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Ripresa economica: puntare sul rinnovabile è possibile e vantaggioso. Vi spiego come

C’è da chiedersi perché un governo costituzionale abbia affidato al buio a un manager privato – Vittorio Colao –, coadiuvato da un team di docenti, esperti e professionisti, l’elaborazione di un piano per il rilancio dell’economia italiana, dopo la serrata imposta dalla pandemia, ricevendone un contributo che assomiglia ad un manifesto della scuola di Chicago con quarant’anni di ritardo. Sembrerebbe che la storia non abbia ripreso nelle sue mani il secolo ed abbia espulso la politica. Ma, mi chiedo, perché non viene definita una strategia di medio periodo per la ripartenza del Paese?

Qui intervengo su una questione di estrema attualità anche per i suoi rapporti con le emergenze che riguardano il futuro dell’umanità, partendo da quanto è già a disposizione, seppure ignorato, sul fronte energetico: una rivoluzione in termini di decarbonizzazione e di riconversione produttiva e occupazionale di assoluta indispensabilità.

Si direbbe che l’intera questione energetica, che riguarda vite, territori, salute, posti di lavoro, sia tenuta lontana dalla decisione politica e resa impermeabile al dibattito democratico, proprio quando siamo all’emergenza di possibili licenziamenti di massa, e di un declino industriale imprevisto per le dimensioni con cui si presenterà se il modello di sviluppo dovesse rimanere inalterato.

Sta proprio alla società intera e al sindacato in particolare non mostrarsi balbettante e compatibilista, per pretendere che il futuro non sia il ritorno alla “normalità” di prima. Qui suggerisco di prendere in grande considerazione il contributo che su base europea ha fornito un gruppo di lavoro molto prestigioso, accreditato e documentatissimo, che ha già portato al tavolo della Ue le sue proposte nella completa ignoranza del mondo politico e dei media italiani.

Riprendo le proposte che Solar power Europe e la prestigiosa Università finlandese Lut hanno avanzato in un paper articolatissimo e documentato sotto il profilo scientifico, tecnologico ed economico, presentando un sistema di energia rinnovabile al 100%, che consenta all’Ue di portare a zero le emissioni climalteranti prima del 2050, ricorrendo al 100% di rinnovabili e con oltre quattro milioni di nuovi occupati nei settori riconverti.

In oltre 60 pagine di grafici e comparazioni, emerge un quadro di impegno di politica industriale, formazione, ricerca e comportamenti sociali del tutto sconvolgenti rispetto alle tendenze oggi in atto nei settori di generazione, stoccaggio e distribuzione di energia, trasporti e calore. Qui elenco alcuni spunti in sintesi: suggestioni realistiche e comprovate, che qualsiasi governo e la stessa proclamata prospettiva di rilancio di un’Europa unita e concorde non possono ignorare, se non sottovalutando le emergenze climatiche, sociali e occupazionali che seguiranno alla pandemia.

I capisaldi della riconversione, avanzata con uno straordinario corredo di immagini che suggerisco di analizzare, si possono così riassumere:

1) L’energia solare è destinata a generare oltre il 60% dell’elettricità dell’Ue entro il 2050 e l’eolico è il secondo pilastro per accedere a fonti esclusivamente rinnovabili.

2) Per raggiungere questo obiettivo, il sistema energetico dell’Ue necessita di un alto tasso di elettrificazione e integrazione settoriale.

3) La Commissione europea deve imporre uno scenario di energia rinnovabile al 100% vincolante per legge e destinare alla sua attuazione le risorse messe a disposizione del piano di riconversione chiamato enfaticamente, ma, per ora, solo retoricamente, Green New Deal.

4) Il vantaggio economico di una soluzione radicale e ad alta ambizione (100% rinnovabili, 1,5°C aumento di temperatura e zero Chg, rispetto a 66%, +2°C e 92% in uno scenari ritardato) comporta costi energetici unitari inferiori e dimostra che il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 è più conveniente rispetto a qualsiasi livello di ambizione inferiore, raggiunto per faticosi step ritardati e forieri di grandi svantaggi economici e ambientali.

