato – con i dati che si riferiscono agli anni 2012/2013 – che nel settore elettrico passare dalla maggior tutela al mercato libero può arrivare a costare fino al 20% in più (per il gas fino al 10%). A milioni di cittadini converrebbe quindi restare sotto il mercato di “tutela”. E l’aveva detto chiaramente una persona sopra le parti come Bortoni, presidente dell’Aeegsi, chiedendo di “evitare che la transizione al mercato libero dei clienti di massa sia caratterizzata da massicci trasferimenti di ricchezza dai clienti finali ai venditori del mercato libero”.

Vale la pena allora chiedersi: quali benefici avranno gli utenti, dopo che si è dimostrato che la concorrenza sul mercato finisce nelle mani di cartelli che li penalizzano e dopo che si è attestato che la componente delle imposte e dei servizi di rete pesa sulla bolletta assai di più della parte riservata ai “servizi di vendita” (46%) cui sarebbe riservata la liberalizzazione? Non si tratta invece di un favore fatto a coloro che acquistano energia e la rivendono alle società di vendita (quelle che ci mandano le bollette a casa), monitorati dall’Autorità che oggi rende pubbliche le sue valutazioni e che domani non avrebbe più alcun titolo nel merito, perché l’andamento delle tariffe verrà totalmente consegnato ai meccanismi del mercato? Si capisce come mai l’Aiget (Associazione Italiana di Grossisti di Energia e Trader) abbia plaudito alla decisione governativa e abbia volutamente ignorato che gran parte dei contratti venduti sul mercato libero – magari a prezzo fisso per uno/due anni e poi lievitanti con clausole che i clienti neppure riescono a valutare per mancanza di informazioni – sono più onerosi per gli utenti malcapitati!

Se l’obiettivo fosse quello di abbassare i prezzi, si dovrebbe lavorare sul 54% del costo in bolletta che non è costo dell’energia, ma pane per la politica, nel senso che è costo di sistema, oneri e tasse, quindi materia normativa. E anche il contenimento della parte della bolletta (46%) che riflette i costi di generazione, non andrebbe lasciata al mercato – moderno moloch da venerare – ma dovrebbe essere il frutto di una politica energetica che abbassa i costi perché pone l’attenzione su come oggi si produce elettricità e da dove ci si rifornisce di gas.

I decreti legge non finiscono con un tweet: su questioni di questa portata vanno informate e coinvolte le associazioni dei consumatori, le organizzazioni sindacali, i movimenti che si espongono in difesa del clima e del lavoro, le istituzioni locali che si avvalgono delle municipalizzate per fornire servizi ai loro cittadini. Penso che solo attraverso una mobilitazione che ponga in risalto gli svantaggi di un trasferimento al mercato di un problema di rilevanza politica e sociale, il Parlamento, quando sarà chiamato a discutere della traduzione in legge di decreti ispirati da lobby o da una ideologia che demonizza il controllo sociale, potrà sentire su di sé la responsabilità della difesa concreta dei consumatori e dell’impegno per un sistema energetico il più efficiente e pulito possibile.

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Per il futuro: rinnovabili a buon mercato o petrolio drogato?

di Mario Agostinelli

Siamo costantemente messi di fronte all’esaurimento delle fonti fossili e al drammatico deterioramento del clima e dell’ambiente. Ma l’una e l’altro sono sovrastati da un chiassoso dibattito sul “benefico” crollo del prezzo del petrolio (ma i mercati scommettono che quel prezzo tornerà a 90 $ al barile entro un paio di anni…) e sull’acclamata opportunità di una estrazione di gas e olio con percorsi che si rivelano pazzeschi (permafrost, Artico, sabbie bituminose, fracking di scisti), sia dal lato del bilancio energetico sia da quello del danno ambientale. Una leadership mondiale che non sa come uscire dalla crisi da lei stessa prodotta e che fissa “road map” di rientro dal debito finanziario ad ogni incontro dei big (quanti sono e quanta CO2 per questi inutili e incessanti meeting?), mette in conto perfino la guerra perché non vuole uscire dal vincolo di un sistema energetico centralizzato e non si preoccupa del debito contratto verso la natura. Banalmente spera che tutto si appiani con uno sconto provvisorio sul barile.

