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Pastiglie allo iodio anti-radiazioni e guerre dirette con l’AI: come non essere pessimisti?

Florian Illies nel suo 1913 descrive lo scivolamento dell’Europa verso il baratro, costellato da frivolezze, superficialità, rimozioni, noncuranza dello spezzarsi della vita per mano della guerra mondiale in arrivo. Anche noi, 40 anni dopo, potremmo vivere un tempo in cui ci si appressa alla guerra – questa volta definitiva – scordandoci di essere una specie in pericolo, mentre aspiriamo ad essere vincitori o vinti in una competizione insensata, che risucchia la gran parte delle risorse anche morali di cui disponiamo.

Quale dovrebbe essere il nostro compito ce lo indicano altresì il cambiamento climatico, la minaccia nucleare, l’estendersi dell’ingiustizia sociale, ma da questo lato non ci mettiamo in ascolto. Anzi, proprio in questi mesi scorre a profusione la banalizzazione del rischio o la colpevolizzazione del nemico di turno: si ragiona per blocchi di appartenenza, alleanze militari, massacri per tutelare i confini e perfino l’Europa, che dopo il 1945 si era dotata di Costituzioni di democrazia sociale, ha perso la voce.

Così arrivano notizie impensabili, ma segno di uno smarrimento della misura. Bresciaoggi del 28 Novembre annuncia l’aumento delle scorte di iodio nei depositi della provincia in previsione di un attacco nucleare. In effetti La Regione Lombardia ha pubblicato il 30 ottobre 2024 sul sito una delibera rivolta ai cittadini con cui dispone di “istituire 30 microdepositi sul territorio regionale dedicati allo stoccaggio di Ioduro di potassio“, sotto il titolo “Emergenza Ucraina – eventuale rischio nucleare: no a farmaci fai da te” (è noto come lo iodio – un palliativo a fronte di ben altri effetti – assista il funzionamento della tiroide nel caso di una eventuale esposizione a radiazioni. Anche se i danni sono concreti).

La disposizione non riproduce più quella degli anni precedenti per contrastare eventuale radioattività nell’aria, ma viene emessa in previsione di azioni ostili rivolte contro la popolazione: nello specifico, “in considerazione delle crescenti preoccupazioni per il potenziale rilascio di sostanze radioattive causate dagli scontri in Ucraina”. Per un bresciano è evidente la connessione tra un attacco missilistico russo e il grande deposito di bombe nucleari americano a Ghedi – in provincia – da poco ammodernate e rese aviotrasportabili. L’allusione è resa plastica dallo sfondo del sito che riporta la bandiera giallo-blu.

L’Asst del Garda (che gestisce gli ospedali di Desenzano, Gavardo e Manerbio) ha convocato per il 17 dicembre, con lettera firmata dalla direzione sanitaria, una riunione di “dirigenti medici e amministrativi, farmacisti, autisti di collegamento e operatori di magazzino» che ha per oggetto “Microdepositi di ioduro di potassio”, precisando nella stessa lettera che si tratta di un “antidoto da distribuire alla popolazione e agli operatori in caso di evento nucleare avverso”, in attuazione delle ultime disposizioni statali e regionali.
Certamente, non mette di buon umore che si stia facendo scorta di farmaci utili nel malaugurato caso di un’esposizione di massa a radiazioni nucleari: potrebbe voler dire anche che la percezione del rischio, ai piani alti delle istituzioni è aumentata, oppure, che si vuole disporre la popolazione ad un’ulteriore avversione verso in nemico russo e che potremmo essere alla preparazione di una fase molto operativa.

Occorrerebbe invece ragionare di quanto sia improvvida ed azzardata la decisione europea di inviare nostri missili che possano colpire il territorio moscovita, dando luogo ad azioni di risposta che stanno nell’ordine spaventoso della strategia del First strike, ormai sdoganata dai due grandi imperi in guerra per procura.

L’allarme, che si continua a sottovalutare, proviene perfino da un insospettabile e prestigioso esperto, come il francescano Benanti, che fa parte della Commissione nazionale per l’intelligenza artificiale, il quale, inopinatamente, pubblica sul Sole 24 ore dell’11 dicembre un articolo insolito per chi lo segue nelle sue frequenti valutazioni: “La guerra cognitiva della Cina: Pechino e l’arma manipolatoria dell’algoritmo”.