Se lo studio venisse applicato in tutte le articolazioni previste (per singole Nazioni e, addirittura, per distinte cadenze stagionali), ne risulterebbe un sistema energetico europeo meno dipendente dalle importazioni e più resistente agli equilibri geopolitici, oltre che desiderabile certamente per le nuove generazioni anche perché comporterebbe lavoro qualificato per 6 milioni di unità.

Verrebbe finalmente rispettato l’accordo di Parigi, non superando l’aumento di temperatura di 1,5°C senza ricorrere affatto al sequestro di CO2 sottoterra. I guadagni in termini di resa e risparmio sarebbero assai significativi, garantendo una forte integrazione intersettoriale ed eliminando il ricorso alle fonti fossili anche nei settori del trasporto e dell’industria ad alto contenuto di calore.

Infatti, gli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno da rinnovabili diventerebbero una tecnologia cruciale per lo scenario previsto, al punto che dal 2030 in poi, l’idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili contribuirebbe alla piena decarbonizzazione, diventando il secondo vettore chiave di energia in Europa. Ovviamente, lo stoccaggio dell’elettricità assumerebbe importanza sempre maggiore nel fornire un approvvigionamento energetico ininterrotto, con un contributo di batterie, a prezzi sempre più ridotti, fino al 70% dello stoccaggio.

Si tratta di un approccio evidentemente rivoluzionario e non certo in linea con le politiche energetiche correnti. Eppure, nel rapporto Solar Power & Lut si dimostra che un sistema di energia rinnovabile al 100% e a neutralità climatica è assolutamente possibile dal punto di vista tecnico ed economico in Europa già al 2050.

Sappiamo bene che, da un punto di vista politico e sociale, la questione è tutt’altro che risolta. Fortissime saranno le resistenze ad un modello che si rivela realizzabile solo sovvertendo gli interessi oggi prevalenti. Proprio qui il ruolo del sindacato e delle nuove generazioni potrebbe essere risolutivo.

L’enciclica Laudato Sì sembrerebbe l’ispiratrice di un tale “sovvertimento”, non solo tecnico-scientifico; naturalmente, occorrerà anche una conversione individuale e collettiva a nuovi modelli di produzione e consumo. La posta è tuttavia talmente elevata da meritare la partita. Il nostro Paese, l’Europa, il Pianeta hanno bisogno delle migliori energie intellettuali e sociali oltre che fisiche per una transizione ecologica e socialmente giusta.

Le misure finora proposte non sono all’altezza del compito; sta quindi anche alle organizzazioni della società civile e ai movimenti sociali e alla loro maturità se si riuscirà a tracciare un percorso diverso e possibile.

L’articolo Ripresa economica: puntare sul rinnovabile è possibile e vantaggioso. Vi spiego come proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Ripresa economica: puntare sul rinnovabile è possibile e vantaggioso. Vi spiego come

C’è da chiedersi perché un governo costituzionale abbia affidato al buio a un manager privato – Vittorio Colao –, coadiuvato da un team di docenti, esperti e professionisti, l’elaborazione di un piano per il rilancio dell’economia italiana, dopo la serrata imposta dalla pandemia, ricevendone un contributo che assomiglia ad un manifesto della scuola di Chicago con quarant’anni di ritardo. Sembrerebbe che la storia non abbia ripreso nelle sue mani il secolo ed abbia espulso la politica. Ma, mi chiedo, perché non viene definita una strategia di medio periodo per la ripartenza del Paese?

Qui intervengo su una questione di estrema attualità anche per i suoi rapporti con le emergenze che riguardano il futuro dell’umanità, partendo da quanto è già a disposizione, seppure ignorato, sul fronte energetico: una rivoluzione in termini di decarbonizzazione e di riconversione produttiva e occupazionale di assoluta indispensabilità.

Si direbbe che l’intera questione energetica, che riguarda vite, territori, salute, posti di lavoro, sia tenuta lontana dalla decisione politica e resa impermeabile al dibattito democratico, proprio quando siamo all’emergenza di possibili licenziamenti di massa, e di un declino industriale imprevisto per le dimensioni con cui si presenterà se il modello di sviluppo dovesse rimanere inalterato.