La vita moderna si basa sull’uso onnipresente di combustibili fossili, tutti con rilevanti svantaggi non solo per gli effetti climatici. Il carbone, il più economico e più abbondante, è stata ed è la fonte più sporca, che contribuisce massicciamente all’inquinamento, non solo termico. Le forniture di petrolio sono vulnerabili agli shock geopolitici e a collusioni sui prezzi da parte dei produttori. Il gas naturale ha bisogno di lunghissime e vulnerabili pipeline, che limitano l’autonomia energetica e marcano le dipendenze da giacimenti fuori controllo, come nel caso dell’Europa dalla Russia. L’energia nucleare è afflitta da esposizioni finanziarie e da complicazioni politiche, intensificate dagli allarmi dell’opinione pubblica dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Al contrario, le fonti rinnovabili come l’eolico e il solare comportano un basso impatto, ma sono ostacolate e mantenute in un ruolo marginale, nonostante un consenso crescente e saldo nei loro confronti.

In questo scenario, l’impressione che l’enfatizzazione del calo temporaneo del prezzo del petrolio faccia parte della volontà di dilazionare i tempi del cambiamento, non è solo giustificata, ma va analizzata in tutte le sue implicazioni, in particolare per quanto riguarda il modello sociale e economico che si vorrebbe procrastinare. Non si deve sottovalutare quanto il rilancio oggi del petrolio, a pochi mesi da un decisivo vertice sul clima, sia un elemento diabolicamente razionale e sapientemente ricattatorio, che le corporation e i grandi produttori dell’energia hanno messo in campo in una crisi economica per cui il liberismo non ammette alternative.

Nel 2013 nel mondo ben 550 miliardi dollari sono stati spesi per sovvenzionare i combustibili fossili, favorendo le multinazionali, distorcendo le economie e aggravando l’inquinamento. Per le rinnovabili gli investimenti (non i sussidi!) hanno registrato una media di 260 miliardi di dollari all’anno nel corso degli ultimi cinque anni. La IEA, l’organizzazione intergovernativa per l’energia, certamente di ispirazioni conservatrici, dice che il mondo dovrà sborsare circa 23.000 miliardi dollari nei prossimi 20 anni per finanziare l’estrazione di gas, petrolio e carbone, sempre meno accessibili. E, inoltre, stima che gli investimenti necessari oggi per la “decarbonizzazione” della sola produzione di energia elettrica si aggirano sui 44.000 miliardi dollari.

Proviamo allora a chiederci non tanto quello che il calo dei prezzi del petrolio significhi per l’energia pulita, ma quello che significherà la prospettiva di energia pulita e di efficienza energetica per il prezzo del petrolio.

Proviamo allora ad allargare lo sguardo. E’ addirittura l’edizione online di metà Febbraio di Bloomberg Energy ad affermare che vale la pena di investire nelle rinnovabili, data la conferma di un andamento costantemente positivo del settore.  Cioè, uno dei guru più prestigiosi del sistema finanziario e bancario mondiale sostiene la possibilità di ricorrere ad energia pulita per sopravvivere oltre la temporanea caduta del prezzo del petrolio. Da metà ottobre, mentre il greggio è sceso di quasi 30 dollari al barile, non ci sono stati cambiamenti nelle quotazioni dell’energia da fonti naturali, come misurato dal NEX (New Energy Global Innovation Index). E questo perché godono ormai di fatto di un sostegno politico e sociale generale, anche se contrastato nei media e disdegnato da Governi alla giornata come il nostro.

Una presa d’atto, quella del mondo degli affari più avvertito, che prevede stabilità oltre la tempesta. In pratica, la valutazione dei rischi da parte delle agenzie di credito all’esportazione risulta più vantaggiosa per investimenti nelle rinnovabili che non per opere di estrazione e trasporto dei fossili. Di conseguenza, si sono aperti mercati all’estero per le imprese “green” tedesche, danesi, coreane e statunitensi, sostenute dalle azioni dei loro governi.

