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Referendum, the day after

Articolo di Marica Di Pierri apparso su HuffPost (18 Aprile 2016)

Le premesse

Il referendum popolare sulle trivellazioni in mare ha portato ieri alle urne, nonostante l’assordante silenzio mediatico e gli incessanti tentativi di delegittimazione e boicottaggio, più di 15 milioni di cittadini ed ha avuto il merito di imporre finalmente nel dibattito pubblico una discussione non più rimandabile sul modello energetico, i suoi impatti sui territori e l’urgenza di procedere verso un’economia a bassa intensità di carbonio.

Questo risultato, tutt’altro che scontato, rappresenta già, di per sé, l’importante affermazione – in termini di consenso pubblico – di una visione radicalmente alternativa a quella vigente rispetto alla tutela ambientale e al modo di produrre energia.

A questo grande passo in avanti va sommata – è importante ricordarlo – l’altra grande vittoria riconducibile all’iniziativa referendaria: è stato infatti soltanto grazie alla mobilitazione popolare di migliaia di cittadini e centinaia di comitati e associazioni, raccolta poi dalle Regioni che hanno formalmente chiesto la convocazione del referendum, se il contenuto di 5 dei 6 quesiti estesi per il voto popolare è stato recepito nella legge di stabilità di dicembre, costringendo il governo ad una marcia indietro in assoluta controtendenza rispetto alla direzione precedentemente intrapresa.

Tra i principi reintrodotti dal governo con la chiara intenzione di evitare di aggiungere altri quesiti al voto di ieri troviamo il ripristino del divieto di nuove concessioni estrattive entro le 12 miglia, introdotto per la prima volta nel 2010 – non nel 2006 come i detrattori del referendum hanno più volte affermato – ed eliminato poi nel 2012 dal decreto sviluppo salvo ricomparire nella legge di stabilità del dicembre scorso non certo per una ritrovata velleità ambientalista dell’esecutivo di unità nazionale.

Per la medesima via è stata ottenuta dal movimento referendario la sostanziale cancellazione del contestatissimo art.38 del decreto Sblocca Italia che avrebbe messo una pietra tombale sulla possibilità degli enti locali di dire la propria in materia energetica, anche in presenza di progetti impattanti per il territorio.

Sono ben 27 i procedimenti concessori bloccati grazie all’infaticabile pressione esercitata sul governo. Se non avessimo in tal modo osteggiato la piena implementazione dello Sblocca Italia e della Strategia Energetica Nazionale del marzo 2013 (governo Monti) staremmo oggi combattendo in tutto il paese contro il raddoppio delle frontiere estrattive in terra e in mare.

Questi elementi, di grande importanza, sono da ricordare a mo’ di premessa a chiunque abbia come obiettivo la ridicolizzazione del referendum quale strumento di democrazia diretta, utile non solo alla cancellazione di norme sbagliate, ma anche ad indirizzare chi ci governa verso scelte virtuose.

Una corsa ad ostacoli e contro il tempo

Prima di provare a tirare un bilancio del voto e a proporre alcune riflessioni estensive, è utile passare in rassegna i numerosissimi tentativi di boicottaggio che il referendum ha subito:

– il brevissimo tempo concesso per la campagna referendaria, pari al minimo previsto dalla legge (la data poteva essere individuata tra il 15 aprile e il 15 giugno: il 17 aprile era la prima domenica utile). Un mese e mezzo in tutto non è un tempo congruo per permettere di muovere efficacemente la macchina organizzativa e rendere quanto più capillare possibile la diffusione di informazioni: due mesi di tempo in più avrebbero fatto la differenza;

– il governo ha scientemente deciso di non accorpare il referendum alle amministrative e per scongiurare il raggiungimento del quorum ha speso in tal modo ben 340 milioni di euro di soldi pubblici. Sarebbe bastato un decreto legge (il governo vi ricorre piuttosto spesso, questa volta cosa ostava?) come avvenuto nel 2009 per evitare di spendere una cifra che equivale esattamente al gettito di royalties che lo stato italiano riceve annualmente;

– i dati diffusi dall’AGCOM – Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, hanno rilevato una tardiva e inadeguata copertura mediatica sull’appuntamento referendario, rendendo difficile una efficace circolazione di informazioni sull’appuntamento;