Sta proprio alla società intera e al sindacato in particolare non mostrarsi balbettante e compatibilista, per pretendere che il futuro non sia il ritorno alla “normalità” di prima. Qui suggerisco di prendere in grande considerazione il contributo che su base europea ha fornito un gruppo di lavoro molto prestigioso, accreditato e documentatissimo, che ha già portato al tavolo della Ue le sue proposte nella completa ignoranza del mondo politico e dei media italiani.

Riprendo le proposte che Solar power Europe e la prestigiosa Università finlandese Lut hanno avanzato in un paper articolatissimo e documentato sotto il profilo scientifico, tecnologico ed economico, presentando un sistema di energia rinnovabile al 100%, che consenta all’Ue di portare a zero le emissioni climalteranti prima del 2050, ricorrendo al 100% di rinnovabili e con oltre quattro milioni di nuovi occupati nei settori riconverti.

In oltre 60 pagine di grafici e comparazioni, emerge un quadro di impegno di politica industriale, formazione, ricerca e comportamenti sociali del tutto sconvolgenti rispetto alle tendenze oggi in atto nei settori di generazione, stoccaggio e distribuzione di energia, trasporti e calore. Qui elenco alcuni spunti in sintesi: suggestioni realistiche e comprovate, che qualsiasi governo e la stessa proclamata prospettiva di rilancio di un’Europa unita e concorde non possono ignorare, se non sottovalutando le emergenze climatiche, sociali e occupazionali che seguiranno alla pandemia.

I capisaldi della riconversione, avanzata con uno straordinario corredo di immagini che suggerisco di analizzare, si possono così riassumere:

1) L’energia solare è destinata a generare oltre il 60% dell’elettricità dell’Ue entro il 2050 e l’eolico è il secondo pilastro per accedere a fonti esclusivamente rinnovabili.

2) Per raggiungere questo obiettivo, il sistema energetico dell’Ue necessita di un alto tasso di elettrificazione e integrazione settoriale.

3) La Commissione europea deve imporre uno scenario di energia rinnovabile al 100% vincolante per legge e destinare alla sua attuazione le risorse messe a disposizione del piano di riconversione chiamato enfaticamente, ma, per ora, solo retoricamente, Green New Deal.

4) Il vantaggio economico di una soluzione radicale e ad alta ambizione (100% rinnovabili, 1,5°C aumento di temperatura e zero Chg, rispetto a 66%, +2°C e 92% in uno scenari ritardato) comporta costi energetici unitari inferiori e dimostra che il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 è più conveniente rispetto a qualsiasi livello di ambizione inferiore, raggiunto per faticosi step ritardati e forieri di grandi svantaggi economici e ambientali.

Se lo studio venisse applicato in tutte le articolazioni previste (per singole Nazioni e, addirittura, per distinte cadenze stagionali), ne risulterebbe un sistema energetico europeo meno dipendente dalle importazioni e più resistente agli equilibri geopolitici, oltre che desiderabile certamente per le nuove generazioni anche perché comporterebbe lavoro qualificato per 6 milioni di unità.

Verrebbe finalmente rispettato l’accordo di Parigi, non superando l’aumento di temperatura di 1,5°C senza ricorrere affatto al sequestro di CO2 sottoterra. I guadagni in termini di resa e risparmio sarebbero assai significativi, garantendo una forte integrazione intersettoriale ed eliminando il ricorso alle fonti fossili anche nei settori del trasporto e dell’industria ad alto contenuto di calore.

Infatti, gli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno da rinnovabili diventerebbero una tecnologia cruciale per lo scenario previsto, al punto che dal 2030 in poi, l’idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili contribuirebbe alla piena decarbonizzazione, diventando il secondo vettore chiave di energia in Europa. Ovviamente, lo stoccaggio dell’elettricità assumerebbe importanza sempre maggiore nel fornire un approvvigionamento energetico ininterrotto, con un contributo di batterie, a prezzi sempre più ridotti, fino al 70% dello stoccaggio.