Di fatto, i costi nell’eolico offshore sono sempre più ridotti, dopo che è stata raggiunta competitività nei due settori principali (vento onshore e PV). E la parity grid è stata ormai raggiunta anche senza particolari incentivi. Secondo il National Renewable Energy Laboratory (NREL), il costo di pannelli solari su una tipica casa americana è sceso di circa il 70 per cento negli ultimi dieci anni e mezzo. In Europa la convenienza è ormai accertata e migliorerà con investimenti in reti intelligenti e accumuli appropriati. I dati di produzione, poi, sono illuminanti: nel 2014 l’energia “pulita” nel mondo è volata ancora in alto, superando le aspettative (v. Ansa del 9 Gen 2015), con una crescita del 16% – pari a 310 miliardi di $ in investimenti – con un balzo record in Cina (+32%) e con crescite assai maggiori rispetto ai settori tradizionali anche in USA (+8%), Giappone (+12%), Canada (+26%), India (+14%), mentre da noi gli investimenti sono calati del 60% rispetto al 2013.

Il mondo cambia più rapidamente di quanto gli esperti sappiano immaginare e non è sufficiente studiare il passato per prevedere il futuro. La fame di energia dell’Asia e del Sud del mondo non è infinita e il loro sviluppo non sarà la fotocopia del nostro, perché rinnovabili ed efficienza sono ad uno step evolutivo ben diverso rispetto a quelli dei tempi della nostra crescita.

Alla luce di un esame attento, petrolio e gas di scisto non hanno inaugurato una nuova stagione dell’abbondanza: hanno solo reso accessibili risorse già conosciute e recuperabili grazie al prezzo elevato tenuto dal greggio fino a qualche tempo fa e solo a tale prezzo avranno ancora chance. E qui aggiungo: se glielo permetteranno lo sviluppo prevedibile delle fonti naturali diffuse e il risparmio praticabile negli edifici. I prodotti “shale” sono oggetto di aumentate preoccupazioni e perdita di consenso, con probabili effetti sul loro prezzo in futuro, come è già avvenuto per il nucleare.

A riprova, le preoccupazioni in USA e Canada per i rischi per l’acqua e il suolo, dato che il boom di estrazione da scisto richiede cambiamenti dirompenti nella gestione delle falde e dei terreni, ha indotto le comunità locali a chiedere garanzie con investimenti onerosi nella depurazione e nelle compensazioni ambientali, nonché nella sicurezza dei sistemi di tubazione e in quelli ferroviari di trasporto. Per di più, le nuove riserve energetiche si trovano in aree che non sono ben collegate ai porti o alle raffinerie già sviluppate nel secolo precedente e le imprese del settore energetico sono impegnate a costruire infrastrutture per abbinare la mutata geografia alla nuova offerta.

Un esempio delle riserve nell’opinione pubblica sulla tecnologie di estrazione non convenzionali viene anche dalla Germania, che, ha in queste settimane presentato un progetto di legge che ha cambiato le carte in tavola, anticipando al 2019 il permesso per estrarre gas da scisto. Quando il Ministro dell’Ambiente Barbara Hendricks ha detto che saranno applicate “le regole più severe che siano mai esistite nel settore del fracking”, ha freudianamente aggiunto che le perforazioni “saranno consentite solo con il massimo rispetto per l’ambiente e l’acqua potabile”.

Con un sapore da umorismo noir, la ministra prevede che il fracking sia vietato in tutte le aree di approvvigionamento idrico pubblico e consentito solo con criteri chiari per la gestione dell’acqua del serbatoio in cui finiscono i fluidi dell’operazione, suscitando un po’ di sconsolata ilarità e l’allarme dell’Associazione di Municipal Utilities (VKU), che fornisce circa l’80% di acqua potabile ai tedeschi.  Vincoli e normative rigide e sempre da migliorare per le popolazioni: costi in ascesa, quindi, o non se ne fa niente.

Intanto la Cina, il maggior consumatore in prospettiva, prevede l’autosufficienza energetica e la riduzione radicale delle emissioni di carbonio. Il presidente Xi Jinping annuncia sul South China Morning Post del 7 Febbraio di puntare ad abbassare il picco delle emissioni di anidride carbonica prima del 2030, con un ricorso al nucleare, ma, soprattutto, con una crescita impressionante delle rinnovabili. E aggiunge, significativamente, che “il cambiamento in atto nel mix energetico del Paese si basa su una minore dipendenza da carbone, lignite e petrolio e sull’aumento del consumo di energia pulita, cui seguirà il riequilibrio economico della nazione con un marcato rallentamento della crescita delle industrie manifatturiere ad alta intensità energetica e una rapida espansione del benessere e delle attività dei servizi”.