– il Comitato del NO (i cosiddetti “Ottimisti e Razionali”), formato da pochi (e ben pagati) lobbisti, ha speso fior di quattrini di pubblicità ingannevoli in Tv e sul web, ed ha inquinato la campagna referendaria con dati falsi e mistificatori che hanno spostato l’attenzione su conseguenze inesistenti, come gli 11.000 posti di lavoro a rischio inventati di sana pianta (la fonte di questi dati qual è? non ci è mai stato dato saperlo) o come la bufala della indipendenza energetica, per la quale è evidentemente irrilevante l’esigua quantità di idrocarburi presenti nei nostri mari;

– i continui ed esecrabili appelli all’astensione da parte delle forze di governo cui si sono unite le cadute di stile di rappresentanti istituzionali di rilievo come il Presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano, che da garante della costituzione si è trasformato – ahi lui! – in maldestro tifoso di parte, e specificamente della parte che invita i cittadini a disinteressarsi della cosa pubblica;

– le migliaia di segnalazioni che hanno registrato ostacoli al voto di ogni genere durante le operazioni elettorali: seggi senza urne, Presidenti di seggio assenti, file chilometriche agli uffici elettorali, problemi per il voto dei rappresentanti di lista fuori sede.

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Post referendum: la speranza che si riorganizza

Qualche pensiero su un referendum perso, su quelli da vincere, sulla speranza che si riorganizza

a cura di Daniele Barbieri

La pessima notizia è nota. Renzi e gli altri “unti” – di petrolio – hanno vinto. Una vittoria sulla specifica e piccola questione del referendum ma anche sulla simbologia del piccolo Davide popolare che, senza tv e giornali, aveva la presunzione di sconfiggere il grande Golia dei Palazzi. Brutta botta, inutile girarci intorno.

La notizia buonina però è sotto i nostri occhi. Comunque in tante/i non ci pieghiamo al “pensiero unico” . Non siamo i quattro gatti che lor signori vorrebbero. E con queste forze ripartiamo già oggi per vincere i prossimi referendum, soprattutto quello contro la “schiforma costituzionale” di Renzi-Boschi, ma anche per rafforzare, per organizzare, per far figliare quel gomitolo di lotte sociali, sindacali, politiche e culturali che sono più importanti di ogni consultazione referendaria.

Mentre ieri sera guardavo – senza per la verità eccessivi patemi – le percentuali, mi è arrivato un messaggio dal «Comitato referendum sociali» di Imola, del quale faccio parte: diceva che Giancarlo, Silvia e Teresita erano in riunione, che «ci sono due nuovi aderenti, Mario e Piero» e finiva così: «segnatevi ai turni di sabato e lunedì. Il lavoro è immane. Ce la possiamo fare solo se ci impegniamo tutte/i. Domani sera ne parliamo». Ce la possiamo fare. Domani è un altro giorno. Arrendersi è un’idea che neanche ci sfiora.

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Dopo il Referendum

a cura di Andrea Fontana

Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano ed editorialista per Altreconomia ha commentato i risultati del referendum scrivendo tra l’altro: “occorre al più presto immaginare come impostare una nuova narrazione ambientale decisamente diversa da ieri, perché quella non ha funzionato. Occorre trovare modo di spiegare che con ambiente e sostenibilità si lavora, si fa società, si cresce, si mitigano le disuguaglianze e si migliora. Ovviamente occorre investire molto, molto di più, in cultura ambientale”.

Sono perfettamente d’accordo, anche se l’ultima frase per me ha tre parole di troppo, le ultime.

Se è quasi sempre giusto non cambiare la squadra che vince, è sacrosanto riformare quelle perennemente sconfitte. Occorre analizzare con spietata obiettività quale sia stato il contributo di chi si è speso per cercare di raggiungere un quorum apparentemente impossibile all’ultimo referendum. Ho già avuto modo di dire che considero maldestra l’idea di aver voluto identificare con il movimento NoTriv la campagna referendaria. Intendiamoci, ai NoTriv va tutta la mia stima e la mia solidarietà, ma il quesito era un altro. Non si trattava di stabilire se autorizzare o no le trivellazioni. Quelle sono già state autorizzate, purtroppo anche oltre le 12 miglia e sulla terraferma. Il quesito era sulla durata delle concessioni, se fosse corretto regalare a compagnie, straniere o nazionali poco importa, la possibilità di svincolarsi all’infinito dall’impegno di ripristinare le condizioni ambientali dei siti dove hanno ottenuto le concessioni per installare trivelle e piattaforme. Se è logico, rispetto all’interesse comune, permettere che le compagnie petrolifere possano, in assoluta legalità grazie alla clausola della franchigia annua, evitare di pagare anche le pur minime royalties previste dallo Stato italiano.