Si tratta di un approccio evidentemente rivoluzionario e non certo in linea con le politiche energetiche correnti. Eppure, nel rapporto Solar Power & Lut si dimostra che un sistema di energia rinnovabile al 100% e a neutralità climatica è assolutamente possibile dal punto di vista tecnico ed economico in Europa già al 2050.

Sappiamo bene che, da un punto di vista politico e sociale, la questione è tutt’altro che risolta. Fortissime saranno le resistenze ad un modello che si rivela realizzabile solo sovvertendo gli interessi oggi prevalenti. Proprio qui il ruolo del sindacato e delle nuove generazioni potrebbe essere risolutivo.

L’enciclica Laudato Sì sembrerebbe l’ispiratrice di un tale “sovvertimento”, non solo tecnico-scientifico; naturalmente, occorrerà anche una conversione individuale e collettiva a nuovi modelli di produzione e consumo. La posta è tuttavia talmente elevata da meritare la partita. Il nostro Paese, l’Europa, il Pianeta hanno bisogno delle migliori energie intellettuali e sociali oltre che fisiche per una transizione ecologica e socialmente giusta.

Le misure finora proposte non sono all’altezza del compito; sta quindi anche alle organizzazioni della società civile e ai movimenti sociali e alla loro maturità se si riuscirà a tracciare un percorso diverso e possibile.

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Clima, le emissioni non sono calate abbastanza col virus: bisogna puntare alle energie naturali

Difficile misurare e prevedere la diminuzione di climalteranti dovuti al blocco delle attività in tempo di coronavirus, perché essa dipende da quali settori dell’economia hanno chiuso e le aspettative di ripresa nel corso dell’anno. Benjamin Storrow, in un documentatissimo articolo spegne alcuni entusiasmi sulla caduta delle emissioni durante la pandemia.

Se si calcola che ormai 4 miliardi di persone in tutto il mondo si sono fermate per contribuire ad arginare la diffusione del virus, il confronto con le previsioni dei meteorologi (poco oltre il 5% nel 2020), pur rappresentando il più grande calo annuale mai registrato, rimane al di sotto del calo del 7,6% che gli scienziati dicono che è necessario ogni anno nel prossimo decennio per impedire che le temperature globali aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius.

Non c’è proporzionalità diretta tra calo dei prodotti e abbassamento delle emissioni. Quindi perché le previsioni non prevedono un calo maggiore di CO2 durante una delle peggiori catastrofi economiche della vita? Nei fatti la pandemia sta causando una caduta libera economica che differisce dalle precedenti recessioni.

Solo se le riduzioni di anidride carbonica non ripartissero secondo il cosiddetto “ritorno alla normalità” che sta a cuore di tutti i governi (si pensi da noi agli aiuti a Fca e Alitalia e al mantenimento delle centrali a carbone) registreremmo un obiettivo in linea con l’auspicio dell’Ipcc. Ma occorrerebbe un grande movimento che prema sui governi del mondo e sulle multinazionali e una svolta dalla produzione energivora alla cura dell’intera biosfera e un cambio degli stili di vita.

Sia negli Stati Uniti che in Cina il lockdown non è stato utilizzato per mutare il segno dell’eventuale ripresa, ma solo per tenere in vita con la manutenzione indispensabile il modello che riprodurrà quanto prima le emergenze in corso. I cali in Cina e Usa sono stati solo del 25% e del 14% nel mese di maggior diffusione del virus e la maggior parte dei meteorologi ipotizzano che l’economia riprenderà nella seconda metà dell’anno, spingendo le emissioni verso l’alto con un rimbalzo.

Anche in uno scenario in cui le emissioni sono diminuite del 25%, i tre quarti della produzione globale di CO2 continuerebbero durante un blocco annuale. A differenza delle recessioni passate, il trasporto sta guidando il calo delle emissioni. La spedizione è rimasta costante e la produzione è stata lenta a chiudere. Molte acciaierie e centrali a carbone hanno continuato a funzionare per tutto l’arresto, sebbene spesso a livelli ridotti.