Prendendo spunto da un articolo pubblicato nel 2023 sulla rivista Information Security and CommunicationsPrivacy, una pubblicazione supervisionata dal Ministero dell’Industria e della Sicurezza Informatica cinese, l’esperto delinea un quadro chiaro su come gli algoritmi “potenziano” ogni fase di un’operazione cognitiva in un modello che profila il pubblico di destinazione, ne cattura l’attenzione e le esigenze psicologiche, prevede l’utilizzo di manipolazioni degli algoritmi per amplificare e promuovere narrazioni specifiche, raggruppa individui con opinioni simili in ”bolle informative” e li sprona ad interventi tempestivi che le facciano evolvere nella direzione desiderata. “Guerra cognitiva algoritmica teorizzata e strutturata da studiosi militari e politici cinesi”: i prossimi nemici.

Il pessimismo sembra contagiare perfino un eccellente e pacato analista geopolitico: Lucio Caracciolo che nell’ultimo numero di Limes definisce fallimentare la lotta contro il cambiamento climatico e mette in competizione i tempi della sopravvivenza con quelli che ci lascia a disposizione la guerra definitiva: quella nucleare.

Credo che queste opinioni pessimiste vadano accolte con preoccupazione e con tutte le forze rinnovate da chi si riorganizza per la pace. In fondo come scrive Ivan Illich: “la speranza di sopravvivenza umana risiede nella sua forza sociale”.

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Da Meloni a Pichetto Fratin, il ritorno al nucleare avanza sotto silenzio

Si potrebbe assai bene adattare la celebre canzone di Gino Paoli alle esternazioni dei nostri governanti che, mentre si stava consumando il fallimento della Cop di Baku, davano credito sui media ad opzioni energetiche irrisolte, indeterminate nel tempo, pur di non dar realizzazione ad una potenza elettrica rinnovabile a portata di mano e sostitutiva dei fossili.

Meloni, in un mordi e fuggi dal palco in Azerbaijan, in nome della neutralità tecnologica ha disegnato come opportuno e ambizioso l’orizzonte della fusione nucleare. Ottima attestazione di atlantismo, dal momento che allo stato attuale sono più accattivanti le prospettive militari della fusione di deuterio e trizio, che non la realizzazione di un reattore civile regolarmente funzionante. Basta analizzare l’articolo di Arjun Makhijani e si capirebbe che il reclamatissimo esperimento di ignizione di 192 laser della National Ignition Facility di Livermore non è che il risultato di sei decenni di lavoro attorno ad un progetto militare, che ha portato alla ribalta domande sul fatto che alcuni esperimenti violino il Trattato per la messa al bando totale dei test sulle esplosioni nucleari.

La ricerca sulla fusione per uso pacifico e quella per uso militare sono fortemente intrecciate, ma non se ne vuol parlare. Infatti, dopo Livermore, c’è ancora un notevole silenzio sul fatto che le armi a fusione pura – armi che potrebbero uccidere un gran numero di esseri umani con radiazioni neutroniche – siano un obiettivo del programma del Pentagono. Dato che nessuno ritiene possibile la messa in opera di un reattore a fusione civile entro almeno un trentennio, i test di un’arma termonucleare sono invece in continuo perfezionamento. Già nel 1949 Robert Oppenheimer aveva dichiarato che “una super bomba come quella a fusione pura non dovrebbe mai essere prodotta, non essendoci alcun limite intrinseco al suo potere distruttivo”, mentre il Manifesto di Einstein-Russell del 1955 affermava che le bombe all’idrogeno esplose sott’acqua potevano diffondere la radioattività così in lungo e in largo che ci poteva essere “una morte universale, improvvisa solo per una minoranza, ma per la maggioranza una lenta tortura della malattia e della disintegrazione” dato che l’impatto radiativo dei neutroni di fusione diffondono ben l’80% dell’energia.

In compenso, Cingolani ritiene fattibile una variante della fusione, quella a confinamento magnetico, infinitamente più problematica per un suo funzionamento entro il secolo, ma altrettanto affine agli interessi militari, dopo che Sakharov aveva già proposto nei primi anni 50 che l’uranio 233 e il plutonio 239, entrambi utilizzabili per le armi a fissione, potessero essere prodotti utilizzando neutroni provenienti da reazioni di fusione per irradiare rispettivamente il torio 232 e l’uranio 238 non fissili. E Cingolani è alla testa di Leonardo, l’ottava impresa militare al mondo. Questo fa pensare che, in un momento in cui somme di denaro senza precedenti affluiscono nell’energia da fusione, l’Orologio dell’Apocalisse sia più vicino che mai alla mezzanotte.

