Roberto Meregalli
Energia Felice, 29 luglio 2013
La scorsa settimana il vicepresidente di Confindustria Aurelio Regina ha sparato l’ennesima bordata verso le fonti rinnovabili elettriche, o meglio, verso eolico e fotovoltaico, perché sono queste le due fonti del paniere delle rinnovabili a catalizzare da sempre vivaci critiche da svariati fronti.
Regina, ricordando che “il mercato dell’energia attraversa una profonda crisi”, ha chiesto interventi al governo minacciando che “senza interventi ci sarà una raffica di chiusure tra i produttori di energia”. Ma il vicepresidente di Confindustria abbandona subito “gli elettrici” per lamentarsi del costo dell’elettricità e del fatto che l’Autorità per l’energia ed il gas non abbia ancora messo in atto la decisione del governo precedente (Monti) di ridurre il costo per i grandi energivori (imprese con alti consumi). Ma poi l’affondo finisce sui soliti oneri in bolletta che, per sostenere il fotovoltaico, sono cresciuti a dismisura. “Il sistema è troppo generoso e l’Italia non può permetterselo”, taglia corto Regina.
Cosa propone? Che “anche i produttori incentivati paghino una parte degli squilibri che producono”, non solo, “devono poi contribuire al mantenimento del sistema di riserva, costituito anche da centrali termoelettriche, per evitare di rimanere al buio quando sole e vento spariscono”. Tradotto per i comuni mortali significa che le rinnovabili paghino il costo degli oneri creati dalla loro non prevedibilità e paghino le centrali a gas che servono a fare da back-up.
Omettiamo le risposte giunte dai rappresentanti delle categorie delle FER perché per il bene del Paese il discorso non va lasciato all’interno delle corporazioni, ma compreso e risolto da tutti quelli che pagano la bolletta.
Partiamo dai dati. Il conto energia, che dal 2005 ha incentivato l’installazione di pannelli fotovoltaici, è terminato definitivamente il 6 luglio del corrente anno, quindi tetto raggiunto. Risultato? Cinquecentosettantamila impianti (e quindi altrettanti invitati a suddividere la fetta di torta degli incentivi) per 18 GW installati (18 milioni di MW, equivalenti ad 11 del più potente reattore nucleare in costruzione, l’ EPR che si voleva costruire anche in Italia). Costo pagato in bolletta nel 2012? 6,4 miliardi su un totale di sessanta, a tanto ammonta la bolletta totale italiana (tutti dati rilevati dalla relazione del presidente del GSE alla X Commissione del Senato il 18 giugno 2013).
Il fotovoltaico ha prodotto 18.862 MWh di elettricità nel 2012 (dato definitivo GSE) il 6,3% di quella prodotta in Italia, una quantità rilevante, ma come mai in grado di creare così tanti sconvolgimenti fra i termoelettrici? In fondo si tratta di una quantità inferiore alle perdite annuali sulla rete in alta tensione.
Tutta colpa del mercato elettrico, perché questa quantità viene offerta nelle ore di maggior consumo, in cui un tempo più alti erano i prezzi e pertanto maggiori i ricavi dei produttori di elettricità, il meccanismo (merit order) fa scartare le offerte a maggior costo. Se confrontiamo lunedì 15 maggio 2006 (era pre-fotovoltaica) e lunedì 13 maggio 2013, scopriamo che nella fascia oraria dalle 9 del mattino alle 20 serali il prezzo medio dell’elettricità all’ingrosso è calato del 37,5% (a fronte di un calo degli scambi del 9,5%). Nei giorni festivi è ancora peggio: – 54,1% di prezzo confrontando il 1 maggio dei due anni.
Quindi solare ed eolico hanno fatto abbassare il costo di generazione a livelli che rimangono sempre più elevati degli altri Paesi europei ma sempre meno distanti: nei primi cinque mesi del 2013 è più elevato solo del 3,7% rispetto a quello del Regno Unito, del 21,9% rispetto alla Francia (ma era più alto del 49% lo scorso anno), del 35,9% rispetto alla Germania (era del 43,5% nel 2012).
I termoelettrici non possono contestare questi dati, contestano che per contro è aumentata la parte della bolletta finale che comprende gli oneri, quella parte di bolletta in cui c’è di tutto e di più e che solo per scelta politica è in bolletta piuttosto che all’interno del Bilancio dello Stato.
Vero, però un bambino a questo punto chiederebbe come mai si è deciso di incentivare le fonti rinnovabili e nella risposta sta la direzione da imboccare ora. Lo si era deciso per ridurre le emissioni di CO2 e di tutti quegli inquinanti che genera la combustione (anche da biomassa), riducendo la pesante dipendenza italiana dalle importazioni. Se questi obiettivi valgono ancora non si può che stringere i denti e valorizzare al massimo i soldi spesi, questo è ciò che si fa nelle case degli italiani in questi tempi di crisi.
Valorizzare una spesa già fatta significa, in campo elettrico, non buttare l’elettricità prodotta dalle FER per incapacità della rete a riceverla, nel 2011 appena Terna presentò i progetti per costruire 130 MW di impianti di accumulo nel Sud d’Italia per “evitare che parte dell’energia prodotta con le fonti rinnovabili vada sprecata”, ci fu la reazione negativa di Confindustria e di Aiget (Associazione Italiana di Grossisti di Energia e Trader). Significa che il cavo con la Sicilia andava inaugurato cinque anni fa se si voleva ridurre il costo dell’elettricità e non nel 2015 come si spera ora (a luglio mentre il prezzo all’ingrosso nel resto d’Italia è stato di 55 euro al MWh, in Sicilia è stato di 90 euro).
E di fronte al dato di fatto di avere il problema (si fa per dire) di avere troppa elettricità “verde”, perché non si pensa di favorirne il consumo, sostituendo altre forme di energia alimentate dai fossili? Di fronte a un problema c’è sempre la tentazione (di Confindustria) di difendere lo status quo, ma la storia insegna che non è la strada giusta. Oggi, finita l’epoca degli incentivi, sarebbe errato stabilire forme punitive sottoforma di regolamenti da parte dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas. La storia italiana è piena di stop & go, che sono la peggior strategia per vincere qualsiasi gara.