Per raggiungere gli obiettivi programmati, il “continente” ha bisogno di creare ex novo entro il 2030 da 800 a 1.000 GW di capacità di produzione di energia elettrica con zero emissioni. Il dettaglio presentato mette all’ultimo posto il ricorso al nucleare: 275 GW di capacità eolica, 385 GW di capacità solare e 120 GW di capacità idroelettrica, contro 85 GW di capacità nucleare. Suscettibili oltretutto di contenimento, per le riserve che si manifestano dopo l’incidente di Fukushima. L’esplosione degli impianti rinnovabili sulla scala macro del territorio cinese comporterà una drastica caduta del prezzo del kwh prodotto da pale, pannelli, digestori etc., con tecnologie di facile esportazione e adattamento anche nei paesi poveri.

Si ridurrà di conseguenza l’offerta eccedente di petrolio e gas da cui dipende in parte l’attuale caduta dei prezzi, pronti a risalire per l’impiego nei settori della mobilità, dei derivati post cracking e in quelli che richiedono la più alta densità energetica.

Se queste sono le condizioni nel medio periodo, meglio non adagiarsi sul prezzo attuale del greggio, ma prendere il tempo per le corna e accelerare il cambio di paradigma energetico che le energie naturali e rinnovabili – incardinate in stili di vita sostenibili – possono già innescare. Deve farsi strada la consapevolezza, fra chi governa e i cittadini, che essere sullo stesso pianeta e alimentarsi delle stesse risorse impone una politica globale di collaborazione, quando si ha come obiettivo la sicurezza, la guerra alla povertà, la difesa del clima e una vita e un lavoro decente per tutti. E questa è, forse, la chance vincente per decidere di superare rapidamente il sistema fossile e nucleare.

Di tutto questo non si è accorta l’organizzazione di EXPO 2015, che ha ridotto l’occasione di un appuntamento mondiale nel nostro Paese al solo capitolo alimentazione, privilegiando implicazioni prevalentemente commerciali rispetto alla sfida che quel binomio “energia-vita” –  originalmente presente all’avvio, ma praticamente cancellato dalla manifestazione che si aprirà – avrebbe comportato per un ripensamento  della sostenibilità a partire dalla Lombardia e dalla città di Milano.

 

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L’idolo del mercato

di Roberto Meregalli – BCP/Energia felice

Da tempo fra gli addetti ai lavori si parla dell’eliminazione della “maggior tutela”, ossia del regime accessibile ai clienti domestici (e non solo) che non vogliono passare al mercato libero. Nei giorni scorsi la norma era apparsa nelle bozze del DDL concorrenza scatenando diversi commenti, soprattutto perché indicava una data molto vicina per la fine della maggior tutela: il giugno del 2016. Venerdì 20 febbraio il governo ha approvato un testo che conferma la proposta di eliminare la maggio tutela ma con tempi dilatati.

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Pagine da Tutela
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Cambia la Grecia Cambia l’Europa. Manifestazione nazionale sabato 14 febbraio a Roma

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Noi crediamo che sia giunto il momento di non adeguarsi ai ricatti della Bce e dei tedeschi che stanno schiacciando non solo i cittadini greci ma l’Europa delle persone, dei lavoratori, degli onesti contribuenti.

Noi crediamo che sia giunto il momento di rendere prioritaria una soluzione all’emergenza umanitaria attuale.

Perché nessuno debba patire la fame o rimanere senza una casa e un lavoro.

Non è possibile permettere sprechi, evasione fiscale, svendita dei beni pubblici ed esigere contemporaneamente un rientro dal debito a tassi usurai.

Oramai la democrazia è solo una formalità.

Il Governo Tsipras sta cercando di riportare la Grecia fuori dall’emergenza con l’obiettivo di uscire dall’indebitamento e con un progetto di rinascita che può essere un esempio anche per chi ancora crede nell’Europa.

La nostra associazione si unisce alla FIOM, all’Arci, e a tutti i democratici che hanno promosso la manifestazione del 14 febbraio a Roma.

