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Trivelle, nucleare e shale gas: che brutta Europa

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Niente election day per il referendum No Triv: il Consiglio dei ministri ha infatti fissato al 17 aprile la data della consultazione e  risolutamente e da par suo – Mattarella ha confermato. Sfuma dunque l’ipotesi di accorpare referendum e primo turno delle elezioni amministrative e di garantire così una conoscenza adeguata ai cittadini, facilitando la partecipazione democratica senza moltiplicare inutilmente gli appuntamenti degli italiani alle urne. Cerchiamo di capire come e chi vuole rendere ininfluente un referendum che, come nel caso del nucleare, imporrebbe questa volta una svolta nel ricorso alla combustione delle fonti fossili.

A dicembre si è conclusa a Parigi la Cop 21, con il riconoscimento unanime, almeno sulla carta, della necessità di decarbonizzare in tempi stretti l’economia mondiale. Al pari delle gride manzoniane l’appello, ancorché sottoscritto dai personaggi più illustri, ha lasciato via libera allo scorrazzare dei bravi.

Di lì ad un mese si è riunito il Davos Club. In esso trovano adeguata rappresentanza le 62 persone (nel 2010 erano 388, nel 2014 si erano già ridotte a 80, con un trend di concentrazione impressionante) che possiedono più della ricchezza di 3,6 miliardi di cittadini del mondo (la metà degli abitanti del pianeta) e che, scambiandosi i loro biglietti da visita assistiti da apparati statali, economici e mediatici del massimo livello, puntano a tenere le redini della civiltà della globalizzazione. Da lì è ripartito il suggerimento di applicare le tecnologie più avanzate per procrastinare l’impiego di petrolio, carbone e gas e di mascherarne gli effetti, al fine di sostenere la cosiddetta “rivoluzione industriale 4.0”, in cui robot, intelligenza artificiale e energia a basso prezzo – anche se sporca – dovrebbero risparmiare manodopera e rinnovare la crescita economica. Quindi, investimenti in nuovi gasdotti, trivelle in mari cristallini, pozzi di perforazione per gas di scisto in terreni ormai traforati come un gruviera.

Renzi, incantato dai tweet, dai CEO, come da tutte le rivoluzioni a 2.0, 3.0, 4.0 e così via, ha pensato che qualche concessione di licenza per trivellare i nostri mari valesse bene i 300 milioni di euro che usciranno di tasca non accorpando le scadenze elettorali. Purtroppo, si dimentica che è stato il settore bancario, accanto all’energia, alle materie prime e alle industrie di base afflitte da un eccesso di capacità, a guidare la caduta delle Borse e che la politica economica ha, quella sì, bisogno di innovazione.

Che l’andamento per le fonti fossili non sia entusiasmante, lo si può vedere anche dal trend di declino di carbone, nucleare e gas in Europa, se si guarda alle centrali andate in pensione: nel 2015 si sono fermati o dismessi impianti a carbone per oltre 8 GW, a gas per 4,2 GW, a olio combustibile per 3,3 GW e da fonte nucleare per 1,8 GW. Il nostro Governo, che fa di prammatica la voce grossa a Bruxelles, sulle questioni energetiche va invece completamente a ruota delle lobby continentali che premono su una Commissione ormai smarrita, anche sulla questione climatica. Tutto sembra nascere e decidersi in luoghi ristretti di cui le popolazioni non sono informate.

La Commissione europea ha varato un piano di importazione di gas naturale liquefatto (GNL) e tutti hanno pensato alla imprevista disponibilità di creare infrastrutture per importare gas da fracking USA, al fine di ridurre la dipendenza dalla Russia. Anche se l’accordo di Parigi era stato salutato come un chiaro segnale al mercato che l’era dei combustibili fossili inquinanti era finita, è la politica che si è messa a rilanciare! Eppure il gas naturale – da fracking in particolare – è anche in gran parte composto di metano, un gas serra che ha 86 volte il potenziale di riscaldamento globale del biossido di carbonio. La produzione di energia elettrica a gas è solo un bene per il clima rispetto alla produzione da carbone se eventuali perdite di metano nella produzione, raffinazione e trasmissione, è inferiore al 3,2%. Ma i rilevamenti dei tassi di emissione via satellite hanno recentemente dimostrato che le concentrazioni di metano sono aumentate drasticamente in molte delle principali regioni produttrici di shale gas negli Stati Uniti. Tenuto poi conto che il trasporto avverrebbe via nave, il bilancio delle emissioni diventa insostenibile secondo l’accordo di Parigi.

Infine, va ricordato come un rilancio o un ricondizionamento delle centrali nucleari in Europa sia reso improbabile dai costi e dai rischi. Un documento della Commissione ancora non pubblicato, ma reso noto da Reuters, rivela che l’Europa è in deficit di 118 miliardi di euro per lo smantellamento delle sue centrali nucleari e la gestione dello stoccaggio delle scorie. Infatti, la stima prevista per l’intera operazione è di 268,3 miliardi di € a fronte di riserve nei Paesi per 150,1 miliardi di €. Solo la Germania ha accantonamenti sufficienti, mentre la Francia ha un deficit di 51 miliardi.