Nel frattempo, il ministro Urso ci informa da Milano Finanza del 27 novembre che il governo sta lavorando a una società dedicata alla costruzione di reattori nucleari di terza generazione avanzata (?). “I lavori sono in corso – afferma il ministro, e i vari passi sarebbero già stati definiti, con Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo – Tutto questo sarà possibile solo se lavoreremo insieme per accogliere il largo consenso degli italiani, a partire dalle generazioni più giovai e consapevoli”. Lo dice, assicura il ministro del MASE, un sondaggio di Swg che annota che 8 italiani su 10 hanno già deciso di tornare a investire nell’energia nucleare, a partire dagli Smr, (Small modular reactor), i reattori di piccole dimensioni. Un sondaggio, quindi, abolirebbe il referendum e una serrata e informata discussione politica?

Ne è convinto Gilberto Pichetto Fratin, forse il più disinvolto, che dice testualmente “che gli è venuto in mente di mettere data center dove c’erano siti nucleari e, forse confondendosi, cita Civitavecchia (dove c’è tutt’ora una centrale a carbone!) e ricorda che sta preparando una bozza di legge delega da portare in Parlamento per riaprire una strada verso un nuovo nucleare: “una esigenza per il nostro Paese che vuole mantenere gli impegni ambientali firmati a livello internazionale”. Ma non si era detto che la strada del risanamento climatico sarebbe svoltata lontano da fossili e nucleare?

Dice testualmente che gli è venuto in mente di mettere data center dove c’erano siti nucleari e, forse confondendosi cita Civitavecchia (a carbone!). “Entro l’anno – aggiunge – avremo una bozza di legge delega da portare in Parlamento: riaprire una strada troppo a lungo rimasta chiusa verso un nuovo nucleare è una esigenza per il nostro Paese che vuole mantenere gli impegni ambientali firmati a livello internazionale. Oltre a Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo, c’è ovviamente un altro attore pubblico già pronto alla ripartenza. Si tratta di Sogin, che ancora non si è espressa nemmeno sul deposito delle scorie nucleari. E dove sta il popolo sovrano?

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Con Meloni alla Cop29 anche l’Europa può partecipare al gioco dei negazionisti

Sembrava dover essere ricordato come uno scontro titanico quello di Dubai per ottenere alla Cop 28 quel vago “transition away” dai combustibili fossili. Ora, a Baku, se lo sono perfino dimenticato ed anzi hanno ricordato che è colpa dei consumatori se i petrolieri sono costretti a estrarre e vendere schifezze.

In Azerbaijan la presenza di Giorgia Meloni non è stata casuale. Anzi, ha voluto rimarcare che anche l’Europa può partecipare al gioco dei negazionisti. Lo ha fatto ostentando quell’amore materno che presiede ormai alle sue esternazioni sul futuro che, grazie a lei e per le fortune di sua figlia, sarà immancabilmente migliore. Nella toccata e fuga alla Cop 29 di Baku ha suggerito che, tra le grandi emergenze, quella climatica si possa risolvere “senza ideologie”, ma con un pragmatismo neutralmente distante dalle diverse tecnologie in campo.

A dire il vero, l’unica tecnologia per la transizione energetica che proprio non ha citato è quella più vicina alla realizzabilità e alla decarbonizzazione: quella delle rinnovabili. Ed ha ripetuto il “leitmotiv” dell’attuale governo, confortato dalla Confindustria e dai giornali delle destre: “siamo in attesa del nucleare, ma intanto continuiamo con gas, biocarburanti, sequestro e stoccaggio di carbonio”. C’è, dietro ciò, l’aspettativa che gli espulsi dalla chiusura degli impianti a carbone entro il 2025, pur di essere occupati, sostengano comunque un mantenimento in vita dei fossili (magari dentro rigassificatori o centrali a sequestro di carbonio o inceneritori).