Invece siamo finiti a parlare delle cozze, del pericolo di eventuali sversamenti di petrolio in mare quando il 90% delle piattaforme interessate estraggono gas. Ci siamo fatti trascinare in una diatriba da stadio tra tifosi di Renzi e oppositori, manco fosse la Juve. Eravamo anche stati fortunati. Un ministro del Governo guidato dal triunvirato dell’astensione (Napolitano, Renzi e Boschi) si è fatto beccare, al momento giusto, con le mani nella marmellata da intercettazioni imbarazzanti, come un Moggi qualsiasi.

Non siamo stati capaci di sfruttare neppure il contributo del pontefice, che pure gode di grande influenza e con l’enciclica Laudato sì ha sostenuto con chiarezza e profonda capacità di analisi quasi tutte le tesi che ci stanno a cuore.

Inoltre, non credo che i temi dell’ambiente e della sostenibilità non interessino il grande pubblico, potrebbero avere, al contrario un grande fascino. Sono anche convinto che almeno l’ottanta per cento degli italiani, con una frequenza scolastica elementare, sappia perfettamente quanto siano scarse le nostre materie prime e che l’unico convinto si possa competere con oligarchi russi e sceicchi nel gioco di chi ha il pozzo più grosso sia Corrado Passera, l’ex ministro dello sviluppo economico autore della Strategia Energetica Nazionale in vigore dai tempi del governo Monti.

Insomma, mi pare evidente che ci siano stati errori tattici e strategici rilevanti. Occorrerebbe però sapere su quali forze si può realmente contare per una svolta dai contenuti radicali che, se vengono continuamente sfumati, non risultano discriminanti per andare a votare.

Sinceramente mi sento di ringraziare Greenpeace e pochi altri per l’impegno profuso. In particolare Andrea Boraschi ha svolto un gran lavoro confrontandosi in modo pacato e intelligente ogni volta che gli è stata data l’opportunità di dire la sua in un dibattito. Grazie alle strategie non convenzionali di marketing e comunicazione di Grennpeace, spesso quest’opportunità se l’è creata dal nulla. Forte è stato il tentativo di approfondire oltre il 17 Aprile la posta in gioco, come nel caso dell’e-book promosso da Angelo Consoli. Di più avrebbero potuto fare, secondo me, WWF e Legambiente, le maggiori associazioni ambientaliste sul territorio. Probabilmente ha fatto poco anche la Chiesa. Non so quanti fedeli abbiamo accolto l’appello dei vescovi che hanno invitato a informarsi e ad andare a votare. Non so quanti parroci abbiano letto l’enciclica e quanti ne abbiano preso spunto per tradurne il messaggio in una azione diffusa.

Dopo aver dispensato le mie perle di saggezza (almeno l’autoironia è rimasta) vorrei porre una domanda a chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui: come pensiamo di avviare una nuova narrazione dei temi legati all’ambiente, all’etica, all’ecologia, all’energia e all’economia se i comunicatori restano sempre gli stessi che, per chiudere con un’altra metafora calcistica, sarebbero già stati da un pezzo messi in panchina e perlomeno affiancati, se non sostituiti, dalle promesse delle leve giovanili?

Il dibattito è aperto.

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Risultati del Referendum

Il risultato del referendum è così sconsolatamente rilevante per l’impegno profuso a molti livelli – e tra questi anche quello della nostra Associazione Energia Felice – da richiedere una attenta valutazione anche a più voci, critiche, realisticamente propositive, ma non banalmente oscillanti tra il riconoscimento tardivo (e servile) dell’astuzia di Renzi e la accettazione di una partecipazione  irreversibilmente meno attiva dei cittadini ad una democrazia da tempo in svuotamento. Pubblicheremo più interventi e diverse opinioni.

RISULTATI

Tutta Italia (estero compreso)
Abitanti / Elettori: 64.741.677 / 50.675.406

Affluenza: 31,2 %

AFFLUENZA REGIONE PER REGIONE
(grafica a cura di repubblica.it)

affluenza e risultati Referendum 17 aprile 2016

RISULTATI REGIONE PER REGIONE
(grafica a cura di repubblica.it)

affluenza e risultati Referendum 17 aprile 2016

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