Associazione Energia Felice

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Scorie nucleari, deposito cercasi

Con una nota del 2 Gennaio 2015 (http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2015/01/02/scorie-nucleari-pronta-mappa-delle-aree-idonee-per-ospitare-depositi_m6St3sGkL5dCQjugIfDdLN.html)

veniamo informati che la SOGIN ha presentato ad ISPRA la mappa dei siti adatti a ospitare i depositi per le scorie nucleari. Si tratta, in particolare, delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi) ad ospitare il Deposito Nazionale e il Parco Tecnologico per il trattamento e la messa in sicurezza. Entro Aprile il Governo dovrebbe dare il nulla osta affinché Sogin pubblichi la Cnapi. Si dovrebbe poi aprire una fase di consultazione pubblica, che dovrebbe culminare in un Seminario Nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati.

Il Deposito Nazionale è un’infrastruttura di superficie dove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi, consentendo il decommissioning completo degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Il Deposito Nazionale sarebbe accompagnato da un Parco Tecnologico legato alla ricerca e alla gestione del materiale radioattivo.

Esattamente un mese dopo, il 2 febbraio, la  Sogin ha lanciato sul web (www.futurosicuro.info) la campagna informativa “Scriviamo insieme un futuro più sicuro”, coinvolgendo – come da comunicato – “oltre 10 mila siti, nell’intento di approdare ad una scelta condivisa, finalizzata alla messa in totale sicurezza di tutti i rifiuti radioattivi e, con essa, anche alla chiusura del ciclo del nucleare in Italia”. Sono in ballo circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività.Ma il processo di individuazione delle aree potenzialmente idonee per la realizzazione del deposito nazionale e del parco tecnologico sono disciplinate dal D.lgs. 31/10, un provvedimento che, seppur modificato, venne partorito nel pieno convincimento del Governo filonucleare di allora di riprendere la produzione di energia nucleare in Italia, che verrà fermata dall’esito referendum.

Sollevo da subito alcuni punti a cui rivolgere l’attenzione, onde evitare che all’esito positivo del referendum antinucleare succeda lo stesso indecente trattamento che il Governo ha riservato al referendum per l’acqua. Infatti da una attenta lettura delle procedure preliminari indicate per la realizzazione del deposito nazionale sono già riscontrabili alcune criticità.

Mentre nella letteratura internazionale è consuetudine tenere separati i percorsi per la realizzazione di depositi per bassa e media attività da quelli di alta attività, qui

si parla solo di rifiuti a bassa e media attività. Forse per attutire l’impatto nel  coinvolgimento della popolazione, che quindi parte già carico di ambiguità.

Tra i criteri di esclusione per la definizione del sito, si cita quello di “aree contrassegnate da sismicità elevate”. Si introduce quindi una certa opinabilità in un territorio come quello italiano, a sperimentata prevalenza sismica.

Questi margini di aleatorietà, inquineranno il processo partecipativo assicurato sulla carta (si pensi solo alla vicenda dell’adozione della Strategia Energetica Nazionale  – la fantomatica SEN – un profluvio di slides in assenza di una vera discussione pubblica!). Anche perché, in ogni caso, in assenza di manifestazioni di interesse o del raggiungimento di un’intesa per l’individuazione delle aree, il Governo deciderà unilateralmente e autoritativamente in quale sito dovrà essere realizzato il DNPT.  Tale aspetto è estremamente rilevante, in quanto supera e rimuove qualsiasi ostacolo che potrebbe essere sollevato nel merito della valutazione promossa dalla partecipazione e dal coinvolgimento diretto dei territori.

Inoltre la Sogin, già oggetto di scarsa fiducia e affidabilità da parte della popolazione, diventerebbe, oltre che il soggetto responsabile degli impianti a fine vita e del mantenimento in sicurezza degli stessi, anche la responsabile della realizzazione e dell’esercizio del Deposito nazionale e del Parco Tecnologico. Una responsabilità esercitata in assenza di una struttura di controllo indipendente della gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.

 

Come la mettiamo con la consultazione reale, oltre che con quella virtuale senza verifica alcuna? In ogni caso, nell’attesa di pervenire a decisioni davvero condivise in una democrazia sempre più mutilata, si sospenda da subito la realizzazione di nuovi depositi nucleari temporanei nei vari siti attuali (Trino e Saluggia in particolare), che sono totalmente inidonei ad ospitarli.

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