Al contrario è calato il traffico di trasporto individuale delle persone: del 54% nel Regno Unito, del 36% negli Stati Uniti e del 19% in Cina, mentre i viaggi aerei, nel frattempo, sono diminuiti del 40%, con un riflesso drastico sul calo del petrolio (-65% kerosene; -41% benzina). Eppure, l’economia globale sta ancora consumando molto petrolio, sia per gli usi militari e per il mantenimento degli slot da parte delle compagnie aeree, sia per il trasporto su ruota e ferro con diesel.

Poi ci sono prodotti petrolchimici, che sono stati colpiti in modo diseguale dalla crisi. Le materie plastiche utilizzate nella produzione automobilistica sono in calo, ma quelle usate per l’imballaggio alimentare sono in aumento. I numeri mostrano quanto sia intrecciato il petrolio con l’economia globale e quanto sarà difficile decarbonizzare l’economia semplicemente attraverso l’adeguamento comportamentale. Le auto e gli aerei possono essere parcheggiati in massa, eppure il consumo di petrolio diffuso continua.

Questa prima fase di pandemia è stata pagata più dal trasporto aereo e di auto, ma meno dall’elettricità e dal gas naturale. Il carbone, anche se demonizzato in epoca di pandemia, rimane cruciale per la generazione di elettricità in tutto il mondo e rappresenta il 40% delle emissioni globali di CO2, più di qualsiasi altro combustibile. Assieme al petrolio, rimane un ingranaggio centrale nella produzione economica in tutto il mondo.

Ma mentre comincia ad essere matura una lotta per la conversione delle centrali a carbone e gas nelle economie avanzate, la pandemia sottolinea la necessità di rendere da subito accessibili le energie naturali per le parti in via di sviluppo del mondo su cui potrebbe essere riversato l’eccesso di fossili continuamente estratto.

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Clima, le emissioni non sono calate abbastanza col virus: bisogna puntare alle energie naturali

Difficile misurare e prevedere la diminuzione di climalteranti dovuti al blocco delle attività in tempo di coronavirus, perché essa dipende da quali settori dell’economia hanno chiuso e le aspettative di ripresa nel corso dell’anno. Benjamin Storrow, in un documentatissimo articolo spegne alcuni entusiasmi sulla caduta delle emissioni durante la pandemia.

Se si calcola che ormai 4 miliardi di persone in tutto il mondo si sono fermate per contribuire ad arginare la diffusione del virus, il confronto con le previsioni dei meteorologi (poco oltre il 5% nel 2020), pur rappresentando il più grande calo annuale mai registrato, rimane al di sotto del calo del 7,6% che gli scienziati dicono che è necessario ogni anno nel prossimo decennio per impedire che le temperature globali aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius.

Non c’è proporzionalità diretta tra calo dei prodotti e abbassamento delle emissioni. Quindi perché le previsioni non prevedono un calo maggiore di CO2 durante una delle peggiori catastrofi economiche della vita? Nei fatti la pandemia sta causando una caduta libera economica che differisce dalle precedenti recessioni.

Solo se le riduzioni di anidride carbonica non ripartissero secondo il cosiddetto “ritorno alla normalità” che sta a cuore di tutti i governi (si pensi da noi agli aiuti a Fca e Alitalia e al mantenimento delle centrali a carbone) registreremmo un obiettivo in linea con l’auspicio dell’Ipcc. Ma occorrerebbe un grande movimento che prema sui governi del mondo e sulle multinazionali e una svolta dalla produzione energivora alla cura dell’intera biosfera e un cambio degli stili di vita.

Sia negli Stati Uniti che in Cina il lockdown non è stato utilizzato per mutare il segno dell’eventuale ripresa, ma solo per tenere in vita con la manutenzione indispensabile il modello che riprodurrà quanto prima le emergenze in corso. I cali in Cina e Usa sono stati solo del 25% e del 14% nel mese di maggior diffusione del virus e la maggior parte dei meteorologi ipotizzano che l’economia riprenderà nella seconda metà dell’anno, spingendo le emissioni verso l’alto con un rimbalzo.

Anche in uno scenario in cui le emissioni sono diminuite del 25%, i tre quarti della produzione globale di CO2 continuerebbero durante un blocco annuale. A differenza delle recessioni passate, il trasporto sta guidando il calo delle emissioni. La spedizione è rimasta costante e la produzione è stata lenta a chiudere. Molte acciaierie e centrali a carbone hanno continuato a funzionare per tutto l’arresto, sebbene spesso a livelli ridotti.