La sospensione del programma nucleare in Italia a seguito del referendum risulta oggi una autentica benedizione per una economia in crisi come la nostra. Ragione in più perché i cittadini non stiano a guardare ma, di fronte a governanti così imprevidenti e senza bussola, vadano davvero tutti a votare il 17 Aprile, a dispetto degli inciampi e della disinformazione che vorrebbero frapporre tra casa nostra e le urne.

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Aggiornamento Energia: preconsuntivi 2015

di Roberto Meregalli

I dati definitivi del bilancio energetico italiano, preparato dal Ministero per lo sviluppo economico Mise, mostrano che anche nel 2014 si è verificata una diminuzione della domanda di energia, pari al 4%; un dato che si inserisce nel percorso che dal 1995 ha fatto costantemente calare i consumi di energia primaria. Il contributo delle fonti rinnovabili è salito al 21%.

2015: inversione di tendenza

Nel 2015 è però avvenuta una inversione di tendenza, secondo le prime stime dell’Unione Petrolifera risulta una crescita dei consumi di energia del 3%. Questa crescita non ha influito nel trend di diminuzione dei costi della bolletta energetica totale italiana, che sempre secondo le stime UP, dovrebbe essere calata di quasi 10 miliardi di euro rispetto al 2014.

Questo calo è dovuto quasi totalmente al calo del costo del petrolio che è stato pari a circa il 47% se espresso in dollari, il costo del greggio importato in Italia nel 2015 è però diminuito un po meno, del 36%, per effetto dell’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro.

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Giù il petrolio, giù le borse, su il carbone

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015L’obiettivo principale della decarbonizzazione dell’economia, così duramente discusso nelle riunioni preparatorie e sottolineato come priorità dall’IPCC, è stato ridotto alla conferenza Cop 21 di Parigi a un vago riferimento. Il picco di emissioni potrebbe raggiungere qualsiasi grandezza, raggiungere il suo massimo in un periodo di tempo indefinito, scendere a zero solo a fine secolo. Non si menziona neanche una volta che i combustibili fossili abbiano termine. Qui è evidente la resistenza delle industrie del settore fossile e dei padroni del petrolio, del gas e del carbone. Secondo un’analisi congiunta dell’Istituto per lo Sviluppo Internazionale e dell’ODI, solo i paesi del G20, le prime 20 economie, canalizzano ogni anno oltre 600 miliardi di dollari di fondi pubblici sotto forma di sussidi alle compagnie dell’energia fossile. In questi sussidi non sono considerati i 1200 miliardi all’anno che gli Emirati Arabi mettono a bilancio per tenere basso il prezzo del petrolio e combattere la loro guerra contro i concorrenti di USA, Iran e Russia, con qualche complicità tollerata con l’esecrato ISIS.

Un notevole gruppo di 32 personalità, guidato da Stiglitz e altri premi Nobel ha chiesto l’introduzione di tasse per le emissioni di carbonio, sia per coprire i costi ambientali e sociali che sono ora trasferiti alla società che per ridurre le emissioni e investire in sistemi energetici senza emissioni di carbonio. Uno straordinario contributo ad affrontare la crisi togliendo soldi e armi alle multinazionali del passato e investendo in occupazione, risanamento del clima, redistribuzione del reddito. Ma di questa misura così necessaria non se ne discute a Davos o nei consessi dei banchieri che, pur di mantenere una rendita finanziaria, agitano lo spread e deprimono i listini delle borse terrorizzando i risparmiatori.

Cosa può succedere se, dopo la conferenza di Parigi, che ha fissato ad 1.5 °C il limite dell’innalzamento della temperatura del pianeta, l’economia e la politica, anziché rivolgersi al sole, al rifiuto dello spreco e all’intelligenza continueranno a ruotare attorno ai prezzi dei combustibili da bruciare nelle caldaie e nei motori? La Banca Mondiale avanza una interessante previsione: i prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica in Europa rimarranno depressi e la curva dei prezzi dell’energia elettrica per il futuro nella maggior parte dei mercati manterrà una tendenza al ribasso. Se anche il prezzo del gas scenderà anche a seguito del calo del petrolio, non ci sarà recupero rispetto all’avanzamento delle rinnovabili, che saranno l’unica quota elettrica in crescita a prezzi convenienti. Di fatto, il rapido afflusso di energie rinnovabili, che hanno un costo marginale zero nella generazione e nell’accesso prioritario alla rete, ha rotto (BMI usa proprio la parola “BROKEN”) il business tradizionale dell’energia, mettendo in difficoltà le grandi utilities che, avendo investito in centrali a turbogas, producono in eccesso e sono costrette a tenere in stand by interi impianti, nonostante che il prezzo del gas che viene dai gasdotti dalle navi metaniere sia in discesa. La prospettiva è quella di una ulteriore irreversibile penetrazione economicamente conveniente dell’energia da sole, vento e acqua.

A meno che si rilanci il carbone, che è l’unica fonte in grado di reggere la pressione al ribasso delle fonti a bassa emissione e rimane la carta sporca del sistema energetico centralizzato, messo in discussione a livello innanzitutto ambientale, ma ora a livello anche economico e geopolitico.

Carbon tax e una decarbonizzazione a favore di un sistema energetico decentrato e rinnovabile sono carte ineliminabili per affrontare la crisi e, a lungo termine, per non subire, impotenti, gli shock di borsa. Perché non ce ne parla il cupo ministro Padoan e non prendono decisioni al riguardo i leader europei, che preparano ancora una volta missioni di guerra?

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