Solo una “visione realistica globale”, secondo la premier, può ottenere successo. Intanto, avanti così, senza prestar attenzione a quanto perfino l’Europa stia diventando un luogo insicuro e pericoloso per eventi climatici sempre più frequenti. Solo due settimane fa, Quanta Magazine dava notizia circa nuove conferme sull’effetto multiplo della CO2 sul riscaldamento atmosferico, in quanto si è scoperto che la molecola assorbe radiazione infrarossa non solo per lo stiramento dei due ossigeni legati al carbonio, ma anche per la rotazione e i rimbalzi di questi ultimi attorno ai loro assi, con un effetto tanto più dannoso quanto più ne aumenta la concentrazione. Ciò rende ancor più conto dell’accelerazione delle emissioni di CO2 che aumenteranno dello 0,8% annuo, fino a far oltrepassare la temperatura di 1,5 °C già entro i prossimi sei anni.

Meloni ha anche vagamente promesso – al solito senza cifre – di elargire milioni (?) verso i Paesi più poveri, glissando quindi sull’obbiettivo principale di Baku: costituire, 25 anni dopo l’impegno della Cop di Copenaghen, un adeguato fondo per sostenere l’azione per il clima dei paesi del sud del mondo.

Infine, prima di lasciare l’Azerbaijan, la presidente del Consiglio non si è affatto dimenticata che Confindustria sta chiedendo nucleare a man bassa e non le è sfuggito che esso servirà anche per alimentare l’Intelligenza Artificiale, alludendo, quindi, non solo ai presunti reattori di nuova generazione cui è affezionato Pichetto Fratin, bensì anche ai piccoli reattori (SMR) che i suoi suggeritori – a partire da Eni – reclamano ad ogni occasione.

In tal modo, ripiega sullo sfondo la posta di una conversione energetica irrimandabile, consapevolmente ritardata al riparo di un disegno dirompente: puntare alla riduzione delle emissioni – come vorrebbe Trump – solo dopo un’eventuale conquista di egemonia derivante da una incessante guerra mondiale a pezzi, in cui le emissioni dovute agli eserciti stanno superando ogni limite. Non si va, pertanto, ad una rottura ora con le fonti fossili: anzi, la si allontana nel tempo come sostitutiva alle rinnovabili e, contemporaneamente, non si procede ad un contenimento dei consumi.

Il negazionismo, prima sparso a piene mani, prova ora a giocare carte nuove, cercando di convincere che, impugnando nel futuro un approccio tecnocratico rischiosissimo si potrà anche decarbonizzare, ma ricorrendo, al CCS, all’ingegneria climatica e, infine, all’ossimoro del nucleare sicuro, se non addirittura all’energia da fusione, “pulita, sostenibile e illimitata”. Nel frattempo, chi perde sono cittadini e le imprese ed anche le casse dello Stato, che rimangono legate ai prezzi alti dell’energia, trainati dal costo del gas.

Proprio dal fallimento delle Cop, occorre ricordare che lo sforzo di persuadere le persone della necessità di agire per il clima e la pace in modo estremo è stato lasciato quasi interamente al settore privato o a quello del volontariato, nonostante che questo sia il più grande problema che l’umanità abbia mai affrontato.

Alle posizioni ormai coincidenti di governo e Confindustria occorre rispondere innanzitutto con una convinta mobilitazione contro l’imbroglio del nucleare e per un bene comune tanto essenziale come il clima, che tocchi le istituzioni a tutti i livelli ed abbia un carattere di ubiquità: se tutti dovessero ascoltare lo stesso messaggio nello stesso momento e se questo messaggio facesse appello direttamente a un nucleo morale comune, tenderebbe finalmente ad essere preso sul serio da chi si sente defraudato.

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Valencia, sul clima i negazionisti parlano di ideologia ma ci sono i dati a ridicolizzarli

La disastrosa alluvione che ha colpito Valencia e il suo entroterra nel pomeriggio-sera di martedì 29 ottobre è stata innescata da una serie di nubifragi autorigeneranti sviluppatisi all’interno della medesima depressione che nel precedente weekend aveva interessato il Nord-Ovest italiano con eventi alluvionali tra Savona e Genova, in Valle Bormida e in Toscana, e che, precedentemente ancora, aveva colpito l’Emilia-Romagna.

Il Mediterraneo è più caldo del normale, l’Atlantico è più caldo del normale, l’atmosfera è più calda del normale. Dopo le piogge torna l’aria calda e si formano vortici isolati dalla corrente a getto, che in un’atmosfera così riscaldata scaricano tutto quello che riescono a scaricare al suolo. In Spagna sono caduti ben 491,2 mm in otto ore, di cui 160 in un’ora e ci si azzarda a dire che l’Europa non è più un posto sicuro, ma una regione a rischio.

