Nelle funamboliche esternazioni del ministro Roberto Cingolani, pochi ravvisano lo spirito di fondo che ne anima le intenzioni. Negli ambienti che non rinunciano alla crescita a qualunque costo e a prolungare una cultura dello spreco, si sta affermando una visione del futuro disdegnata da tutto il mondo delle scienze naturali e temuta da quello dell’ecologia integrale. Tollerare, cioè, ingiustizie sociali insanabili e mettere in conto condizioni climatiche ostili alla sopravvivenza e alla rigenerazione della biosfera, pur di non rinunciare alla combustione dei fossili o al nucleare “riabilitati” da un intervento a valle del ciclo, con la pretesa insensata di ridurre le scorie di una produzione energetica insostenibile.
Se questo è l’obiettivo inconfessato, solo due tecnologie si aprono all’orizzonte di improvvisati apprendisti stregoni: sequestrare sottoterra la CO2 prodotta in eccesso, oppure fornire energia con combustibile radioattivo impiegato in reattori non convenzionali. Due vie oggi fuori portata perfino su scala commerciale, ma, soprattutto, incompatibili coi tempi e i cicli della natura e, quindi, dirette a scaricarsi ulteriormente sulle generazioni a venire.
Seguendo l’onda, i quotidiani e le riviste danno con sempre maggiore frequenza notizia di progetti grandiosi, come quello di fissare le emissioni climalteranti in pozzi scavati nelle rocce dei deserti dell’Oman (vedi articolo su Scienze, settembre 2021), o di catturare la CO2 in atmosfera per spedirla nelle sacche di basalto dell’Islanda o, ancora, di mantenere un plasma di deuterio-trizio isolato dal mondo esterno a temperature elevatissime con un campo magnetico ad altissima intensità in un’apparecchiatura sperimentale dal diametro di 30 metri e l’altezza di 20. Ma il revival su progetti di là da venire ha un sottinteso: non c’è urgenza per i prossimi anni, perché dopo la narrazione della Laudato Sì e la mobilitazione in ripresa di Greta e degli studenti, tutto tornerà a funzionare come prima.
Cingolani ha colto l’aria e ha capito che il Governo Draghi non ha intenzione di fermare la marcia sbagliata dell’Eni e delle altre partecipate pubbliche che, dentro scenari di progetti fantasmagorici da realizzare tra mezzo secolo, potrebbero mantenere la loro perseveranza su gasdotti, metanizzazione, idrogeno blu, a dispetto delle rinnovabili già vantaggiose e a disposizione. Questo potente apparato industriale, culturale e mediatico, che ha preso una scossa già prima della Pontedilegno dei due Mattei, ha cercato di mettere la sordina alle conclusioni dell’Ipcc, che arrivano puntuali sui tavoli dei governanti in attesa della Cop 26 di Glasgow, ricordando che la Terra non è mai stata così calda da 125mila anni e che non basterà l’obiettivo di 2°C di Parigi, perché non dovremo superare 1, 5°C.
In questi giorni sta per essere pubblicato uno studio di Nature di grande rilievo di cui cominciano a circolare anticipazioni: la maggior parte delle riserve di combustibili fossili deve rimanere non sfruttato per non superare l’obiettivo di riscaldamento di 1,5 °C. Molti dei progetti pianificati, di estrazione di carbone, petrolio e gas dovranno essere abbandonati e quasi il 90% delle riserve globali di carbonio fossile deve essere lasciato nel sottosuolo. Ne segue che la produzione di carbone, petrolio e gas deve raggiungere il picco entro il prossimo decennio — e che la maggior parte dei progetti di combustibili fossili esistenti e pianificati sarebbe, di conseguenza, impraticabile.
Come spiegarlo all’Eni o alle tante compagnie così impegnate sui fossili e sulle pipelines ancora da saturare di metano? Come dirlo a Civitavecchia dove la popolazione, il sindacato e le istituzioni locali hanno avuto il merito di aprire un reale conflitto sul turbogas?
Nebojsa Nakicenovic, economista energetico, afferma che “la strategia di avere emissioni in eccesso e quindi rimuovere il carbonio dall’atmosfera ‘significa che stiamo rimandando il problema alla seconda metà di questo secolo’, e il carbonio le tecnologie di rimozione del biossido hanno una lunga strada da percorrere prima che siano scalabili”.
In conclusione, le esternazioni di Cingolani non devono ritardare una riconversione energetica fondata su riduzione dei consumi e decentramento locale e basata su fonti rinnovabili e accumuli. Non si deve far pagare allo Stato una finta transizione ecologica, con gli investimenti in gas – che resta un fossile, anche travestito da idrogeno – un po’ di trivellazioni in mare e qualche favore ai metanodotti che arrivano da ogni dove, mentre lo specchietto del nucleare attira i più sprovveduti.
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