Al contrario è calato il traffico di trasporto individuale delle persone: del 54% nel Regno Unito, del 36% negli Stati Uniti e del 19% in Cina, mentre i viaggi aerei, nel frattempo, sono diminuiti del 40%, con un riflesso drastico sul calo del petrolio (-65% kerosene; -41% benzina). Eppure, l’economia globale sta ancora consumando molto petrolio, sia per gli usi militari e per il mantenimento degli slot da parte delle compagnie aeree, sia per il trasporto su ruota e ferro con diesel.

Poi ci sono prodotti petrolchimici, che sono stati colpiti in modo diseguale dalla crisi. Le materie plastiche utilizzate nella produzione automobilistica sono in calo, ma quelle usate per l’imballaggio alimentare sono in aumento. I numeri mostrano quanto sia intrecciato il petrolio con l’economia globale e quanto sarà difficile decarbonizzare l’economia semplicemente attraverso l’adeguamento comportamentale. Le auto e gli aerei possono essere parcheggiati in massa, eppure il consumo di petrolio diffuso continua.

Questa prima fase di pandemia è stata pagata più dal trasporto aereo e di auto, ma meno dall’elettricità e dal gas naturale. Il carbone, anche se demonizzato in epoca di pandemia, rimane cruciale per la generazione di elettricità in tutto il mondo e rappresenta il 40% delle emissioni globali di CO2, più di qualsiasi altro combustibile. Assieme al petrolio, rimane un ingranaggio centrale nella produzione economica in tutto il mondo.

Ma mentre comincia ad essere matura una lotta per la conversione delle centrali a carbone e gas nelle economie avanzate, la pandemia sottolinea la necessità di rendere da subito accessibili le energie naturali per le parti in via di sviluppo del mondo su cui potrebbe essere riversato l’eccesso di fossili continuamente estratto.

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Energia, il Covid sarà un’insormontabile ‘pietra d’inciampo’. L’era delle fonti fossili è al declino

La scorsa settimana l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha pubblicato la sua Global Energy Review 2020, un’analisi dell’impatto della crisi di Covid-19 sulla domanda globale di energia e le emissioni di CO2.

Vengono analizzati gli sviluppi della caduta di produzione e domanda di energia nei primi quattro mesi del 2020, con la conseguente previsione di possibili traiettorie per il resto dell’anno. I riscontri registrati ed i messaggi lanciati sono assolutamente impressionanti e fanno essi stessi piazza pulita di ogni svista nel presumere che la salute e la cura del Pianeta possano convivere con la crescita economica illimitata e che la loro tutela sia compatibile col modello di globalizzazione fondato sulla combustione delle fonti fossili che ha caratterizzato fin qui l’era “dell’Antropocene”.

La pandemia ha accelerato una crisi già in corso e l’ha fatta precipitare secondo modalità già annunciate, ma mai esplose ai livelli attuali e mai così drammaticamente all’ordine del giorno di centri studi e istituzioni internazionali tutt’altro che eccentriche rispetto al sistema.

È importante osservare come L’IEA non consideri affatto la crisi attuale, ben più profonda e diversa da quella finanziaria del 2008, come un evento passeggero, ma la valuti come un’insormontabile “pietra d’inciampo” nell’evoluzione della civiltà industriale. Si tratta infatti di una crisi che ha connotati speciali: la tradizionale relazione tra Pil e domanda di energia non regge più a causa della natura non strettamente economica dello choc. Alcuni usi energetici, ad esempio, il riscaldamento a gas residenziale o l’uso di elettricità per server o apparecchiature digitali non sono stati interessati a fondo, mentre, sempre ad esempio, il kerosene per aerei, o il carbone per la siderurgia sono crollati molto più rapidamente del declino del Pil.