Per gli scienziati è “probabile” che questa tendenza acceleri, ma i negazionisti non sentono nemmeno il bisogno di porvi rimedio o di prevenirne gli effetti. Parlano di ideologia: io qui vorrei portarvi dati e conferme sperimentali della scienza che ridicolizzano i sostenitori del ritardo a cambiare il sistema energetico nazionale e globale.

1) Già nell’800 Emile Clapeyron e Rudolf Clausius, due giganti della fisica, definirono la relazione tra la temperatura e le fasi liquida e gassosa dell’acqua. Ad ogni grado Celsius di aumento termico, il contenuto di vapore acqueo nell’atmosfera aumenta del 7%. Quindi, con il riscaldamento planetario, più acqua evapora dai mari e più pioggia cade su certe regioni dove si verificano le condizioni opportune, come la presenza di barriere montuose che esaltano il sollevamento e il raffreddamento dell’aria. Mari come l’Adriatico son poco profondi, più disponibili al riscaldamento, e l’Appennino romagnolo alle spalle provoca una condensazione di pioggia e grandine di rara intensità.

Il Mediterraneo in superficie, come osserva Mercalli, in questi giorni è oltre 1°C sopra la media 1982-2015 e ciò va a peggiorarne ulteriormente gli impatti, di per sé spesso già amplificati e complicati dall’interferenza con il territorio antropizzato.

2) Solo due mesi fa, il potente effetto di intrappolamento del calore dell’anidride carbonica, che prima appariva alquanto anomalo, è stato ricondotto a una stranezza del comportamento della sua struttura quantistica irraggiata in atmosfera. Già nel 1896 Arrenius aveva notato che, ogni volta che la concentrazione nell’atmosfera di CO2 raddoppia, la temperatura terrestre aumenterà tra i 2 e i 5 gradi Celsius.

Questo excursus sembrava misterioso ed era origine di molte critiche e rafforzava la confutazione dell’effetto serra, così “ondivago”. Invece, i calcoli quantistici pubblicati qualche mese fa su Quanta Magazine hanno reso conto della potenza insidiosa di questo gas.

Ciò è dovuto al fatto che la CO2 può vibrare e dimenarsi colpita dalla radiazione solare infrarossa in due diversi modi e a due diverse frequenze dello spettro solare, tra loro complementari. Il tasso di cattura cambia se la quantità di CO2 raddoppia perché, oltre a vibrare linearmente, i suoi atomi di ossigeno legasti al carbonio in linea retta si mettono a oscillare e ondeggiano e intorno ai loro assi, e, quando sono in questa particolare configurazione di oscillazione, assorbono anche pacchetti discreti di energia supplementari a quelli dovuti al normale allungamento lineare degli ossigeni attorno al carbonio.

Il modello quantistico dettagliato ha quindi reso ragione di un effetto forzante del movimento che la CO2 provoca in atmosfera e, di conseguenza, della sua elevata responsabilità nell’aumento accertato della temperatura terrestre.

A gennaio 2023, il Global Monitoring Laboratory della NOAA ha riferito che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è passata dal livello preindustriale di 280 parti per milione al livello record di 419,3 parti per milione, innescando finora un riscaldamento ulteriore rispetto alle precedenti previsioni già di un grado Celsius in più, che purtroppo negli ultimi anni sta accelerando gli effetti climatici a causa del doppio assorbimento di radiazione solare, accertato dai fisici, che genera ulteriore movimentazione tra le molecole che compongono l’atmosfera e, quindi, maggiore calore sulla terra.

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Eolico offshore, a Civitavecchia il governo preferisce la Puglia e reprime una lotta dal basso

Le guerre atroci che ci circondano stordiscono e l’asticella di sopportazione si sposta sempre un poco più in là, ma non possiamo tralasciare altre emergenze, anch’esse legate alla salute e alla sopravvivenza della nostra specie. L’Antropocene, purtroppo, si manifesta sotto la più colpevole incuria della terra e della biosfera tutta.

Per concentrarci su quanto accade da vicino, occorre denunciare come l’emergenza climatica in corso stia passando in secondo piano. Anzi, il governo in carica, nonostante la devastazione di interi territori nazionali, traffica per affari sottotraccia, piegando le aspettative e l’urgenza della riconversione energetica “verde” agli interessi delle vecchie lobby, rafforzate nelle loro pretese. E, come capita quando la partecipazione dei cittadini viene messa in secondo piano, si inventano “Piani Mattei”, pur di avere rigassificatori riforniti da GNL dall’Atlantico o da gasdotti trans mediterranei.

Intanto, si cambia in un baleno l’intero quadro di comando delle partecipate statali dell’energia e ci si allea con la Confindustria più retriva, pur di tener fede nel ritardo dell’installazione delle rinnovabili e nel mantenere una quota di gas e di nucleare al 2030. Un progetto assai rischioso, incompatibile coi tempi dell’emergenza climatica, giacché tradirebbe l’obbiettivo di 1.5°C, non eliminando a norma le combustioni fossili e rilasciando diffusamente rifiuti radioattivi letali.

Parto da Civitavecchia ancora una volta, per chiarire come la sconfitta – e quindi la sconfessione di un progetto maturato dal basso – sembra premere al governo di Meloni, Fitto e Pichetto Fratin. L’edizione barese di Repubblica il 29 settembre annunciava che “salgono sempre più le quotazioni della Puglia (con i porti di Taranto e Brindisi insieme) e della Sicilia (con Augusta) come sedi dei grandi hub per l’allestimento delle piattaforme per l’eolico offshore galleggiante”. Non sarebbe male, se fossero in aggiunta al porto laziale, che da lungo tempo ha annunciato la sua candidatura, prefigurando anche l’insediamento di aziende manifatture per l’offshore, con la copertura finanziaria di una joint venture europea già costituita per gli investimenti di 27 pale eoliche a 35 km al largo delle sue coste.

Evidentemente, il credito di Fitto e di alcuni parlamentari pugliesi (ma non solo) della maggioranza ha avuto un suo peso nel non prendere in considerazione il porto che è stato al centro di una partecipazione popolare, del mondo del lavoro e della ricerca.

Evidentemente, i nuovi manager designati nelle Aziende Partecipate dell’energia non nutrono alcuna autonomia dai ministri designatori (non c’è più uno Starace all’Enel!) e riscrivono tra di loro il nuovo PNIEC inviato a Bruxelles, che, nei loro intenti, rallenta le rinnovabili e le sostituisce con il nucleare, bocciato da ben due referendum, ma celebrato nella sua nuova veste di piccola taglia (150 MW tutt’ora non esistenti, ma già valutabili in termini di alto consumo e di rischio elevatissimo, se realizzati) adatta a alimentare i data center per l’intelligenza artificiale.

Pichetto Fratin, in una dichiarazione al Giornale del 24 agosto sfida i referendum e il buon senso: “La transizione energetica è impensabile – dice – senza la sfida del nucleare. anche perché l’’Intelligenza Artificiale contribuirà al raddoppio di energia al 2050”: Quindi, non basteranno le rinnovabili (che intanto sono tenute ferme da mille cavilli). Per perseguire una strategia così penalizzante delle rinnovabili occorre rimuovere in Confindustria Rebaudengo, il responsabile di Energia Futura: e questo è nell’aria.

Ben si capisce allora l’allarme che lancia Marco Piendibene, il nuovo sindaco di centrosinistra di Civitavecchia: “E’ incomprensibile il differente approccio del governo in situazioni paragonabili a quella di Civitavecchia – scrive il 2 ottobre a due deputati del territorio: Battilocchio di Forza Italia e Rotelli, di Fratelli d’Italia – quando invece la promozione delle ragioni di Civitavecchia nei contesti istituzionali nazionali chiede il giusto riconoscimento e supporto nei progetti strategici” che vedono coinvolta una popolazione che per anni si è mobilitata per una soluzione che liberasse il proprio territorio dalla schiavitù dei fossili. Il sindaco chiede, infine, “un incontro urgente per discutere tutte le iniziative che possano essere messe in atto al fine di portare le istanze del territorio all’attenzione di tutti i dicasteri interessati”.

Piendibene e i suoi cittadini sanno che la città potrebbe diventare un punto di riferimento nazionale per la transizione energetica e lo sviluppo delle energie rinnovabili, con la realizzazione di un hub integrato in grado di favorire la crescita economica e occupazionale, valorizzando le infrastrutture portuali e la centralità della sua posizione geografica nel Mediterraneo.

L’attenzione dell’opinione pubblica, una volta edotta, non potrà che richiedere un ruolo proattivo e non distaccato e sterile da parte del governo.

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