L’applicazione di misure differenziate di lockdown ha provocato balzi differenziati nei prezzi delle fonti energetiche e picchi di diversa intensità a seconda delle aree geografiche e dei paesi che prendevano misure di confinamento, blocco delle attività, o annunciavano segnali di ripresa. Sotto questo profilo il sistema energetico dei fossili e del nucleare, a struttura fortemente centralizzata e con filiere di approvvigionamento extraterritoriali, ha sofferto assai di più della componente alimentata dalle rinnovabili, che si sono rivelate più flessibili, a costi costanti e contenuti oltre che programmabili e con effetti di minore impatto sulla salute e sull’inquinamento ambientale.

Per avere un’idea dell’effetto Covid -19, si pensi che nella prima metà di aprile il 50% del consumo globale di energia è stato esposto a contrazione, rispetto al 5% della prima metà di marzo. Dato che a maggio molti paesi stanno avviando, anche se solo parzialmente, alcuni settori dell’economia, aprile potrebbe essere il mese più colpito del 2020, a patto che non riprenda il contagio da coronavirus.

I paesi posti in stato di blocco totale stanno registrando un calo medio del 25% della domanda di energia a settimana, mentre i paesi in blocco parziale registrano comunque un calo medio non inferiore al 18%. Se si esaminano i grafici di consumo esposti dall’IEA si nota che “ogni giorno è domenica: la forma della domanda assomiglia lungo l’intera settimana a quella di una domenica prolungata”. La domanda globale di carbone è stata la più colpita, scendendo di quasi l’8% rispetto al primo trimestre del 2019. Tre sono le ragioni che spiegano questo calo: la Cina, un’economia basata sul carbone, è stata la nazione più colpita da Covid-19 nel primo trimestre; gas a basso costo e crescita continua nelle energie rinnovabili altrove hanno sfidato il carbone; il clima mite ha limitato il consumo per riscaldamento.

A metà aprile, l’attività globale di trasporto su strada era quasi del 65% inferiore alla media del 2019 e per l’aviazione inferiore all’80%. Di conseguenza, la domanda di petrolio è diminuita di quasi il 5% nel primo trimestre, ed è crollata del 55% ad inizio del secondo trimestre. L’impatto sulla domanda di gas è stato più moderato, anche se si è accentuato a cominciare da aprile. Le energie rinnovabili sono state l’unica fonte che ha registrato una crescita della domanda (+ 1,5% su base annua), trainata da una maggiore capacità installata (+ 160 GW) e dal dispacciamento prioritario in rete. In definitiva, le riduzioni della domanda hanno aumentato la quota di energie rinnovabili anche per quanto riguarda la fornitura di energia elettrica.

Per l’intero 2020, anche nel caso di un recupero graduale, la domanda globale di energia si contrarrà – secondo le previsioni – del 6%, il più grande calo in 70 anni in termini percentuali e il più grande mai registrato in termini assoluti. L’impatto di Covid-19 sulla domanda di energia nel 2020 sarebbe oltre sette volte maggiore dell’impatto dovuto per la crisi finanziaria del 2008 sulla domanda globale di energia.

Mentre nel computo annuo fossili e nucleare tornerebbero a livelli non superiori a quelli del 2012, si prevede che la domanda di energie rinnovabili debba aumentare, sia per i bassi costi operativi sia in ragione dell’accesso preferenziale a molti sistemi di alimentazione (+ 1% per la domanda totale di energia; + 5% per la domanda di energia elettrica).

Infine, per quanto riguarda le emissioni di CO2, la previsione è di un contenimento dell’8%, ai livelli di 10 anni fa e due volte più grande del totale combinato di tutte le riduzioni precedenti dalla fine della seconda guerra mondiale. Ancora troppo poco e con il rischio che il tentativo ostinato di riavviare l’economia “come prima” non provochi dall’autunno un letale rimbalzo. Per questo la decarbonizzazione deve rimanere al centro della necessaria riconversione ecologica e di una modifica degli stili di vita. Una cura indispensabile per il Pianeta e la salute umana che richiede – tra l’altro –infrastrutture energetiche più pulite e più resilienti. Mi torna sempre il pensiero alla riconversione del sito carbonifero di Civitavecchia, dove è maturo un salto di progettualità di cui proverò ad occuparmi in un prossimo post.

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